Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: herion    03/07/2013    0 recensioni
“Ritiro tutto quello che ho appena detto riguardo i tuoi miglioramenti nella scienza della deduzione!”
“Oh Sherlock! Vuoi dirmi cosa succede?”
“Stamattina mi sono svegliato invaso dal profumo del tuo maledetto tè! A quanto pare tutti i tuoi indumenti ne sono pregni e sospetto che anche la tua pelle sappia di British Tetley al limone!”
Ambientata dopo la serata della smascherazione del criminale a Baskerville. #Johnlock #Fluff
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Lestrade , Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Desclaimer: I personaggi contenuti in questa storia non mi appartengono, e non scrivo a scopo di lucro, ringraziamo tutti quanti Sir Conan Doyle per questi magnifici personaggi e Moffat/Gattis e co. per la loro versione in stile BBC.


Avvertimenti: vi avviso fin da subito che c'è un po' troppo fluff e che ho perso lungo la tangenziale Sherlock :( purtroppo mi sembra che sfori un po' troppo nell'OOC ... ma ditemi voi :) buona lettura ^^





Incubi e maglioni al tè




 Era notte fonda ormai. Il cielo si era ricoperto di nubi e la pioggia aveva spento gli ultimi bagliori dell'esplosione.
Tutti si erano ritirati nell'albergo, ormai fuori non c'era più nulla da fare.

Lestrade teneva d'occhio i proprietari della locanda, al mattino sarebbero stati i primi ad essere interrogati.
John accompagnò  il giovane Henry un una stanza libera dell'albergo. Per quella notte era meglio che dormisse in un posto controllato, lo shock lo aveva distrutto e John si occupò di somministrargli alcuni sonniferi leggeri.
Il medico ne aveva giusto due nel suo bagaglio, li aveva portati solo per precauzione ... dopo aver conosciuto Sherlock i suoi incubi erano cessati.
 
Watson aspettò  che Henry si addormentasse e poi scese le scale e tornò nel salottino per controllare se ci fosse ancora qualcuno.
Lestrade era nella sua nuova stanza, l'aveva fatta spostare affianco a quella dei proprietari per controllare che non tentassero una fuga notturna. Anche se con quella tempesta che era in corso fuori, non sarebbero fuggiti lontano.

Il caminetto era acceso e sulla poltrona di sinistra, vicino al fuoco, John vide Sherlock piegare la testa dal sonno.
Sorrise. Il detective era stato sveglio per due giorni interi e il caso lo aveva completamente consumato. Ora la sua mente poteva rilassarsi un po’ e concedergli una leggera tregua prima della prossima ondata di noia.

A John sembrava impossibile che quel demonio di un consulente investigativo, che lo faceva correre per tutta Londra e rischiare l'infarto solo per provare le reazioni dei comuni mortali, fosse lo stesso uomo rilassato e calmo che ora dormiva beatamente nella poltrona.
Sherlock assumeva un'espressione tutta particolare quando dormiva bene, e dopo un caso risolto dormiva davvero bene, era una via di mezzo tra un sorriso sornione e una smorfia. I riccioli scuri gli incorniciavano il viso e alcuni ciuffi gli coprivano gli occhi.
La bocca carnosa era leggermente aperta ed emetteva profondi respiri. Il fuoco creava misteriose ombre sui suoi zigomi pronunciati e sulle ciglia nere, che sembravano accarezzargli la fronte.
John notò tutti questi particolari e si ritrovò col forte istinto di scostargli i riccioli dagli occhi.
Si risvegliò dai suoi pensieri con la mano sinistra vicina al viso del coinquilino. La riportò subito al suo posto chiudendo il pugno, sentendo uno starno formicolio scemare e si chiese cosa gli fosse preso.

Toccò la spalla di Sherlock e lo scosse piano. Il consulente investigativo aprì gli occhi di scatto e lo trafisse con i suoi colori freddi e incantevoli.

“Ehm, io ... scusa se ti ho svegliato. Volevo solo avvisarti che vado a letto e beh ... sarebbe meglio che ci andassi anche tu, sei molto stanco.”

Sherlock lo guardò un po' confuso e mugugnando un risposta d'assenso, si alzò traballante.
Non riuscì a fare un passo che inciampò sul tavolino da tè.
John scattò subito a sorreggerlo, lo prese per le spalle e lo raddrizzò.

“Sherlock stai ... dormendo? “

Il detective sorrise e sbadigliò.

“Ok, dai ti aiuto a salire.”

Insieme si avviarono per le scale. John teneva per un fianco Sherlock e lo guidava, dicendogli di stare attento agli scalini.
 
Arrivarono davanti alla camera di Sherlock e John lo accompagnò dentro fino al letto. Abbassò le coperte e lo fece stendere. Lo guardò annidarsi fra le lenzuola. Sembrava così fragile. Di nuovo, la mano sinistra gli formicolava.
 
Entrò in fretta nella sua stanza, di fianco a quella del coinquilino.
Anche lui era molto stanco e confuso; tutti gli avvenimenti delle ultime ore saettavano nella sua testa e non riusciva più a collegarli. Aveva bisogno di una bella dormita.
Il sonno lo avvolse non appena lui appoggiò la testa sul cuscino, ma i sogni non lo avrebberò fatto dormire a lungo.
 
 





Si risvegliò gridando. Era sudato e ansimava. Il suo corpo era scosso da brividi e prima di rendersi conto di dove si trovava vide sfumare nella sua mente il volto di Jim Moriarty che rideva maliziosamente e un conato di vomito gli salì alla gola.
Si alzò dal letto e corse in bagno, riuscì a respingere la nausea. Si bagno il volto con l'acqua fredda e si guardò allo specchio.

“ Oh Dio ...” , era bianco come un cadavere e gli occhi, contornati da grandi occhiaie, sembravano voler uscire dalle orbite.
Si sedette per terra sopra le mattonelle fredde del bagno e poggiò i palmi delle mani sugli occhi.

Doveva concentrarsi e cercare di ricordare il sogno. Inizialmente non ricordò nulla, vuoto.
Poi cominciò ad apparire qualche immagine.
Un cane, dagli occhi rossi e il pelo luminescente, ringhiava di rabbia. La belva scattò improvvisamente in avanti e attaccò.
Non lui, non John.
Urla. Sentì delle urla. Provenivano dalla persona che il cane aveva azzannato. Ma vedeva solo un'ombra scura ... chi era?
Il mastino strattonava l'ombra e ringhiava furioso, continuò a strattonare e ad azzannare ma improvvisamente non era più un cane.
No, era un uomo, un demonio, un mostro.
L'uomo si comportava esattamente come il cane, mordeva, ringhiava e uccideva.
L'ombra della povera vittima continuava a gridare e a dimenarsi ma non serviva a nulla, non si poteva placare la furia demoniaca dell' uomo.
E poi, tutto d’un tratto, riuscì a vederlo: Jim Moriarty.
Era lui il carnefice che stava dilaniando l'altro uomo. Lo vide perfettamente alzare lo sguardo verso di lui e fissarlo con la bocca sporca di sangue.
John era lo spettatore di quello straziante spettacolo, e ora vedeva finalmente il pulpito dei suoi incubi.
Jim lo guardò e si lecco il sangue sul labbro inferiore sorridendo, poi prese il volto dell'uomo vittima del suo male e lo mostrò a John, ridendo.

Il viso sconvolto e tumefatto era quello di Sherlock che lo guardava terrorizzato e con gli occhi gli gridava aiuto.
 
John sentì una nuova ondata di nausea sopraffarlo e stavolta non riuscì a trattenerla. Si sporse sul WC e rigettò.
Dopo aver tirato lo sciacquone si accorse di aver il volto rigato dalle lacrime. Il ricordo di quell'incubo lo aveva fatto piangere. Si rinfrescò nuovamente la faccia con l'acqua fredda. Penso fra sé che avrebbe dovuto dare solo una pastiglia a Henry e tenere l'altra per lui.

Gli incubi, con l'entrata di Sherlock nella sua vita, erano spariti ma ora c'erano quelli con Sherlock in pericolo, con Sherlock scomparso, con Sherlock ferito ... inutile negarlo. Dopo quella sera in piscina, John aveva cominciato ad avere incubi che vedevano sempre il suo amico in situazioni rischiose e impossibili e lui ogni volta non poteva intervenire, era lo spettatore e non poteva salvare Sherlock.

Si avvicinò alla porta della stanza e uscì. Girò a sinistra nel corridoio e si piazzò davanti alla porta di Sherlock.
Sicuramente dormiva beato.
La mano gli formicolava, voleva abbassare quella maniglia ed entrare. Sospirò e appoggiò piano la testa sul legno della porta per non farsi sentire.
Che stava facendo? Perché voleva entrare in camera di Sherlock?
Sapeva benissimo che stava bene... ma aveva un irrefrenabile bisogno di vederlo, per assicurarsi che stesse veramente bene.

“John?”,sentì la voce del detective al di là della porta.

John sussultò. Era imbarazzato per essere stato scoperto, ma il suo cuore aveva fatto un piccolo salto di gioia per aver sentito quella voce pronunciare il suo nome. Sherlock stava bene.

“Sherlock”, gli uscì come una preghiera, in un tono strozzato dal pianto anche se ormai le lacrime avevano smesso di scendere.

Non appena il detective sentì John pronunciare il suo nome in quel modo aprì la porta con preoccupazione.
Si ritrovarono faccia a faccia. Quando John lo vide si sentì immediatamente più leggero, l'immagine del volto di Sherlock sanguinante e terrorizzato si allontanò nella sua mente andando a depositarsi in un angolo scuro.
Il detective intuì subito i pensieri dell'altro. Aveva sentito il grido lanciato dal blogger e si era svegliato.

Continuavano a guardarsi come se non ci fosse altro mondo fuori dagli occhi dell'uno e dell'altro. John fu il primo a staccare il contatto visivo, era imbarazzato.

“Stai bene” disse rincuorato.

Sherlock sorrise.
Poi prese la mano sinistra ,tremante ,di John. Era calda e piena di solchi e linee, così diversa dalla sua ; fredda, affusolata e liscia. John rispose al contatto e intrecciò le dita a quelle di Sherlock. Era un contatto nuovo. Ma non si sentì strano, ne imbarazzato. Era come se stessero da sempre mano nella mano.

Dopotutto quel tocco non era altro che un leggero aspetto del loro rapporto, che a livello metafisico era sterminato e forte. Una chimica speciale si era attivata fra loro e di questo erano consci, lo hanno saputo sin dalla prima volta in cui si erano visti al Saint Bart’s. La parola amicizia non riusciva minimamente a racchiudere il loro rapporto, e neppure la parola amore. Sembravano così sciocche e inutili in confronto alla loro connessione. Era qualcosa che andava oltre all'affetto, andava ben oltre alla convivenza e al lavoro. Era un legame indissolubile, così potente che nessuno dei due aveva bisogno di spiegarlo o di darlo a vedere. Lo sapevano e basta. L'intreccio delle loro mani era solo un minuscola porzione di ciò che sapevano entrambi, mostrato alla luce del sole.

Sherlock si chiuse la porta alle spalle. Continuando ad accarezzare la mano di John si diresse verso la stanza del dottore. Entrò con lui e si richiusero la porta alla spalle. Continuando a fissarsi, entrambi giocherellavano con le dita, facendole scorrere l'uno sulla mano dell'altro.Era un'esplorazione, il contatto fisico era nuovo ma sembrava una cosa talmente naturale e semplice che entrambi si chiesero perché non lo facessero sempre.
Si avvicinarono al letto e le mani cominciarono a scorrere sulle braccia, sulle spalle, sul viso. Non riuscivano a fermarsi perché lo sentivano necessario ed essenziale.
Non c'era nulla di erotico in quelle carezze, era come un'esplorazione senza un obbiettivo finale, fatta solo per il puro scopo di constatare che ci fossero davvero i loro due corpi reali e vicini e pronti l'uno a difendere l'altro. Si stesero sul materasso cigolante si fissarono di nuovo. John passò le dita sul viso candido di Sherlock, sfiorando i punti in cui era ferito nel suo incubo.

“John, cos'hai sognato?>”

John distolse lo sguardo, le immagini dell'incubo tornarono a tormentarlo. Sherlock gli fece sollevare il mento con le dita e il contatto visivo fu ristabilito.
Il dottore non riuscì a mentire a quegli occhi. Dopotutto era sempre così, qualsiasi cosa il detective gli chiedesse lui in un modo o nell'altro si ritrovava sempre ad obbedire, ma non come un servo schiavizzato dal padrone bensì come una colomba in viaggio che sta recapitando un messaggio, sente il dovere di farlo perché sa che è l'unico al mondo a poterlo fare.
Perché John è davvero l'unico al mondo che possa stare così vicino all'unico consulente investigativo al mondo, sono fatti l'uno per l'altro, proprio come si dice delle anime gemelle. Sherlock è il Sole e John la Terra, completamente in balia del suo campo gravitazionale e alla ricerca continua di quella luce e di quel calore che solo Sherlock può dargli; l'adrenalina del campo di battaglia, una ragione per vivere.

“Tu ...”John fece un profondo respiro “eri  ferito e sanguinavi e io non potevo fare niente, non potevo salvarti, non potevo ... fermarlo ...”

“Fermare chi?”

 “Moriarty”

Un ombra scura avvolse il viso di Sherlock.
Il dottore non poteva sapere che durante l'allucinazione di poche ore prima aveva visto il terribile volto di Moriaty sotto la maschera respiratoria del criminale. Dunque erano entrambi perseguitati dalla stessa paura.

“John, stai bene adesso?”

“S-si! Tu stai bene ... quindi si ... anche io”

Sherlock piegò l'angolo sinistro delle labbra e le pupille di John si dilatarono a dismisura alla vista di quel sorriso. Ma che stavano facendo? Erano stesi vicini sul letto e si tenevano le mani. John pensò che non c'era altro posto al mondo in cui si era sentito così bene, così ... giusto.

“Non permetterò che ti faccia del male! Mai”  disse John, ritrovando il tono e la sicurezza del soldato anche se gli sembrava di non essere stato lui a pronunciare quelle parole. Sono semplicemente uscite, senza alcun ragionamento la sua bocca le aveva riversate fuori ... forse sono queste le famose frasi dettate dal cuore?

“John ... io so che sta arrivando. Presto. Lui mi farà dal male, forse, ma ti giuro che non ci potrà dividere ... no, questo no. Non ci potrà dividere. Però tu devi promettermi che ...” Sherlock deglutì, non riusciva a credere che stesse dicendo davvero quelle cose, ma doveva farlo “devi promettermi che mi crederai, sempre”

“Che ti crederò? A cosa dovrò credere?”, John era confuso.

Sherlock strinse un po’ di più le sue mani a quelle di John.
“A me. Dovrai credere in me”

“Ma certo! Dio, Sherlock è ovvio che io crederò in te. T-tu pensi davvero che io possa smettere di crederti?”

Il detective sorrise, quasi triste.

“No” disse.

Guardò dritto negli occhi blu del suo blogger e pensò a tutte le volte in cui ci si era immerso di nascosto: la mattina mentre John leggeva il giornale, mentre esaminava un corpo sulla scena del crimine, quando scriveva le loro avventure nel suo laptop, durante le cene da Angelo e quasi tutte le sere a Baker Street prima di congedarsi per la notte. Erano così sinceri e leali, descrivevano John alla perfezione, ed era bello leggere in quegli occhi lo stesso affetto che alcune volte lasciava trapelare anche dai suoi, gelidi e grigi.
Avvicinò piano il suo viso a quello del dottore e John lo imitò. Sentivano entrambi i loro respiri vicini e caldi. John appoggiò la sua fronte a quella di Sherlock. I loro occhi non smettevano di scrutarsi. Grigio contro blu. 
Il cielo di  Londra contro il mare di Brighton. Restarono così a lungo. Le loro fronti unite e i loro corpi abbracciati a creare quel legame esterno che serviva come certezza cartacea di un unione già fatta da molto tempo.
I loro occhi si chiusero lentamente perdendosi l'uno nei colori dell'altro.

Prima di addormentarsi definitivamente Sherlock liberò la fronte di John e vi posò un lungo bacio.

John sorrise. Quella era sicuramente la pace eterna.

“No” sussurrò di nuovo Sherlock “tu non smetterai mai di credermi. Lo so.”

E così si abbandonarono entrambi al sonno più sereno e tranquillo di sempre. Senza sogni, senza incubi perché tutto quello di cui avevano bisogno era lì.
 
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John si risvegliò pizzicato dai raggi del sole.
La tempesta di quella notte aveva lasciato spazio ad una splendida giornata. Si stiracchiò e le sue mani percepirono subito il letto vuoto. Si puntellò sui gomiti e vide che nella sua stanza non c'era nessuno. Neppure Sherlock Holmes. John sentì una piccola stretta allo stomaco. Lo sapeva. Si era sognato tutto.
Non c'era traccia dell'investigatore che potesse confermare la sua presenza vicino a lui quella notte. Con una punta di rammarico John si alzò e andò in bagno a prepararsi.

Uscì dalla stanza col bagaglio in mano e si diresse verso l'uscita della locanda. Ma si fermò al bancone del bar dove vide la schiena del suo coinquilino.

“Buongiorno Sherlock!”

“Buongiorno John!” e gli porse una tazza di caffè fumante.

John alternò lo sguardo dalla tazza a Sherlock mostrando la miglior espressione sospettosa che riuscì a fare. Il detective emise un risolino divertito e poi immerse la bocca nella sua tazza già mezza vuota. Il cuore di John si scaldò al suono di quel suono celestiale. Prima di iniziare a sorseggiare il caffè si bloccò.

“Sherlock? Perché ... perché mi hai preparato del caffè? Cioè so perché l'hai fatto, ma io sono solito a bere il tè la mattina – “

“E a tutte le altre ore del giorno” si intromise il consulting detective.

John sorrise. “Appunto ... quindi perché il caffè?”

“Sai John mi sbagliavo su di te”

“ Riguardo a cosa?”

“Non sei un deduttore così pessimo, anche se credo fermamente che questi recenti progressi siano tutto merito della mia presenza e dell'influenza positiva che ti porta la vicinanza con la mia intelligenza sopraffina”.

John non seppe bene se prenderlo come un complimento che Sherlock aveva diretto a lui o rivolto a se stesso, ma si sentì comunque molto lusingato.

“Ti preparato del caffè perché questa mattina ho realizzato che la tua passione per il tè sta diventando piuttosto ossessiva e ... allucinogena.”

John strabuzzò gli occhi. Allucinogena? Come può il tè diventare qualcosa di allucinogeno ?

“Oh John andiamo! Non vorrai mica dirmi che non ti sei accorto di niente!”

John non sapeva cosa dire. Di cosa si sarebbe dovuto accorgere? Lo avvolse la ormai tipica sensazione di ignoranza totale che provava costantemente durante le brillanti deduzioni del detective.

“Ritiro tutto quello che ho appena detto riguardo i tuoi miglioramenti nella scienza della deduzione!”

“Oh Sherlock! Vuoi dirmi cosa succede?”

Sherlock lo guardò con il suo sguardo carico di superiorità e innalzò gli angoli della bocca in un sorrisino diabolico.

“Stamattina mi sono svegliato invaso dal profumo del tuo maledetto tè! A quanto pare tutti i tuoi indumenti ne sono pregni e sospetto che anche la tua pelle sappia di British Tetley al limone!”

A John era comparso sul viso un particolare sorriso ebete che Sherlock notò subito, come l'arrossimento improvviso delle sue gote al menzionamento del sapore della sua pelle. Quindi aveva dormito con lui. John rise e benedisse il tè un miliardo di volte mentalmente.

Non poteva neanche immaginarsi quanto quella risata aveva illuminato la giornata del suo migliore amico quella mattina.
 
 








Sherlock sprofondò nel divano con ancora la sciarpa al collo appena rientrarono al 221B di Baker Street.
“Jaaawwnn! Prepari del tè?”
 










 Angolo autore **
Ciao a tutti! Se siete arrivati fin qui ... beh complimenti! Che coraggio xD Questa storia è uscita di getto e davvero non sono proprio riuscita a trattenermi ... è la mia prima fic su Sherlock (siate clementi). Ho effettivamente creato un bel pasticcio; ho completamente perso Sherlock per strada e capisco che la collocazione nel tempo sia un po' ardua da immaginare ... ma ormai è fatta! Fatemi sapere cosa ne pensate :) Spero di non avervi annoiati!
Adoro questo splendido fandom ^^ *sparge cuoricini*
Grazie <3
 
  
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