Partorire quest'abominio è stato doloroso. Però non nego che mi piace. 
Come sempre dedicata alla mia bella Najmee a cui voglio tanto bene. 

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Un giorno andai fuori casa e dimenticai di abbracciare mio fratello.
Quello stesso giorno andammo in missione insieme.
Quel giorno lo guardai negli occhi e non dissi nulla.
Non ci toccammo.
 
Ricordo che aveva gli occhi blu, pieni di ammirazione.
Non per te, Malik, scialbo fratello che non abbraccia.
E pur volendo, non più, non più, non più, non più.
Quel giorno finì.
In un fiotto di sangue.
Non quello che scorre, come le sbucciature sulle ginocchia, ricordi dei nostri giochi.
Come il sangue infetto, velenoso, che sa di ferro.
Sangue sporco di polvere, quando stai a terra e strisci come l’ultimo degli insetti, perché non hai la forza di risollevarti.
 
Quando riaprii gli occhi mi dissero che era tutto finito.
Non più, non più, non più, non più, non più.
È finito solo quel giorno, e il resto non finirà più.
Lo urlano le voci pazze nella testa. E questo dolore è vuoto, è brutto, e non si conosce, ed è blu.
Blu come tutto ciò c’è di cattivo nel guardare il proprio fratello andare via e non avere un braccio da tendere per trattenerlo con sé.
 
 
Ci fu un momento in cui tutto cambiò colore.
Pensai di esser cieco.
Pensai che fosse giusto, per chi guarda e non dice nulla.
Mi risvegliai e il mondo era ancora lì, e i miei occhi, e i colori, e il blu.
Mancava ciò che tingeva il blu.
Come gli occhi tuoi fratello, ma ormai i tuoi occhi più non sono, non più.
 
Ho ancora gli occhi. Perché sarebbe stato troppo facile.
Ho ancora gli occhi, per vedere quanto sono rimasto solo.