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Autore: HernameisGiuls    03/07/2013    2 recensioni
«Non fa male?» domandai scioccamente, quando, incredulo, vidi la forma di un piccolo piede sporgere dalla sua pancia. Liz mi prese la mano e la appoggiò proprio in quel punto e sentii chiaramente qualcosa muoversi. Era qualcosa di strano e meraviglioso e davvero piccolo. Eppure così bello. Come gli occhi di Liz... Oh, non c'era niente di più perfetto dei suoi occhi, in quel momento. Le sue iridi grige brillavano sotto un sottile strato di lacrime che si ostentava a tenere per sè nei momenti sbagliati.
«Gli piaci» disse Liz, dopo qualche secondo. Sentii gli angoli della bocca alzarsi velocemente a quell'affermazione «Dici? Magari le piaccio» replicai
«Credi sia un maschio o una femmina?»
«Non che possa fare differenza, ma... Spero sia femmina. Sarà tutta sua madre» sorrisi, sincero
«Speriamo non prenda una sola ciocca di capelli da quello» rispose dura.
~
«Ma qualcosa mi dice che è più di una migliore amica. Sai... prima di dichiararmi, anche mia moglie era la mia migliore amica» mi fa un occhiolino amichevole, lasciando intendere ciò che nella mia mente arriva forte e chiaro.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Your little things

 

 

Your hand fits in mine like it’s made just for me
But bear this in mind, it was meant to be
And I’m joining up the dots, with the freckles on your cheeks
And it all makes sense to me





«Aaah!»
«Forza, Elizabeth, forza! Spingi ancora!»
Solo quando sento il mio nome, urlato con forza, mi risveglio dallo stato di trance. Mi sposto velocemente sui piedi, arrivando al letto sul quale Elizabeth è sdraiata.
«Ed, non ce la faccio!» e poi un altro urlo. Le prendo una mano, stringendola forte, infondendole tutto il coraggio che posso. Vorrei poterla consolare, sussurrare parole tranquille per calmarla, ma dalla mia bocca esce solo un gemito di dolore per la sua stretta troppo forte.
«Morirò!»
«Oh la prego, Elizabeth. Stia calma. Respiri profondamente e...»
«Calma?! Facciamo a cambio se vuole e poi...» ecco un altro urlo. Riesco a vedere le vene scure che emergono dal suo braccio così pallido mentre la sua stretta continua. Non mi sono mai trovato in una situazione tanto scomoda. Sono paralizzato. Bloccato dalla paura. Vorrei non essere qui. Vorrei scappare, comprare una pizza e divorarla insieme a due birre. Eppure...
«Ed... Ti prego...» Eppure è bastato incontrare i suoi occhi grigi, ora scuri come la pece e pieni di lacrime, per ritrovare tutto il mio essere «Rimani con me...» E finalmente sono arrivato alla vera conclusione: senza quegli occhi io sarei nulla.
«Non vado da nessuna parte, senza di te» ecco, questo è quello che realmente penso, quello che è davvero la mia vita. C'è solo Liz per me.
Con l'altra mano, quella libera, prendo la sua e ora sento così chiaramente il calore che irradiano insieme. E non ho mai compreso quanto fossero diverse le nostre mani, fino adesso. Sono come due tessere di un puzzle complicatissimo, con migliaia di pezzi, e solo noi due, insieme, riusciamo a completarlo. Sono complementari. Come se quella mano fosse stata creata solo e appositamente per me. Sì, tutto ha un senso, adesso.
Dopo una spinta particolarmente dolorosa ricomincia a piangere, sempre più forte, disperata «E' colpa di quel bastardo se sono qui!» e piange ancora, adesso più arrabbiata che mai, e la mia mano lo sente «Potremmo essere al cimena, noi due, sai? A tirare popcorn alla gente... Ma no, tu preferiresti restare a casa a strimpellare un po' la chitarra... E' così bello guardarti suonare...» stringe improvvisamente la mano che aveva allentato di poco dalla sua presa e ricomincia ad urlare. Poi respira affannosamente ed è di nuovo arrabbiata. «Ma no! Siamo in ospedale, non a casa! Per colpa di quel bastardo!» grida verso di me, verso l'ostetrica che non sa più che pesci pigliare per farla concentrare «Oh Ed, perchè sono stata così stupida? Se fossi stato tu nei suoi panni non mi avresti mai abbandonato... Non è vero, Ed?»
Allora lo sa! Sa che io non mi sarei mai tirato indietro se questo bambino fosse stato mio. Sa che non l'abbandonerei mai, in qualunque circostanza.
Prendo fiato per dirle finalmente tutto quello che provo, anche se forse nel momento meno opportuno, per liberarmi da questo peso che sento da troppo tempo, ma le parole dell'ostetrica mi fanno quasi mancar l'aria: «Vedo la testa!»

 

 

You can’t go to bed without a cup of tea
And maybe that’s the reason you talk in your sleep
And all those conversations are the secrets that I keep
Though it makes no sense to me
I know you’ve never love the sound of your voice on tape
You never want to know how much you weight
You still have to squeeze into your jeans
But you’re perfect to me




No, non riuscirò mai a dirle tutto ciò che provo. Non ora che sono così sopraffatto dalle emozioni, che quasi mi è impossibile respirare. E' un miracolo che io non sia ancora svenuto.
Per anni è stato tutto semplice, troppo semplice. Vicini di casa, stesse scuole, stessi amici... Stavamo sempre insieme. Lei mi dava una mano in matematica, io le insegnavo la chitarra - nonostante fosse solo un semplice passatempo. Eppure ha scelto Jared, perchè Jared... era Jared. Bello, intelligente, forte. Era la cotta non-tanto-segreta di Liz. E poi... E poi era uno dei miei più cari amici, prima di diventare il portiere della squadra di pallanuoto della scuola. Col passare dei mesi e delle partite si è montato la testa, diventando molto ambito e popolare, ma non lo biasimo tutt'oggi.
Per anni sono stato "l'amico strano", suo e di Liz. I miei capelli arancioni non sono mai passati inosservati per i corridoi, e sempre più gente si chiedeva come potessi essere amico di una ragazza bella come Liz e uno popolare come Jared. A me erano indifferenti, quelle voci. Ciò che m'importava davvero era avere Liz al mio fianco, anche se il suo cuore batteva per Jared. Per tutti questi anni non sono mai riuscito ad odiarla per la sua scelta. Come avrei potuto? Volevo solo la sua felicità. Ecco perchè quando un anno fa mi ha invitato a vedere l'appartamento suo e di Jared non le ho saputo dire di no. Ricordo così chiaramente la sua eccitazione. Così come l'espressione di Jared, la stessa di una sua partita portata al pareggio. Atona e rassegnata. Ero arrivato a sosprettare che a lui non importasse niente di Liz. Quando ho provato a parlargliene, lei stessa mi ha insultato nel più colorito dei linguaggi. Ma io Jared, nonostante ci frequentassimo sempre meno, lo conoscevo come le mie tasche. Infatti non rimasi tanto sorpreso della telefonata di Liz, una sera di metà Marzo, dove mi raccontava, in un pianto isterico, che Jared se ne era andato. Sapevo che, prima o poi, sarebbe successo.
"Ed... sono Liz. Ovvio che sono io visto che il numero è mio e... Beh... Mi dispiace chiamarti a quest'ora, so che è tardissimo e... Diavolo, è tanto rispondere al telefono? Odio lasciare messaggi in segreteria, è come parlare da soli. O forse lo è? E poi ho una voce terribile al telefono e... Oh, sto impazzendo... Dovunque tu sia, a qualunque ora tu senta la mia stupida voce in questo stupido messaggio vieni qui di filato. Non so con chi parlare e... e tu sei l'unico... Ti voglio bene e... Però non correre troppo, per strada... sai, ecco... Okay, ciao."
Sfido io a non sfrecciare per strada dopo aver sentito un messaggio del genere.
Mi fiondai di corsa a casa sua. Quasi mi fece preoccupare quando non mi venne ad aprire la porta, ma per fortuna sapevo che dentro il porta-ombrelli, davanti alla porta, teneva un paio di chiavi di riserva.
La casa era un macello. Vestiti a destra, scarpe a sinistra. Il fornello acceso senza alcuna pentola sopra.
«Ma perchè, scusa? L'hai tradito, forse? Sei rimasta incinta?» buttai lì, ridendo, per sdrammatizzare. Era passata un'ora, su per giù, e l'unica cosa che riuscì a dirmi era che Jared se n'era andato.
Versai il té caldo nella tazza, dirigendomi verso il tavolo. Ma la sua espressione diceva tutto. Impassibile. Vuota. E al tempo stesso furiosa. E mentre continuava a piangere la vidi stringere con forza il tessuto che le copriva la pancia. Non sentii nemmeno il contenuto bollente schizzarmi addosso quando la tazza si frantumò a terra. Mi concentrai sul suo viso e su quella mano che chiaramente era decisa a non mollare la presa.
Mi passai una mano tra i capelli, sì, in preda al panico. Bastò un solo sguardo per capire. Perchè in tutti questi anni abbiamo imparato a conoscerci, io e Liz. Non sono mai servite tante parole tra di noi. Con un semplice battito di ciglia di troppo posso capire la sua felicità, la sua rabbia o, come quel giorno, la sua disperazione.
Raccolsi i cocci della tazza frantumata e con uno straccio pulii il pavimento, tutto in un religioso silenzio. Ammetto che pure per me fu difficile da digerire, quella notizia.
«Ti va di raccontarmi che è successo?» le domandai, un attimo prima che si alzasse per prendere un'altra tazza. Sapevo quanto lunga sarebbe stata quella notte e quanto altro té ci sarebbe voluto per calmarla davvero, costringendola a un sonno profondo.
E così iniziò a raccontare. Lei e Jared vivevano stabilmente in quel piccolo appartamento da poco più di tre mesi e la loro vita di coppia era fantastica. Lo è sempre, all'inizio. Poi Liz cominciò a sentirsi poco per volta più stanca e mangiava sempre meno. Andò dal medico, credendo di aver preso chissà quale virus allo stomaco, ma con sua grande sorpresa il dottore le disse: «Da quando non le viene  il ciclo?» e lì fece due più due. Era incinta. Non riusciva a distinguere se quello che sentiva dentro fosse felicità, euforia o altro, magari era semplicemente confusione. Fatto sta che aspettò una settimana intera per dare la la notizia a Jared.
«Di quanto sei?» le disse senza la minima enfasi.
«Un mese e tre settimane» rispose Liz.
Era ansiosa, terribilmente ansiosa, ma mai si sarebbe aspettata una risposta tanto brutale quanto: «Beh, siamo ancora in tempo per sbarazzarcene, no?»
«Come si può essere tanto spregevoli, Ed? Come?» mi disse Liz, piena di rancore, mentre mi raccontava la loro discussione «Ma sai qual è la cosa peggiore? Dopo che Jared ha preso la sua roba e se ne è andato, io non faccio altro che pensare a quella sua teoria»
«Di che parli?» domandai. Pregai in cuor mio che non fosse ciò a cui pensavo.
«Questa cosa!» replicò, strattonandosi la maglietta a livello dello stomaco «Posso sbarazzarmene. Non è ancora un bambino, giusto?»
E che potevo dirgli? Che uccidere qualunque cosa ci fosse dentro di lei poteva essere la cosa giusta quanto quella sbagliata, facendo la parte del moralista che non voleva responsabilità in un futuro? Così mi litai a dire semplicemente, con tutta l'onestà che potevo: «Mi dispiace, Liz, ma stavolta devi vedertela da sola. Non posso consigliarti su cosa è giusto e cosa no. Lo sai solo tu cosa è meglio fare» 
Fu una nottata piena di pianti e insulti che, volendo o no, dovetti subire fino a che i suoi nervi glielo avrebbero permesso. Ma quello fu il male minore, perchè Liz aveva deciso di tenere il bambino.
I sette mesi che seguirono furono un alternarsi di litigate e risate a ritmo di giostra. C'erano momenti in cui ridevamo per le cose più stupide, tipo quando non riusciva a lavare il pavimento per la nausea. La trovava una scusa per non fare nulla. Tanto poi a chi toccava? «Farò prima a trasferirmi qui, visto che ti devo fare da sguattera» le dissi, armandomi di secchio e mocio. Cosa che, dal terzo mese in poi, accadde. Dovetti lasciare solo il mio coinquilino... Non che la cosa mi dispiacque poi tanto, in realtà.
Ma poi c'erano momenti di pura isteria, quelli che mi prendevano in contropiede. Liz, dal quinto mese, andò fuori di testa. Aveva ripreso il vizio di fumare, cosa intollerante durante una gravidanza. Beveva più di quanto potesse permettersi. Sbraitava quando i pantaloni che aveva comprato da poco erano già da buttare e lì cominciava a distruggere tutto ciò che le capitava sotto mano. Ma i momenti peggiori erano quando si pesava, puntualmente ogni tre settimane, dal dottore. Aumentava, aumentava a dismisura, ovviamente, cosa per lei inconcepibile. E così smetteva di mangiare e piangeva solamente. Riusciva a durare solo poche ore prima di aprire il frigo e mangiare qualunque cosa il suo stomaco le domandasse. Vagava per casa come un fantasma, con la tristezza negli occhi.
Gli unici momenti di silenzio assoluto erano pochi, solo quando il bambino scalciava.
Un giorno, mentre stavo lavando i piatti, sentii un lamento proveniente dal soggiorno e non capendone il motivo, chiesi a Liz se andasse tutto bene.
«Si muove» disse solamente, presa dal panico. Rimasi con lei un'intero pomeriggio, aspettando, sotto sua richiesta, che si muovesse un'altra volta. Sconsolato, mi alzai, andando a posare la mia chitarra che giaceva affianco a Liz. Pizzicai per sbaglio una corda quando Liz mi bloccò un braccio, spaventata. Parlava cautamente, come se avesse paura che qualcuno la sentisse «Mentre mi sedevo ho urtato la chitarra. La cosa si è mossa» continuavo a non capire, finchè non mi disse esplicitamente: «Suona!» Così capii come far svegliare "la cosa" (non era in grado di chiamarlo con il suo nome, bambino, ne era quasi terrorizzata). Bastò suonare qualche nota e lui prese a scalciare appena. «Non fa male?» domandai scioccamente, quando, incredulo, vidi la forma di un piccolo piede sporgere dalla sua pancia. Liz mi prese la mano e la appoggiò proprio in quel punto e sentii chiaramente qualcosa muoversi. Era qualcosa di strano e meraviglioso e davvero piccolo. Eppure così bello. Come gli occhi di Liz... Oh, non c'era niente di più perfetto dei suoi occhi, in quel momento. Le sue iridi grige brillavano sotto un sottile strato di lacrime che si ostentava a tenere per sè nei momenti sbagliati.
Essere padre, madre, insieme... Oh Jared, cosa ti stai perdendo. dissi tra me e me. 
«Gli piaci» disse Liz, dopo qualche secondo. Sentii gli angoli della bocca alzarsi velocemente a quell'affermazione «Dici? Magari le piaccio» replicai
«Credi sia un maschio o una femmina?»
«Non che possa fare differenza, ma... Spero sia femmina. Sarà tutta sua madre» sorrisi, sincero
«Speriamo non prenda una sola ciocca di capelli da quello» rispose dura, prima di alzarsi e dedicarsi a dell'altro.



I won’t let these little things slip out of my mouth
But if it’s true, it’s you, it’s you
They add up to, i’m in love with you
And all your little things

 


No. Come potrei dirgliele adesso, tutte queste cose? Dire a quanto, in nove mesi, quella pancia che ostinava a disprezzare davanti allo specchio l'avesse fatta diventare più bella? A quanto, in realtà, sia felice di diventare mamma, perchè... glielo si legge negli occhi. Il modo in cui sbraita insulti verso Jared, verso l'ostetrica, verso l'infermiera, verso tutto il resto del mondo è direttamente proporzionale al bene che vuole a suo figlio. Io lo so. Come so che tra noi le cose sono cambiate, negli ultimi tre mesi, da quanto mi fece sentire i calci del piccolo, o della piccola. Gli sguardi che seguirono giorno dopo giorno, i sorrisi, le carezze... sono cose che non passano inosservate, non a Edward Christopher Sheeran, innamorato sin dalla più tenera età della sua migliore amica che, proprio ora, sta dando alla luce una nuova vita. Cresciuta con tanto odio quanto amore.
Ma so anche che queste cose non usciranno mai dalla mia bocca perchè mi rendo davvero conto, solo adesso, quanto sia tutto in funzione di Liz. Tutto, davvero. Come sorride, come piange, come urla... qualunque cosa lei faccia si percuote su di me. Perchè... sì, sono davvero innamorato di lei.
E giurerei di sentire la mano disintegrarsi sotto la sua stretta. E urlerei se non mi mancasse l'aria. Ma ogni cosa si blocca. Ogni suono si ovatta. Credo di essere sul punto di svenire sul serio, fin quando non sento un altro urlo. Più stridulo, gracile. Proprio come quello di un bambino. Un bambino!
E tutto ciò che segue è molto veloce.
Le due donne in camice che sorridono sollevate lavano il bambino. Liz sprofonda sul letto, fradicia di sudore, ancora ancorata alla mia mano, e respira affannosamente. E io... io comincio a piangere come... come cosa? L'unica parola appropriata sarebbe bambino, ma è come se non volessi rubare il posto al nuovo arrivato. Perciò cado sulle ginocchia e affondo il viso sul braccio destro, mentre il sinistro è appoggiato sul letto con la mano di Liz.
Alzo lo sguardo giusto un secondo per incontrare il suo. Anche lei sta piangendo. Piange le lacrime che ha trattenuto per nove mesi. Perchè tutti i pianti che si è fatta in questo tratto di tempo erano solo per odio, per rabbia, sofferenza, insicurezza. Queste lacrime, invece, sono qualcosa di molto più forte e potente: lacrime d'amore.
La vedo sorridere a pena, nel suo viso arrossato «Mai più, lo giuro» e scoppiamo a ridere insieme, perchè dopo tutto quello che ha passato non ha ancora perso quel sarcasmo tagliente che tanto adoro in lei «Ma pur di vederti piangere ancora lo rifarei altre cento volte»
«Ti odio» sussurro, asciugandomi il viso con la manica del camice. E mi concedo un sorriso. Si sporge leggermente in avanti facendo una fatica immane, e mi sposta i capelli fradici dalla fronte «So che non è così» dice, ridendo. Rimango senza parole per qualche secondo, poi inizio a ridere e non mi fermo per un bel po'. Finchè non arriva la cosa più bella al mondo, dopo Liz: sua figlia.
«E' una splendida bambina» dice calma l'ostetrica, e la posa delicatamente sulle braccia di Liz.
«E' minuscola» si lascia scappare prima di sospirare «A furia di chiamarla cosa è uscita femmina, come volevi tu»
«Ma non te l'ho mai detto che sono un veggente?» replico, ridendo un'altra volta. E' l'isteria, il disperato bisogno d'aria.
«Ah, davvero? E come credi che la chiamerò?» mi sfida, sorridendo, senza togliere gli occhi di dosso dalla sua piccola creatura.
«Beh... contando che il tuo cartone preferito è Peter Pan, la scelta più ovvia sarebbe Wendy. Ma tu odi il nome Wendy, perchè Wendy è quella bambina che alle elementari staccava la testa alle tue barbie preferite. Me lo ricordo. Una volta ha distrutto anche la mia chitarra giocattolo»
«E tu, per vendetta, l'hai buttata giù dall'altalena» ride, ride di gusto.
«Quindi, Wendy, no» Liz annuisce. Con la coda dell'occhio vedo l'infermiera sorridere «Poi c'è Mercedes, in che programma era? Nemmeno mi ricordo. Ma lo scarteresti per via della macchina» Liz annuisce di nuovo «L'ultima scelta sarebbe Roxanne. Il tuo colore preferito è rosso, ma non intenso, più scuro. E sin da bambina credevi fosse una tonalità del rosso. Ai compagni dicevi: "Mi passi il roxanne?" e nessuno, tranne me, capiva» scoppio a ridere solo al pensiero «E poi ti piace abbreviare i nomi, come il tuo che si scompone in cento nomignoli. Per cui sarà "la piccola Roxy", finchè non arriverà un ragazzo per la quale si innamorerà e la chiamerà Rox, come qualcosa di potente, di forte. Come roccia. E poi, Anne è il nome della tua bisnonna, alla quale eri tanto attaccata... Per cui sì, sceglierai Roxanne» concludo tranquillo. Mi stupisco di me stesso. So davvero così tanto su Liz? E' un mistero persino per me.
«Direi che c'ha azzeccato anche questa volta, Mago Sheeran» trilla Liz, felice «Vada per Roxanne, allora. Roxanne Sheeran» sussurra, dando un bacio alla piccola. Per un attimo aggrotto le sopracciglia «Ti pare che non mi ricordo delle nostre nozze, in terza elementare? Dei nostri anelli di liquirizia? Oh Ed, guarda che pure io ho una buona memoria» si lascia ad un sorriso stanco quando l'infermiera riprende la bambina e le mette un bracciale al polso con tanto di data e ora di nascita, peso e tutte le misure e il nome.
Mi cacciano fuori per far riposare Liz e mi concedo un caffè, mentre le parole di Liz vagano ancora per la mia testa.
Dopo un'ora mi alzo dallo scomodo sgabello, sapendo già che Liz non la lasceranno scendere dal letto per qualche ora. I suoi saranno qui nel giro di "poco". Li ho sentiti ieri, quando Liz ha iniziato ad avere le contrazioni, e stavano partendo. Purtroppo stanno poco dopo Glasgow. Ci vorrà un bel po' prima che arrivino davvero.
Vengo distratto dai miei pensieri dalle risatine di una bambina di all'incirca sei anni. E' in braccio a suo padre, un uomo sui trentacinque. Se ne stanno davanti un vetro e sorridono beatamente. Mi avvicino incuriosito, finchè non capisco il motivo della loro gioia. C'è chi ha la culla azzurra, chi quella rosa, ma stanno tutti lì i nuovi arrivati.
«Papà...» bisbiglia «Questo signore ha i capelli arancioni» Non posso non ridere alle sue parole e le rivolgo un sorriso gentile e una scrollata di spalle. Poi mi dice: «Quello è mio fratello», saltellando in braccio a suo padre, indicandomi la terza culla nella prima fila.
«E' uguale a te» le rispondo facendola ridere
«Anche tu hai avuto un fratellino o una sorellina?» mi domanda. Mi lascio scappare un sorriso, un po' nel panico. La piccola Roxanne, cos'era per me?
«E' la figlia della mia migliore amica. E' quella lì, guarda» e gliela indico. E' già sprofondata in un sonno profondo.
«E' molto bella» sussurra il padre della ragazzina
«Merito della madre» mi lascio sfuggire
«Ma qualcosa mi dice che è più di una migliore amica» e le sue parole mi lasciano a bocca aperta, anche se in reatà ha colto nel segno. «Sai... prima di dichiararmi, anche mia moglie era la mia migliore amica» mi fa un occhiolino amichevole, lasciando intendere ciò che nella mia mente arriva forte e chiaro. Mi limito a sorridere e a contemplare le piccole cose di quella che, dentro di me, reputo mia figlia. Sia per l'amore che le ho dato in questi nove mesi e che le darò fino alla fine dei miei giorni, sia per l'amore che, in tutti questi anni, ho dato a sua madre e che, chissà, le darò anche per gli anni a venire.





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Ciao:)
E' la prima oneshot che posto su Ed Sheeran e sono anche un po' imbarazzata perchè non so che dire.
Ho iniziato a scrivere questa shot un bel po' di mesi fa. Mentre tornavo a casa, sull'autobus stavo ascoltando "Little Things" dei One Direction e ho iniziato a vedere Ed nella mia testa, come le scene di un film, e ho pensato fosse un effetto collaterale della canzone, visto che l'ha scritta lui, e ho lasciato correre. Ma poi continuavo a vedere solo lui e una tipa bionda (che poi le ho dato il volto di Jennifer Lawrance) fino al punto che ho dovuto buttar giù tutto.
Essendo un tipo contorto, che nel momento in cui penso a una cosa me ne vengono in mente altre cento, per completare questa shot c'è voluto più tempo di quanto pensassi ahahah
In ogni caso, spero comunque vi sia piaciuta. Ho paura che sia troppo lunga e troppo strana, scusate ahahah
Fatemi sapere se l'avete gradita:)
Detto questo, vi saluto e vi ringrazio in primis per averla letta:)
Giulia


 



«E' opera tua?» Harriet alzò lo sguardo dal suo cellulare, tuffandosi a capofitto nel mare in tempesta dei suoi occhi. Sapeva che Harry era al corrente di tutto, oramai. Era inutile nascondersi, non più.
«Fino all'ultima parola.» rispose senza batter ciglio, glaciale. Eppure perchè il suo piede picchiettava insistentemente contro la gamba del tavolo?
«Fate così schifo.» sibilò a denti stretti.
«Facciamo? Io e chi?» urlò la mora alzandosi dalla sedia «"Bisogna fare buon viso e cattivo gioco in questo mondo di squali" mi hai detto. Vale solo per te, Harry? Solo tu puoi sorridere alle persone come me e augurarle il peggio una volta girato l'angolo? Non ti senti un po' vigliacco? Non ho sbagliato una sola virgola di quell'articolo: tu sei freddo, cinico, un bastardo senza cuore che ha buttato nella spazzatura l'umile sogno di un ragazzo per la fama! Chi fa schifo, Harry, io che faccio il mio lavoro fedelmente da anni o tu che inganni le persone con i tuoi finti sorrisi?»




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