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Autore: Wkb    01/07/2013    2 recensioni
Una madre adolescente rinchiusa in una prigione, fisica e mentale
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Ninnananna
 
 
 

Le gocce di pioggia sono le lacrime degli angeli, nonna diceva così.
Mary guardava scendere la pioggerella sottile attraverso le sbarre, pareti grigie intorno a lei che si riflettevano nei suoi occhi neri.
Era in isolamento Mary, sola con se stessa e le sue ombre.
Era così dolce mia nonna… Sapeva sempre che dire e, quando ero triste, mi faceva la torta di mele. Sapeva sempre come strapparmi un sorriso, sapeva leggere nei miei silenzi le mie paure e non mi faceva mai piangere. Quanto mi manca!
Tra un pensiero e l’altro, mangiucchiava la penna torturando, nel frattempo, un angolo del quaderno sul quale scriveva. Aveva una scrittura sottile e stretta ma con le lettere ben distaccate e un po’ rigide, pendente a destra. Una scrittura inquieta, come orme di passero sulla neve.
Bella come solo le adolescenti sanno essere, aveva uno strano modo di tenere curve le spalle che la faceva sembrare vecchia di cent’anni, una Madonna secolare che si faceva carico dei dolori del mondo.
Vorrei farti sentire la voce delle fate, vorrei farle cantare solo per te.
Il collo lungo e candido piegato leggermente di lato mentre cercava il bandolo di quella matassa che erano i suoi pensieri, la gamba che dondolava nervosa e poco armonica mentre cercava di scrivere la sua vita in quel quaderno dozzinale che io stessa le avevo dato.
Nonna cantava spesso per me, cantava canzoni dolci e tristi, non ricordo le parole, ricordo solo la gran voglia di piangere che mi lasciavano dentro.
Doveva essere solo un esercizio per impegnarle la mente, per impedirle di sprofondare nell’apatia, là, sola nella sua cella, tenuta in disparte dalle altre detenute. Mary invece aveva fatto di quel quaderno il suo angolo di cielo.
Nonna mi stringeva forte quando piangevo, mi abbracciava finché le lacrime non si asciugavano, anche tu piangevi e io ti ho abbracciata stretta.
A volte cantava Mary, sussurrava nenie infantili tra le labbra accarezzandosi dolcemente il ventre incavato sotto le costole. Una bambola rotta con la mente spezzata.
Eri così piccola, non volevo farti male, ti ho abbracciata e tu hai smesso di piangere, non piangerai più dove sei ora, canterai per me dal cielo.
Mary aveva partorito in cucina, da sola, i soccorsi erano stati chiamati dai vicini allarmati dalle grida disumane provenienti dalla casa. I paramedici del pronto intervento si erano ritrovati di fronte ad una scena raccapricciante. Anna, la nonna di Mary, morta da quasi un anno e ormai mummificata sul divano, la nipote, sedici anni appena, che teneva tra le mani un ammasso informe di carne e sangue.
Le altre qui dicono che sono cattiva, mi gridano assassina, mi tirano le cose quando passo in corridoio. Dicono che ti ho uccisa ma io non volevo, lo giuro! Volevo solo abbracciarti e farti sentire il mio amore, volevo cantarti una canzone triste come quelle che mi cantava nonna e prepararti una torta di mele.
Dall’esame autoptico era risultato poi che la bambina, nata probabilmente viva, era stata sbattuta con violenza più e più volte contro una superficie dura. Probabilmente il pavimento di linoleum della modesta abitazione. Nessuno seppe mai chi fosse il padre di quella povera creatura, forse non lo sapeva neppure Mary in quella nebulosa galassia che erano i suoi pensieri, dove realtà e sogno giocavano a nascondino.
Mary, così fragile. Innocente nel peccato, piena della grazia dell’oblio misericordioso.
Mary l’orfana, cresciuta da una nonna affettuosa che non aveva voluto o saputo occuparsi del suo grave ritardo mentale.
Morì così come era nata, senza peccato, per iniezione letale in una prigione come tante.

  
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