Vattene, mostro
Due bambini si rincorrono ridendo nel piccolo cortile di un paesino. Basse casupole grigie lo circondano, incombendo con i balconi scrostati sul piccolo spazio.
Una ragazzina lentigginosa, appoggiata con le spalle al muro, guarda i due che corrono con disapprovazione altezzosa, mentre passa le mani sul vestito della sua bambola, lisciandone le pieghe; è una bella bambola, piccola, di porcellana, gli occhi incastonati come gemme sul viso pallido.
«Tanto non mi prendi, Rem!» grida uno dei bambini, i capelli rossicci spettinati e un sorriso strafottente sulle labbra. L’altro fa un ghigno e continua a correre, forzando le gambe lunghe e magre.
All’improvviso, il bambino dai capelli rossi calcola male le distanze, e in un attimo la piccola bambola è a terra, spezzata grottescamente in due. Spalanca gli occhi, inorridito, e corre via, mentre la ragazzina stringe i pugni e scaccia le lacrime.
Remus si avvicina, storcendo il naso, e la guarda imbarazzato.
«Mi…mi dispiace» mormora piano, chinandosi per raccogliere le due parti della bambola di porcellana. «Non volevo. Si può aggiustare?»
«No» dice secca l’altra, strofinandosi le mani sugli occhi e girandosi per nascondere le lacrime. Il bambino la osserva accigliato, poi rivolge la sua attenzione alla bambola e ne unisce le due parti piano; quando però cerca di separarle nuovamente, quelle rimangono ben saldate l’una all’altra.
«Che hai fatto?» chiede la ragazza, strappandogli la bambola dalle mani. La guarda, spalanca gli occhi umidi e alza lo sguardo su Remus, sorpreso quanto lei.
«Come…Chi sei tu?» fa ancora l’altra, la voce acuta, mentre si allontana. «Vattene, mostro!»
Remus resta immobile, ancora con un mezzo sorriso confuso stampato in viso. E per la prima volta, lontano ancora dalla sua maledizione, si sente un mostro.