Ben si svegliò lentamente. La testa gli faceva molto male e pulsava tanto da sembrare che stesse per scoppiare. Aprì piano gli occhi cercando di orientarsi e soprattutto capire cosa era successo. Ricordava solo un colpo e poi il buio. Si era anche svegliato brevemente durante il viaggio che gli era sembrato molto lungo, all’interno di quello che gli era sembrato un vano bagagli, ma uno sprazzo di luce ed un fazzoletto con un odore terribile l’avevano rimandato subito nel mondo dei sogni.
Si mosse lentamente. Era steso su di un pavimento umido e sporco e mettendo la mano sulla nuca Ben sentì la ferita ed il sangue raggrumato sulla stessa. Aveva fame e soprattutto sete. “Da quanto tempo sono qui?” si chiese cercando faticosamente di mettersi a sedere poggiato contro il muro. Ora che gli occhi si erano abituati all’oscurità capiva che si trovava in una specie di cantina; c’era un terribile odore di muffa e la stanza era senza finestre e chiusa con una porta di ferro a grata da cui si intravedeva un lungo corridoio. Faticosamente raggiunse la porta ma come aveva immaginato era chiusa a chiave e sembrava anche molto solida.
“Bene –pensò sconsolato- sono bloccato qui, in mano a chissà chi e nessuno mi cercherà perché io stesso ho chiesto di non essere cercato”
Passarono altre ore e Ben aveva sempre più sete ed iniziò a pensare che forse volevano lasciarlo lì a morire di fame e di sete. Si era appisolato quando sentì il rumore della serratura e vide un uomo entrare e puntargli una pistola addosso. Era a volto scoperto e Ben pensò che questo non era un bene, significava che non l’avrebbero fatto uscire vivo di lì.
Ma dove l’aveva già visto? Ben non riusciva a ricordare chi era, ma era sicuro di averlo già visto. L’uomo, circa quarant’anni, alto, vestito elegantemente, lo guardò con occhi gelidi. “Sai chi sono io, bastardo?” “La regina d’Inghilterra?” rispose indisponente Ben, ma se ne pentì immediatamente perché si beccò un calcio nello stomaco che lo lasciò boccheggiante. “Bene vedo che siamo in vena di scherzare sbirro, ti passerà ben presto te lo assicuro” “Ma che c… vuoi da me?” gli chiese Ben ancora a corto di fiato “ Cosa voglio da te… voglio vederti soffrire, soffrire in modo indicibile e poi voglio vederti morire, ecco cosa voglio” rispose l’uomo con uno sguardo allucinato. “Ma c… chi sei?” chiese Ben, capendo che con tutta probabilità era finito nelle mani di un pazzo “ Non ti ricordi vero sbirro?? In fondo ci siamo visti solo una volta. Io sono quello a cui tu hai ucciso padre e fratello, quello che a causa tua ha perso tutto, tutta la sua vita, e per questo me la pagherai molto cara, molto, molto cara. Alla fine mi implorerai di ucciderti” gli rispose mentre lo colpiva con il calcio della pistola sul viso. Subito prima di perdere i sensi Ben ricollegò il viso al nome: Alberto Maione.
Semir aveva rivoltato ogni centimetro dell’albergo dove era stato Ben e del cantiere dove aveva lavorato senza alcun risultato. Ora era al telefono con Susanne “Sì lo so che sono tanti ma li devi controllare tutti, tutti i fascicoli dei casi di cui si è occupato Ben, sì anche quelli di quando era all’LKA. E chiedi alla Kruger di farsi dare l’autorizzazione per tracciare tutti i cellulari della zona negli ultimi giorni. Sì Susanne tutti ho detto tutti, ciao” Semir riattaccò e pensò che era ora di avvisare il padre di Ben, anche perché doveva tenersi pronto, non si poteva escludere un rapimento a scopo di estorsione. Anzi, pensò Semir questa in fondo era l’ipotesi migliore, almeno così per ora non gli avrebbero fatto nulla.
Era ormai notte tarda quando Semir si decise a tornare a casa. Parcheggiò lungo il vialetto e rimase alcuni minuti in macchina. Ormai l’inverno era alle porte e Semir pensò all’anno terribile che il suo giovane amico aveva trascorso. Non era giusto pensò, non era giusto… perché succedono tutte a lui, non poteva essere felice il ragazzo?. Rabbrividendo entrò in casa e come si aspettava trovò Andrea ancora alzata ad aspettarlo.
“Ciao tesoro, novità su Ben?” gli chiese abbracciandolo “No nulla ancora” le rispose triste il marito “Vieni tesoro, mangia qualcosa…” lo esortò la moglie guidandolo verso la cucina.
Semir non aveva molta fame, una morsa gli chiudeva lo stomaco. Toccò appena la cena tenuta in caldo dalla moglie e dopo aver dato un bacio alle bambine mentre dormivano cercò inutilmente di riposarsi, senza alcun risultato. Dopo meno di un paio d’ore era già in piedi e si stava recando al Distretto. Non erano neppure le sei del mattino, ma entrando trovò quasi tutti al lavoro. Susanne, Dieter e Jenny erano alle loro scrivane a consultare tutti i file dei casi di Ben e la Kruger discuteva animatamente con qualcuno al telefono. Semir bussò discretamente alla porta dell’ufficio del capo e la Kruger gli fece cenno di entrare “Sì lo so che è una zona enorme e che le utenze possono essere migliaia, ma ci servono quei dati e ci servono subito!!!” intimò con la sua solita aria da comandante dei marines “Molto bene grazie” “Le utenze dei cellulari?” chiese Semir “ Sì le mandano in giornata” rispose il capo. “ Ci sono novità?” chiese Semir “Purtroppo no, nei file dei casi di Ben non abbiamo ricavato nulla di rilevante” Seguirono alcuni minuti di silenzio. “Vedrà… lo troviamo” la Kruger lo guardò con sguardo compassionevole. “Continuate a ripeterlo tutti, ma come?” chiese tristemente Semir
Ben si risvegliò sentendo un forte dolore alle braccia. Non riusciva a respirare con il naso e sentiva il sangue colare. Quasi certamente era rotto. Ben aprì gli occhi e si accorse che Maione l’aveva legato le braccia ad una catena appesa al soffitto. I piedi riuscivano a stento a sfiorare il pavimento e tutto il peso poggiava sulle braccia. Ben pensò che non poteva resistere così per molto. Alzando lo sguardo vide Maione in piedi che lo fissava sogghignando.
Si avvicinò a Ben e gli poggiò sulle labbra una bottiglia d’acqua. “Bevi bastardo, non voglio che il mio divertimento finisca troppo presto” Ben inghiottì l’acqua, ne aveva troppo bisogno. “Ed ora mangia” gli disse sadico infilandogli un boccone di pane in bocca. Questo era troppo. Ben glielo spuntò in faccia. “ Tu maledetto bastardo…” Maione si asciugò il viso con il dorso della mano; furibondo iniziò a colpire Ben allo stomaco e al viso con pugni e calci. Colpiva così tanto e così forte che Ben non riusciva a vedere più nulla e neppure a respirare. Poi finalmente perse conoscenza
Alberto era seduto alla scrivania del piccolo studio nella villetta di Berlino. Fortunatamente quel posto aveva una cantina, del tutto insonorizzata per tanto era profonda e collegata al tunnel che dava nel bosco retrostante… il posto ideale dove tenere lo sbirro. Sorrise fra sé e sé pensando ai giorni a venire. Avrebbe fatto soffrire quel maledetto, l’avrebbe fatto soffrire così tanto che alla fine lui stesso gli avrebbe chiesto di essere ucciso. “Jager stai per essere ripagato di tutto il male che mi hai fatto” pensò Alberto ridendo istericamente in preda alla follia che ormai si era impadronita della sua mente.