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Autore: Claudia Poe    04/07/2013    1 recensioni
"Perché morire e far morire è un'antica usanza che suole aver la gente" [G. Gaber, "Il Dilemma"].
All'amore, il più spaventoso e meraviglioso sentimento che possa esistere.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi ha rubato il cuore.
A mani nude, dal petto, in una sera di zefiri vogliosi di disperazione e tragedia,  
una sera di inutili stelle, vanitose e vuote,
una sera di fredda neve bianca, sporca di occultamento,
una sera di incandescenti speranze, incenerite dalla loro stessa smania.
Una sera di morte.


È entrato nel piccolo mondo in cui giacevo sola seppur in compagnia di me stessa, senza chiedere nulla che non fosse l'esser lasciata lì. Non chiedevo altro che potermi beare della calma pace dei sensi, senza pensare assolutamente a nulla, senza turbini o inquietudini nella mia anima, senza particolari aspirazioni o ambizioni, senza una stella nel mio firmamento che mi spronasse a rincorrere la sua fulgida luce.
Stavo lì, ferma, immobile.  
Non avevo alcun pericolo di perdermi, sopportando il peso della perduta occasione di ritrovarmi.
Non mi interessavano risposte: non ponevo domande; non capivo allora il valore della vita, avvertendo inconsciamente di esser morta dentro.
Eppure lui entrò, senza bussare, abbattendo la porta.
Mi girò attorno un paio di volte, inebriandomi del suo profumo di desiderio misto a presagio di morte, trafisse i suoi occhi nei miei, quasi a volermi straziare e prosciugare l'anima.
Sentivo nel mio corpo un calore mai provato prima, un misto di meraviglia, sconforto, orrore, bellezza, vanità, disperazione. Una sorta di sublime farmacòn da inalare per sopravvivere, morendo.
Mi abbandonai completamente a lui e in lui mi persi, e fu allora che accadde: un ghigno satanico si dipinse sul suo volto, i suoi bei lineamenti presero le fattezze dell'orrore in persona, mentre nei suoi occhi si poteva leggere a chiare lettere il delirio dell'onnipotenza.
Straziò le mie carni, incurante delle mie disperate urla e del mio sguardo implorante, irriconoscente del disperato amore che la mia anima gli aveva donato in quei pochi attimi di estenuante sentire.  
Non gl' importava del rosso sangue che ormai gli macchiava le mani: squartò la morbida pelle del mio petto e ne cacciò via il cuore.


Glielo vomitai in mano, il mio cuore.
Ebbi appena il tempo di avvertire una terribile fitta, e poi l'assoluto nulla.
Tutto si spense, quasi una mano benevola avesse spezzato il sottile filo che divideva il già labile confine tra la mia vita e la mia morte.
È così, mi ha rubato il cuore, a mani nude, dal petto. Recatevi nelle notti d'inverno tra i rifiuti della città; potrete sentirlo ancora pulsare.

  
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