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Autore: koukla    03/07/2013    2 recensioni
Un capitolo per ogni lettera dell'alfabeto. Una parola per ogni capitolo.
Una raccolta di parole; ma soprattutto di pensieri, ricordi, emozioni.
A - Aereo
B - Beige
C - Cupcakes
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Più stagioni
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A come Aereo

 

Personaggi: Arizona Robbins, Cristina Yang, Derek Shepherd, Lexie Grey, Mark Sloan, Meredith Grey, Nuovo Personaggio.

Genere: Introspettivo, Drammatico.

 

 

È bello leggere le persone.

Quelli tutti uguali cercano di sembrare diversi, i diversi tentano di sembrare uguali.

I liberi se ne fregano.

Ogni ruga una riga, ogni smorfia un epigramma, ogni sbadiglio un aforisma scontato.

Le persone sono una biblioteca pubblica.

E non lo sanno.”

A. G. Pinketts

 

 

Abigail Lovelace non aveva mai preso parte ad un volo più silenzioso di quello.

E dire che, come hostess, con alle spalle venti anni di onorato servizio, centocinquantamila miglia di volo, due parti, quattro decessi e sette atterraggi di emergenza, credeva di aver assistito più o meno a tutto.

Aveva sempre considerato l'abitacolo di un aereo come la sintesi del mondo, racchiudendo in sé tante persone, le loro storie, le loro gioie e le loro preoccupazioni.

Amava il suo lavoro, amava soccorrere gli altri: perché quando Abigail chiedeva ai suoi passeggeri se avessero bisogno d'aiuto, lo faceva con profonda e sincera apprensione.

E quegli sguardi riconoscenti, quei grazie appena biascicati le riempivano il cuore di orgoglio. Era stata utile, aveva davvero aiutato qualcuno.

Anche i passeggeri di quel volo di fine giornata aiutavano gli altri; in modo certamente più nobile e coraggioso di lei.

Erano chirurghi, un'équipe di sei medici diretta a Boise per un qualche intervento.

Abigail non doveva essere su quell'aereo, quella sera; normalmente era impegnata in voli di linea, in tratte ben più lunghe di quella da Seattle all'Idaho.

Quando Jerry, il primo pilota, le aveva chiesto se voleva essere dei loro, non aveva potuto rifiutare.

Aveva bisogno di soldi, da quando Woodrow li aveva lasciati andare avanti era diventato dannatamente difficile. Cheryl presto sarebbe andata al College e ogni piccola possibilità di guadagno andava presa al volo. Così Abigail si trovava spesso a fare gli straordinari, a passare più tempo in cielo, che in terra con al sua famiglia.

Ma era stanca, parecchio. Alla sua età, le hostess erano al tramonto della loro carriera e invece di svolazzare per i cieli di mezzo mondo preferivano rimanere a terra per sbrigare le faccende in aeroporto.

Lei non poteva permetterselo.

Nonostante le gambe gonfie e pesanti, i disturbi del sonno, i problemi all'udito e i perenni mal di schiena: gli effetti di una vita passata in alta quota, di fusi orari, pressurizzazioni, carrelli pesanti scorrazzati su e giù lungo i corridoi del velivolo in movimento.

Eppure era sempre impeccabile e gentile: la divisa sempre in ordine, il sorriso sulle labbra.

Quella sera, però, si sentiva strana, quasi come se dovesse accadere qualcosa di poco piacevole.

Quando si era trovata sulla scaletta posteriore che portava all'interno del velivolo, in attesa dei passeggeri, aveva scacciato quello sciocco e decisamente poco professionale timore con un gesto della mano.

Timore che era prontamente tornato a causa della tensione che si respirava lì dentro.

Nell'arco della sua carriera aveva desiderato più volte che i passeggeri fossero meno chiassosi, anelando ad un silenzio e ad una pace che, sapeva, non avrebbe mai incontrato in volo.

In quel momento tuttavia la quiete che la circondava le metteva i brividi e, suo malgrado, aveva rimpianto il frastuono così familiare.

Il ticchettio sulle tastiere dei laptop di uomini d'affari che viaggiavano con la sola ventiquattr'ore, tutti abbottonati nei loro completi grigi.

Il chiacchiericcio cantilenante di anziane signore che attaccavano bottone con chiunque per distrarsi dalla paura del loro primo volo.

I risolini eccitati di ragazzini entusiasti in vacanza con la scuola.

Il pianto lamentoso di bambini annoiati, che mamme troppo solerti cercavano di placare invano.

Nell'abitacolo di un aereo si incontrava sempre gente interessante, una mescolanza di tipi umani, in rappresentanza dei molteplici aspetti della civiltà contemporanea.

E quella volta non faceva eccezione.

Nonostante il silenzio, dalla sua postazione di fianco la cabina di comando, Abigail aveva una visione privilegiata dei suoi compagni di volo e poteva scorgere, ugualmente, i pensieri che li distraevano.

Erano lì, tronfi nelle loro divise, pronti a salvare delle vite e lei era sicura che, con il bisturi in mano, dovessero sentirsi come delle divinità; però in quel preciso istante erano così presi dai loro piccoli problemi, erano così umani che Abigail pensò di non essere tanto diversa da loro, in fin dei conti.

 

Arizona era furiosa.

Aveva cercato di inutilmente di riposare così si limitava a guardare fuori dal finestrino.

Karev era un vile ed irriconoscente opportunista. Lei aveva puntato tutto su quel ragazzo rude, brusco e poco garbato, era andata al di là delle apparenze, scorgendo in lui un perfetto chirurgo pediatrico.

Certo, a volte era fin troppo impulsivo ed agiva senza riflettere ma questi non erano necessariamente dei difetti nella loro professione.

Con i suoi piccoli umani sapeva essere sensibile e gentile e, in quegli anni, aveva avuto delle intuizioni che avevano stupito perfino lei.

Karev aveva un talento particolare con i bambini e ad Arizona piaceva credere che parte di quel talento fosse merito suo.

La Hopkins lo aveva notato e lo aveva corteggiato. Lo aveva fatto sentire importante.

Forse la Dottoressa Robbins aveva dato troppe volte per scontato che sarebbe rimasto con lei.

D'altra parte non aveva considerato che Seattle potesse stargli stretta.

Non avevano mai affrontato l'argomento, né sarebbe stato opportuno farlo, ma presumibilmente quell'ospedale doveva essere un'inesauribile fonte di ricordi poco felici per lui.

Quando si inizia il percorso della specializzazione è come essere buttati in un'arena, circondato da matricole spaventate ed ansiose come te che cercano solo di realizzare i propri sogni. E quelle matricole spaventate ed ansiose saranno, comunque vada, i tuoi compagni di viaggio.

Ci saranno liti, colpi bassi, interventi rubati e tante scaramucce ma, alla fine di quei cinque lunghissimi anni, ti renderai conto di aver condiviso con loro più cose di quante non voglia ammettere. Inevitabilmente e inaspettatamente ci saranno stati gioie, risate, successi e le migliori sbornie della tua vita.

Così, quando quei cinque lunghissimi anni volgono al termine, ti rendi conto che, in realtà, sono passati in un battito di ciglia.

E quelle matricole spaventate ed ansiose sono diventate importantissime per te.

Questo Arizona lo sapeva bene e ricordava altrettanto bene gli anni della sua specializzazione.

Pensando a Karev, si rese conto che quello stesso ospedale che lo aveva accolto quando era una matricola spaventata ed ansiosa – ma poi Alex era mai stato davvero una matricola spaventata ed ansiosa?- ora doveva essere una prova tangibile della fine che avevano fatto, di come fossero andati alla deriva.

Grey e Yang erano toste, erano andate avanti o almeno così le sembrava.

Ma lui no: la Stevens, O'Malley, il cancro, l'incidente.

Forse era troppo da sopportare.

E forse Arizona non era più così furiosa, forse riusciva a capire.

La Hopkins, dopotutto, non era così male.

 

Cristina era elettrizzata.

Ogni terminazione nervosa del suo corpo fremeva al pensiero delle opportunità che le si erano aperte davanti.

Stanford, Columbia, Mayo.

E Seattle.

Non credeva che scegliere potesse essere così complicato.

Poteva prendere in giro chiunque ma non se stessa. Quell'ospedale era stato importantissimo per lei, le aveva dato tanto professionalmente. E anche privatamente.

Ma lei non meritava qualcosa di importante, lei esigeva il meglio.

Nella sua vita ogni rinuncia, ogni sacrificio, ogni decisione era stato finalizzato a quel momento.

E Cristina si sentiva preparata. Si sentiva pronta.

Ma allora perché era difficile?

Perché la possibilità di rimanere a Seattle non le pareva più così incredibile?

Doveva solo fermarsi un secondo, fare un respiro profondo e decidere.

Avanti Cristina, maiale o mucca?

 

Lexie si sentiva frustrata. E leggera, indescrivibilmente leggera.

Aveva freddo, si era rannicchiata meglio sul sedile sfogliando pigramente una rivista per non guardarlo.

La hostess l'aveva colta in flagrante per ben due volte e lei era arrossita di colpo, come un'adolescente alle prese con la sua prima cotta.

Era patetica. Patetica.

Glielo aveva detto anche lui, in fondo, no?

Certo, l'episodio risaliva a più di quattro anni prima, quando lui era ancora il Dottor Sloan e lei era solo la Piccola Grey. Perché le veniva in mente proprio in quel momento? Probabilmente perché lo avrebbe perso per sempre e, da masochista qual era, aveva iniziato a pensare a come tutto era iniziato.

Un bar, un bicchiere di troppo e la tavola periodica. Gli aveva davvero ripetuto tutti gli elementi della tavola periodica? Quella sera avevano parlato come non aveva mai immaginato di poter fare con un suo superiore, con un suo insegnante.

Già, insegnante.

Si sentì avvampare e sperò di non essere arrossita troppo vistosamente.

In quell'occasione, era stata vergognosamente sfacciata. E dire che non era mai stata una gran seduttrice, non come lui comunque.

Era irritante il modo in cui la faceva capitolare.

Uno sguardo ammiccante in sala operatoria al di sopra della mascherina. La sua mano che le sfiorava appena un fianco in ascensore. Il tocco leggero che accompagnava le sue dita nel mostrarle una nuova sutura.

Bastava poco per finire nella camera del medico di guardia. O nello stanzino delle scorte.

Ma anche nella soffitta di Meredith, o contro la porta del suo appartamento.

Il suo appartamento.

Alla fine, c'era riuscito. Aveva comprato una casa, era stato una donna migliore di lei e l'aveva convinta a vivere insieme. Finché era durata.

Cosa avrebbe dato, ora, per tornare di nuovo lì. Gli avrebbe portato tutti gli spazzolini e le mutandine del mondo pur di farlo felice.

Ma troppe cose erano cambiate.

Sospirò.

Si sentiva frustrata. E della leggerezza di poco prima non c'era più traccia.

 

Mark era combattuto.

In bilico tra un passato che ritornava prepotentemente ed un futuro che doveva solo iniziare.

Era tutto nelle sue mani. Più o meno.

Lexie o Julia.

La donna che amava e colei che gli avrebbe dato tutto ciò che desiderava davvero.

Ma aveva poi senso, realizzare i propri sogni senza Lexie al suo fianco?

In fondo, la sua scelta l'aveva già fatta.

Se solo lo avesse saputo prima, se solo ne avesse avuto la certezza non si sarebbero rincorsi invano per tutto quel tempo.

La tempistica non era il loro forte.

Del resto, lei era stata chiara: voleva essere felice. Voleva essere libera.

E lui l'aveva lasciata andare.

Ripensandoci adesso, la situazione sembrava paradossale.

Si amavano e probabilmente si sarebbero amati sempre.

Eppure sembrava che a loro l'amore non bastava.

Sembrava che, comunque, per qualche strano scherzo del destino fossero destinati a lasciarsi.

E la colpa sembrava sempre sua.

Si era chiesto spesso come si sarebbe comportato se si fosse trovato nei panni di Lexie. Se avesse dovuto affrontare ciò che lui le aveva riservato. Ogni volta, si era reso conto che avrebbe reagito esattamente come lei.

Quindi era arrivato alla conclusione che sì, evidentemente l'amore a loro non bastava.

Ma allora perché la dichiarazione di Lexie l'aveva toccato così profondamente?

Perché la sola possibilità di stare di nuovo insieme aveva fatto vacillare così bruscamente le sue certezze?

Mark Sloan non era combattuto. Affatto.

Era colpevole. Ed era un codardo.

Perché si era nascosto dietro all'assenza di Julia pur di non affrontare i propri sentimenti.

Perché invece di baciarla, l'aveva ringraziata per il suo candore.

Perché insieme non erano poi così male.

 

Derek e Meredith erano felici.

Avevano una figlia, stavano per iniziare una nuova vita, avrebbero ricoperto ruoli importanti.

Sarebbe stato più corretto dire che Meredith cercava di sentirsi felice. Per lui, per loro.

Derek avrebbe avuto l'intero dipartimento di neurochirurgia di Harvard al suo servizio e dieci milioni di dollari per sconfiggere l'Alzheimer.

E poi Brigham era un ottimo ospedale; senza considerare il fatto che Zola avrebbe avuto una nonna e dei cuginetti con cui crescere: una famiglia.

Voleva davvero privarli di tutto questo?

All'apparenza l'essenza stessa della vita perfetta.

Forse era arrivato il momento di cambiare, di crescere, di dare una svolta.

Meredith si sentiva immatura nella sua ferma posizione a voler rimanere lì dove tutto era iniziato.

Jackson, Alex, Cristina erano pronti a ricominciare.

Cristina.

Certo, rimanere senza di lei non aveva molto senso.

L'aveva persa sul serio? Aveva perso la sua persona?

Le lanciò un'occhiata di sfuggita, per poi fermarsi ad osservare Derek che si era appisolato stringendole la mano.

Non poteva rinunciare a ciò che il destino le stava offrendo; doveva crescere, doveva cambiare, doveva dare una svolta.

 

L'aereo sussultò violentemente e Abigail con esso.

Uno dei medici si svegliò di soprassalto e le chiese cosa stesse succedendo; lei lo tranquillizzò e andò a dare un'occhiata nella cabina di comando.

Non era nulla di allarmante, ma preferiva avere tutto sotto controllo.

Jerry la accolse visibilmente preoccupato, stavano perdendo quota ed uno dei motori era in avaria.

Poi accadde tutto così velocemente che non ci fu più niente da fare.

E Abigail pensò solo che lei non doveva essere su quell'aereo, quella sera.

 

 

 

 

 

   
 
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