Libri > Il ritratto di Dorian Gray
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Autore: Ilap    03/07/2013    2 recensioni
Un Dorian Gray della nostra epoca alle prese con le sue paure e i sui tormenti. Accettare se stessi è più difficile di quanto possiamo pensare.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dorian Gray
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una calda notte d’estate e Dorian Gray era seduto sul balcone ad osservare le macchine che sfrecciavano lungo la strada. Si sentiva in trappola in quella città, come un animale allo zoo, la sua gabbia era grande e spaziosa ma rimaneva pur sempre una gabbia, e quel senso di falsa libertà lo mandava in bestia. Non sapeva cosa fare, e nonostante fosse molto tardi non aveva la minima voglia di andare a dormire così prese il computer, si accese una sigaretta e si mise a scrivere. La sua mente si riempì di un fiume di parole indomabili, pezzi d’anima che venivano trascritti per non essere persi.  Tutte le emozioni che fino a quel momento erano state rinchiuse a forza nel suo subconscio esplosero tra le sue dita, sotto i suoi occhi, nero su bianco. Non riusciva più a fermarsi, non era più lui a scrivere le parole, erano le parole a guidarlo. Sembrava come impazzito. Le emozioni inondarono il suo viso, le sue mani, il suo corpo. Pianse. Le lacrime scendevano a ruota libera lungo le guance e lui non fece niente per fermarle. Rise. La sua risata risuonò così forte in quella calda notte che quasi si spaventò per quel suono sconosciuto che lui stesso aveva emesso. Urlò. Il suo urlo racchiudeva tutta la rabbia che aveva accumulato durante la sua giovane vita e che fino a quel momento aveva costretto a non uscire. Poi si fermò, si guardò intorno e si accorse che la strada era vuota. L’orologio segnava le 3,45. Decise di andare a dormire. Si mise nel letto e spense le luci. Si girò e rigirò nel letto. Qualcosa lo inquietava: il silenzio. Quel silenzio assordante, che non lo faceva respirare.  Quel silenzio che aveva cercato in tutti i modi di evitare era lì e Dorian non sapeva cosa fare per spezzarlo, così non si oppose e si fece cullare nel mondo dei sogni disteso su un mare di inquietudini e silenzi. Ma le sue parole erano ancora lì e riecheggiavano nelle mura della casa come se si volessero opporre a quel silenzio.
“Mi chiamo Dorian Gray, vivo in una realtà che mi opprime. Odio la mia città, la mia nazione e la società di oggi, tutti corrono troppo veloce perché io riesca a raggiungerli. Mi sento un estraneo nella mia stessa vita. Ho sempre cercato di distinguermi e di lottare per quello in cui credo ma col tempo ho costruito intorno a me un muro di apatia e menefreghismo che mi ha portato alla solitudine. Ogni tanto qualcuno si avvicina  e prova ad abbattere la mia corazza e per qualche istante riesco a sentirmi vivo, sento la brezza che mi scompiglia leggermente i capelli, il profumo dei fiori che mi inebria e tutto comincia a prendere colore. Ma il muro rimane e presto o tardi ritorno alla mia solitudine. E pensare che ero pronto a cambiare il mondo, a renderlo un posto migliore. Certe volte mi chiedo che fine abbia fatto il mio entusiasmo.  Non posso dare la colpa all’età che avanza, sono troppo giovane, ma allora di chi è la colpa. Forse mia, forse di nessuno, non posso neanche appellarmi a forze superiori perché in Dio non ho mai creduto. Forse avrei dovuto farlo. Fa male sentirsi soli, e non importa quanta gente ti sta intorno, sei comunque solo con te stesso. Eppure ci sono stati momenti in cui mi sono sentito vivo, accettato, felice. Ma non sempre le cose vanno come vorresti. Però in questa realtà così solitaria da poco è entrata una ragazza. Lei mi ama, mi capisce, mi ascolta. Non so se quello che provo per lei è amore o riconoscenza ma le sono grato di esserci sempre.     Ma ora non c’è, è rimasta nella sua città mentre io sono partito. Ma tra qualche giorno la rivedrò e questo mi da la forza di alzarmi ogni mattina col sorriso sulle labbra e trascorrere la giornata al meglio. Ma quando arriva la notte e rimango solo neanche il suo pensiero riesce a tranquillizzarmi e mi sento vulnerabile. Il buio mi avvolge e i miei demoni invadono la stanza. Se fossi forte e coraggioso mi alzerei e li affronterei a testa alta, invece mi nascondo sotto le coperte e aspetto che il sonno mi prenda per rifugiarmi in un sogno dove non possono seguirmi. Quando mi sveglio loro sono scomparsi ma rimangono dentro di me e basta  aspettare il buio per poterli rivedere. La mia vita non è altro che un trascinarsi di emozioni che non ho mai avuto il coraggio di esprimere. Mi sento intrappolato in un corpo che non mi appartiene, e anche se ho cercato di spezzare le catene che mi tengono intrappolato in questo corpo estraneo la paura ha sempre preso il sopravvento e mi ha costretto a mollare. Non avrei mai pensato che sarei arrivato a questo punto. Sono succube di me stesso e non so più come liberarmi. Sono lo schiavo della mia anima e il padrone del silenzio. Ora come ora penso che solo la morte potrebbe darmi un po’ di pace ma sono troppo giovane per morire, e il pensiero dell’ignoto mi spaventa. Mi sento come l’Innominato nei “Promessi Sposi”, che non ha paura di nessuno se non di se stesso e di Dio che è giudice della sua vita, anche se io non ho paura di Dio ma di un miliardo di altre cose. Ma il problema principale rimane sempre la paura di se stessi. Forse può sembrare strano da dire, dopo tutto come è possibile avere paura del proprio corpo, della propria anima, dei propri sentimenti. È un concetto talmente tanto complicato che persino io che lo vivo in prima persona fatico a capire. Ma non c’è una spiegazione razionale per quello che provo. Alcuni potrebbero chiamarla pazzia e magari hanno pure ragione. Ma sono convinto che la pazzia non esista, è solo una condizione mentale, una scusa per non trovare la causa di qualcosa che non capiamo. Dopo tutto chi sono i pazzi? Quelli che dicono tutto ciò che pensano, gli uomini e le donne che vengono allontanati perché considerati diversi. Ma poi diversi da cosa?! Non siamo tutti diversi a modo nostro?! E chi sono le persone normali?! Forse quelle che non rischiano, quelle che seguono la massa e che non hanno un’idea propria del mondo. Allora mi sa che sono pazzo, ed la cosa più facile da fare, ammettere che siamo pazzi e rifugiarsi in una condizione mentale che non ci appartiene. Com’è difficile accettarsi per quelli che siamo. Ci sentiamo inadeguati, rifiutati, soli. Siamo i rifiuti della società. Nessuno ci vuole e per questo noi non vogliamo nessuno. È un circolo vizioso dal quale non sono capace di uscire.  Eppure c’è una parte di me che non vuole cambiare, a cui il solo pensiero di uscire dalla sua prigione la spaventa. Il mio corpo è in contraddizione con la mia anima. Il mio cuore con il mio cervello. La paura mi paralizza. Il buio mi spaventa e mi affascina alla stesso tempo. C’è chi soffre per amore, io soffro per me stesso ma è proprio il dolore che mi fa andare avanti ogni giorno. Mi chiamo Dorian Gray ma il nome è l’unica cosa che so di me.” 
 
  
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