5 luglio 1992 Inizio questo diario perché sono venuto a conoscenza di un fatto sconcertante. L’ho scoperto per caso, sfogliando un antico libro che parla di leggende. In una mattina d’inverno, nella mia biblioteca, sorseggiavo un caffè bollente e stavo seduto su una comoda poltrona quando ad un tratto, alla luce del camino, ecco che scorgo delle pagine scritte con inchiostro rosso….ma era veramente solo inchiostro? Il titolo era indecifrabile, sembrava una lingua arcana ma il resto era scritto in lingua moderna e sono riuscito a leggerlo. Alla fine del racconto, ho pianto lacrime amare, non poteva essere vero. Però, su una di quelle pagine…! Mi sono detto a malincuore, questa non è una leggenda è la crudele realtà. Perché io ho le prove, si le prove concrete che non è tutta finzione. Dopo quella scoperta ho fatto delle ricerche sui miei antenati e ho visto che potrebbe essere veramente possibile! Oh Dio perché proprio a Lei? Era la terza vero? Ma che colpa ne ha? Però…però forse un modo per evitare tutto ciò esiste! Come siamo andati avanti fino adesso di generazione in generazione! Si, si, ormai ho deciso! Io non posso e non devo dirlo a nessuno. Se mai si sapesse da Loro avverrebbe il finimondo. L’intera umanità sarebbe in grave pericolo e la razza umana potrebbe rischiare per la prima volta l’estinzione. E poi, non potrei mai permettere che Lei venga spaventata, inseguita, trovata e poi….no non posso! Adesso che è ancora una bambina, cercherò di proteggere il suo segreto, finché sarò vivo non permetterò a nessuno di farle del male a costo di rischiare la mia vita. Come se non l’avessi mai rischiata, la vita! Non ho paura di morire, la mia paura è un’altra…Paura, una semplice parola che però può descrivere in un istante il mio stato d’animo ricco di angoscia, tensione, dolore…paura si, ma non per me stesso, durante la mia vita ho rischiato di morire moltissime volte, ma paura per Lei che è così giovane e innocente! Perché doveva succedere proprio a noi? Proprio a Lei? Ahimè, ormai è troppo tardi per pensare queste cose, in effetti già alla sua nascita...era strano! Io che sono del mestiere avrei dovuto capirlo subito e invece! Questa storia me l’ero completamente dimenticata o forse, avevo voluto dimenticarla. Ma sono ancora in tempo, ora attuerò il mio piano sperando che funzioni! E forse lei non dovrà mai soffrire, già perché
La penna si fermò all’istante sull’ultima parola. L’antico oggetto ricavato da una piuma di falco, rimase immobile mentre il pennino ancora poggiato sulla pagina del diario, lasciò spargere l’inchiostro macchiando la carta ingiallita. Dei leggeri passi avanzavano indecisi, salirono le scale e si fermarono davanti alla porta dello studio. Con un cigolio sinistro dell’uscio ecco che l’apertura man mano si allargava. Ormai la porta era quasi del tutto aperta e Roland trattenne il fiato. Osservò per diversi secondi la parete sbattendo le palpebre incredulo, non c’era nessuno. Poi, un rumore gli fece abbassare lo sguardo permettendogli di osservare un ciuffo di capelli rosso carota e un paio di occhioni color nocciola lacrimanti. Tutta la tensione che aveva in corpo parve svanire come in un soffio di vento primaverile. < Richard?> esclamò Roland togliendosi gli occhiali da vista e alzandosi dalla sedia su cui era seduto da diverse ore. Il bambino si portò il pollice alla bocca e scoppiò a piangere. < Nonnino!> esclamò correndo in braccio a Roland mentre le lacrime gli rigavano il volto. L’anziano signore leggermente stupito da quel gesto rimase immobile per qualche secondo, poi sorridendo ricambiò l’abbraccio e sollevò il piccolo corpicino da terra per prenderlo in grembo. < Ma cosa fai? Piangi? E’ successo qualcosa?> chiese sempre sorridendo. < E’-E’ perché n-non ti trovavo p-più!> rispose singhiozzando. < Richard! Hai già sei anni no? Sei un ometto ormai. Lo sai che gli uomini non devono piangere?> < S-si. Però credevo che ci avessi dimenticato qui. Allora avevo chiesto a Miki di accompagnarmi a cercarti ma lei non ha voluto. Ha detto che se non eri li con noi avevi qualcosa di urgente da fare. Allora abbiamo litigato perché lei voleva avere ragione. Allora sono venuto a cercarti da solo ma…ma mi sono perso. E-e allora ho avuto paura> disse tutto d’un fiato mentre il naso gli colava. Roland allora prese un fazzoletto dalla tasca e glielo asciugò affettuosamente. < Eh, tua cugina aveva perfettamente ragione! Però non ha importanza adesso. Posso continuare anche dopo. Sono stato un po’ un incosciente a lasciarvi da soli nel giardino vero? Forza, soffia ancora qui e non piangere più! Come avrei potuto abbandonarvi? Non lo farei mai! Su ora andiamo da Miki e beviamo tutti insieme una bella limonata fresca d’accordo?> disse posandolo a terra e prendendolo per mano. < Allora, si va bene> rispose stringendo la manina in quella del nonno e abbozzando ad un sorriso. Poi si guardò stupito intorno. Era entrato in una stanza che non aveva mai visto prima. Era proprio in cima al torrione del castello. Sulla sinistra vi era una vetrata i cui vetri erano velati dal tempo e dalla polvere, da essi filtravano dall’esterno degli opachi raggi di un tramonto che stava ormai per spegnersi. I fasci luminosi si posavano sul pavimento riflettendo la sagoma della vetrata e si stendevano gentili su una antica e polverosa libreria. I libri, riposti ordinatamente sugli scaffali, erano vecchi e impolverati e il loro spessore variava a seconda dell’altezza. Gli occhi del piccolo Richard indugiarono poi sulla vecchia scrivania su cui era seduto pochi minuti prima Roland. Era di un colore scuro e sopra di essa erano posati alla rinfusa scartoffie di ogni genere, libri aperti e poi, dietro di essi, vi era un piccolo quaderno che sembrava scritto da poco. Non riuscì a vedere altro perché il nonno gli diede una leggera spinta fuori allo studio e chiuse la porta. Scesero silenziosamente la scalinata a chiocciola fino ad arrivare al piano terra. Si ritrovarono così in un soggiorno arredato all’antica. Vi era un enorme caminetto affiancato da un paio di austere poltrone scarlatte. Sotto di esse vi era un tappeto di colore rosso mentre alle pareti erano appesi dei quadri piuttosto inquietanti. Richard si nascose il viso nei pantaloni di Roland per non guardarli. Dopo pochi minuti oltrepassarono la sala da pranzo, composta da un tavolone lungo e nero, e infine uscirono nel parco privato del castello. Li l’atmosfera era tranquilla e pacata. Era la tipica giornata afosa di luglio, le cicale frinivano il loro ultimo canto mentre qualche uccello volava silenzioso nel cielo color arancio. La tranquillità era però interrotta dalle risate di una bambina seguite da pigolii impauriti. Roland e Richard ascoltarono un attimo e poi videro una bambina che correva divertita in mezzo a delle galline e si divertiva a spaventarle. Si fermò un attimo perché vide i suoi due osservatori. Alzò lo sguardo con un sorriso pestifero. Il suo vestitino rosa era sporco di terra mentre i sandali dello stesso colore erano buttati per terra, sotto ad un albero. La bambina aveva i capelli neri legati in due codini e gli occhi verdi coronati d’azzurro che squadravano Roland dal basso all’alto.