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Autore: Stateira    17/01/2008    7 recensioni
Neppure quella volta era riuscito ad avere qualche risposta, nemmeno una, ma Edward non ci pensava proprio ad arrendersi.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PREMESSA: one-shot che intende rimanere tale

PREMESSA: one-shot che intende rimanere tale. Scritta abbastanza di getto, e con un buon numero di emozioni distribuite sulle punte delle dita, che spero di poter condividere con voi. Ringrazio in anticipo chiunque si fermerà a leggere e a lasciare le sue impressioni.

 

 

 

 

Edward arrivò puntuale.

Si era scalato una bella salita di corsa, e adesso aveva gli faceva male la gola per l’affanno del respiro, ed era pure un po’ scarmigliato.

Faceva una fatica del diavolo per arrivare in quel posto fuori dal mondo. Con tutto che non c’era uno straccio di mezzo che passasse vicino al Quartier Generale, attraversarsi a piedi tutta la città era un’impresa degna della sua testardaggine, che affrontava di buon grado e compiva soltanto per fargliela vedere al dannato colonnello; ma a volte si abbassava ad accettare un passaggio dal tenente Hawkeye, o da Breda, o da Havoc, a patto che giurassero sulle loro divise di restare con la bocca cucita. Da Amstrong no, lui era l’unico per il quale aveva sempre una scusa pronta sulla punta della lingua. Perché a tutto c’è un limite.

 

Roy lo accolse con un sorriso dei suoi, maschile e sbruffone, che implorava di essere preso a cazzotti fino a che restavano denti. Edward ricambiò con un po’ di scorbutico imbarazzo, nonostante fossero soli. Roy doveva pensare che fosse particolarmente ridicolo, così arruffato come un gatto. E figurarsi se non lo pensava.

 

- Ciao. – salutò, cercando di fare il grosso, ma finendo con l’ingoiare a metà della parola.

 

 

Perché non riposi, Roy?

 

 

Edward se lo chiedeva spesso, quando lo vedeva così, che sorrideva sempre a chiunque, nonostante tutto. Sapeva bene che Roy era fatto a modo suo, e che non lo facesse per marineria fine a sé stessa. Il suo era un modo beffardo di sottolineare che, qualunque cosa gli si potesse fare, nessuno sarebbe mai riuscito ad intaccare il suo sorriso. Non ci riusciva proprio a mostrarsi debole, in nessuna circostanza. Era la sua prerogativa di colonnello, e come diavolo avrebbe fatto a proteggere i suoi sottoposti, se si fosse mostrato debole? Come avrebbe potuto proteggere lui, Edward, come gli aveva promesso? Non se la ricordava più, quella promessa? Come avrebbe fatto, secondo lui, a tenerlo al sicuro dietro la sua giacca, dietro ai suoi gradi, se avesse dato anche il minimo segno di fragilità?

 

Ci avevano litigato come furie così tante volte, su quel punto.

Ed che voleva vederlo sedersi per un maledetto minuto sul divano di casa, curvare le spalle sempre rigide, e bersi un sorso di quello che gli pareva, in santa pace.

Roy che replicava che i suoi erano solo piagnistei da poppante, e che se avesse voluto un lavoro riposante sarebbe andato a fare il costruttore di automail, come la sua amica Winry; e poi partiva a sghignazzare come un monellaccio finchè lui non spariva in qualche altra stanza, sbuffando come una locomotiva.

E glissava, magistralmente, su quello che era il vero punto della questione.

 

 

Perché non dormi un po’?

 

 

C’era stata una guerra civile. Un’altra, a nord.

 

Era stata tremenda. Edward aveva imparato laggiù a fare i conti con il freddo, e anche con la fame e con la sete. Aveva patito le privazioni della prima linea come tutti gli altri soldati, diventando ancora più adulto di quanto già non fosse in fretta e furia, per necessità. Aveva capito, soprattutto, che cosa significasse concretamente quel sentirsi un’arma umana di cui il tenente Hawkeye gli aveva parlato qualche secolo prima.

 

Durante le missioni di avanguardia, lui e Roy erano sempre stati fianco a fianco. Si conoscevano già da tempo, e volenti o nolenti erano più in sintonia di quanto non fossero disposti ad ammettere, perciò era stata un scelta logica. Del resto, chi avrebbe fermato la furia vuota di Roy con qualche scarica di parolacce, altrimenti? E chi avrebbe salvato lui da sensi di colpa che mordevano lo stomaco come ulcere sanguinolente?

Era nato tutto così, spartendo le scorte, qualche sguardo apprensivo ogni tanto, le veglie, il giaciglio condiviso per avere più coperte e tenersi caldi. Era stato magico, qualcosa di indicibile, come una gemma emersa all’improvviso dal terreno, che aveva sciolto la neve macchiata di sangue tutta intorno a loro.

 

Roy Mustang era una persona buona, ed era umano, nonostante la ferocia della guerra. Edward era riuscito a leggere tutto il dolore del suo cuore, ogni volta che si era trovato ad usare la sua alchimia contro qualcuno, senza avere il coraggio di guardare dritto negli occhi quello che stava facendo. Notti intere passate a mescolare le lacrime alle gocce di Cognac, sperando che passassero più inosservate; a farsi forza, , e a sognare il rientro a Central City, a ricamarci sopra progetti che alleviassero il peso opprimente di quel presente claustrofobico.

 

Così si erano sostenuti l’un l’altro, fino alla fine. Orribile a dirsi, ma era stato bello.

 

 

Adesso che la guerra è finita, perché non lasci stare tutto?

 

 

Edward si mise seduto, godendosi per qualche momento la sensazione del piede buono che si informicoliva a causa del sangue che tornava a circolare regolarmente. Si rese conto solo in quel momento di quanto si sentisse stanco. La giornata era stata pesante, giù al Quartier Generale, ma lui non aveva nessuna intenzione di tediare Roy con l’ennesimo riepilogo, per poi beccarsi del moccioso. Le solite cose poi, ricognizioni che avevano il sapore asprigno dello spionaggio, un po’ di carte da sistemare, perché lui almeno il suo dovere lo faceva, da quando era stato promosso di grado. Controvoglia, ma lo faceva.

Quattro chiacchiere con i colleghi, e la nausea ad aleggiare su tutto quanto.

Roy lo stava sempre ad ascoltare senza interromperlo, e gli sorrideva comprensivo, ma Ed sapeva che doveva annoiarsi a morte a sentirgli ripetere le stesse, vecchie lamentele, e lui ne aveva le tasche piene di fare sempre la figura del bambino.

 

 

Eh, Roy?

 

 

Edward posò con attenzione il piccolo fagotto avvolto in un fazzoletto scuso che aveva portato con sé, e che fino a quel momento era rimasto nascosto nella mano destra. Era un’abitudine che avevano conservato fin dopo la guerra, quella di scambiarsi spesso qualcosa di piccolo, senza che ci fosse un particolare motivo. Poteva essere una scatola di biscotti da dividere insieme sul divano, un paio di guanti di lana grossi come case che sapevano tanto di presa in giro, una bottiglia di latte fresco che era la degna contromisura, un ciondolo di poco valore che per qualche motivo si era fatto notare, qualsiasi cosa andava bene. Quella volta era il turno di Ed, che si era presentato con quell’involucro. Era ben avvolto, fatto con cura, e quando lo aprì se ne comprese la ragione.

 

 

Perché non chiudi gli occhi e non te ne vai a dormire?

 

 

Era pieno di perché, il fagottino di Edward.

 

 

Che cosa c’è, Roy? Perché non riesci a riposare?

 

 

Li sottopose uno ad uno allo sguardo di Roy, porgendoglieli con la speranza dipinta negli occhi, che colava e brillava, legata miseramente al miraggio di una qualche risposta.

 

Edward aveva imparato, con il tempo, che Roy era la fonte ideale di tante, tantissime risposte. Spesso gliene dava anche per domande che lui non si era mai nemmeno sognato di porgli, lasciandolo lì stupito, e un attimo dopo pieno di voglia di sorridere, che non esplodeva soltanto grazie alla sua volontà irriducibile di non concedere al maledetto Roy Mustang niente di cui potesse vantarsi con chiunque per tutti i secoli a venire.

 

Nonostante si divertisse un mondo a prenderlo in giro, Roy non lo aveva mai davvero trattato come un bambino; anzi, gli aveva lasciato le sue occasioni per sentirsi forte, e non gli aveva mai nascosto quanto potesse essergli di aiuto quando le cose si facevano maledettamente difficili anche per lui. Così, per deformazione professionale, lui era diventato responsabile anche per Roy, oltre che per Alphonse. Non che il Colonnello lo volesse, anzi; si era preso una montagna di parole, per il suo pericoloso assomigliare ad una madre degenerata. È che pensava costantemente a lui, proprio come a suo fratello, e si preoccupava se non lo vedeva tornare a casa in orario, per non parlare di tutte le volte che lo richiamavano alla base per un consiglio straordinario su chissà cosa, e lui sapeva che Roy stava andando ad infilarsi nella tana del lupo da solo, senza sapere se si sarebbe ritrovato ad essere vittima o cacciatore, armato al massimo del suo sorriso smagliante.

Alle volte si svegliava nel cuore della notte, e se lo trovava sdraiato accanto che dormiva beato, perché nonostante le sue raccomandazioni di svegliarlo lui era tornato e aveva messo in pratica tutta la sua perizia militare per mettersi a letto senza far rumore. E allora lo vegliava, accarezzandogli i capelli, sentiva le lacrime salirgli agli occhi per la gioia, anche se poi le ricacciava indietro, e si diceva che la sua vita andava bene, e che niente, ma proprio niente al mondo, avrebbe mai potuto cambiare le cose.

 

 

Non sei stanco? Non senti le braccia pesanti, e il sonno sulle palpebre?

 

 

Poi Roy, un bel giorno, era partito per il confine Sud, per andare a sbrigare chissà che cosa senza di lui. Edward lo aveva accompagnato alla stazione sputacchiando che tanto lo sapeva che stava andando a donne. E dopo una settimana, alla stazione era andato a riprenderlo, e lo aveva visto tornare così, con quel suo bel sorriso dolce e stupido. Era buffo come si fosse reso conto soltanto in quel momento di quanto veramente amasse quel sorriso.

 

 

Non vedi com’è tardi?

 

 

Ad ogni modo, non avrebbe potuto passare lì tutta la notte. Non un'altra volta.

Andava bene così, Ed si sarebbe tenuto ancora dentro il suo piccolo, ostinato perché.

 

 

Non hai voglia di andartene via da qui?

 

 

Pioveva da ore, sulla treccia di capelli dorati di Edward Elric.

Ormai era sera, e il freddo si conficcava nelle ossa con la precisione tagliente e netta di un foglio di carta, e volteggiava insistentemente sui contorni del suo volto e fra le pieghe degli abiti, facendone delle croste di ghiaccio.

 

 

Lasciarti tutto dietro le spalle, e riposare, finalmente riposare?

 

 

Edward sapeva, dentro al suo cuore, che non avrebbe mai trovato una risposta degna ai suoi tanti perché. La sola persona che avrebbe saputo trovarla era lì davanti a lui, ma si ostinava a sorridergli dolcemente, in silenzio, con un ché di ottuso.

 

Si alzò, e sentì il suo ginocchio di metallo cigolare. Scrollò i capelli zuppi d’acqua, raccolse con calma i suoi perché e li radunò ordinatamente nell’involucro di tessuto, in silenzio. Ne fece di nuovo un fagottino, che infilò sotto la giacca, al riparo.

 

Sarebbe tornato presto, magari quando avesse smesso di piovere. Perché neppure quella volta era riuscito ad avere qualche risposta, nemmeno una, ma non ci pensava proprio ad arrendersi.

 

Quando si voltò per andarsene, dietro di lui rimase l’altra cosa che aveva portato per Roy, un mazzo di Buganvillee profumate, proprio come quelle che decoravano in cancello di casa. La pioggia le fece afflosciare immediatamente, ma il loro profumo continuava a sprigionarsi fieramente da ogni petalo, anche da quelli che si erano staccati ed erano andati ad appiccicarsi alla superficie liscissima della lastra di marmo bianco, proprio ad un soffio dal meraviglioso sorriso di Roy.

 

 

 

Perché, Roy? Perché non vuoi riposare in pace?

  
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