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Autore: a cello song    30/06/2013    1 recensioni
Tommy era uno che non viveva. Tommy scriveva, e questo sembrava bastargli.
Gina era una che viveva, viveva troppo. Dalla mattina alla sera, dal primo battito di ciglia all’ultimo pensiero prima di addormentarsi, Gina metteva il 200% di sé.
Il destino, il fato, Dio, il caso; Tommy e Gina si incontrarono a metà strada. Era notte, nella berlina di Tommy c’era posto per una chitarra e una ragazza che faceva l’autostop. Si raccontarono le rispettive storie; intrecciarono le proprie vite, vagarono per la nazione in macchina. Si innamorarono.
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Songfic sulla canzone It's my life dei Bon Jovi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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a metà strada

Nb#1: Questa songfic è basata sulla canzone It's My Life dei Bon Jovi ( Qui trovate la canzone con testo e traduzione, e qui la versione acustica che ho ascoltato mentre scrivevo).
Nb#2: Partecipa alla settimana tematica#1 del forum Pseudopolis Yard.

A metà strada

 

 

And this is for the ones who stood their ground

For Tommy and Gina, who never back down

 

 

 

            Tommy era uno scrittore. Quella parola gli calzava a pennello. Scrittore. Non aveva un aspro suono di verità, quando la pronunciava? La sentiva sua, sua come la macchina da scrivere datata 1969, sua come gli occhiali da vista tondi che non voleva mai indossare, sua come i suoi genitori, sua come le vite degli altri.
            Tommy era uno che non viveva. Tommy scriveva, e questo sembrava bastargli. Tommy non viveva, non ne aveva bisogno, così diceva; lui creava, plasmava, giocava con le parole come un bambino gioca con i vagoni di un treno giocattolo, le metteva in fila una dopo l’altra sperando che un giorno potessero andare per la loro strada. Questo, per lui, era molto più che vivere. Tommy era il dio delle parole che buttava su carta, l’unico che poteva decidere dei personaggi che ideava, delle vite che scriveva.
            Ma anche Dio alla fine un salto sulla terra l’ha fatto.     
 
           
            Gina non era una brava ragazza. Gina beveva, fumava droghe leggere, usciva tutte le sere dopo cena e tornava dopo colazione. Aveva lasciato la scuola quattro anni prima, e ora ne aveva venti e voleva girare il mondo; i suoi genitori l’avevano buttata fuori di casa dopo averla più volte rimproverato il suo stile di vita, non aveva niente da perdere a lasciare quella specie di monolocale sporco in cui abitava.
Gina era una che viveva, viveva troppo. Dalla mattina alla sera, dal primo battito di ciglia all’ultimo pensiero prima di addormentarsi, Gina metteva il 200% di sé; non aveva più amici stretti, da quando Frankie se n’era andato se conosceva qualcuno una sera e ci passava l’intera notte.
 
 
            Tommy non mollava mai. Quando sua sorella entrava in camera sua, prendeva le bozze stampate e le bruciava con l’accendino urlandogli contro che era uno “sfigato di merda”, che le faceva “schifo avere un fratello del genere, cristo, da ricovero”, Tommy non si buttava giù. Stringeva i denti e andava avanti, osservava le mille strade che c’erano lì fuori e tornava ad inventarsi le sue.
            Gina cadeva sempre in piedi. L’avevano chiamata in un sacco di modi, le più fantasiose sfumature di “troia, stronza, idiota, fallita” che c’erano al mondo; ma a lei non fregava. Continuava a camminare per la sua strada senza curarsi di quelle degli altri: lei non era una che si fermava allo stop se non c’erano macchine. Voleva vivere finché era viva.
 
            Arrivò il giorno in cui di Tommy trovarono solo un biglietto sopra il letto: Non sono io che faccio schifo, siete voi il problema qui dentro.
            Arrivò anche il giorno in cui Gina andò a letto alle dieci di sera e si svegliò alle otto di mattina, la valigia pronta e l’affitto non più da pagare.
           
            Il destino, il fato, Dio, il caso; Tommy e Gina si incontrarono a metà strada. Era notte, e nella berlina di Tommy c’era posto per una chitarra e una ragazza che faceva l’autostop. Si raccontarono le rispettive storie; intrecciarono le proprie vite, vagarono per la nazione in macchina. Si innamorarono.
            Tommy aveva finalmente cominciato a vivere, Gina a mettere la testa a posto. Lui ventidue anni, lei venti, volevano sposarsi.
 
            «Non voglio un vestito da sposa, Tommy, né una cerimonia da favola. Voglio solo ricominciare lontano da tutto.»
            «Il più lontano da qui possibile.»
            «Una vita insieme...»
            «Una vita.»
            Sorrisero entrambi. Perché Tommy ancora non lo sapeva, Gina lo sospettava, ma c’era veramente una nuova vita per entrambi.      
 
            «Dove andremo ora? Il mio cuore è un’autostrada aperta» Tommy sorrideva, sorrideva come mai aveva fatto prima, gli occhi pieni di vita.
            «Tu comincia a guidare, da qualche parte arriveremo.»
 
            Ma non arrivarono da nessuna parte. Un camion fuori carreggiata, i vetri rotti, l’auto ribaltata; Tommy sentì la sua vita abbandonarlo di nuovo. Era estate quando si erano conosciuti, quando tutto era iniziato; anche quello era un giorno estivo, un altro giorno.
Quella sera il sole era già tramontato per più di una persona. Gina era al nono mese di gravidanza il giorno dell’incidente, il giorno del suo matrimonio. Il bambino venne salvato. La chiamarono Faith, fede.
 
            Esiste una speranza per tutti.

           

 

            Finale parzialmente aperto: Tommy potrebbe essere morto, così Gina, così Faith. O potrebbero essere vivi tutti e tre. Sentitevi liberi di pensare quello che volete, anzi, sentitevi liberi e basta, vivete, vivete finché siete vivi.

   
 
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