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Autore: Airborne    02/07/2013    1 recensioni
Settembre 1978. Claire Rashbaum, quattordici anni, è innamorata del sedicenne John Bongiovi, il cosiddetto “Casanova del New Jersey”, ed è decisa a farsi notare imparando a suonare le tastiere con l'aiuto del fratello David. Peccato che David sia assolutamente contrario all'idea che sua sorella esca con l'amico, e per impedirlo entra nella sua band in veste di tastierista. Se poi si mette in mezzo anche Dave Sabo, peggior nemico di Claire e braccio destro di John, come andrà avanti la faccenda?
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, nè offenderle in alcun modo.
[INTERROTTA]
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo 8

Amicizia

Is there anybody out there looking for a party?

 

 

 

«Tu sei pazza».

Dietro di me Sarah sorrideva compiaciuta, contemplando il mostro che aveva appena creato.

Era stato il peggior sabato della mia vita. Sarah mi aveva buttata giù dal letto alle nove di mattina, come se la sera prima non mi fossi allenata fino alle dieci e mezza, mi aveva spinta a forza nella doccia, aveva recuperato qualche banconota dal mio salvadanaio, naturalmente senza chiedere il permesso, e mi aveva perfino asciugato personalmente i capelli, il tutto senza rivelarmi il motivo di una così grande agitazione. Poi mi aveva trascinata fuori di casa.

Seduta nella sala d'attesa dell'estetista, mi ero domandata per una buona mezz'ora perchè Sarah avesse inscenato quel teatrino per farsi accompagnare lì. Solo quando l'estetista aveva annunciato «Rashbaum» avevo cominciato a sospettare qualcosa, e i miei sospetti erano stati confermati quando mi aveva detto «Bene, gambe e ascelle. Togliti pure i jeans». Uscita da quella stanza delle torture, la prima cosa che avevo fatto era stata dire quattro parolacce alla mia (si fa per dire) migliore amica, che in risposta aveva sfoggiato il suo sorriso più raggiante.

Era seguito un giro al centro commerciale per scegliere i trucchi, lo smalto, la borsa, le scarpe e gli accessori, visto che il giorno prima avevamo comprato solo i vestiti. Così, in due o tre ore se ne era andata la metà dei miei risparmi, e con essa la possibilità di comprare un paio di guantoni nuovi.

«Stai benissimo!» esclamò entusiasta.

Le lanciai un'occhiataccia attraverso lo specchio. «Io ti odio».

«Dai, su, che alla fine di questa serata mi ringrazierai».

«Spera che non ti uccida, piuttosto».

La Claire che avevo davanti a me non ero io. Claire Rashbaum non si copriva la faccia con mezzo chilo di fondotinta e non impiastricciava gli occhi con matita, mascara, ombretto e altre venti diavolerie uscite dalla scatola che Sarah aveva scelto con sicurezza in profumeria. Claire Rashbaum non aveva le unghie nascoste sotto un fastidiosissimo smalto color cacca, o qualunque fosse il nome di quella tonalità di marrone. Claire Rashbaum non portava scarpe con i tacchi, né quintali di bracciali. Ma soprattutto, Claire Rashbaum non indossava mai, mai e poi mai vestiti con una gonna così corta e di un colore così strano, per non parlare dei tacchi esagerati con i quali facevo fatica a non rendermi ridicola.

«Sei uno schianto. Farai voltare le teste di tutti i ragazzi» cantilenò Sarah deliziata.

«Ma è proprio questo quello che mi preoccupa!»

«Non ti preoccupare, quando sarai lì ti dimenticherai di non avere addosso una delle tue amate felpone».

«E invece sai che faccio? Me ne metto una, ecco che faccio...»

Sarah si piazzò davanti ai vestiti che avevo indossato fino a poco prima. «Scordatelo. Non puoi andare allo Shock Club con la felpa, ti riderebbero dietro».

«Sempre meglio che essere stuprata!»

«Esagerata! Non dire sciocchezze. E poi sarai felicissima di essere vestita così se al concerto ci fosse anche John...» ghignò maliziosa.

Ero quasi senza parole. «Cosa ti è successo?! Non eri tu quella che mi doveva impedire di frequentare John?»

«Veramente quello era tuo fratello» precisò lei, inclinando la testa per infilare meglio un enorme orecchino pendente.

«Ah, ecco, mi pareva». Opportunista che non era altro.

Mi infilò a forza la borsetta (che aveva scelto lei) in mano e mi spinse fuori dalla camera da letto. In salotto c'era già Al che ci aspettava con le chiavi della macchina in mano.

«Era ora!» si lamentò sorridendo. «Li avete cuciti adesso quei vestiti?»

«Come stiamo?» chiese Sarah facendo un giro su se stessa con gli occhi che luccicavano.

Al mi guardò esterrefatto ed incantato. La cosa non mi piacque per niente.

«Lo so, lo so, è bellissima» cinguettò Sarah. Le avrei volentieri assestato un gancio destro; almeno sarebbe servito a rilassarmi e togliere quel fastidiosissimo rossore dalle guance. «Quando avrai finito di mangiartela con gli occhi» continuò, «ti sarei grata se facessi capire anche a me quanto bene sto con questo favoloso vestito».

Anche Al arrossì e si affrettò a spiattellare: «Sei fantastica, Sarah».

La mia (si fa per dire) migliore amica fece la prima buona azione della giornata, evitando che calasse un silenzio imbarazzante dicendo: «Bè, andiamo?»

Mano a mano che ci avvicinavamo a Woodbridge avevo sempre meno voglia di entrare allo Shock, anche se Al continuava a decantare le qualità della band di cui aveva parlato Sarah (che, per la cronaca, si chiamava Shark Frenzy e non Whale Freshy). Speravo che la mezzanotte arrivasse presto, ma in ogni caso non vedevo come avrei fatto a resistere per tre ore in quel postaccio. Per di più avevo un brutto presentimento.

«Al?» chiamai.

«Sì?»

«Ci chiamerai tu a mezzanotte?»

«A mezzanotte? Perchè?»

«Dobbiamo tornare a casa, a mezzanotte» spiegai, cercando di mantenere la calma.

«Mezzanotte? Tu vorresti tornare a mezzanotte? Diamine, nemmeno quando avevo dodici anni tornavo a mezzanotte!» si vantò lui.

«Sarah?» dissi io, inarcando un sopracciglio.

«Sì?» rispose lei.

L'avrei diseredata, giuro.

Non sprecai fiato per ribattere e urlarle addosso.

Se non mi avesse tenuto il muso da più o meno due secoli avrei potuto raggiungere David al cinema, ma, vista la situazione, non l'avrei fatto nemmeno se mi avessero pagata. Quindi mi restava una sola cosa da fare. Rassegnarmi.

Non ci impiegammo molto ad arrivare a Woodbridge. Mancava mezz'oretta all'apertura, ma trovammo un parcheggio solo per grazia divina. Impallidii quando vidi quanta gente era accalcata davanti all'ingresso.

Una massa enorme di adolescenti, quasi tutti con una sigaretta in mano, parlavano ad alta voce con gli amici, ridevano e si chiamavano da una parte all'altra del parcheggio. Erano quasi tutti rockettari capelloni. Tutti urlavano per farsi sentire sopra il casino, e le frasi più pronunciate erano “Hai una sigaretta?” e “Passami quella birra”.

«Cominciamo bene» dissi a Sarah.

«Decisamente!» esclamò lei, al settimo cielo. Mi voltai per vedere cosa stava facendo: aveva una Heineken in mano.

«Ehi, ehi, basta!» intervenne Al. «Non avrai mica intenzione di ubriacarti? Che poi tua mamma mi uccide».

«Mamma mia, è solo una birra!»

«Sarah, non costringermi a farti da baby sitter». Mi ricordò molto mio fratello.

Lei sbuffò, ma gli lasciò la bottiglia.

«Quando saremo dentro vedi di controllarti, per favore» le dissi.

«Ma sì, era solo per provare. Credi davvero che sarei capace di ubriacarmi?»

In verità la risposta era “sì”, ma mi trattenni.

Continuava ad arrivare gente, i buttafuori davanti all'ingresso lanciavano occhiate burbere e non c'erano segni di un'apertura imminente. Mi misi a scrutare la folla, per quanto possibile, per vedere se conoscevo qualcuno. C'erano un po' di ragazzi della mia scuola, quel cretino del bassista degli Expressway con la sua orrenda ragazza e addirittura la mia eterna nemica sul ring, quella befana cicciona.

«Hai individuato John con la sua ragazza?» mi chiese Sarah, vedendo le occhiate piene d'odio che le lanciavo.

«No» risposi, cercando di non sembrare troppo delusa.

«Magari arriverà più tardi».

«Ragazze, sono arrivati dei tizi che conosco. Vi lascio».

«Chi sono? Chi sono?» saltò su Sarah, allungando il collo.

«George Nett e Douglas Aller. Nessuno che voi conosciate».

Io e Sarah ci scambiammo un'occhiata di puro terrore. George Nett e Douglas Aller erano i migliori amici di David, e a quell'ora avrebbero dovuto essere al cinema con lui.

«Bè, io vado. Sarah, mi raccomando».

«David è al cinema, vero?»

«Sì» dissi io a mezza voce, sperando che fosse vero.

Se David mi avesse vista allo Shock sarebbe successo un disastro. Sarebbe andato a spiattellare tutto a mia mamma, le avrebbe spiegato che posto era veramente quel locale, visto che era arrabbiato con me avrebbe tirato in mezzo anche John, e io mi sarei sognata il mondo esterno almeno fino al mio sedicesimo compleanno.

Sarah aveva capito tutto quello che stava dietro a quel “sì” poco convinto. «Che vuoi fare?» mi chiese nell'istante in cui i buttafuori cominciavano a far entrare la gente.

Non so quale dannatissimo motivo mi spinse a rispondere «Entriamo», dopo aver passato un pomeriggio intero a considerare tutte le ragioni per le quali non avrei dovuto assolutamente entrare e dopo aver scoperto che da un momento all'altro poteva spuntare fuori mio fratello, ma sta di fatto che lo feci. Sarah mi guardò nascondendo lo stupore, ma ovviamente non cercò di riportarmi sulla via della ragione, con tutta la voglia di fare casino che aveva. Mentre la parte razionale del mio cervello pregava tutti i santi del calendario che i buttafuori si accorgessero che non avevamo sedici anni, mi resi conto che Sarah mi aveva dato la possibilità di tornare a casa, ed era un bel po' di tempo che non si mostrava disposta a sacrificare una cosa importante come la serata che progettava da una settimana. “E io”, pensai quando i buttafuori ci fecero passare senza problemi, “ho buttato via questa possibilità come una cretina”. Pazienza, ormai il danno era fatto. E poi, l'atteggiamento di Sarah mi aveva risollevato il morale.

Senza lasciare margine di protesta a Sarah, che voleva a tutti i costi accaparrarsi un posto in prima fila, mi gettai verso un tavolino vuoto, posai la borsa sulla sedia che rimaneva e osservai il locale.

Lo Shock consisteva in una sala rotonda, che io mi ero aspettata, sperando nell'impossibile, molto più piccola. Da un lato, il bancone del bar, dietro cui erano impilati liquori di cui non immaginavo nemmeno l'esistenza, era nascosto da una massa di giovani che spingevano, strattonavano, sgusciavano e pressavano per ottenere chissà quale cocktail. Molti tavolini erano disseminati per la sala, mentre sul fondo un palco dominava un ampio spazio, vuoto ancora per poco.

Mentre Sarah si deliziava gli occhi guardando i rockettari maschi avvolti da quella luce soffusa, io mi diedi alla caccia di David. Quando Al, George e Douglas entrarono, di mio fratello non c'era l'ombra. Meglio così, ovviamente, ma...Dove cavolo era? Non era mai successo che uscisse senza di loro.

«Credo che andrò a prendermi una birra» annunciò Sarah, alzandosi. «Laggiù c'è un tipo molto carino...»

«Vedi di non ubriacarti. E stai attenta al portafoglio».

«Sì, mamma» brontolò, senza darmi veramente retta.

Sperai che non ci mettesse troppo.

Cercai di tranquillizzarmi. Se David non era entrato con George e Douglas, probabilmente non sarebbe entrato per niente. Dopotutto, erano affari miei cosa faceva e dove andava, dal momento che avevamo litigato proprio perchè lui voleva sapere cosa facevo e dove andavo io?

Se fosse arrivato avrei escogitato qualcosa al momento. Anche perchè avevo problemi più urgenti a cui pensare. Sabo, per esempio, che aveva appena fatto il suo ingresso trionfale e stava puntando dritto verso di me.

Gli lanciai un'occhiataccia ancor prima che aprisse bocca. Cosa che, naturalmente, non lo fermò.

«Sei venuta ad elemosinare un corso di tastiera dai grandi, Rashbaum?»

«Visto che sei così bravo, perchè non sei dietro le quinte a prepararti?»

«E chi ti dice che non lo abbia mai fatto?»

«In ogni caso, non ho bisogno di elemosinare alcun corso, io...»

«Ah sì? Non mi risulta che quello sfigato di tuo fratello abbia ricominciato a darti lezioni...»

Avrei potuto mantenere la calma ancora a lungo, se Sabo non avesse detto “sfigato”. Scattai in piedi, incapace di stare seduta a farmi prendere per i fondelli da un idiota. «Smettila subito!»

«Altrimenti cosa fai, eh? Mi lanci addosso quella tua borsetta?»

«N...»

«Ehi, aspetta un attimo!» mi interruppe, squadrandomi in un modo che non prometteva niente di buono. Per lui, s'intende. «Hai una borsetta? Claire Rashbaum ha una borsetta? E guarda un po', ti sei anche truccata e vestita da donna!» Avrebbe dovuto ringraziare il cielo che nessuno ci stesse guardando, perchè altrimenti lo avrei spedito all'ospedale. «A cosa dobbiamo questo cambiamento?» Ghignava, ghignava come sempre. Valutai seriamente la possibilità di togliermi la soddisfazione una volta per tutte e fargli chiudere quegli occhietti meschini con un paio di colpi. Per sua fortuna arrivò Sarah.

«Ciao Dave!» cinguettò.

«Adesso si spiega tutto!» esclamò Sabo. «Sei stata tu a trasformarla in una femmina!»

Sarah non aveva capito niente. «Lo so, non è bellissima?» commentò, guardandomi con gli occhi che luccicavano dalla contentezza.

«Oddio, da qui a dire una cosa del genere...» Ok, Claire, mantieni la calma. È solo Sabo. È solo un insetto ripugnante che ti vuole irritare. Ma tu non gli darai questa soddisfazione, vero?

«No, no, stasera è bellissima. Stasera è pronta per fare colp...Ahia!» Le avevo rifilato un pestone. Ma era pazza o cosa?

«Stasera sono pronta per tirarti quattro sberle, Sabo, se non te ne vai subito!»

«Minacciamo, anche? Guarda che tutta questa mascolinità non si addice a quel tuo vestitino...»

«Nemmeno la spavalderia si addice a un insetto infestante come te, se è per questo».

«Da che pulpito!» ribattè. «Guarda cosa mi devo sentir dire da un gorilla con un tutù...» Il rumore dello schiaffo sembrò risuonare in tutto il locale. La faccia di Sabo ruotò per il colpo.

Pensandoci ora, mi dispiace non averlo guardato negli occhi, perchè la sua espressione doveva essere uno spettacolo, ma ero troppo occupata a guardare Sarah con la bocca spalancatan per lo stupore.

«Non ti permettere mai più!» strillò, la rabbia dipinta sul volto e il braccio ancora teso dopo il colpo che aveva appena sferrato. «Non ti permettere mai più di parlare così alla mia migliore amica, capito?»

Sabo la guardò, stupito e preoccupato. Apriva e chiudeva la bocca, incapace di articolare mezza sillaba. Qualche metro più in là, i suoi amici, un manipolo di energumeni con le rispettive ragazze al seguito, erano piegati in due dalle risate. Non sapendo cos'altro fare, e dovendo in qualche modo ripristinare la sua aria di superiorità, si defilò dalla nostra vista per andare a tappargli la bocca.

«Sarah...Tu...Sei stata incredibile!»

«Oh, non è niente!» rispose lei con finta modestia, pavoneggiandosi compiaciuta. «Bisogna chiudere la bocca in qualche modo, ai ragazzi così. E possibilmente fargli male». Eccola lì, con la sua lezioncina di moralità e solidarietà femminile. «Il tipo carino al bancone è fidanzato» mi informò per rompere l'atmosfera che si era creata. «Andiamo vicino al palco, allora?»

«Tutto quello che vuoi» risposi estasiata.

L'espressione di Sabo si volatilizzò dalla mia testa prima di quanto avrei voluto. Dopo una decina di minuti da quando Sarah mi aveva trascinato in prima fila in mezzo a gente esagitata e già mezza ubriaca, dai quali Sabo si era astenuto, salì sul palco un ragazzo che presentò il primo gruppo.

Già da come si presentarono capii che erano ad un livello superiore rispetto agli Expressway. Avevano circa vent'anni, erano carichi e sicuri di se stessi quanto lo possono essere tre musicisti tra l'adolescenza e l'età adulta. Appena il batterista schiantò la bacchetta contro il piatto, tutto il pubblico esplose. Sarah, c'era da aspettarselo, saltava come una pazza e strillava al cantante che era un figo pazzesco. Io decisi di mandare all'aria le mie preoccupazioni. Mi dimenticai di David, di Sabo, di John e di tutto il resto, e dopo due minuti ero lì, a un concerto rock, sotto al palco, e mi scatenavo con la mia migliore amica.

 

 

 

 

Buondì!!

Prima di tutto ho un messaggio importantissimo per chi deve ancora fare la quinta superiore: non fate come me. Studiate anche quando non avete voglia. Perchè non avrete mai voglia di fare niente, e ogni pomeriggio che passerete lontano dai libri non farà altro che farvela passare ancora di più. Ma non prendetevi all'ultimo come ho fatto io. E preparatevi ad un anno di inferno.

Detto ciò, che era un po' una giustificazione per i miei mesi e mesi e mesi di assenza da EFP (spero che non vi siate dimenticati la storia!!), posso parlare di questo capitolo.

Che dire, mi ha proprio soddisfatta. Ci ho messo tantissimo a scriverlo, ma è stato divertente :) Non so se sono più soddisfatta io o Claire! E la “cosiddetta migliore amica” si è rivelata sul serio la migliore amica...La nostra Claire non aveva motivo di dubitare. Io lo dico sempre, mai dubitare dei migliori amici!!

Anche se non possono venire con te a vedere il concerto dei Bon Jovi per il tuo diciannovesimo compleanno. Che rabbia >.<

Ci sentiamo al prossimo capitolo!! 

  
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