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Autore: Miki_TR    15/01/2008    4 recensioni
"Dumbledore scattò in avanti, la bacchetta tesa, l'incantesimo chiaro nella mente. Un lampo accecante partì contemporaneamente dal suo avversario, un lampo verde, una maledizione mortale. Entrambi avevano mirato bene; ma solo uno dei due non poteva essere sconfitto da nessun uomo vivente." Due scorci della lunga vita di Albus Dumbledore. Spoiler dal settimo libro!
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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ATTENZIONE PREGO, LA SEGUENTE FANFIC CONTIENE SPOILER DAL SETTIMO LIBRO DI HARRY POTTER. CHE NON SI DICA CHE NON HO AVVERTITO PER TEMPO.

 

Noticina: (Più che altro per far scorrere in basso il testo e non far vedere nulla a chi sia entrato per sbaglio...^^)

Be', non so se vi sia arrivata la voce, ma qua c'è quasi del canon, per una volta... Mi stavo chiedendo da un po' perché questa coppia particolare (non voglio fare spoiler, ma si intuisce subito di chi stiamo parlando), che mi aveva ispirato leggendo il settimo libro, fosse scomparsa da qualche tempo dal mio sovraffollato cervello pieno di roba inutile. Temevo che fosse, appunto, perché è semi-canon, una sorta di reazione allergica per una slasher che, come me, è abituata a muoversi sempre sulla sottile linea di quanto permette il non detto.

Invece questa fic aspettava solo il suo momento. Ed ecco qua.

Buona lettura, dunque.

Miki

 

 

Un dono

 

-Di che si tratta?-

Gellert aveva scosso le spalle, come se non avesse importanza.

-Solo un piccolo regalo. Non te ne ho fatto nessuno, per il tuo compleanno.- aveva risposto, con un sorriso torto e strano.

Albus l'aveva guardato con curiosità.

-Non ci conoscevamo ancora.-

-Questo non ha importanza. Avanti, apri il sacchetto.-

Era una piccola sacca di pelle, non più grande del suo pugno. Albus aveva esitato un istante.

-E' caldo.- aveva detto, sentendosi un po' sciocco.

Gellert aveva riso. Albus si era fermato a guardarlo un secondo di più del necessario, del lecito, poi aveva delicatamente sfilato il cordone verde che chiudeva il dono, capovolgendo il sacchetto perché il contenuto gli scivolasse dolcemente nella mano. E si era fermato.

I suoi occhi si erano spalancati per la meraviglia. Un regalo, l'aveva chiamato Gellert, come se fosse una cosa di poco conto, mentre il suo valore, non solo economico, era incommensurabile. Era il dono che un principe avrebbe potuto fare ad un re, il tipo di regalo che si sarebbe aspettato di ricevere un uomo infinitamente più grande di lui. E Gellert ne parlava come se fosse un pensiero da nulla.

Per un attimo, l'unico suono nell'aria era stato il debole ticchettio irregolare che l'oggetto nella mano di Albus emetteva, dolce e leggero come il frinire di una cicala lontana. Nemmeno il vento, in quell'estate caldissima, faceva frusciare le foglie e l'erba, e i respiri dei due ragazzi erano lievi.
No, non lievi. Albus si era accorto che Gellert aveva trattenuto il fiato, come in attesa della sua reazione.

-E' troppo.- gli aveva detto, esitando a credere all'innegabile realtà che stringeva nel palmo della mano sudata.

Le dita sottili di Gellert gli avevano sfiorato piano la spalla, intrecciandosi per un istante di troppo tra i suoi capelli, finché Albus non lo aveva guardato, distogliendo gli occhi dalla meraviglia che aveva in mano.
Gellert sorrideva, illuminato dalla luce abbagliante del meriggio, e Albus aveva avvicinato appena il volto al suo, leggermente, con l'esitazione trepidante di attesa che sentiva da giorni, vicino a Gellert Grindelwald.
Lui si era allontanato di un poco, scuotendo la testa piano, ma era rimasto così vicino che i suoi capelli avevano sfiorato la guancia di Albus.

-Chissà quando potrebbe tornarti utile. Un giorno, forse, dovrai sfidare un avversario potente, e un aiuto potrebbe essere necessario e determinante. Quel giorno non sarai impreparato, almeno.- gli aveva sussurrato Gellert.

Albus era rimasto in silenzio, troppo preso a fissare il suo amico per considerare fino in fondo le sue parole. Il significato era chiaro, comunque: nei suoi progetti, che da qualche tempo stava condividendo con lui, Gellert vedeva un ruolo anche per Albus. Un ruolo determinante, perché la loro forza e la loro capacità era pari, e sempre lo sarebbe stata.
Albus desiderava essere parte di quel sogno più di qualsiasi dono, anche più dello splendido regalo che aveva appena ricevuto. Ma non più di quanto, in quel momento, voleva di nuovo che Gellert si avvicinasse, come poco prima, e...

Il giovane mago non aveva seguito quei pensieri, quel giorno. Non c'era stato bisogno di rincorrere quella fantasia che stava diventando abituale per lui, perché all'aprirsi spontaneo del suo sorriso, Gellert si era sporto verso di lui e aveva baciato la sua bocca come Albus sognava dall'inizio dell'estate.

Aveva pensato chiaramente di aver ricevuto in pochi momenti due doni così immensi che non avrebbe mai osato sognarli; poi non c'era stato altro che il caldo del sole, della bocca di Gellert e poi delle sue mani, e del piccolo oggetto di valore infinito che ancora stringeva nel pugno.

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Nessuno dei due maghi sarebbe uscito illeso da quel duello, e per più di un motivo; questo era chiaro.

L'arena improvvisata era vuota, ad eccezione di loro due, come se nessuno osasse fare da spettatore a quello scontro tra potenze invincibili, tra bene e male, tra ordine e caos, giustizia e sopruso. Tra due uomini che avevano diviso gioventù, sogni ed amore.

Albus Dumbledore poteva avere, in teoria, un leggero vantaggio sull'avversario. Era un poco più lento, ma aveva dalla sua un repertorio più vario di incantesimi, molti dei quali inventati da lui stesso. Eppure era ferito e sanguinante quanto l'altro uomo, e infinitamente più preoccupato per l'esito dello scontro.
Gellert Grindelwald sorrideva ancora, nonostante il suo braccio sinistro pendesse dal suo corpo in un angolo innaturale, e dovesse fare un male infernale, rotto com'era. L'aveva sbattuto in malo modo quando era caduto all'indietro, poco prima. Eppure l'incantesimo di Dumbledore non lo aveva colpito, non era andato a segno; invece aveva aperto una buca nel terreno, scaraventando indietro il suo avversario per l'urto.

Era il terzo colpo di fila che il mago mandava a vuoto, e anche un uomo meno certo delle proprie capacità di Dumbledore avrebbe capito che qualcosa non andava. Conoscendo Grindelwald come nessun altro, sapendo ogni cosa di quelli che erano stati, tanti anni prima, i suoi piani, era chiaro per lui quanto era accaduto.
In qualche modo la Bacchetta di Sambuco era arrivata nelle mani dell'ultimo uomo sulla terra che ne avrebbe fatto buon uso. Lo sospettava da tempo, certo. Ma solo adesso ne era sicuro.

I due maghi, lontani parecchi passi l'uno dall'altro, avevano fatto una pausa nel loro duellare incessante, e stavano entrambi tentando di riprendere fiato. Nessuno dei due si era risparmiato, nel battersi, ma nessuno dei due avrebbe ripreso a combattere senza almeno un cenno di avvertimento; Grindelwald non lo avrebbe fatto mai. Aveva troppo senso dell'onore anche solo per pensarlo.

Dunque, forse per un istante, era possibile parlare. Ma Dumbledore non aveva nulla da dire all'altro stregone, nulla da chiedere o da supplicare. Nulla che interessasse all'uomo che era diventato. E non avrebbe permesso al giovane pazzo idealista che era stato di complicare quella lotta, già quasi impossibile da sostenere, con le sue inutili domande su cose accadute una vita prima.

Grindelwald non sembrava avere lo stesso scrupolo.

-Non dirmi che hai dimenticato tutto quello che eravamo, Albus.- disse, ma la sua voce sembrava priva di rimpianto quanto di qualunque altro sentimento.

Dumbledore non rispose. Non era riuscito a dimenticare sarebbe stata l'espressione più esatta, ma non si premurò di correggere l'altro.

-Eravamo amici, non te lo ricordi?- continuò Grindelwald, e a dispetto della ferita e della tensione del momento, sembrava volesse prenderlo in giro. -E tanto altro... eravamo spiriti affini, colleghi, amanti... complici, anche.-

Dumbledore sussultò a quell'accusa neanche troppo velata, e Grindelwald sorrise, un ghigno torto e strano. Poi il suo viso tornò serio.

-Non ti parlerò di questo, se ti dà fastidio.- disse, e stranamente sembrava sincero. -Io non ho dimenticato, Albus. Non ho dimenticato nulla.-

Ancora, Dumbledore non rispose. Una piccolissima parte di lui, soffocata dall'uomo che aveva scelto di diventare, produsse nella sua mente immagini chiare e dolcemente dolorose di giorni assolati e notti insonni, di carezze e discussioni interminabili scandite da baci e risate. Lui la bandì dalla mente con tutte le sue forze.

-Potremmo ancora essere grandi. Sai che non puoi vincere, Albus, ed io non voglio doverti uccidere. Ma sai che nessun uomo al mondo può sconfiggermi, adesso.-

Dumbledore impugnò più saldamente la bacchetta, deciso a porre fine a quella tregua, se quelle erano le parole che era costretto ad ascoltare. Negli occhi di Grindelwald passò un lampo veloce di un'antica espressione, rabbiosa e delusa, e lui a sua volta cambiò la presa incurante che aveva sulla bacchetta, tornando nella posizione del duello.

-Sei l'uomo più grande che io abbia mai conosciuto, Albus.- terminò Grindelwald, indugiando appena nella sua propensione alla teatralità, che aveva tanto divertito l'altro mago, un tempo. -Ma sei sempre solo un uomo. E non ti risparmierò solo perché ti amo.-

Dumbledore scattò in avanti, la bacchetta tesa, l'incantesimo chiaro nella mente. Un lampo accecante partì contemporaneamente dal suo avversario, un lampo verde, una maledizione mortale. Entrambi avevano mirato bene; ma solo uno dei due non poteva essere sconfitto da nessun uomo vivente.

E poi, improvvisa, una fiammata divise in due l'arena del duello, come un falò luminosissimo, rosso come un'alba. Entrambi i raggi si scontrarono col fuoco, scomparvero come ramoscelli bruciati in un incendio, e quando le fiamme, qualche istante dopo, si dissiparono, senza lasciarsi dietro sbuffi di fumo, Fawkes emerse dal fuoco e emise dal becco spalancato una nota gentile, acuta, l'inizio di un canto.
Poi, velocissima, si volse verso Grindelwald che la guardava con orrore, e si lanciò in picchiata contro di lui. Per un attimo sembrò doversi scontrare con il corpo del mago, o con il suo braccio levato in un incantesimo di protezione. Ma l'uccello attraversò il torace dell'uomo, come se fosse una creatura fatta di fuoco puro, in un lampo rosso che accecò per qualche istante Dumbledore, e lo costrinse a voltare il capo.

Il secondo che seguì sembrò quasi che sullo spiazzo fosse scesa la notte, ma era solo il bagliore che scompariva. Grindelwald era a terra, gemente, e Fawkes, dietro di lui, si era appollaiata su una roccia poco distante, e taceva.
Dumbledore era stupefatto, ma non perse tempo: puntò la bacchetta verso quello che era stato il più grande mago Oscuro di tutti i tempi, e con voce chiara e sicura pronunciò un incantesimo di Disarmo.

La Bacchetta, l'oggetto conteso dai maghi per tutta la storia in guerre sanguinose, era di una semplicità disarmante; ma Dumbledore non perse tempo a rimirarla, o a pensare al significato del fatto che ora fosse in suo possesso.
Invece corse al fianco del suo avversario ormai inerme. L'aveva sconfitto, e non c'era alcuna ragione di lasciarlo morire come un cane, a quel punto.

Dal corpo riverso a terra veniva l'odore nauseabondo della carne bruciata, anche se gli abiti eleganti erano integri. Sotto la camicia, Dumbledore immaginava, c'erano bruciature orribili e incurabili, ma lo sguardo del ferito era limpido quando attraversò i suoi occhiali a mezzaluna.

-Hai vinto.- rantolò semplicemente Grindelwald, e qualcosa, dentro Albus, ricordò il modo solenne in cui Gellert, da ragazzo, ammetteva serenamente di aver perso uno dei loro duelli giocosi. Quello che aveva davanti, pensò in un attimo di lucida onestà, era un grande uomo, anche e soprattutto nella sconfitta.

-E' buffo.- rispose Albus, ed erano le prime parole che gli rivolgeva da quando aveva diciotto anni. -Ho vinto grazie al tuo dono.-

Gellert tentò di ridere, ma le sue labbra si tesero e non ne uscì che un rantolo agonico.

-Ho vinto grazie al tuo dono.- ripeté Albus, assorto. -E grazie al tuo dono ti salverò.-

Fece un cenno a Fawkes, che abbandonò il suo trespolo improvvisato e si andò a posare sul petto dell'uomo riverso a terra, facendolo sussultare di dolore. Poi, come se fosse naturale per lei, dagli occhi di quella creatura che era fuoco scivolarono due gocce d'acqua, perfette, un miracolo impensabile. La Fenice, che era nata dall'uovo donato un giorno da Gellert ad Albus, piangeva come se soffrisse per quanto di doloroso e terribile era accaduto tra i due uomini, che un tempo si erano giurati eterna amicizia, prima ancora che lei vedesse la luce.
E le sue lacrime si portavano via l'orrendo odore e la terribile espressione di atroce sofferenza, man mano che si posavano sul mago sconfitto, guarendo quella ferita letale che la stessa Fenice aveva procurato.

Grindelwald spalancò gli occhi. -Un dono per un dono. La Fenice per la mia vita.- sussurrò, debole, stanco, ferito, ma non più morente come pochi istanti prima.

Albus scosse la testa.

-Non ti avrei ucciso.- ammise, piano.

L'altro gli sorrise, mentre un poco di colore si raccoglieva sulle sue guance che erano state mortalmente bianche, poco prima. -L'espiazione invece della morte, allora. Sei sempre il solito, Albus.- disse, con voce ancora incerta.

Lui scosse le spalle, girandosi per andarsene, lasciando indietro per sempre l'uomo che aveva amato per tutta la vita.

-Forse sono sempre il solito. Ma nemmeno io ho dimenticato, Gellert.-

Con passo sicuro nonostante le ferite che aveva riportato, Albus Dumbledore abbandonò il luogo dello scontro, mentre già un gruppo di Auror, che aveva atteso poco distante, si dirigeva verso la sagoma di Gellert Grindelwald ancora riversa al suolo, con le bacchette spianate e pronte nonostante il mago fosse inerme.

Albus non si volse a guardare; aveva già dato disposizioni, e gli uomini sapevano cosa fare. Lui non aveva più bisogno di altro, perché la loro conversazione si era conclusa. Non si sarebbero visti mai più. E questo, per entrambi, era un dolore immenso e un sollievo ancora maggiore.

Fawkes trillò un canto gioioso, alle sue spalle. Gellert tese una mano e lei lasciò che gli accarezzasse il capo, dolcemente. Poi si librò in volo e si allontanò dalla piana dello scontro, seguendo il suo padrone.

 


Intanto, precisazione tecnica: Albus Dumbledore è, chiaramente, Albus Silente della versione italiana; Fawkes è Fanny, la Fenice di Silente. Ho voluto lasciare i nomi originali perché in questo caso li trovo più evocativi, e anche perché, onestamente, avendo letto il libro da cui ho tratto l'idea solo in inglese, per il momento, non riesco a immaginarne i personaggi con i nomi tradotti. ^^

Quanto alla fic, l'avevo detto che prima o poi ne avrei scritta una con questa coppia...
Be', eccola. Nata una notte di insonnia dovuta all'aver preso, a mezzanotte, un caffè, dimenticandomi di farlo decaffeinato.
E non ho idea da dove mi sia venuta. Solo che ci sono due momenti che si intuiscono nella relazione tra Albus Dumbledore e Gellert Grindelwald  che stuzzicano il mio interesse: uno è lo scontro, e questa è la mia versione.

Per l'altro... ad una prossima storia. ^^

Ciao a tutti.

Miki

 

  
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