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Autore: Marti Lestrange    03/07/2013    8 recensioni
[STORIA SOSPESA]
Emma/Hook; long; New York!AU; what if?
Dal capitolo 6:
{– A proposito… Anche io so essere divertente, anche se non si direbbe. Se ti serve qualcuno con cui non essere seria, fammi un fischio.
Le fece l’occhiolino ed Emma sentì le guance prendere inaspettatamente colore. Cosa andava a pensare? Le aveva soltanto proposto di vedersi, qualche volta. Giusto? Non c’era assolutamente niente di allusivo. Proprio no.
- Oh, be’, sicuro – bofonchiò lei guardandosi le scarpe.
- Ci si vede in giro, Swan.}
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Vorrei dedicare questa storia alla mia ciurma: lilyhachi, Pikky e Cat, che mi hanno sempre incoraggiata a scrivere questa pazzia e a pubblicarla e che fangirlano con me su Emma e Hook. Grazie, babies <3

 
 
 
 



Haunted

CAPITOLO 1

 
 
 
~New York – febbraio 2013

 
Emma scalciò via le coperte e si alzò in fretta. La sveglia aveva cominciato a suonare furiosa e lei l’aveva spenta con una sberla, facendola cadere sul tappeto con un tonfo sordo. Giaceva ancora lì ed Emma quasi inciampò, barcollando giù dal letto, lo spesso piumone avvolto attorno alle spalle come un mantello, diretta in cucina. Ondeggiò, percorrendo lo stretto corridoio semi buio che la condusse sul retro del suo piccolo appartamento.
La cucina era piccola e quadrata. La finestra senza tende regalava la vista parziale del ponte di Brooklyn, illuminato a quell’ora dalla tenue luce del sole e già popolato di automobili impazzite. Emma, in trance e ancora mezza addormentata, si preparò un caffè, mettendo la moca – tradizione ereditata da sua nonna - sul fornello. Poi barcollò di nuovo verso il bagno.
Il vetro le regalò il riflesso di una donna alta, i capelli biondi spettinati e arruffati, gli occhi azzurri piccoli e stanchi, ma accesi. La bocca era piegata in una smorfia leggera. Quel giorno sarebbe tornata al lavoro, per la prima volta dopo il processo. Non se la sentiva, non per davvero, ma non sarebbe potuta rimanere a casa per sempre, nascondendosi per un crimine che non aveva commesso.
Fece scorrere l’acqua nella doccia e tornò in cucina, dove la moca intanto aveva cominciato a borbottare sul fuoco, chiaro segno della sua prossima ebollizione. Versò il caffè nella sua tazza preferita, quella alta e bordata di rosso, con la scritta “CoffeeBreak”. Banale, ma che le ricordava i tempi in cui viveva nella piccola casetta nel Maine, quando si alzava presto il mattino e beveva il forte e speziato caffè della nonna e mangiava le sue ciambelle alla cannella, per poi andare a scuola saltellando lungo la Main Street. Scosse la testa, riemergendo dalle sue fantasticherie di un tempo perduto.
Si sedette al piccolo tavolino e osservò in lontananza la città che non dorme mai. New York era casa sua da tempo. Aveva imparato a viverla, ad assaporare i suoi tramonti sull’East River, a selezionare i piccoli negozietti di alimentari di Brooklyn e quelli più frivoli di Soho; aveva imparato a riconoscere gli odori di Chinatown e le grida di Little Italy, gustando la ricchezza dell’Upper East Side e dei suoi grattacieli e sognando con l'arte del Greenwich Village. Amava questa città, un crogiolo di universi e sensazioni ed emozioni unico al mondo. Non l'avrebbe lasciata per nessun’altra.
Finito il caffè, la sua divisa regolamentare l’aspettava appesa nell’armadio, pulita e inamidata. La camicia azzurra con il colletto rigido, i pantaloni blu dritti ed eleganti, le scarpe basse e comode, lucide. Qualcosa luccicava sul piccolo comò accanto alla porta.
 
 

*

 

~ Eastport, Maine – febbraio 2003
 
« Ti ricordi quello che ti ho detto qualche sera fa? »
Emma alzò gli occhi su Neal¹, mentre lui la teneva stretta fra le sue braccia. Gli si accoccolò addosso, poggiando la guancia sul suo petto, sulla sua t-shirt che sapeva di buono e di sapone, aspirando il suo profumo.
« Mi hai detto che vuoi scappare via da qui… » rispose Emma.
Neal annuì, sfregando il mento sui suoi capelli.
« Voglio andare via, Emma » continuò lui. « Non posso più stare qui. »
« Non puoi… o non vuoi? »
A quel punto, Emma alzò il viso e guardò Neal negli occhi. Lui ricambiò lo sguardo, titubante. Emma si alzò e si puntellò su un gomito per vederlo meglio. Aveva negli occhi una strana luce.
« Non posso e nemmeno voglio » rispose, sincero. « Non posso sopportare questa piccola città di provincia un attimo di più. E non voglio ritrovarmi come i miei genitori, intrappolati qui per tutta la vita. E so che anche tu lo vorresti… so che vorresti scappare lontano. »
Emma abbassò lo sguardo. Sì, l'avrebbe voluto. Avrebbe voluto scappare via da sua nonna, che le diceva di continuo cosa fare, quali persone frequentare e quali parole dire. Avrebbe voluto prendere in mano la sua vita e viverla. Persino gli studi per entrare in polizia le stavano stretti, ma ci teneva, in fondo era quello che avrebbero tanto voluto i suoi genitori… La foto di suo padre, bello e biondo nella sua divisa da sceriffo, le sorrideva sempre dal tavolino in salotto, quello dedicato alle foto di famiglia.
« Lo vorrei, sì » rispose a Neal, sedendosi meglio sul piccolo letto singolo nella stanza di lui. « Non è facile a farsi. »
« Non lo è, ma un giorno ce ne andremo, Emma. Insieme. Lo so. »
Emma gli sorrise e si alzò in piedi di scatto, agguantando il mappamondo malconcio sulla scrivania traballante di Neal. Tornò sul letto e lo piazzò in mezzo a loro, sotto lo guardo stupito e incuriosito del suo ragazzo.
« Fallo girare » gli disse. « Io punto il dito a caso, e quella sarà la nostra meta. Ci stai? »
« Ardito e piuttosto vago, ma ci sto » acconsentì lui.
Emma fece un respirone e disse: « Vai » quasi in un soffio.
Chiuse gli occhi. Sentì il mappamondo girare. E girare. E girare…
 
 

*

 
 

~ Tribeca, New York – febbraio 2013
 
La centrale di Ericsson Place era sempre la solita. Un solido edificio di pietra grigia a contrasto con il cielo insolitamente azzurro di quel giorno di febbraio.
Il portiere e vigilante teneva sempre accanto a sé l’inseparabile bicchiere di caffè marchiato Starbucks; l’ultimo ascensore in fondo era ancora fuori servizio; il soffitto sulla destra, proprio accanto ai distributori di merendine, gocciolava acqua piovana in due grandi secchi sistemati sotto l'infiltrazione.
« 'giorno, agente Swan » la salutò il vigilante. « Bentornata. »
Le fece l'occhiolino ed Emma gli sorrise. Non era pronta per affrontare stupide chiacchiere di circostanza. Non ancora.
Si fermò di fronte a due ampie porte a vetri opachi, che lasciavano intravedere soltanto le sagome che si muovevano dall'altra parte. Due grandi stemmi della NYPD occhieggiavano davanti a lei. Emma fece un respiro e spinse una porta. Il consueto fracasso della stazione di polizia in fermento l'accolse e la riportò indietro nel tempo, ad un anno prima, quando tutto era finito. Prima che la sua vita venisse sconvolta e lacerata. Prima dell'indagine...
 
 

« Agente Swan, il capitano Hunter vuole parlarle. Nel suo ufficio. »
Emma alzò la testa dalla sua scrivania. Era intenta a compilare un rapporto sull'ultima pattuglia, durante la quale lei e Graham², il suo partner, avevano arrestato due piccoli spacciatori che vagavano per i sobborghi di Midtown.
Lasciò la sua postazione e attraversò l'ampia sala che fungeva da fulcro coordinativo della sua unità, evitando gli sguardi divertiti di Matt e Bryce, due suoi colleghi più anziani che ironizzavano un po' troppo spesso sul suo rapporto non proprio professionale con Graham. Okay, avevano avuto una mezza storia, durante la sua crisi con Neal, qualche mese prima, ma era tutto finito da un pezzo.
Bussò alla porta dell'ufficio in fondo, sulla quale campeggiava una scritta nera: “Miles Hunter – Capitano”. Aspettò che da dentro le venisse accordato il permesso di entrare, per poi spuntare in un ufficio ordinato e quasi militare. La scrivania sgombra e pulita, una solitaria tazza di caffè poggiata accanto ad una pila di documenti perfettamente impilati, l'orologio metallico appeso al muro, che indicava le ore 16:00 e le cui lancette procedevano con lentezza esasperante. La finestra era oscurata da delle veneziane grigie.
Il capitano Hunter era un uomo corpulento sulla cinquantina, con un velo di barba grigia sulle guance e una perenne espressione bonaria sul viso enorme. Indossava sempre la divisa, nonostante avesse limitato l'azione diretta a favore di quella coordinativa di tutto il distretto. Le sorrise e le indicò la sedia di fronte. Emma si sedette.
« Voleva vedermi, signore » disse, spezzando il silenzio.
Hunter rigirò fra le mani grassocce una penna dorata e alzò lo sguardo su di lei.
« Ti parlerò francamente, agente Swan » cominciò lui. « Stanotte è stata arrestata una persona. E fin qui, tutto bene. Arrestiamo tanta gente, ogni giorno. »
Emma si mosse leggermente sulla sedia, a disagio. Dove voleva arrivare?
« Quando hai visto l'ultima volta il tuo fidanzato, agente? »
Emma aggrottò le sopracciglia, sbalordita. Che domanda era?
« L'ho visto ieri pomeriggio, signore » rispose lei decisa. « Ci siamo visti a pranzo e l'ho lasciato davanti a casa sua per le diciassette, prima di iniziare il mio turno. »
« Quindi non l'hai più visto, dopo? Nemmeno stamattina? »
Emma non capiva. Che cosa diavolo centrava Neal in tutto questo?
« No, non l'ho visto, nemmeno stamattina. Non capisco che cosa centri Neal... non capisco tutte queste domande, non- »
La voce di Emma le morì in gola.
Hunter la guardò, serio.
« Stanotte abbiamo arrestato l'uomo accusato di aver rapinato quelle banche nel New Jersey, Swan » concluse Hunter. « Abbiamo arrestato il suo fidanzato. »
 
 

« Emma! »
Emma ritornò alla realtà, al caos del distretto e al viso sorridente di Graham, il suo partner, che la guardava e le sorrideva.
« Graham » esclamò lei.
I due si abbracciarono velocemente, mentre tutti i presenti si erano fermati a guardarla, quasi fosse un fenomeno da baraccone o uno spettacolo da circo itinerante. Una rarità esotica, insomma.
« Vieni, ho appena preparato il solito caffè » le disse Graham mettendole un braccio intorno alle spalle ed accompagnandola verso la stanzetta adibita a cucina, dove alcuni stipi contenevano merendine e cibi vari. Un frigorifero con sopra attaccati adesivi degli Yankees ronzava in un angolo. Il bollitore era pieno, poggiato sul banco.
Matt e Bryce erano seduti al piccolo tavolino al centro della stanza. Il primo era giovane e biondo, una sempiterna espressione di spavalderia dipinta sul viso. Il secondo avrebbe potuto essere il padre di Emma: baffoni marroni spioventi, capelli radi e due acquosi occhi verdi. Si zittirono non appena Emma e Graham fecero il loro ingresso.
« Emma! » esclamò Matt alzandosi in piedi e andandole incontro. « Sei tornata! »
Le rivolse un pallido sorriso: la massima manifestazione d'affetto, per lui.
« Già » annuì lei ricambiando il sorriso.
I suoi occhi incontrarono quelli di Bryce, che intanto si era alzato e teneva le mani affondate nelle tasche dei pantaloni. Cercava di non guardarla, preferendo osservarsi le scarpe.
« Emma » la salutò bofonchiando. « Come va? »
« Tutto bene, ti ringrazio » rispose lei annuendo. Sentiva lo sguardo di Graham addosso.
Capiva l'imbarazzo di Bryce: al momento della sua sospensione, e del suo conseguente allontanamento dal servizio a causa del processo di Neal, Bryce aveva asserito di trovarsi d'accordo. Pensava che Emma fosse realmente implicata come complice nella faccenda delle rapine nel New Jersey, rapine per le quali Neal era stato alla fine condannato. Emma era stata scagionata da tutte le accuse di favoreggiamento e complicità e oscuramento prove. Insomma, nel giro di un anno era stata reintegrata.
Matt trascinò Bryce verso la porta, ma quest'ultimo riuscì a voltarsi verso di lei, prima di uscire. « Mi dispiace, Emma » biascicò. « Mi dispiace tanto. »
Emma gli rivolse un'ultima occhiata senza replicare. La porta si richiuse e lei si lasciò cadere su una sedia. Sbuffò.
« Sapevo che avrei dovuto affrontarlo » disse, pensierosa, « lui e tutti gli altri. »
Graham intanto aveva versato del caffè in due tazze identiche, blu e anonime, e ne tese una ad Emma. Le sorrise. Aveva un bel sorriso, Graham: dolce e comprensivo. E anche vagamente triste, a volte, come se si sentisse in qualche modo incompleto. Come se gli mancasse qualcosa. Era bello: alto, i capelli biondo scuro perennemente spettinati, gli occhi marroni caldi e affettuosi. Era bello, sì, e ad Emma tornarono in mente i loro baci, quando lui la riaccompagnava a casa alla fine del turno di notte, all'alba, con la luce rosata che rischiarava la cima del Chrysler Building in lontananza, svettante su Manhattan e sui tetti della città.
« Grazie » rispose accettando la tazza e annusandone il profumo. Sapeva di caffè forte, lungo e tenace. Proprio come lo ricordava. Proprio come le piaceva.
« Ora posso chiedertelo » cominciò Graham appoggiandosi al banco di fronte ad Emma, i piedi incrociati uno sull'altro, in quella posa che le era così solita e familiare. « Come stai, Emma? »
Lei alzò gli occhi al suo viso. Si perse ad osservare alcune rughe d'espressione intorno agli occhi accesi. Lanciò un'occhiata alla tazza e al caffè nero che vorticava all'interno, e poi tornò da Graham.
« Non lo so » rispose. « Non lo so... »
 
 

*

 
 

~Greenwich Village, New York – febbraio 2013
 
Killian poggiò le fotografie sul tavolo che utilizzava come scrivania e si passò una mano tra i corti capelli neri. Sbuffò. Non era per niente soddisfatto del suo ultimo lavoro. Non che si fosse impegnato al cento per cento. Non aveva messo tutto se stesso, in quelle foto. Era da un po' che non sentiva quel brivido, quell'eccitazione febbrile che l'ispirazione ti regala e che ti spinge a creare, senza limiti e senza costrizioni. Si sentiva incompleto e frustrato.
Si fermò di fronte alla finestra. La strada sotto casa era popolata di ragazzini che scarrozzavano su e giù con i loro skateboard, nonostante il freddo pungente di febbraio e quell'aria gelata che ti faceva intirizzire i muscoli e condensare il fiato in nuvolette indistinte. Il cielo era grigio, pronto per la neve.
In quel momento, il cellulare squillò e Killian lo trovò poggiato sulla mensola in ingresso. Vibrava leggermente sul piano in legno grezzo dipinto di verde. Killian osservò il display. Sospirò.
« Jones » rispose. Non era una domanda.
« L'operazione “Black Rain” comincia domani » disse una voce dall'altra parte. « Ore 10:00, al molo numero 22 di fronte a Coney Island. »
« Ci sarò. »
 
 
 
 
Note:
1)   Neal è proprio il nostro Neal, avete capito bene. La scena ricalca un po’ quella vista in “Tahallasee” [2x06]
2)   Graham: chi altri se non il nostro cacciatore preferito? Ovviamente è il partner di Emma e ovviamente i due hanno avuto una liason :3
3)   Per il titolo, ringrazio mia sorella Alice per aver scelto “Haunted” nella lunga lista di possibili titoli. “Haunted” è il titolo di una canzone di Taylor Swift, btw

 
 
Eccomi qui, con questa mia nuova pazzia sulla quale non oso fare previsioni altrimenti mi sento male. Ètutto nato per caso, dalla voglia di scrivere una CaptainSwan tutta mia, di dare vita al mio OTP per eccellenza di OUAT. Ebbene sì, ho trovato il mio OTP, gente, festeggiamo! Il tutto è sfociato in quest’idea dell’Alternate Universe che, lo ammetto, mi piace da pazzi. In ogni caso, lascio a voi il giudizio. Non ci sono stati incontri tra la nostra Emma e il caro Killian, ma non disperate… accadrà molto presto… ;)))
Ringrazio Alice per lo splendido banner <3
 
Love u all, M.
 
Ps per qualsiasi cosa, mi trovate su FB [trovate il link al mio profilo nella mia pagina autore] e anche qui, nel mio [fangirlante] gruppo FB: https://www.facebook.com/groups/503476756335143/

   
 
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