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Autore: TeddySoyaMonkey    05/07/2013    4 recensioni
[Interattiva]
"Ambarabà ciccì coccò
Un tributo mi schiattò,
era in vita da troppe ore
e di funghi avvelenati mangiò le spore.
La fine degli Hunger Games decretò,
Ambarabà ciccì coccò."
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Caesar Flickerman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Le cose più belle della vita o sono immorali, o sono illegali, oppure fanno ingrassare
Parte II



Marmellata di arance

 

 
 “Raferonzolo è stata salvata dalla torre, ma chi tra voi è il principe? Smettila di fare la testa di cazzo, sei stata brava. –R”
London rilesse il biglietto per l’ennesima volta, scuotendo la testa e roteando gli occhi al cielo. Sarebbe stata anche divertita dalla battuta fatta dal suo mentore se l’ordine che vi era insito non avesse riguardato Klaus.
Stesso Klaus che ora giaceva supino e addormentato, con la spalla ferita stretta tra le bende mandate dagli sponsor.
London guardò le gallette che erano scese con il paracadute con un sospiro. Prese il pugnale che era arrivato a Klaus e aprì il pacco, rassegnata, combattendo la voglia di conficcare la lama nella ferita del compagno, solo per sentire le sue urla soffocate come la sera prima mentre gli stava pulendo la ferita con l’unguento degli sponsor.  Era stata così felice quando il suo compagno era riuscito a dire, tra i gemiti, quel “cazzo, brucia da far schifo!”.
Erano corsi a nascondersi in una macchia più fitta d’alberi che ricordavano gli abeti: lunghi tronchi di zucchero a bande bianche e rosse, aghi sottili alla menta e un’infinità di resina ambrata che colava dai rami e che ricordava… London ne prese un po’ dall’albero più vicino, servendosi del pugnale, per poi osservare da vicino quella sostanza: sì, era proprio marmellata alle arance, sembrava perfino di qualità ancora migliore di quella che il suo ricco padre importava in segreto dalle terre d’oltre oceano.
Sempre usando il pugnale di Klaus spalmò sulle gallette uno strato abbondante di marmellata e ne mise in bocca una, stando bene attenta a masticare senza che nulla le finisse in gola.
London cercò di non sorridere mentre si complimentava con se stessa per il piano che aveva velocemente ideato; di sicuro quella roba era avvelenata, e la London Bridge che si era presentata all’intervista era abbastanza stupida da non capirlo e da avvelenare accidentalmente il suo compagno. Così facendo non solo sarebbe passata per la povera piccola vittima che cercava solo di aiutare, ma si sarebbe anche comportata come Rafe voleva.
Sollevò un lembo della canottiera che indossava per pulirsi la bocca e stando bene attenta a coprirsi il viso con le mani, sputò tutto nella maglietta e avvicinò in fretta lo zaino a sé, apparentemente per cercare le strisce di carne secca che avevano inviato a Klaus, ma in realtà per coprire la macchia.
Quando finì di “mangiare” guardò Klaus, sospirò fintamente stizzita, a beneficio degli spettatori che sapevano quanto lei odiasse il ragazzo, e finalmente stese un altro strato di marmellata su una galletta e lo coprì con una striscia di carne ed infine si avvicinò all’alleato con il tutto tra le mani.
-Klaus.- Disse, gentilmente, inginocchiandoglisi accanto e scrollandolo delicatamente per la spalla sana, ma senza smettere di mostrare la smorfia che aveva in viso.
Il ragazzo borbottò, ma non si svegliò e London sbuffò. Lo scrollò ancora e questa volta il ragazzo sbottò in un:-Che vu…?-
Ma non fece in tempo a terminare la frase che la galletta gli finì in bocca.
Finalmente il ragazzo aprì gli occhi e quando vide il sorriso dolce di London trasalì, spaventato, indietreggiando velocemente, dimentico della spalla ferita che lo fece gemere appena l’istante successivo.
London lo vide tossire e battersi il pugno sul petto nel tentativo di ingoiare la colazione e solo infine, quando la galletta avvelenata gli scese nello stomaco, aggrottò le sopracciglia, pronto a dire qualcosa di maligno, ma lei decise di batterlo sul tempo:
-Buono?- Chiede, in tono dolce, con un grande sorriso sulle labbra.
Il ragazzo la guardò, circospetto, facendo scorrere lo sguardo dal suo viso cordiale alle mani sporche di marmellata.
-Da dove arriva quella roba?- Chiese –Che cosa mi hai dato?-
London sorrise e disse allegramente, indicando il paracadute:- Arriva dagli sponsor, no? E non l’ho avvelenata né ci ho sputato sopra.- Si sporse un poco verso l’altro e disse con foce più grave e drammatica, molto teatralmente:- Se ti avessi voluto uccidere per davvero ti avrei lasciato morire ieri, con la freccia nella spalla.-
Ma Klaus era troppo abituato alle sue maschere per cascarci davvero. Afferrò il polso di London con uno strattone e glielo alzò davanti agli occhi, in modo che anche lei potesse osservare le dita sporche e appiccicose.
-Gli sponsor hanno mandato anche…- Avvicinò il naso alla mano e la annusò, aggrottando le sopracciglia. –della marmellata?-
London lo guardò sbattendo innocentemente le ciglia. –Non essere sciocco, Klaus. Non hai sponsor tanto generosi.-
-Viene dall’arena, puttanella?- Replicò l’altro, in tono calmo, inarcando le sopracciglia in un’espressione gentile. Tuttavia il modo in cui stringeva il polso della compagna e l’insulto tradivano il suo nervosismo. –Perché, sai, c’è una minuscola probabilità che quello che vedi sia avvelenato.-
London ignorò la stretta e si portò la mano libera alle labbra, con una finta espressione innocente e preoccupata.
-Dici davvero?-
Quello per Klaus sembrò essere troppo. I suoi occhi scuri si infiammarono di una rabbia cieco e le labbra si alzarono a scoprire i denti in un ringhio quasi disumano. London fece in tempo solo a capire che non l’avrebbe passata liscia che Klaus le si gettò addosso con tutto il suo peso, fregandosene della spalla ferita.
-Stai cercando di uccidermi, Bridge?!- Le tirò un pugno nello stomaco con il braccio buono, al quale la ragazza gemette, prima di divincolarsi quel tanto che le bastò per liberare le mani e artigliare ogni parte di Klaus che riusciva a raggiungere.
Quando riuscì ad arrivare al viso e gli affondò le unghie nelle guance il ragazzo gridò, con uno scatto le afferrò entrambe le mani e gliele tenne ferme sopra la testa.
-Che vuoi fare, Klaus? -Chiese lei a quel punto,  immobilizzata, guardando i solchi sanguinanti che aveva lasciato con le sue unghie. –Uccidermi?
Per tutta risposta il ragazzo si spostò, afferrò i polsi di London con una mano sola e con l’altra le tirò una sberla sul viso così forte che la testa di lei si rivoltò dalla parte opposta.
London per tutta risposta gli riservò uno sguardo innocente; ci teneva a farlo passare per il cattivo fino alla fine. –Ti ho solo dato da mangiare la cosa sbagliata. È stato un errore!-
Klaus ringhiò, frustrato. Sapeva che il tempo a sua disposizione  stava per scadere, quindi doveva sbrigarsi a vendicarsi.  Fece vagare lo sguardo per l’accampamento, alla ricerca del pugnale e non appena lo vide, con uno scatto della spalla ferita che gli fece lacrimare gli occhi, afferrò l’arma e la puntò alla gola bianca di London. Poi però notò la lama sporca di marmellata e cambiò idea: Lasciò andare i polsi della ragazza per stringere la mano intorno alla sua gola, quindi le avvicinò il pugnale sporco alle labbra.
-Sei finita, puttana.- Le disse.
Gli occhi di London si spalancarono. Osservò la lama e poi Klaus, e mentre la prima le si avvicinava sempre di più al volto cercò di colpire il secondo con le mani, graffiando la mano che le stringeva la gola, il viso del suo assassino e ogni parte che di lui riusciva a raggiungere.
Ma inevitabilmente la lama le toccò le labbra, le tagliò e le schiuse, così che la marmellata le arrivò sulla lingua e in gola.
Klaus rise. –Ed ora aspettiamo la morte insieme come i bravi fidanzatini che i nostri genitori avrebbero voluto che fo...- La voce gli morì in gola con un rantolo e London sgranò gli occhi per osservare meglio la morte della persona che odiava di più al mondo.
Ma l’attimo successivo Klaus era ancora lì, sopra di lei, vivo. E in quell’istante London capì che la sua voce era stata l’unica cosa a morire, quella mattina.
 

Ragazze di zucchero 

 
Quando Helle si risvegliò, la prima cosa che vide fu il volto sporco e sudato della ragazza che lo teneva tra le braccia, come fosse un bambolotto.
Aveva gli occhi di un caldo color castano e l’espressione gentile, Helle pensò che fosse carina, malgrado la ferita che aveva sulla tempia e il cioccolato che le si era incrostato su una guancia.
-Finalmente ci siamo svegliati.- Gli disse.
Helle arricciò il naso,  aggrottò le sopracciglia e gemette per il dolore che sentiva alla spalla.
-Dove…?- Iniziò.
-Al sicuro.- Gli rispose in fretta la ragazza. –Sei un mio alleato, ora.-
-Nostro.- La corresse una voce, da qualche parte alla destra di Helle. Con uno sforzo il ragazzino si voltò in quella direzione, dove un ragazzo più grande, coperto di tagli, a dorso nudo, stava riavvolgendo delle bende.
-Sono Ted.- Disse quello, quando si accorse di essere osservato dal nuovo arrivato. –Distretto sette.-
-E io Persephone.- Aggiunse la ragazza. –Stesso distretto.-
Helle annuì, quindi provò a tirarsi a sedere e Persephone, a cui stava in braccio, lo aiutò.
-Io sono He… Dee.- Disse una volta che si fu rimesso seduto. –Dal nove.-
-Piacere.- Commentò Ted. Helle non potè fare a meno di notare che sembrava divertito. Molto divertito.
Anche Persephone sembrò notarlo, perché strappò una manciata d’erba alla menta dal terreno e la lanciò al compagno. –Piantala adesso.- Sbottò, in un tono così diverso da quello che aveva usato per rivolgersi ad Helle che il ragazzino ne rimase disorientato.
-Come vuoi, come vuoi.- Concesse l’altro, mettendo via la benda ormai arrotolata.  Poi accorgendosi che il rosso lo guardava stranito aggiunse:- Percy si è dimostrata molto…-  Fece una smorfia, come se volesse trattenere una risata. –dolce, oggi, e per lei è insolito.-
Come a volerlo dimostrare la ragazza si mise le mani sui fianchi e strillò:- Non sono dolce!-
Helle la guardò con un sopracciglio inarcato e ricordando come lo aveva tenuto stretto disse, in tono sarcastico. –No, non sei per niente dolce.-
-Cos’è? Fate comunella voi due, ora?- Chiese, stizzita.
Ted rise ed Helle lo imitò, come a sottolineare che sì, facevano comunella.
Persephone  rispose lanciando loro addosso un’altra manciata d’erba.
 
 

Liquore alla ciliegia

 
Era ormai calata la notte sull’arena quando Artemide e Inglès trovarono un posto abbastanza riparato dove passare la notte.
Era un piccolo anfratto burroso tra i rami di un’enorme quercia di pane allo zenzero imbevuto di uno di quei liquori appiccicosi aromatizzati alla ciliegia, tanto grande che i due riuscirono ad accovacciarvisi insieme comodamente.
Avevano camminato per tutto il giorno, cercando di allontanarsi abbastanza dalla cornucopia e dai Favoriti. Fortunatamente non si erano imbattuti né in altri tributi, né in ibridi, ma per i secondi probabilmente era ancora troppo presto.
Nel complesso i due potevano reputarsi soddisfatti di come le cose si stavano svolgendo per loro.  Artemide aveva trovato un compagno accorto, che sembrava sapere quello che stava facendo e che sapeva che l’avrebbe protetta, com’era successo alla cornucopia. Del perché lo facesse non le importava granché, invasa com’era dalla soddisfazione: in fondo non si era sbagliata, perché essere ottimista l’aveva salvata comunque.
Per quanto riguardava Inglès, invece, la soddisfazione derivava dal fatto di essere riuscito a salvare la pelle della ragazza come si era prefissato, ed avercela come alleata si stava rivelando piacevole, dato quant’era loquace.
E poi era così ingenua e fragile che gli ricordava tanto le bambine della sua famiglia, quelle che proteggeva da tutta la vita. Mide, oltre a scaldargli il cuore, lo faceva sentire a casa.
Nessuno dei due avrebbe mai pensato che trovarsi nell’arena sarebbe stato tanto piacevole. Certo, entrambi sapevano che la cosa non poteva durare a lungo, ma nel frattempo si godevano il momento.
La cosa doveva aver colpito Capitol City, perché mentre camminavano ben due paracaduti d’argento avevano colpito la testa di Inglès, facendo ridere Mide di gusto.
Quegli stessi paracadute avevano permesso ai due di poter consumare una cena a base di gallette e acqua. Con tutti quei dolci intorno era una tortura, ma mentre chiacchieravano entrambi se ne dimenticarono in fretta.
A cena finita Inglès fece il primo turno di guardia, mentre Mide si rannicchiò su un fianco, appoggiando la testa su una radice dell’albero e addormentandosi con l’odore della ciliegia nel naso.
Inglès rimase seduto con la schiena appoggiata al tronco, protetto dalle radici, a giocherellare con la terra e ad osservare la ragazza che dormiva, con un’espressione felice anche mentre dormiva in un’arena piena di pericoli mortali.
Ad un certo punto della notte, però, dovette addormentarsi, perché fece un sogno molto strano. Innanzitutto era vivido e realistico come nessun sogno può essere, e in secondo luogo si trattava di qualcosa che aveva a lungo cercato di chiudere negli anfratti più remoti del suo subconscio, perché rivivere quella scena lo faceva stare male, immensamente male.
L’incubo riguardava la sua vita, molti anni prima, quando aveva ancora entrambi gli occhi e poche e rare cicatrici sparse sul corpo.
Il buco umido e sporco in cui era rinchiuso puzzava, le mosche ronzavano e si gettavano sui corpi addormentati come avvoltoi su una carcassa morta. Era mattina, molto presto, ma il caldo esalava dalle pareti di cemento rendendo i corpi sudati e appiccicosi. Inglès si ritrovò ad osservare la scena da un punto esterno, come se fosse un semplice spettatore. Vide la sua famiglia, Coline, Maria, Naoko, erano tutte lì, vicine e tremanti nonostante il caldo, come se stessero facendo un brutto sogno.
Inglès le osservò, sorpreso, intristito, arrabbiato e del tutto spiazzato come lo era sempre quando riviveva quei momenti.
Poi arrivarono le urla.
Girò la testa di scatto verso la sua destra, il punto da cui arrivavano e vide Alfred, chino su un corpo. Il ronzio degli attrezzi che teneva tra le mani era assordante come lo ricordava, le urla della sua vittima di turno ancora di più e la loro familiarità lo spiazzava enormemente: non erano le grida di qualcuna delle ragazze, ma riconosceva il suono di quella voce con chiarezza, eppure non riuscì a capire di chi si trattasse fino a quando non si avvicinò. In quel momento vide se stesso, steso sul lettino che aveva ospitato così tanta sofferenza. Urlava e scalciava come se non ci fosse un domani. L’Inglès cosciente indietreggiò, spiazzato, gli occhi sgranati, mentre la testa iniziava a ronzare. Sentì il sangue defluirgli dal volto e la bocca seccarsi. Sentiva di star per crollare alla vista di Alfred, mentre lo torturava, straziava e mutilava, eppure non riusciva a distogliere lo sguardo.
Dietro di lui Coline urlò qualcosa, ma Alfred non smise.
Quando il sangue sgorgò dal lettino e le braccia del se stesso del passato smisero di agitarsi e rimasero inerme e penzolanti dal telaio vuoto, Alfred si alzò. Inglès ricordava ogni particolare del suo volto straziato e sanguinante mentre attuava la sua vendetta, perché era così che lo aveva voluto ricordare, ma quell’Alfred pericoloso e forte era tutta un’altra storia.
Si girò verso il punto in cui era l’Inglès cosciente, e sorrise. I denti bianchi e splendenti brillavano minacciosi nella penombra della mattina, così come gli occhi, pericolosi come quelli di un rettile. Il ragazzo si sentì mancare, ma strinse i denti e tenne la testa alta, ricordandosi che, comunque, quel mostro era già stato sconfitto, quello era un sogno e Alfred non poteva fargli del male.
Poi, però, quando l’uomo portò indietro la mano e quindi scattò in avanti come se volesse lanciargli qualcosa e Inglès si ritrovò tra le mani qualcosa di umido e viscido che riconobbe come un occhio- il suo occhio- fu troppo. Cadde a terra e svenne, con il fetore dei corpi non lavati che si sovrapponeva all’aroma della ciliegia.
Si svegliò urlando a pieni polmoni, le mani gli sembravano ancora umide di sangue, la testa ronzava ancora e il cuore galoppava.
-Ehi, se non mi stordisci mi fai un favore, Angioletto.- La voce di una ragazza lo riscosse, Inglès pensò a Mide, ma quando alzò lo sguardo non era lei che si ritrovò davanti.
 
Angolo di Ted:
BAM! Colpo di scena finale. Volevo concludere tenendovi un po’ sulle spine.
Scusatemi se mi sono fatta attendere così tanto ma internet non dà segni di vita. Non so bene se sia colpa dell’ADSL non pagata o roba così. Comunque ora sono con la rete della mia adoratissima vicina, a cui dedico il capitolo. Ringraziatela, perché ho postato solo per un suo atto di misericordia.
Fatemi sapere come vi sembra,
Teddy

  
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