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Autore: taylorswjft    04/07/2013    0 recensioni
Elizabeth Hamilton non voleva trasferirsi nel quartiere di suo padre, ma sua madre la scarica a casa sua con suo fratello, come fossero pacchi postali.
Justin Bieber vive in quel quartiere da 10 anni, cercando ogni tipo di lavoro che si paghi bene per far sopravvivere se stesso e la sua famiglia.
Ma nel Quartiere la vita non è così semplice.
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“Effie, quando ce ne andremo?” mi sussurrò a voce così bassa da pensare che me lo fossi immaginato.
“Tra un anno ti porterò via di qui, promesso.”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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D i s t r i c t .

 

 

 

Avevo cercato di rimanere calma per tutto il pomeriggio precedente e per tutta la notte, ma adesso alla luce del giorno l'ansia iniziava ad assalirmi. Come poteva mia madre farmi questo? Perchè non potevo andare con lei in Europa?
“Elizabeth, sei pronta?” chiese mio fratello facendo spuntare la testa attraverso la porta. Mio fratello, Mike, aveva 15 anni, due anni meno di me, capelli castani lisci e gli occhi più azzurri che io abbia mai visto. Anche lui si sarebbe trasferito con me. Ma lui era troppo piccolo per venire ad abitare da papà, almeno lui sarebbe dovuto stare con mamma.
“Mmh” mormorai guardandomi un'ultima volta allo specchio. I capelli rossi mi ricadevano lisci sulle spalle. Io e mio fratello eravamo praticamente gli opposti.
“Ce la possiamo fare, okay? Non potrà essere così male.” mi disse entrando nella mia stanza e venendomi accanto. Mentre lo diceva ne sembrava certo. Mi era sempre sembrato lui il più grande, in certe situazioni. Lo abbracciai:se eravamo in due ce la potevamo fare.
“Ora dobbiamo andare o mamma sale e ci sbrana vivi.” disse ridacchiando, ma sapevo che ci era rimasto male. Io volevo bene a mia madre, ma per Mike era davvero tutto. Era il suo mondo ed adesso la stava per lasciare.
Ridacchiai anche io, per evitare di piangere.
Prendemmo le nostre valige e scendemmo al piano di sotto. In quella casa ci eravamo cresciuti e nostra madre ci stava praticamente sbattendo fuori. Quando arrivammo nel salotto lei ci stava aspettando alla porta, volendosene andare il prima possibile.
“Ci siamo, bene!” esclamò e si diresse fuori, verso la macchina. Io e mio fratello la seguimmo prima in giardino e poi posammo le nostre velige all'interno della range rover nera. Alla fine io mi sedetti nel posto el passeggero e mio fratello dietro, ssendo il più piccolo.
Il silenzio successivo fu pieno di mille domande inespresse che leggevo negli occhi di Mike, pieno di esclamazioni che leggevo nel sorriso di mia madre. Tutti e tre stavamo per cambiare vita, ma solo nostra madre stava per cambiarla in meglio. Almeno penso.
Quando arrivammo nel quartiere di nostro padre mi uscii un gemito ansioso dalla bocca. Il quartiere era uno dei più brutti di Stratford, la tipica zona che c'è in ogni parte del mondo: lungo la strada c'erano gang di ragazi di colore appoggiati a delle macchine troppo costose per loro, un ragazzo che dava dei soldi ad un altro che gli passava una bustina di quella che più probabilmente era droga, donne vestite in modo succinto. E nostro padre abitava in fondo a quella via, nell'unica casa singola del quartiere. Rabbrividii.
Ma io ero quella grande, dovevo rimanere calma almeno per mio fratello. Mi girai a guardarlo: si osservava intorno con gli occhi lucidi, spaventati; la pelle più bianca del solito.
“Okay ragazzi, siamo arrivati. Mi dispiace lasciarvi qui, ma in Europa con me non posso portarvi, forse non avrei abbastanza soldi per mantenere tutti e tre, cosa che votro padre può fare.” ci disse la mamma non appena fermò la macchina. Però i soldi per i vestiti e per i gioielli non mancavano, vero?
Scendemmo dalla macchina e prendemmo le nostre valigie. Nostra madre scese con noi. Prima abbracciò mio fratello,che tremava da testa a piedi, sussurrandogli qualcosa all'orecchio che non riuscii a sentire bene. Poi venne da me. Mi sorrise tirandomi due ciocche di capelli verso il basso e abbracciò anche me.
“Tieni d'occhio tuo fratello.” mi sussurrò e si staccò. Immagino che avesse sussurrato la stessa cosa a Mike.
Pochi minuti dopo averci salutati un'ultima volta salì in macchina e accelerò per scappare via da noi. Mi girai a sorrisi a Mike.
“Andiamo?” lui annuii, non potendo fare altro.
Così ci ritrovammo davanti la porta in legno di mio padre, incapaci di bussare. Il cuore batteva forte a entrambi, la paura scorreva nele nostre vene al posto del sangue.
La porta ci si apriì in facccia e noi facemmo un balzo all'indietro, spaventati. Ci aprì un uomo: era di costituzione piuttosto robusta, aveva capelli corti neri e un po di barba sulle guance. Papà.
“Mike! Elizabeth! Da quanto tempo che non ci vediamo. Perchè non avete busstao e stavate impalati qui fuori?” ci chiese. Noi rimanemmo zitti, spaventati da una simile reazione.
“I-Il campanello non f-fuonzionava”mentii incapace di dire altro.
“Oh, dovrò farlo aggiustare.” poi ci fece entrare nel salotto.
La casa era piuttosto grande, ma poco viva. Mancavano colori dai toni accesi e il tocco di una donna. Il contrario della nostra vera casa.
“Come estate, ragazzi? Dioq uanto siete cresciuti.” disse scuotendo la testa, come se non ci credesse.
“Abbastanza bene, tu?” a parlare ero sempre io, mio fretello invece continuava a guardarsi intorno spaventato e mio padre parse accorgersene.
“Benissimo...lo so che avete paura” disse rivolto soprattutto a Mike “ma qui non è così male, una volta abituati starete bene.” ci rassicurò lui.
Non credo, sussurrò una vce nella mia mente. Mio malgrado annuii, per non dare dispiacere a papà.
Lui ci condusse al paino sdi sopra nelle nostre stanze. Erano sul corridoio di sinistra, l'una davanti all'altra.
“Ora vi lascio a sistemare le vostre camere, poi scendete di sotto.” ci disse e ci lascò soli.
Sorrisi a Mike e gli strinsi un braccio per infondergli coraggio, poi entrai nella “mia stanza”. Era abbastanza grande, ma poco arredata: aveva semplicemente un letto una scrivania, un armadiouna mensola e un comodino completamente vuoti. E la finestra. Quella finestra mi inquietava: da li potevo vedere l'intero quartiere e l'intero quartiere poteva vedere me, se avesse guardato. Rabbrividii. Avrei chiesto a mio padfre di comprare una tenda.
Posai le mie quattro valigie su letto:nelle prime due avevo tutti i miei vestiti, sistemati poco ordinatamente a causa dello spazio; nella terza, un po più piccola, avevo tutti i miei libri e nella quarta avevo alcune delle cose più care.
Sistemai i vestiti nell'armadio. Poi arrivò i turno dei libri che sistemai sulle mznola e sulla scrivania. Infine sistemai il resto delle mia cose su scrivania e comodino.
Guardai il risultato: non era la mia stanza. Non mi sentivo a mio agio con quella pareti bianche, con quella finestra tropopo grande, in quella casa che non era la mia casa.
Mi salirono le lacrime agli occhi per la quinta volta in quella giornata e questa volta le lasciai correre sulle mie guance. Magari dopo mi sarei sentita meglio.
Mezz'ora dopo, anche se la mia faccia era sciutta, non mi sentii affato meglio.
Sospirai e andai verso il letto. Presi dal comodino un po di fondotinta, mascara e lipgloss per cancellare ogni traccia del mio pianto.
Quando usci dalla mia stanza trovai mio fratello seduto a terra, ai piedi delle mia porta, lo sguardo fisso nel vuoto. Gli scossi una spalla e lui si voltò immediatamente verso di me, svegliato da quella trance. Si alzò e si pulì i pantaloni.
“Effie, quando ce ne andremo?” mi sussurrò a voce così bassa da pensare che me lo fossi immaginato.
“Tra un anno ti porterò via di qui, promesso.” gli dissi sicura di me stessa. L'anno dopo avrei avuto 18 anni e sarei stata maggiorenne. L'avrei portato via di li, in qualsiasi posto.
Lui mi sorrise e insieme scendemmo al piano di sotto raggiungendo il salotto. Mio padre sedeva in una poltrona e parlottava con un ragazzo.
Aveva i capelli biondi tirati all'insù, grandi occhi marroni e un espressione interrogativa stampata in faccia-probabilmente si domandava chi fossimo. Era senza alcun dubbio bellissimo.
“Ragazzi, finalmente! Lui è Justin, mi aiuta con alcune...cose.” si rivolse a noi presentandoci il ragazzo biondo. Poi si rivolse a lui: “Loro sono i miei figli, Mike ed Elizabeth”ci indicò.
Justin ci squadrò da capoa piedi, proprio come io avevo appena fatto con lui. Mi sorrise maliziosamente e io abbassai subito lo sguardo andandomi a sedere in un divano con mio
fratello.
Mio padre fece qualche domanda a Mike che si limitava a rispondere a monosillabi.
“Lizz e tu come ti trovi?” mi chiese.
“Effie.”
“Come?”
“Preferisco Effie. Lizz non mi piace.” Mio padre si scusò. “Non lo so, come mi trovo.”
“Oh, capisco. Poi Justin vi farà fare un giro del quartiere. Vero, Justin?”
“Certamente.” rispose.

  
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