Buio. Freddo. L'uomo indossò il cappotto nero fino ai piedi, il cappello calcato sul volto e la scatola degli attrezzi a portata di mano. Sorrise tra sè, un sorriso gelido, disumano, spaventoso, che lasciava spazio solo all'odio e al perenne bisogno di sangue. SANGUE. Ripetè la parola tra sè: " Il sangue è una cosa che abbiamo intrinseca dalla nascita, scorre nel nostro corpo ininterrottamente, pilota gli effetti delle nostre emozioni e, se ci viene tolto, ci procura la morte. ". Questo pensava l'uomo mentre entrava nella stanza della piccola Kathy debitamente immobilizzata e imbavagliata. Le lanciò un breve sguardo prima di tirare fuori tutti gli attrezzi: cesoie, coltellino seghettato, forbici, fiamma ossidrica e, per finire, un sacchetto di plastica. Questa volta lo sguardo che le riservò fu più lungo e denso, accompagnato da quel sorriso freddo di prima. Ormai era diventata un'abitudine. " Ciao piccolina " le disse con voce falsamente affettuosa, " come stai? Passati bene questi giorni quì dentro? Oh, non devi rispondere, perchè tra poco sarà tutto finito. Tra poco...o forse no? ". Di nuovo quel sorriso freddo e terribilmente crudele. Dispose gli attrezzi da sinistra a destra, a seconda dell'ordine che avrebbe utilizzato, poi prese, per prime, le forbici e le avvicino alla mano destra della bambina. " E' stato bello conoscerti piccola Kathy. Fai buon viaggio e addio. " Di nuovo quel sorriso che fu l'ultima cosa che Kathy vide prima di essere accecata da un dolore lancinante.