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Autore: Aleena    14/01/2008    3 recensioni
"Lui non è mai risalito da quei corridoi; continua a vagare, senza corpo, senza voce, mentre gli anni passano, i ricordi sbiadiscono. Perfino il suo nome scompare, facendo restare solo l’Ombra, padrone incontrastata di mura e polvere.
Ma Astrea ricorda, Astrea SA.
Era Gabriel, una volta… come l’angelo… ma lui è un demone oramai.
Ed ha dei nuovi giocattoli, i primi da secoli."
I Malandrini, un'incantesimo antico quanto la stessa Hogwarts, gelosie, tradimenti, paure... riusciranno ad uscirne indenni?
Genere: Avventura, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Hola a tutti!

Non vi rubo troppo tempo, solo un attimo per farvi un saluto e dirvi che Voglio e Pretendo commentini  su questa fic, anche 4 righe, che non vi costano niente e mi aiutano a continuare a scrivere… se non li riceverò la lascerò incompiuta, e sarà un peccato perché, credetemi, sarà molto bella (io lo so, conosco già la trama). Ah, potrebbe scivolare un po' nell'OOC, anche se spero e conto di riuscire a mantenere i personaggi sempre nell'IC.
Ciao.


 

 MY DECEMBER

  

E un ricordo di me
Come un incantesimo
E per un istante ritorna la voglia di vivere a un’altra velocità…

 
 

  Camminava sotto lo strato spesso delle foglie, il manto striato di macchie lunari, ombre che creavano disegni fantastici in contrasto col candore della luna piena che filtrava tra le foglie fresche della rugiada di quella notte d’inverno; vagava in cerca di prede, piccoli animali da portare a casa per cena: il viso basso, fiutava il suolo cercando una traccia che sembrava non esserci, respirando solo aroma di muschio, foglie secche e terra umida. Nessun rumore nell’aria, alcuna traccia da seguire. 

Avanzava da un po’ quando qualcosa le fece alzare il muso ed annusare l’aria: un odore, netto e distinto che si avvicinava. Chiaro e nitido le arrivò alle narici l’aroma inconfondibile della paura: qualunque fosse la sua preda, era vittima di un’angoscia indefinibile - no, non era solo questo, c’era dell’altro: gioia, euforia, eccitazione; e voci lontane che schiamazzavano allegre, incuranti di disturbare la quiete della foresta.
«Quanto manca?» si lagnava una vocetta stridula, così alta e penetrante da ferire le orecchie del predatore.
«Smettila di piagnucolare e comportati da uomo, Codaliscia» disse qualcuno, modulandosi su toni melodiosi sebbene acerbi.
«Si, non farci pentire di averti portato con noi» sbottò seccato un altro ragazzo, la voce dura seguita dallo scricchiolio di un legno che si infrangeva.
«Hai detto che non ti saresti lamentato, ricordi?» sussurrò piano un’altra voce, più calma e modulata delle restanti; aveva un qualcosa di pacificatore, di quiete.
«Ma dovevamo proprio portarlo? E, a proposito, quanto manca?» domandò una voce femminile lievemente affaticata, producendo un suono a metà fra uno sbuffo e un lamento.
«Siamo quasi arrivati, Alilunghe, solo pochi metri» disse la terza voce, improvvisamente ammorbidita.
«Perché quando è lei a chiederlo le rispondete, e perfino gentilmente?» ancora quei toni petulanti, seguiti da rumori così forti che solamente un drago avrebbe potuti eguagliare.
«Perché lei è lei, Minus» rispose ancora il ragazzo dalla voce dura. Il predatore scivolò silenzioso attraverso due tronchi gemelli, il naso nell’aria alla ricerca di qualche odore chiarificante, gli occhi puntati sulla fonte delle voci.
«Bella risposta, fratellino!» commentò la voce femminile nell’esatto momento in cui le ombre si stagliarono più nitide all’occhio del predatore. «Oh, eccola!»
«Finalmente»
«Zitto, tu!»
«Ma chi me l’ha fatto fare…»
«Codaliscia!»
Voci che si incastravano le une nelle altre, turbando la quiete notturna della foresta. Il predatore degnò il gruppetto di un’ultima, lunga occhiata, prima di decretare che non ne avrebbe ottenuto nulla di buono. Dunque si allontanò, rintanandosi in un cespuglio; non voleva avere contatto alcuno con gli umani, non erano prede che potesse attaccare rimanendo illesa. Purtroppo per lei, non aveva tenuto conto dell’odore di rabbia, curiosità e sospetto che quel cespuglio aveva cominciato ad emanare.
«Stupeficium… dannata volpe, maledetta foresta, due volte dannati!»
Una figura nera si allontanò dal cespuglio, lasciandola stordita ad attendere che l’effetto dell’incantesimo svanisse: di certo, quella non era stata la notte più propizia per uscire a caccia.
 
Il tramonto aveva già cominciato a gettare ombre di notte, disegnando scheletriche sagome d’alberi sulla facciata - rossa del sangue del sole morente - di quella maestosa costruzione, facendo splendere di vermiglio gli intarsi e i dorati affreschi della grandiosa facciata; uno spettacolo meraviglioso reso ancora più perfetto dalla visuale privilegiata di cui gode, lì, su quella collina al centro della foresta.
 
La poesia del giorno che muore e della tenebra che, viva, avvolge la terra e la culla in un sogno di mistero e pace. La luna, uno spicchio non ancora completo, ma non per questo meno lucente, che bagna  il terreno con la sua luce, si fondeva con la vita nell’ovattato silenzio delle notti invernali.
Era questo il suo regno.

 
Non una persona era entrata in quell’elegante edificio da anni e secoli o, forse, intere vite e generazioni umane; ciononostante né il tempo né gli elementi l’avevano scalfita: si ergeva, fiera e solitaria, un monumento nella desolazione di quella pericolosa foresta, dimenticata dai più ma ancora viva, le sue ossa di cemento e magia ancora impregnate del ricordo della loro prima creatrice, dello spirito che vi aveva imprigionato, della magia, della maledizione, dei suoi primi ed ultimi ospiti.
 
Vi fu un tempo in cui i quattro grandi fondatori di Hogwarts vivevano in pace nel loro giovane castello, circondati da quei seguaci ancora ragazzi che avevano scelto e ai quali insegnavano l’arte della loro magia e la dote che ritenevano importante; in pace e in amicizia, ognuno di loro unito da profondi legami: una convivenza produttiva e quieta, almeno in apparenza.
Dissapori dividevano i quattro fondatori, ire neonate che affondavano le loro radici nel pregiudizio; Salazar e le sue idee. La purezza del sangue non  era mai importata ad altri se non a lui ma ultimamente i suoi ideali stavano conquistando Cosetta e Godric, li allontanavano da quelli che erano… e la lasciavano sola.
Tosca Tassorosso era di carattere forte e amava aiutare gli altri, odiando le discriminazioni che venivano operate per i mezzosangue e  i babbani; oh, possibile che non capissero quanto potesse essere brutto, quanto fosse triste l’essere allontanati ed esclusi per quei ragazzi dal “sangue impuro”?
No, come potevano capirlo, abituati da sempre ad avere i loro poteri, ad ottenere quel che volevano solo con la bacchetta? Sarebbe stato bello, davvero delizioso, privarli almeno per un po’ della magia, mostrargli quant’era difficile vivere solo con le proprie forze…
 
Non un essere umano era entrato in quella casa da secoli, ormai… e lui si sentiva solo.
Ma forse questa volta avrebbe avuto ciò che desiderava.
Finalmente.

 
«Finalmente, alleluia, non ce la facevo più, altri dieci passi e sarei crollata, mi avreste dovuta portare in braccio!» la voce di Astrea* eraun grido troppo alto eppure melodico, indifferente a chicchessia eppure carico di una sorta di genuina, placida calma.
«Bella, vero, ragazzi?» disse James con voce compiaciuta, indicando dinnanzi a sé la costruzione bagnata dall’ultimo raggio di sole di quella giornata; aveva il sorrisino soddisfatto e orgoglioso di chi mostri una sua grande opera, sebbene poca parte del piano fosse attribuibile al Malandrino.
«Mi aspettavo un rudere, e invece… sei sicuro che sia disabitata, Sirius?» era stato il ragazzo in fondo alla fila a parlare, un ometto basso, grassoccio e sudato dalla lunga marcia alla quale, visibilmente, non era abituato. Dall’espressione ansiosa del suo viso, pareva desideroso di trovarsi ovunque tranne che lì.
«Sicurissimo. E comunque chi credi che possa venire a vivere qui, Peter?» il secondo della fila - un ragazzo alto e bruno dagli intensi occhi grigi, il volto lineare molto attraente e il fare disinvolto e elegante nella sua camminata sciolta - si voltò a guardare l’altro poi, rivolto al terzo - un ragazzo dai capelli castani disordinati e occhiali da vista, di bell’aspetto e con un lampo di malizia e scaltrezza sul volto - che gli camminava vicino, sussurrò «Avremo fatto bene a portarlo con noi? Se ci muore d’infarto lì dentro…»
«Faticheremmo non poco a nascondere le prove, in mezzo ad una foresta, dentro una casa che nessuno crede esistere» il sarcasmo nella voce di James era evidente, come la leggerezza delle sue parole «Comunque, noi entriamo. Poi se gli dovesse succedere qualcosa…» e si bloccò, assumendo un atteggiamento di maestria che era da lui prima di riprendere «Alohomora… allora ci pensaremo… ALOHOMORA…»
«Problemi con la porta? Cos’è, non sai più usare nemmeno la bacchetta, James?»
«No… cazzo» fece il ragazzo, facendo svanire in un colpo tutta quella sua aria seria e superiore. Tentò un’altra volta prima di lasciarsi andare e caricare una spallata alla porta «è bloccata. E smettila di ridere, Sirius, non è divertente!» sbottò infine, seccato.
«Non è mica una scienza quella di aprire una porta, ci riescono perfino i ragazzini del primo anno. Datevi una mossa!» ad aver parlato era l’unica ragazza del gruppo, una moretta alta e dai lineamenti talmente simili a quelli di Sirius da non lasciare dubbi sul fatto che fossero gemelli; bella e formosa, guardava i compagni con un ghigno divertito sulle labbra appena dischiuse.
«Perché non ci provi tu, Astrea? Avanti, dimostraci la tua bravura!» il ragazzo chiamato Peter si era avvicinato, e l’astio nella sua voce non si addiceva alla rappresentante della categoria con cui stava parlando.
«Ti ho detto di portare rispetto, è una ragazza» disse James, condendo le parole con uno schiaffo abbastanza sonoro sul retro della testa del compagno «dimostrati uomo per una volta, Codaliscia»
«… Alohomora non funziona, Bombarda non funziona, Reducto nemmeno… che palle, non si può neanche farla esplodere!» Astrea si era spostata in avanti e osservava con occhio clinico la porta chiusa «E se lanciassimo un sasso ad una finestra e ci calassimo dentro con il Leviosa?» domandò, una scintilla di speranza negli occhi.
«Poco saggio e molto distruttivo» il ragazzo aveva parlato ora per la prima volta in tutta la nottata: aveva occhiaie scure sotto gli occhi ed un colorito cinereo che non donava ai lineamenti dolci del suo viso; i capelli biondo scuro - quasi color ferro - gli ricadevano flosci sulla fronte conferendogli un’aria da malato.
«Come ogni mia idea, Remus» disse Astrea sorrise, compiaciuta.
«Finalmente hai detto qualcosa, iniziavamo a temere il tuo insolito mutismo!» disse Sirius; quindi si era avvicinato all’amico e lo aveva cinto con un braccio attorno alla spalla, come ad appoggiarsi a lui «Allora come va? Come ti senti?»
«Io ho freddo»
«Nessuno te l’ha chiesto, Peter» rispose Sirius, stizzito.
«Ma perché ce lo siamo portato diet…» cominciò James, ma venne interrotto da un boato sordo, seguito da una serie di schianti e dal sollevarsi di un polverone misto a schegge di legno.
I quattro maschi si voltarono di scatto, spaventati, per trovarsi davanti ai resti della porta d’ingresso scardinata come da un’esplosione.
«Che cazzo hai fatto Astrea?» Sirius, allibito, spostava lo sguardo dai resti dell’ingresso alla sorella come se non riuscisse a capacitarsi dell’irruenza della ragazza; eppure il sorrisetto a metà fra il complice ed i divertito tradiva il suo consenso a quell’opera distruttiva.
«Io? Niente… sapete, lui aveva freddo» disse Astrea, indicando Peter «così ho pensato che…»
«Non te n’è mai fregato nulla di Peter, sorellina» rispose Sirius con voce angelica e canzonatoria.
«Voi stavate perdendo tempo e io sono stanca e voglio entrare, qui fuori fa freddo e c’è un cielo da neve che non promette nulla di buono. Quindi ho trasfigurato un sasso in una piccola fiala di esplosivo e l’ho lanciata contro la porta» disse Astrea incrociando le braccia al petto, visibilmente contrariata.
«Il bello è che lo dici come se fosse la cosa più naturale al mondo!» James era divertito; fece un passo avanti, superò i suoi amici e si fermò sulla soglia distrutta «allora, entriamo o no?»
Sirius sorrise e andò dietro il suo migliore amico, all’interno dell’edificio, seguito a ruota da Astrea e Remus; ultimo ad entrare, Peter si guardò indietro con desiderio prima di spingersi oltre i resti dell’uscio.
 
… Finalmente.
 
Fra gli alberi sempre più scuri, una figura nera aveva osservato tutta la scena; silenzioso, simile a un fantasma, attese qualche minuto prima di muoversi in direzione della porta divelta, per poi varcarla ed entrare nel buio.
La luce della luna non illuminava la facciata e solo gli occhi profondi degli animali poterono vedere la porta ricomporsi, come per magia, e sigillarsi.
 
… Finalmente. Anni ed anni per espiare una colpa che non meritavo di portare, con solitudine e silenzio…
 
Finalmente.

 


Note:
*Astrea è una stella della bilancia, così si continua la tradizione della cara mamma Rowling di dare nomi di astri per i personaggi ;)
 
Al prossimo chaps, allora…… PRETENDO commenti!
Ps: qualcuno indovina di chi sia il pezzo della canzone in alto?
  
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