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Autore: topstiel    01/07/2013    6 recensioni
Anni Settanta. Le rivolte studentesche e le forze di polizia che tentano disperatamente di mantenere l'ordine nella caotica New York City. Un fan di John Lennon ed un poliziotto che non pensa mai a sé stesso s'incontrano, si lasciano e si riuniscono di nuovo dopo un lungo e vuoto periodo.
[Oneshot, Destiel, AU.]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Note d'autrice.
Ed ecco che me ne torno con l'ennesima AU. Che ci posso fare, le adoro e continuano a venirmene in mente tantissime tutte diverse. Meh. Questa in particolare l'ho ideata all'una e mezza di notte e ne vado abbastanza fiera, anche perché mi sembra che nessuno abbia ancora fatto nulla di simile. Inizialmente però l'avevo immaginata solo come il secondo pezzo. 
Cioè, vi spiego, questa fanfiction è divisa in due: la prima parte si potrebbe definire come il "finale", mentre la seconda va indietro nel tempo e le cose si fanno più chiare. Ero molto indecisa su come fare l'ordine delle cose, se mettere un buon finale oppure no, ma alla fine mi sono detta, "Diana, fai sempre questi finali angst e soffri da sola, scrivi qualcosa che può definirsi lieto fine!" ed eccomi qui. Sì, mi chiamo Diana (?). Probabilmente non ve ne importerà niente, eeeeh. 
Ci puntualizzo a dirvi che io amo John Lennon, ed è difatti il mio cantante preferito, e gli anni settanta sono una delle mie epoche preferite. Naturalmente e sfortunatamente non l'ho potuta vivere sulla mia pelle, e se c'è qualche sbaglio, perdonatemelo. Ah, molte parole pronunciate da Cas nella vengono da una canzoni di John, giusto per chiarire perché sono messe in corsivo.
ORA, dopo tutta questa sbobba noiosa, vi lascio finalmente alla lettura, spero vi piaccia. 
Prometto un Castiel e un Dean nuovi di zecca a chiunque recensisce, sì. Due completamente gratis, è un affarone, no? -vola via-.  
 
 
out the blue you came to me (and blew away life's misery) 
 
Domenica, 14 Dicembre 1980. 
 
Con entrambe le mani infilate nelle tasche del pesante cappotto, Dean cammina frettolosamente diretto al Central Park. Ha vissuto molti anni a New York, ma non ha avuto molte occasioni per visitare il polmone verde della Grande Mela. Inizialmente scettico sul come arrivarci, una volta messo piede fuori dal palazzo in cui abita si era ricreduto: sembrava che tutti quanti fossero diretti lì, quel particolare giorno. Così si era limitato a seguire i gruppetti di persone che tenevano in mano una candela o un cartellone con, solitamente, sopra stampato le cubitali parole "Riposa in pace, John Lennon" o altri messaggi sempre riferiti all'ormai defunto musicista. 
In realtà, Dean è ancora abbastanza confuso riguardo la morte dell'ex leader dei famosissimi Beatles. Quando aveva sentito la notizia alla televisione, la mattina del nove dicembre, se ne stava a sgranocchiare i propri cereali con tranquillità, la divisa da poliziotto già addosso. Poi sul canale delle notizie era apparso il viso che tanto conosceva, particolarizzato dal naso ad aquilino, le labbra sottili e gli spessi occhiali da sole dalla montatura giallastra. La prima cosa a cui aveva pensato era che probabilmente si trattava di una sorta di pubblicità strampalata, o magari una stupidata scritta da qualche ragazzo in cerca di soldi.  La seconda cosa a cui aveva pensato era lui. Era praticamente impossibile ascoltare un disco dei Beatles o di John Lennon senza che la sua mente dipingesse la vivida figura di quel ragazzo dall'aspetto mingherlino, i capelli scuri perennemente scombinati, la sigaretta tra le labbra screpolate e le due profonde occhiaie sotto gli occhi. 
Così, quella mattina, era venuto a sapere della fiaccolata al Central Park e qualcosa era scattato dentro di lui. Un desiderio di rivedere quell'uomo che mai in quegli anni era stato così forte e che mai lo aveva fatto spingere così oltre i propri confini. Si era infilato velocemente un maglione regalatogli da suo fratello, i pantaloni neri della sua uniforme ed un pesante cappotto a prova del freddo newyorkese. 
Ed ora eccolo lì, a calciare i sassolini che gli bloccano la strada e a fissare il marciapiede, come se la formula dell'eterna felicità fosse stampata su quelle mattonelle.
Dean è certo che Castiel si farà vedere nella folla; conoscendolo, se ne starà un po' in disparte con le mani congiunte in preghiera, a guardare il cielo e a mimare con le labbra delle silenziose parole di salvezza. Il problema è che, con tutta quella gente, il poliziotto ha paura di non poterlo trovare. Di non trovarlo e non avere più alcuna possibilità di guardarlo negli occhi blu, di carezzargli i capelli e cercare di metterglieli a posto, nonostante gli piacciano scompigliati come sono. E' terrorizzato dal pensiero di non poter più sfiorargli le labbra con le sue e stringere il suo corpo minuto tra le proprie braccia come a proteggerlo dal mondo intero che gli punta il dito contro e che gli sputa addosso cattiverie su cattiverie.
Arriva con questi pensieri a destinazione e se ne sta già a tremare per il nervosismo. Forse dovrei andarmene, pensa, forse non vuole più vedermi in faccia e mi odia
E invece rimane a guardarsi intorno con aria persa, sentendosi parecchio a disagio nel vedere tutte quelle persone piangere, abbracciarsi e cantare l'inno di un uomo che non voleva altro che un po' di pace per sé, la sua famiglia e il mondo. E poi Dean ha sempre preferito McCartney, in realtà. «Quelle di Paul sono solo stupide canzoni d'amore!» replicava sempre Castiel quando l'altro puntualizzava le sue preferenze, e a quel ricordo, il Winchester si tranquillizza. 
Si mischia nella folla ed esamina con attenzione tutti gli uomini dai capelli scuri, perdendo un battito di cuore ogni volta che si ritrova vicino a qualcuno dall'aspetto familiare. Devi stare calmo, si dice mentalmente e sfrega le mani insieme per riscaldarsele. Sei un uomo adulto, Dean, sarebbe ora che la smettessi di emozionarti come una ragazzina. Nella sua mente iniziano a formarsi i più assurdi pensieri, e Dean inizia a temere che magari Castiel se n'è andato da New York e che è stato stupido a credere di poterlo trovare così facilmente.
Poi lo nota. Gli salta subito all'occhio come una cravatta che non si abbina ad un vestito. Tra i canti e la folla, tra le persone in piedi ad agitare le candele e sventolare bandiere di pace, tra gli spazzini che cercano disperatamente di tenere ordine e fare il loro lavoro, c'è una panchina; è una panchina normale, nel Parco ce ne sono a migliaia uguali a quella, verniciate in nero e dalla forma affusolata sui braccioli ai lati. Sopra di essa è seduto Castiel, coperto da un enorme parka ed un cappello in lana abbastanza infantile. Ha il viso chino e tra le mani tiene una candela che gli scalda le mani. Un po' di cera è arrivata a colare sulle sue dita, ma a lui non sembra interessare molto. Come Dean ha previsto, sta pregando in silenzio, mimando le parole con le labbra, e sembra così concentrato e chiuso nel suo mondo, che nemmeno si accorge di come il poliziotto si avvicina a lui, fino a che non nota un paio di anfibi davanti i suoi. Alza immediatamente lo sguardo e i due rimangono a fissarsi per un attimo che sembra durare tutti gli anni che non hanno passato insieme e che hanno buttato nel cestino. 
Vorrebbe dire molte cose, Dean, vorrebbe iniziare col scusarsi, proseguire dicendogli quanto è stato sciocco e stupido, facendogli anche notare quanto gli è mancato e quanto vivere senza di lui è stato sbagliato. Dean vorrebbe parlare e non smettere più, prendergli il viso sciupato e pallido tra le mani e baciargli la fronte, scusarsi senza sosta fino a che non ha più né la forza né la voce. Ci sono un sacco di cose che ha da dirgli, ma sceglie le più banali e le più stupide, secondo lui. 
«Forse avevi ragione: John Lennon era gay per Paul McCartney», rompe così il silenzio fatto di occhiate sorprese, ed è certo che le lentiggini presenti sotto i suoi occhi in quel momento siano ben evidenti. «Ed io lo sono ancora di più per te» aggiunge dopo un momento di esitazione. Sposta le foglie secche presenti accanto a Castiel e si siede vicino a lui, alzando lo sguardo verso il cielo vagamente nuvoloso. Sente il suo sguardo perennemente puntato sulla propria figura e sussulta quando percepisce la mano di Cas insinuarsi nella tasca del suo cappotto per prendergli la sua e stringerla. 
Dean intreccia le dita con le sue e rotea il pollice sul gelido dorso di Cas, grattando così via la cera presente su di esso. 
«Qualsiasi cosa accada nella notte, va tutto bene» sussurra Castiel un secondo dopo aver lanciato una veloce occhiata al cielo, come per ringraziare un'entità superiore, quindi appoggia la testa con aria stanca contro la spalla di Dean e chiude gli occhi, tenendo salda la candela nell'altra mano.
 
 
Giovedì, 6 Marzo 1975.
 
E' finito tutto durante quella notte; Castiel se ne sta seduto sul bordo del letto ad osservare Dean recuperare tutte le proprie cose e infilarle con fretta nella valigia. L'odore di fumo è presente in tutta la stanza e, dopo aver chiuso l'armadio ormai vuoto dai propri vestiti, Dean spalanca la finestra, nauseato. 
Sente lo sguardo del compagno su di sé e cerca di trovare le parole giuste per esprimersi. E' Castiel, però, il primo a parlare. «Se ti sussurro qualche verso di Don't Let Me Down, cambi idea?» domanda e si sfila la sigaretta dalle labbra, premendone l'estremità contro il posacenere presente sul comodino completamente pieno di cenere. «Sono innamorato per la prima volta, non sai che durerà? E' un amore che durerà per sempre, è un amore che non ha precedenti» canticchia dopo essersi alzato, raggiungendo così la figura di Dean. Il tono della sua voce è appena tremante, e il poliziotto può sentire chiaramente la sua disperazione. 
«Sai, anche John e Yoko sono stati separati per un bel po'. Da settembre del '73 a poco tempo fa. Sono tornati insieme, però--- pensa, Yoko è incinta!» Cas continua a parlare, accennando una risata nervosa, appoggia il petto contro la schiena di Dean e le mani vagano sulle sue braccia. 
Non è la prima volta che succede una cosa del genere; iniziano a litigare, magari su argomenti di politica o anche sciocchezze, e uno dei due finisce per tirare fuori la valigia e riempirla con le prime cose che si ritrova sottomano. Ma questa volta è diverso. 
Dean è stufo, non ce la fa più e si sente un po' codardo. Ha paura di essere beccato con un uomo e perdere il posto di lavoro. Ha paura di tornare a casa dopo un lunga giornata e trovare il proprio amante steso a terra in preda da una crisi d'astinenza o, peggio, un overdosi. Ha paura di perdere tutto e non poter più mantenere suo fratello all'Università. Tutti quegli eventi, tutta quell'ansia accumulata, lo hanno portato a mettere fine a quella faccenda. 
«A volte ci penso: secondo me John Lennon è gay. Voglio dire, al massimo bisessuale, ma di solito i bi sono quelli che non vogliono ammettere l'omosessualità. Ecco, John Lennon è un po' gay per Paul McCartney. Voglio dire, ama Yoko e tutto quanto, ma--» Castiel parla a vanvera e tiene salda la presa sul busto di Dean, che nemmeno sa come sia arrivato a quel discorso.
«Smettila» replica quest'ultimo, facendolo ammutolire all'istante. Scrolla le spalle e si libera dalle braccia dell'altro. Non è che la cosa gli faccia piacere, lasciarlo e andarsene in questo modo. No, Dean ama Castiel e Castiel ama Dean. Il problema non sta in quello. Dean sente il bisogno di stare un po' di tempo per conto suo. Sente lo stress accumulato tutti quegli anni diventare un peso troppo grande per lui, sente come una presa fin troppo stretta attorno al suo collo e non ce la fa più.  
Se lo spiegasse con quelle parole, magari Castiel capirebbe, anzi, lo farebbe di sicuro. Ma Dean non è mai stato bravo con le parole e, prendendo la valigia, balbetta e gesticola le solite cose che si dicono a una ragazzina per essere lasciati in pace. «Mi dispiace-- Non è colpa tua, sul serio, è solo che ho bisogno di un po' di tempo... Insomma, capisci?».
Cas lo segue per tutta la strada, dalla camera all'ingresso, e lo guarda con gli occhi sgranati e visibilmente lucidi. Il Winchester cerca di evitare di guardarlo direttamente, perché sa bene quanto tutto ciò gli farà male e che, non appena incrocerà le sue iridi blu, lascerà cadere la valigia a terra e lo stringerà subito, lo bacerà dolcemente e sussurrerà le parole della canzone precedente per farlo sorridere. («E dal primo momento che mi ha amato, oh, mi ha amato davvero».) 
Così, continuando a scusarsi e scuotere il capo, Dean scende le scale per fuggire via da quell'appartamento e dagli occhi disperati di Castiel.
 
 
Mercoledì, 30 Agosto 1972.
 
Questo è decisamente il miglior giorno della vita di Castiel. Si muove nella folla, si agita, canta e balla. La musica si diffonde ad alto volume nell'arena ospitante John Lennon e Yoko Ono, il Madison Square Garden. Una mano sconosciuta gli rifila una sigaretta malamente rollata, se la infila tra le labbra e la tiene alta tra i denti. Salta da un piede a un altro e si lascia sfuggire qualche parola della corrente canzone. Chiede un fiammifero al suo vicino e, ragazzi!, non lo conosce nemmeno. Quest'ultimo gli accende lo spinello e gli sorride gentilmente. Castiel si sente felice e in pace con sé stesso in mezzo a quella folla di fratelli ignoti. Inspira il fumo a pieni polmoni e guarda il musicista britannico muoversi al ritmo della propria musica, fermandosi di tanto in tanto per recuperare una lattina di limonata presente ai suoi piedi e berne un lungo sorso. Le note dal tono vecchio rock 'n' roll riempiono il luogo e il pubblico esulta, e con quest'ultimo anche Castiel. E' stupito come il movimento hippie si sia diffuso così velocemente in tutti gli Stati Uniti e di come tutti questi giovani, per la maggior parte studenti, si trovino lì, a cantare una canzone che va contro il sessismo e che cerca una parità tra uomo e donna. 
«Finalmente!» esclama quando riconosce una figura avvicinarsi a lui a grandi e goffi passi. «Bene, bene, bene, oh, bene! Ho portato la mia amata fuori a cena, così avremmo potuto prendere qualcosa da mangiare-», canticchia Castiel assieme a John e circonda le spalle di Dean con un braccio per attirarlo a sé. L'altro fa una smorfia rassegnata, nascondendo però un sorrisetto divertito. «Non sono una donna e non mi hai portato fuori a mangiare, sei troppo strano per un appuntamento normale. Inoltre non sai che casino ho fatto per trovarti! E poi--- è una canna quella?!» Dean gli leva immediatamente la sigaretta dalla bocca, facendola così cadere, e la calpesta con un gesto frettoloso. Castiel non sembra farci molto caso perché sta ancora canticchiando ed ha raggiunto l'orecchio di Dean, abbassando la voce fino a un rauco sussurro. «Era così bella che l'avrei mangiata». Anche Lennon canta quel verso, e, a differenza della canzone originale, si volta verso la moglie e con aria malandrina, sussurra al microfono: «E l'ho fatto». 
Un brivido percorre la schiena del poliziotto, che mentalmente si chiede come abbia fatto ad innamorarsi di una persona del genere. «La prossima volta, invece che andare a un concerto di questo pazzoide, usciamo come due persone normali e ce ne andiamo a cenare in una tavola calda» replica semplicemente e può sentire il compagno ridere. 
 
Giovedì, 7 Maggio 1970.
 
Probabilmente avrei dovuto dar ascolto a Michael, pensa Castiel quando apre gli occhi e si ritrova in una sala d'ospedale. Si guarda intorno incuriosito, nota diversi mazzi di fiori sul comodino accanto al lettino dove riposa e, per quanto cerca di capire cosa sia accaduto, non ci riesce. 
«La rivolta--» pensa ad alta voce e osserva le margherite con aria rapita. Allunga una mano e ne sfila una dal vaso, infilandosela tra i capelli. Lentamente le cose si fanno più chiare e i ricordi tornano gradualmente. 
Castiel si trovava nel bel mezzo di una folla di studenti, quando qualcuno gli aveva sparato. Era lì a protestare contro l'uccisione di quattro ragazzi alla Kent State University, nell'Ohio, da parte di alcune Guardie Nazionali. Ricorda come agitava un pugno in alto e si sgolava a dirne di tutte e di più contro il Presidente Richard Nixon. Sente, infatti, un debole dolore in fondo alla gola. 
Ciò che gli duole di più, però, è il torace, dove è stato evidenetemente colpito. Gioca con un'altra margherita, estraendo anche questa dal contenitore e si arriccia il gambo sul dito indice, compiaciuto dalla sensazione di umido sulle proprie mani. Le tende immacolate sono mosse dalla brezza primaverile, volteggiano avanti e indietro e Castiel posa lo sguardo su di loro, quasi ipnotizzato.
La quiete di quel momento però viene interrotta dalla porta che viene aperta senza la minima grazia. Un ragazzo in divisa irrompe nella stanza e il paziente non può fare a meno che notare la sua bellezza. 
«Mi dispiace!» inizia a parlare lo sconosciuto e si agita e si muove attorno al letto. Gesticola con le mani e se ne passa una tra i capelli, parlando senza smettere, quasi come un fiume in piena. «Non è che lavoro da molto, e insomma, "Spara per spaventarli, Dean", mi diceva Gordon e io l'ho fatto! Che ne sapevo che avrei veramente beccato qualcuno? Se devi sporgere denuncia a qualcuno, be', la colpa non è mia--! Insomma, è stato Gordon a dirmi di sparare, io sono un novellino, sono nuovo e--»
«Dean», è l'unica cosa che il poliziotto sente dire da quel ragazzo minuto. Tace e rimane ad osservarlo per un bel po'. Nota in quel momento i fiori tra i suoi capelli e le iridi di un blu irreale. Dean non può fare a meno di arrossire leggermente al pensiero di aver stretto quel corpo diverse ore prima, chiedendo disperatamente alla folla di chiamare un ambulanza. «Sì, è il mio nome» annuisce e si liscia la divisa, tanto per far qualcosa. 
«Senti Dean, me lo dai il tuo numero?»
   
 
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