Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: Hunter of Demons    03/07/2013    0 recensioni
I classificato del contest di maggio/giugno 2013
Autore: Shorya
La storia di Royo, da quando era un bambino fino al suo arrivo a Venor. Molte persone più o meno importanti hanno influenzato la sua vita, ma tutte indistintamente lo hanno plasmato.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autore: Shorya
Personaggi: Royo
Testo originale

Come sarebbe andata se non avesse incontrato le persone che ha incontrato? La sua vita sarebbe stata diversa? Domanda tanto scontata quanto impossibile da rispondere. Sicuramente la vita di Royo avrebbe preso una piega diversa, ma quanto avrebbe piegato e in che direzione è impossibile da definire, come è vero che vi sono innumerevoli futuri possibili e che la nostra vita è il risultato delle nostre scelte e della nostra interazione con l’ambiente circostante.

Quali persone hanno influenzato la sua vita? Ecco, questa è una domanda più fattibile. Di Royo si può dire che, sebbene abbia avuto sempre un carattere timido e introverso, molti eventi e momenti e persone lo hanno influenzato e l’hanno portato ad essere quello che è: introverso, cinico, a volte freddo, un… tossico dipendente possiamo definirlo. Ma prima di essere tutto questo era un essere umano.
Royo era nato da una famiglia di ceto medio, piccolo borghese: padre e madre erano mercanti occasionali, facevano questo lavoro saltuariamente quando arrivavano agli sgoccioli con viveri e quant’altro, mentre lui e la sorella minore pensavano solo a divertirsi e giocare da bambini quali erano. La vita in quell’epoca era quello che era, però quella famiglia non si lamentava giacchè riusciva comunque bene o male a tirare avanti. Per questo Royo era cresciuto nella convinzione che tutto sommato l’epoca in cui vivevano non era poi così male: certo, sapeva dei demoni e vedeva che gli stessi uomini potevano trasformarsi in mostri nell’animo, però il calore della sua famiglia lo aveva sempre protetto dalla crudeltà del mondo, gli stessi luoghi in cui andavano per commerciare a conti fatti non erano cattivi posti.
Poi… quella notte tutto cambiò. Era successo tutto in fretta, troppo in fretta per poter reagire. Quel giorno stesso erano arrivati in quella nuova città, gli affari erano andati meglio del solito e la famiglia intera si era attardata a chiudere i battenti, Royo certo non li biasimava, anzi… La tragedia però si consumò poco dopo la loro chiusura: era tarda sera, praticamente notte, quando camminando per le vie della città la famiglia udì una richiesta di soccorso, un uomo era stato attaccato da un demone in un vicolo cieco secondario. Royo e famiglia accorsero, per la loro bontà d’animo anche in quei tempi oscuri, per salvarlo, ma come ci si doveva aspettare il demone massacrò e sbudellò i genitori mentre i figli furono costretti ad assistervi. Presi dal panico tentarono una fuga disperata ma prima che potessero muovere anche due passi l’uomo che era stato attaccato pensò bene di gettarli letteralmente in pasto al demone per poter guadagnare un po’ di tempo per scappare. Il demone non si fece pregare, ma fortuna (o sfortuna) volle che la sua artigliata colpisse in pieno la sorella mentre Royo subì solo il contraccolpo, che però lo fece quasi svenire. Da quel momento accaddero una serie di circostanze fortuite che gli permisero di sopravvivere: la forza d’urto del colpo lo fece accartocciare contro una parete inzaccherandolo di escrementi lì accanto, il corpo della sorella venne tranciato in due dall’artigliata del demone il cui sangue e budella lo imbrattarono completamente, e pochi minuti dopo iniziò a piovere. Tutti questi fattori permisero a Royo di mascherarsi alla vista e all’olfatto del demone, che prese poi con calma a nutrirsi della sua famiglia. Il tutto durò poco vista la voracità del demone, e in meno di mezz’ora egli si ritrovò solo in quel vicolo, che solo dopo scoprì essere una sorta di toletta della città. Era davvero riuscito a eludere i sensi della creatura, oppure questa lo aveva semplicemente risparmiato per sazietà? Tutt’ora oggi Royo se lo chiede, fatto sta che in quel momento era solo, sporco di fango, sangue e chissà cos’altro su tutto il corpo volto compreso. Ma non era importante, niente più era importante alla vista della sua famiglia letteralmente distrutta che si andava mischiando con la terra.
Con lentezza si avvicinò ai tre cadaveri strisciando per terra, la quale a causa della pioggia sempre più fitta sembrava essere diventata di gomma, molliccia, quasi famelica di inghiottire tutto (magari lo avesse fatto). Arrivato loro accanto, prese lentamente a scuoterli, quasi non volesse far loro male, sussurrava i loro nomi, quasi non volesse disturbarli.
Mamma... Papà... Sorellina...
Ma quelli non rispondevano, restavano muti davanti al dolore sempre più crescente di Royo, che si andava insinuando nel suo cuore, scavando un solco sempre più profondo e oscuro. Si sentiva le mani sporche, la sua famiglia ora era un ammasso di roba molliccia al tatto, solo qualche osso che si era salvato convinceva Royo sul fatto che era proprio la sua famiglia quella… cosa informe. Lacrime che bruciavano come lava solcavano il suo giovane viso scaraventato nel mondo reale, quello violento e ingiusto.
Solo dopo un po’ si accorse che stava gridando, stava piangendo come chiunque avrebbe fatto; ma faceva male… tanto male. Perché faceva così male? Perché doveva soffrire così tanto? Era già stremato, infreddolito, ferito dopo l’attacco del demone, affamato, e distrutto nell’anima. Ma poteva dire di avere ancora un’anima? Non seppe dire quanto tempo rimase lì a disperarsi, ad aggrapparsi alla folle e vana speranza che fosse un sogno, che magari scuotendoli ancora un istante si sarebbero svegliati e sarebbe tornato tutto come era prima. Questo pensiero soprattutto lo spingeva a non fermarsi dallo scuotere i loro resti, ogni volta che stava per fermarsi pensava che se si fosse fermato in quel momento forse avrebbe perso la sua unica opportunità per far tornare tutto a posto.
E così ci rimase per tutta la notte. Fradicio, sporco, ferito, affamato, infreddolito e distrutto. Quando si accorse che il solo stava spuntando capì solo che più esso si alzava e più sadicamente gli mostrava i dettagli di quel che era successo, al contrario della notte che mossa a pietà gli aveva oscurato le parti più cruente. Royo non voleva guardare, non riusciva a farlo, non poteva. Più la luce si diffondeva e più il suo orrore cresceva; fu questo a spingerlo ad alzarsi e trascinandosi a terra a farlo uscire da quel vicolo infernale. Aveva paura, era terrorizzato e soprattutto traumatizzato a vita… Ma era vivo, tutto quel dolore provava che fosse ancora vivo. Ed era in un certo senso rinato, rinato nel vero mondo… quello infernale e crudele.

Giorno 1
Che è successo? Non riconosco questa città, anche se ci sono stato pure ieri. È tutto diverso, tutto il mondo è cambiato. Che è successo? Ah… quando sono uscito da quel posto, l’inferno, così è il vicolo, ho notato poco distante il corpo dell’uomo di ieri sera. Era morto anche lui, sbranato dallo stesso demone. Morto anche lui, quindi che senso aveva l’uccisione della mia famiglia se tanto anche quello era morto? Perché erano morti tutti? …Perché non sono morto anch’io?
Gli ho preso tutto quello che aveva, un poco di soldi e ancora di meno di cibo. Non so dove andare. I vestiti sono sporchi, mi sento sporco dentro, l’odore di sangue non accenna ad andarsene, come anche i miei ricordi. Ho mangiato subito la mezza pagnotta di pane che avevo, e ora non ho più cibo, né acqua. Tutto ciò che la mia famiglia aveva il demone l’aveva distrutto, probabilmente senza neanche sapere o rendersi conto. Tutte le merci, i loro averi… tutto era andato perduto. In una notte ho perso tutta la mia vita.
Mi sento come se fossi cresciuto tutto di un colpo: ieri pensavo a giocare, pensavo a essere coccolato dalla mia famiglia, a svegliarmi la mattina per andare a vendere le merci e poi tornare a casa, la mia giornata era tutta qui, non avevo preoccupazioni né pensieri. Ora so che erano i miei genitori a farsi questo carico… ma tutto sommato finchè eravamo uniti non era poi così male. E adesso? Tutto a un tratto sono costretto a pensare da me come coprirmi la notte, dove trovare un posto per dormire, come sopravvivere. Ho paura, paura del futuro incerto, non so cosa fare e questo mi spaventa forse più di restare da solo.
Sono rimasto tutto il giorno in un angolo di una piazza della città. C’era tanta gente, almeno così non mi sentivo completamente solo. Ma mi sentivo altresì fuori dalla società, solo un paio di loro si avvicinarono a me sporco e tremante, ma se ne andarono in fretta, la loro era solo curiosità e niente di più. Il sole illuminava tutta la piazza… Odio la luce e il sole, li odio perché mi hanno fatto vedere meglio il mio orrore. Mi piace la notte, il buio maschera l’orrore e le cose spregevoli. Ho fame, ho sonno ma non riesco a dormire perché appena chiudo gli occhi rivedo quella scena; ho freddo ma non ho niente con cui coprirmi, sono sporco ma non posso lavarmi.
… Che schifo questo mondo.

Giorno 5
È il quinto giorno della mia rinascita, o forse la mia discesa all’inferno. Sono rimasto sempre rannicchiato in un angolo di quella maledetta piazza. Odio anche quella, ma i miei muscoli non si muovono, come fossero paralizzati; ma in fondo, perché muoversi? Anche se riuscissi a farlo, dove andrei, cosa farei? Sono stati questi pensieri a tenermi incollato a terra, il non avere uno scopo mi stava lentamente consumando dentro, sia il corpo che l’anima. Ma che dovevo fare? Io, un bambino di 9 anni, cosa potevo fare da solo in quel mondo spietato? In quei giorni avevo visto gente che andava e veniva, poi la notte calava e con essa il freddo. Presi il mal di gola il secondo giorno, e man mano che il tempo passava mi sentivo sempre più debole. La mattina del quinto giorno mi ha trovato che stavo peggio di ieri, probabilmente ho preso anche la febbre. Dovevo assolutamente mangiare qualcosa, questo istinto prevalse sui miei muscoli quasi atrofizzati; ci volle una mezz’ora intera, ma alla fine sono riuscito ad alzarmi. E ho puntato subito lo sguardo su un mercante, che fin dal mio primo giorno si sistemava sul lato opposto della piazza, e ogni volta mi gettava qualche sguardo forse sospettoso. A fatica comincio a muovermi verso di lui, facendomi largo tra la folla; le ginocchia stridono e mi fanno male, ma la fame stava superando tutti quei dolori. Alla fine riesco a portarmi davanti alla sua bancarella.
Che vuoi moccioso? Sparisci, non ho nulla da darti, e mi fai perdere clienti>>, mi dice il mercante contrariato, mettendosi fra me e la merce.
Vi… vi prego… signore, p-potete darmi q-qualcosa da… mangiare? P-posso pagare con… questi, gli rispondo io tirando fuori da una tasca i pochi soldi che avevo. La gola era tremendamente secca, non bevevo da giorni e mi sentivo arido dentro.
Ecco qui, due fette di pane e mezzo bicchiere d’acqua. Se mi muori qui mi farò una pessima reputazione con i miei clienti. E ora sparisci o dovrò prenderti a calci, ratto!
Appena il mercante mi ha dato da mangiare, in un attimo ho divorato le due fette e bevuto l’acqua. Poi ho ringraziato mille volte il mercante, e quando egli si è voltato per servire un altro cliente, rapidamente ho afferrato mezza pagnotta dal bancone, mi sono voltato e ho cominciato a correre, correre in mezzo alla folla senza una meta, solo con l’intenzione di trovare un posto sicuro e farmi una bella scorpacciata di pane. Fortuna che il mercante non mi ha visto…
Ricordo poi e girovagando tra viuzze secondarie mi sono ritrovato in un piccolo spiazzo con al centro una fossa piena d’acqua. Per un momento mi si sono illuminati gli occhi, come mai tanta acqua non era controllata da nessuno? Inconsciamente mi ci sono fiondato, ma poi ho capito la verità: c’erano alcuni corpi immersi nell’acqua, e questo mi ha fatto ricordare le parole di mio padre riguardo le pozze di acqua radioattiva. Erano letali, e infatti molta gente aveva trovato la morte in quella che ora avevo davanti, ecco spiegato il motivo per cui nessuno se l’era portata via. Sono caduto inginocchio, lacrime di rabbia e frustrazione mi stavano solcando il volto, ora che avevo trovato l’acqua no potevo dissetarmi perché mi avrebbe ucciso. Ho battuto i pugni a terra, frustrato e arrabbiato, mi rendo conto che questo poteva fare la differenza tra la vita e la morte.
Però… mi viene in mente un’idea. Folle certamente, ma era l’unico modo. Decido che se non potevo dissetarmi, potevo invece lavare via lo sporco dal mio corpo. Naturalmente comprendo il rischio di infettarmi comunque, ma chissà quando avrei avuto altre occasioni per farlo, e dovevo assolutamente togliermi di dosso quell’odore nauseabondo e quelle chiazze di sangue e chissà cos’altro. Non ci penso troppo, mi metto a mangiare famelico il pane poiché non mi fido a lasciarlo incustodito, per poi entrare lentamente nella fossa con tutti i vestiti. Non ho mai saputo quanto era profonda, ma i corpi sul fondo mi permettevano di rimanere con la testa fuori dall’acqua; erano molli, e non ho mai osato guardare in basso per evitare di scorgere quello che avevo sotto i piedi, mi bastava e avanzava l’immaginazione. L’acqua era torbida, schifosa per essere precisi e all’inizio mi fece proprio senso entrarci a contatto, ma alla fin fine era sempre meglio che rimanere così com’ero. Sono rimasto in ammollo quanto bastava per pulirmi, la parte più difficile fu immergersi completamente, testa compresa: ho dovuto trattenere i conati di vomito ed evitare di immergermi accanto ai corpi galleggianti visto che non avevo alcuna intenzione di osservare quelle facce morte… Di morti ne avevo fin troppi nella mia testa.
Una volta finito di lavarmi, per così dire, mi metto in un angolo del piccolo spiazzo a prendere il sole per asciugarmi. Non c’è nessuno in giro, così posso rilassarmi un attimo. Devo ricredermi sul sole, a volte può essere utile, come in questo caso… però altre volte può essere letale quanto una lama, o delle zanne. Dopo circa mezz’ora me ne vado da lì essendo asciutto, e comincio a esplorare la città che solo ora so essere Tomt, la città del commercio; una scelta logica dei miei genitori per guadagnare di più… o forse uno scherzo del destino rivolto a me? In ogni caso non ha più importanza, ora voglio solo ritrovare quel demone… e fargliela pagare. Un comportamento razionalmente idiota, ma dopo la disperazione e la paura, la vendetta era l’unica ragione che mi manteneva in vita, che gli dava un senso.

Giorno 7
Sono stato due giorni a cercare quel demone, ma non vi è nessuna traccia. Ho cercato in ogni angolo oscuro… e alla fine sono ritornato nel vicolo dove tutto ebbe inizio. L’ho trovato pulito come se nulla fosse successo, nessuna traccia, nessun indizio che testimoniasse quel che era avvenuto una settimana prima. Come era potuto accadere? Chi lo aveva fatto? Nel vedere il vicolo così ordinato mi viene in mente che forse tutto quello non era successo, ma poi vedendo come erano ridotti i miei vestiti e la fame che mi dilaniava sono tornato in me dal mondo dei sogni: però… senza prove non si poteva testimoniare che fosse davvero successo, e se questo fatto era stato nascosto voleva dire che anche io in pratica non esistevo. La storia della mia famiglia era stata semplicemente cancellata mentre il vicolo veniva pulito, e io ora semplicemente per il mondo non esistevo, non avevo motivo di esistere, non avevo un passato. Questo fatto mi ha sconvolto non poco, sentivo il peso del mondo che mi stava schiacciando, avvertivo in me il desiderio di qualsiasi cosa spegnersi, tanto che senso aveva continuare a sopravvivere con i morsi della fame? Per cosa stavo lottando aggrappandomi alla vita? Vita che mi stava dando cosa?
Riprendo a camminare, ora non mi interessa neanche più ritrovare quel demone, tanto a che servirebbe? Ammesso che riuscissi nell’impresa, no ho neanche un’arma con me, e quindi mi farei solo ammazzare. Già… un’arma… magari ce l’avessi. Continuo a camminare lasciandomi trasportare ogni tanto dalla folla, per poi prendere vie secondarie meno battute; in una di queste mi sono imbattuto in una situazione nuova e familiare insieme, c’erano quattro uomini, uno era a terra piagnucolante, due lo stavano picchiando e il quarto stava sghignazzando. Mi sono nascosto per origliare meglio e così facendo sono riuscito a captare pezzi di frasi che mi hanno fatto capire che il tizio ridacchiante era uno strozzino e che quello a terra gli doveva una grossa somma di denaro. Lo minacciò di uccidergli la famiglia e di togliergli tutto quello di più caro avesse: a questa frase intimidatoria ho sorriso, comprendendo che con me non avrebbe mai funzionato, visto che non avevo niente di prezioso a questo mondo. Mentre facevo questi ragionamenti e mentre i due tizi che sembravano giganti pestavano il malcapitato, mi viene in mente un semplice dato di fatto: io non avevo niente a questo mondo che consideravo prezioso, e questo era sì la mia condanna, ma era anche la mia più grande forza, nessuno mi avrebbe mai messo alle strette minacciando di togliermi qualcosa se già niente avevo. Al contrario, quell’uomo picchiato sembrava avere più di una cosa da perdere, e questo lo rendeva una facile preda e debole di spirito… e infatti ha ceduto. Come punizione, lo strozzino ha ordinato a un suo uomo di tagliare una mano al tizio, che prese a implorare pietà più e più volte. Capendo quel che stava per succedere, inizialmente ho avuto l’impulso di uscire dal mio nascondiglio dietro l’angolo e di aiutarlo, ma poi mi è tornata in mente la scena del demone. La mia famiglia a causa della sua generosità era stata trucidata, mentre avrebbe potuto andare dritta per la sua strada: stavolta ero posto io al bivio, e ho scelto di non commettere lo stesso errore, ho scelto la vita. Non potevo sconfiggere quei due colossi, ero solo un bambino… e soprattutto non era un problema mio, quell’uomo si stava facendo schiacciare dal più forte, era una legge di natura tutto ciò quindi perché dovevo intervenire? Ho deciso quindi di restare a guardare, di lasciare che la natura facesse il suo corso. Tuttavia, dopo è accaduto un imprevisto, qualcosa che mai mi ero sognato neanche nei miei incubi, lo strozzino aveva cambiato idea sul tipo di punizione e nel cambiare ordine il malcapitato sbiancò e cominciò a strisciare per terra tentando un’inutile fuga, gli occhi pieni di terrore. Viene immobilizzato con la faccia a terra da un colosso, mentre l’altro di piazza dietro di lui e dopo aversi tirato giù le brache, gliele tira giù anche all’altro che stava scalpitando implorando di risparmiarlo. All’inizio non avevo intuito le loro intenzioni, ma quando hanno cominciato tutto è diventato chiaro. Solo in seguito ho compreso che quello che i due colossi stavano facendo era definito “violenza carnale” o stupro. Sebbene avevo visto abbastanza orrore, il mio stomaco si stava rivoltando a quella vista, un colosso che teneva fermo il malcapitato e l’altro che abusava di lui con fare rude e violento, l’uomo che urlava con quanto fiato aveva in gola e con il volto pieno di terrore e lacrime e lo strozzino che se ne stava in disparte sghignazzando. Poco dopo che avevano iniziato, ho deciso di andarmene, certe viste ancora non le sopportavo.
Quei quattro uomini mi iniziarono al mondo sessuale, a modo loro, e in seguito avrei compreso anche che il sesso poteva essere usato per piacere o per violenza. Non certo il miglior insegnamento, ma anche questo andò ad arricchire la mia esperienza di quel mondo ingiusto.


I giorni cominciarono a confondersi tra loro, non seppi più dire da quanto tempo fosse successo il fatto che cambiò la mia vita. Ricordo che vivevo di stenti, per un po’ di tempo cercavo di elemosinare qualcosa nella solita piazza e a volte me la cavavo anche abbastanza bene.
Poi… un giorno… qualcuno mi adocchiò e fingendo di darmi qualche soldo mi tramortì e mi portò con sé. Solo dopo scoprii che quel tizio era un cacciatore di bambini orfani che lavorava per un nobile, padrone di un hotel in città molto particolare… Si chiamava “Mulino a vento”, era un hotel di piacere oltre che di ristoro, e la specialità erano proprio bambine e bambini orfani, di quelli che nessuno sarebbe andato a cercare. Anche fra gli orfani si era creata una scala gerarchica ben prima che arrivassi io, dove quelli più grandi schiavizzavano e sottomettevano quelli più piccoli. Così anch’io dovetti all’inizio sottostare a questa regola che vedeva i più grandi i capibanda, in un certo senso. Ero disprezzato e temuto da tutti, probabilmente per via dei miei occhi rosso fuoco, forse credevano che fossi una specie di mostro o chissà cos’altro, ma sta di fatto che la mia vita in quel posto si rivelò più difficile del previsto. Chi gestiva l’hotel faceva lavorare i bambini come camerieri e schiavi, e non prendevano adulti perché quelli più giovani erano facilmente governabili, e forse anche perché c’è molta più gente perversa di quanto si pensasse. A volte fui costretto a intrattenere gli ospiti in modo “speciale”, ma non andai mai oltre il semplice uso delle mani per dare piacere, anche se ciò andava contro le regole dell’hotel.
Rimasi in quel posto solo un mese, o poco più, non ricordo bene. Ma mi ricordo di Marcus, era il bambino più grande lì, praticamente un ragazzo di cui tutti gli altri avevano paura… però non io, perché avrei dovuto aver paura? Cosa poteva farmi di peggio del demone che mi aveva portato via tutto? Però cauto lo fui sempre, quello era un pazzo furioso che si divertiva a violentare i bambini più piccoli. Li sceglieva a turno, e in genere chi arrivava lì per la prima volta veniva “battezzato” da lui; forse era un modo per far capire chi era a comandare, forse era una sorta di vendetta o sfogo per le umiliazioni che lui stesso aveva subìto, fatto sta che però da me non passò mai… e questo mi metteva sul chi vive. La sera stessa in cui decisi di fuggire da quel posto lui si frappose tra me e la libertà, dicendomi che era arrivato infine anche il mio turno. Fingendomi impaurito e sottomesso gli ficcai a tradimento due dita negli occhi, accecandolo. Non mollai la presa subito, anche se Marcus tentò in ogni modo di levarmi via, io gli conficcai le dita talmente in profondità che riuscii a percepire distintamente le ossa del cranio. E continuai, senza fermarmi, scavandogli negli occhi e facendo uscire un fiume di sangue da essi che mi sporcò completamente il petto e anche parte del volto; alla fine lo lasciai andare, accorgendomi che non si muoveva più, lo avevo ucciso. Marcus fu il primo essere umano che uccisi, e ancora adesso me lo ricordo, paffuto e con quegli occhi pieni di odio e disprezzo, a mia volta odiati e infine strappati. In seguito riuscii a fuggire da quel posto, e nella stessa notte lasciai la città con un carico di merce, facendomi dare un passaggio da una carovana. Abbandonai così Tomt, la città che odiavo più di tutte, chiedendomi dove sarei potuto andare ora.

I giorni trascorsero, mesi, anni, mi spostavo di città in città. Rubavo, tradivo, a volte lavoravo onestamente per sopravvivere. Mi ero posto un nuovo obiettivo, quello di diventare sempre più forte, perché se il mondo non poteva essere cambiato e rimaneva crudele e ingiusto allora sarei diventato più crudele del mondo stesso. Ogni tanto mi univo a qualche banda urbana, giusto per ricevere vitto e alloggio e in cambio offrivo i miei servigi, ma quando vedevo all’orizzonte un’occasione più conveniente non ci pensavo troppo a mettere da parte quelli che fino alla sera prima erano miei compagni.
All’età di quattordici anni ero già capace di sgusciare nelle tenebre senza fare il minimo rumore e uccidere un uomo con un solo pugnale, o coi semplici pugni. E dopo Marcus ne seguirono parecchi, a volte nemici di banda, a volte gli stessi compagni che diventavano troppo curiosi o minacciosi. Spesso questi mentre morivano mi chiedevano a fil di voce il perché delle mie azioni, e io rispondevo che non era una questione personale ma solo una circostanza di eventi che mi avvantaggiava. Ovviamente non mi aspettavo di essere capito, ma in ogni caso alla preda non si dovevano delle spiegazioni, il solo fatto che fosse una preda giustificava un predatore a dominarla.
Pochi giorni dopo il mio quindicesimo compleanno conobbi a un mercato un monaco guerriero, il primo di una lunga lista di maestri di varie arti marziali. Il monaco si chiamava Robon Dour e aveva il suo tempio personale qualche chilometro fuori la città di Khiem Ton, città orientale piuttosto isolata ma non per questo meno ricca di altre. Ad essere sincero non ricordo come seppi che fosse un monaco guerriero, ma ricordo che lo seguii fino al suo tempio sulle montagne, e ricordo anche il motivo per cui lo feci… avvertivo che in confronto a lui io mi sentivo una preda. Non me la scorderò mai quella sensazione, e per questo lo seguii di soppiatto, e una volta a casa sua lo supplicai di farmi diventare il suo allievo. Per un caso fortuito egli non aveva figli e cominciava ad avere un’età avanzata, cosicché decise di accettare la mia proposta e di insegnarmi l’arte marziale che tramandava. Essa aveva un nome, ma lo dimenticai presto preferendo mostrarne le capacità come biglietto da visita piuttosto che dichiararne semplicemente il nome.
In poco più di un anno divenni padrone di quest’arte basata sul combattimento corpo a corpo, diventandone in un certo senso il successore poiché Robon Dour non l’aveva trasmessa a nessun altro. Mi ci ero dedicato giorno e notte poiché consideravo il suo apprendimento la cosa più importante della mia vita, e per questo una volta deciso che il mio maestro non potesse più insegnarmi nulla lo sfidai a un duello: lui lo chiamò il duello ufficiale con cui passava a me la detenzione dell’arte marziale, io lo consideravo solo uno scontro per decidere se lo avevo superato oppure no. Lo battei, ma gli risparmiai la vita poiché non vi era motivo di togliergliela, al contrario di quello che pensava la gente non andavo in giro ad ammazzare la gente a meno che non fosse necessario. Perciò, con la benedizione di Robon Dour mi rimisi in viaggio, desideroso di mettere in pratica ciò che avevo imparato.

Nuove città visitai, nuova gente incontrai. Una persona in particolare ricordo, Theresa, una bella giovane di quattordici anni residente a Guardian, la città della Polizia, così la chiamano, una delle città più sotto controllo e meno barbara. La incontrai in un locale molto sfarzoso visti i tempi che correvano, ricordo che fu lei ad adocchiarmi forse per via degli occhi rossi come i suoi capelli o la lunghezza ormai considerevole dei miei. Sta di fatto che mi chiese se volevo una notte di puro sesso con lei, mi disse che si guadagnava da vivere vendendo il proprio corpo grazioso a chi se lo poteva permettere, e in effetti era messa meglio di me in fatto di soldi. Ma non solo per questo le dissi di no… essendo ancora vergine e avendo avuto brutte esperienze in quell’ambito avevo un discreto sospetto e timore verso il sesso. Lei mi disse che se n’era accorta subito, ancora oggi mi chiedo come abbia fatto, probabilmente l’esperienza, sta di fatto che ancora e ancora mi convinse e in una notte uguale a tutte le altre persi con lei la verginità, anche se quella maschile è solo metaforica. Lei mi fece ricredere sul sesso, anche se era una prostituta credo che in quel momento mostrò compassione per me.
In seguito, decisi di lasciar perdere per un po’ le bande criminali per trarre profitto in favore della ricerca di altri maestri sparsi in tutto il mondo. Robon Dour fu il primo anello della catena che mi permise di entrare i quel circolo per così dire, via via che gli anni passavano e io crescevo imparavo nuove arti che andavano a perfezionare il mio stile. Rammento il maestro Karubo, che mi insegnò la Via della Spada, come segno di rispetto per un nuovo maestro suo pari in quell’arte mi regalò una katana tutta mia che imparai a considerare come un terzo braccio. Poi venne il maestro Ryon che mi insegnò uno stile di combattimento capace di affrontare una moltitudine di nemici in una sola volta. Mi fece apprendere il modo per affinare i miei sensi tanto da riuscire ad avere in uno scontro una visuale di 360 gradi, sentendo con l’udito il più piccolo movimento dietro le spalle, percependo con il tatto lo spostamento d’aria, annusando e riconoscendo gli odori per identificare gli avversari. Questa particolare disciplina era piuttosto complessa e per questo mi ci vollero più di due anni per apprenderla: solo che stavolta l’allievo non ero solo io ma anche altri nove insieme a me. Il maestro Ryon era diverso dagli altri, amava infliggere torture a chi non riuscisse a eseguire gli esercizi che chiedeva, e più di ogni altro maestro meritò la morte che gli diedi il giorno del mio esame finale, come lo battezzai io. Ribellarsi al maestro voleva dire morte, e per questo prima fui attaccato dai miei nove compagni; questo fu il momento ideale per testare in una vera battaglia quella nuova arte e in breve tempo riuscii ad avere la meglio pur essendo completamente circondato. Alla fine mi battei con Ryon in persona, e potei ucciderlo finalmente subendo però non poche ferite.
Pertanto per qualche mese mi ritirai dal mio percorso principale, pensando a rimettermi in sesto, e potei tornare in attività solo dopo tre mesi di convalescenza sopravvivendo grazie all’oro che Ryon aveva guadagnato come mercenario negli anni addietro. Fu in quel periodo di inattività che l’incubo che avevo sempre di notte della morte dei miei genitori e di mia sorella era divenuto più intenso e spaventoso, causa probabile il non avere qualcosa con cui passare il tempo. Ancora oggi lo sogno, quel maledetto vicolo cieco, il demone che massacra la mia famiglia, quello stronzo di un uomo che per salvarsi mi getta tra le fauci del mostro per poi morire lui stesso della stessa morte. E io che sto lì, in mezzo al sangue, al fango e ai resti dei miei genitori i cui fantasmi che si animano dai loro corpi mi puntano il dito contro accusandomi di non essere riuscito a proteggerli e di non aver portato in salvo mia sorella. Ogni volta lo stesso incubo, e più i giorni passavano e più la mia rabbia e la mia violenza crebbero in me; alla fine tutto quello che avevo dentro esplose e si riversò su un uomo che aveva avuto la sfortuna di scontrarsi con me in un vicolo isolato. Prima di essere passato da me a fil di katana rammento che mi aveva chiesto pure scusa per il fatto che mi aveva urtato, era un uomo gentile per quel che ebbi potuto vedere, ma questo non bastò a fermare la mia furia omicida. Quando tornai in me e capii la gravità del mio gesto feci in modo di isolarmi da tutti: mentre aspettavo che le ferite guarissero cominciai a cercare un rimedio per il demone che stavo diventando, non volevo trasformarmi in un mostro come quel demone, assetato di sangue e privo di ragione. Da questo pensiero cominciò a formarsi l’idea di dover usare qualsiasi mezzo pur di evitare tutto questo, e un giorno un mercante di spezie mi diedi in cambio di un sacchetto intero di monete alcune pillole fatte con estratti di varie erbe. Scoprii successivamente che erano dei tranquillanti rudimentali, che però mi permisero di restare me stesso e di tenere a freno ciò che avevo dentro. Però… il prezzo da pagare fu la dipendenza. Un prezzo che tuttavia era disposto a pagare, quando prendevo le pillole gli incubi si attenuavano, a volte non ricordavo affatto i sogni che facevo, e per questo ero disposto a pagare qualunque prezzo.
Recuperate completamente le forze, ripresi a cercare nuovi maestri, che però mi permisero di affinare le arti che già conoscevo, o comunque ad imparare arti marziali minori. Fu i questo nuovo capitolo della mia vita che conobbi ed entrai a far parte dell’organizzazione Benda Rossa, una banda di mercenari così chiamata per via delle bende scarlatte che i membri portavano, che operava ovunque e che sceglieva solo gli uomini migliori da far entrare nelle sue fila. Fu un traguardo importante, poiché ora non mi sentivo inferiore a nessun altro, ora ero io il predatore e tutti gli altri le prede. Ci passai circa tre-quattro anni, entrandoci quando ebbi compiuto 18 anni. La paga non era male, anche se i compagni non erano il massimo, alcuni quasi simpatici, altri vere e proprie belve. Grazie ai vari incarichi che mi davano potei affinare ancora di più le mie arti, viaggiando per il mondo e vedendo ogni genere di violenza. Ora che ci penso, non socializzai mai con nessun compagno, poiché avevo paradossalmente un carattere riservato e timido, in contrasto con la mia natura violenta. A volte mi capitava di dover uccidere nell’ombra, altre volte fui chiamato a partecipare a vere e proprie guerriglie in campo aperto. Diciamo che ne avevo viste di tutti i colori.
Rammento un uomo in particolare della Benda Rossa, Raymond. Era uno schizzato, fanatico di una religione che con tutta probabilità aveva creato lui stesso: una volta a settimana doveva strappare il membro di un uomo e bruciarlo, mentre doveva violentare una donna, tagliarle i genitali e poi mangiarseli, tutto in sacrificio per onorare il suo “dio”. Ecco, quel Raymond mi fece capire che al mondo c’era gente più pazza e malata di me, ma dovevo riconoscere che a uccidere era bravo, molto bravo, per questo l’organizzazione gli perdonava qualche uccisione non voluta. Maledetta religione, faceva uscire di senno peggio della morte, mai vista una cosa più ripugnante che vedere Raymond effettuare un suo sacrificio. Questo fu uno dei motivi principali che mi fecero restare ateo, decidendo di credere solo in me stesso e nel Caso, unico vero dio insieme alla sua sposa, la Morte.

E infine… un giorno durante una missione, arrivò il momento decisivo. Avevo fuggito ed evitato i demoni per tutta la vita, credendoli gli unici capaci di farmi sentire ancora preda impaurita. Però… stavolta mi sentivo in grado di contrastare un loro assalto in città. Mentre mi stavo trovando un riparo, me ne trovai uno davanti, sembrava un enorme cane rabbioso con un pelo più lungo del normale: decisi di affrontarlo… e in pochi attimi esso mi lasciò ferito a terra. Il caso volle che un cittadino lo attaccasse alle spalle, e mentre il demone era impegnato ad affrontare il suo nuovo avversario io ne approfittai per ritirarmi, riuscendo poi a salvarmi dal branco di demoni invasori. Non mi voltai a vedere se il cittadino si fosse salvato o no, aveva fatto la sua scelta autonomamente senza che io gli chiedessi aiuto, perciò era artefice del suo destino.
In quel momento, mentre fuggivo dalla città fregandomene della missione (e quindi rinnegando la Benda Rossa) capii che ora erano i demoni i nemici da affrontare… e solo gli Hunter potevano contrastarli… Quindi perché non diventare uno di loro? Non ci avevo mai pensato prima, credevo non ne valesse la pena dividere un corpo solo con un demone, disprezzavo il solo pensiero. Ma ora… diciamo che ora avevo una mente più aperta. In fondo perché no, poteva anche essere divertente…




Una volta diventato Hunter, Royo conoscerà nuova gente che contribuirà a plasmare il suo carattere e il suo destino.
Shaleen & Itami: i suoi due spiriti, compagni inseparabili a cui Royo è riuscito a dare piena fiducia per la prima volta dopo tanti anni. Lei ninfomane, lui pazzo schizzato e violento. Li rispetta entrambi, sa che sono combattenti eccezionali, anche se Shaleen cerca sempre di portarselo a letto e Itami prima di accettarlo come compagno lo ha quasi ucciso, più di una volta.

Maya & Yoru: Dux e il suo spirito, uno dei tre capi di Venor, a cui Royo è legato di più. Molte sono state le occasioni passate insieme a loro, i primi a testare le sue capacità di neo-Hunter, i primi con cui si è fatto una sana bevuta al Dori’s Club. Con Maya in particolare ha un rapporto speciale, è stata la prima a consigliarlo quando non sapeva ancora gestire i suoi spiriti, la prima con cui ha fatto un lungo viaggio all’inizio per vacanza, poi diventata missione, la prima con cui ha parlato di relazioni nella coppia. Con Yoru invece è rimasto un po’ distaccato, ma tutto sommato si rispettano a vicenda e può capitare di vederli insieme a scherzare.

Syria: la prima compagna Infern che Royo abbia mai avuto. Con lei è riuscito ad aprirsi completamente, rivelando il suo passato oscuro , i suoi demoni interiori, il suo tormento. A lei Royo ha dato tutto l’amore di cui disponeva, e ha scoperto la parte piacevole del sesso che fatto con la persona amata diventa un balsamo per l’intera vita. I suoi capelli rosso fuoco si accostano agli occhi del ragazzo per formare un’armoniosa coppia di colori, rosso e rosso, fuoco e fuoco, amore e amore.

Semiria: Superne con cui Royo ha trascorso pochi ma intensi giorni fuori Venor. Dal carattere forte e deciso, ha destato l’interesse del ragazzo dimostrandosi un’ottima compagna e un’abile guerriera, anche se all’inizio prima di conoscersi meglio non andavano molto d’accordo. Ora ogni tanto si vedono, non sono amici per la pelle ma Royo la considera una valida alleata in battaglia.

Layla: altra Dux con cui Royo ha un rapporto meno marcato rispetto a quello con Maya. Si sono visti poche volte, la più importante durante la prima missione di Royo, che per ragioni esterne a lui non è andata tanto bene. In un’altra occasione si sono incontrati in piscina, e in quel momento visto che il ragazzo aveva da poco preso una pillola fu Itami a intrattenersi con la ragazza, o meglio la sua parte malvagia.


Come sarebbe andata se Royo non avesse incontrato le persone che ha incontrato? Semplice, sarebbe andata in modo completamente diverso. Eppure ognuna di quelle persone, dai grandi maestri e ai suoi compagni Hunter fino agli uomini umili, ha contribuito a formare l’uomo che Royo è adesso. Un Hunter. Un cacciatore spietato. Ancora propenso a non aiutare il prossimo se non è strettamente necessario, ma leale e fedele alla causa di Venor, seppur a volte trova le sue regole troppo restrittive.
E ora che è diventato ancora superiore ai demoni? Ovvio, scontato direi… punterà ancora più in alto, sempre più su. Dopotutto, anche se vorrebbe cancellare alcune cose del suo passato, se non fosse stato per esso non sarebbe arrivato dove è adesso. Perché, se cancelli quello che ti sei lasciato alle spalle perché terribile o impossibile da sopportare, come puoi ricordarti chi sei diventare migliore di quello che eri?
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Hunter of Demons