The bus stop.
Il ragazzo è slanciato, magro – forse troppo
– e biondissimo. I suoi capelli
sono quasi bianchi.
Harry non conosce il suo nome, nonostante lo abbia incrociato
più volte nei
corridoi. A volte si chiede se il suo nome sia bello come lui.
C'è un ragazzo alla fermata del pullman.
Ha gli occhi grigi che rimangono fermi sulla strada; raramente si
alzano,
incrociando quelli di studenti impazienti o passanti tranquilli, e
quando
accade si riabbassano subito.
Harry ha incontrato il suo sguardo cinque volte: le ha contate. Una a
scuola e
quattro alla fermata.
Non desidera altro che annegarci di nuovo, in quel lago grigio e
ghiacciato.
C'è un ragazzo alla fermata del pullman.
C'è ogni lunedì, mercoledì e
venerdì pomeriggio.
Rimane seduto tutto il tempo sulla panchina con gli auricolari nelle
orecchie,
anche se Harry l'unica volta che si è seduto accanto a lui
non ha sentito
nessuna musica.
Probabilmente la tiene bassa, oppure Harry è troppo preso
dal guardarlo di
nascosto per accorgersene.
C'è un ragazzo alla fermata del pullman.
Indossa le maglie a maniche lunghe anche se c'è il sole e le
sue labbra non si
sono mai piegate in un sorriso.
Harry vorrebbe farlo sorridere. O farlo ridere, o sentire la sua voce.
Se la immagina, la sua voce. Fredda, dolce e bellissima, come la prima
nevicata
dell’anno.
Si immagina anche la sensazione delle loro mani intrecciate e di quella
bocca
pallida posata sulla sua.
C'è un ragazzo alla fermata del pullman.
A volte tiene un libro in mano; Harry ha intravisto la copertina, ci
sono
disegnate le stelle.
Le
sue dita lunghe girano le pagine con cura, sembra che abbia paura di
strapparle. Harry, spesso, chiude gli occhi e si immagina quel tocco
leggero
sulla sua pelle.
È
seduto sulla panchina quando Harry arriva ed è seduto sulla
panchina quando
Harry se ne va.
Harry si chiede quale pullman potrebbe prendere, o se in effetti ne
prende uno.
C'è un ragazzo alla fermata del pullman.
C'è dall'inizio dell'anno e Harry si siede per la seconda
volta vicino a lui a
metà maggio.
Gli tocca una spalla con la mano e i loro occhi si incrociano per la
sesta
volta – una volta a scuola e cinque alla fermata. Le ha
contate.
Ci sono due ragazzi alla fermata del pullman.
Il primo è slanciato, forse troppo magro e con i capelli
quasi bianchi; si è
tolto gli auricolari e l'accenno di un sorriso gli increspa le labbra.
Il secondo è un po' più alto, appena,
è moro e porta degli occhiali dalle lenti
ridicolmente rotonde; agita le mani, parla – tanto
– e spesso arrossisce, si
chiama Harry.
Ha scoperto che il nome dell'altro è Draco: pensa sia
bellissimo, come Draco
stesso, ma non gliel'ha detto.
Ha perso il conto delle volte che si è perso nel suo sguardo
e di quelle che si
è seduto vicino a lui.
Ha scoperto anche che gli occhi di Draco brillano quando parla di
astronomia,
che il suo frutto preferito sono le more e che non gli piace la granita
al
limone.
Ha scoperto di amare la sua risata.
Ha scoperto di amare lui.
C'è un ragazzo alla fermata del pullman.
Gli occhi grigi sono puntati sulle persone intorno a lui e un sorriso
gli
illumina il volto.
Ha ricominciato a mangiare, non salta più i pasti con
l'ossessione di farsi
male.
Tante piccole cicatrici gli ornano i polsi sottili, nascosti da una
felpa a
causa del vento di settembre.
Le
porte di un pullman si aprono davanti a lui con un fischio, un ragazzo
con i
capelli neri e gli occhiali rotondi scende e Draco si alza in piedi; lo
bacia
sulla bocca e intreccia le loro mani, camminando verso il Liceo che
frequentano
entrambi per il primo giorno di scuola del quarto anno.
Non si sente più sbagliato, anzi, Harry lo fa sentire giusto.
Giusto come le loro mani che si incastrano perfettamente: appoggiate
sul
tavolino di un bar, sulle lenzuola di un letto sfatto o sulla panchina
alla fermata
di un pullman.