STREAPTEASE.
“764:
le truppe Tibetane occupano Chang'an,
la capitale della dinastia cinese Tang, per quindici
giorni.
1283: Gherardo da Camino diventa signore di Treviso.
1439: Plymouth (Inghilterra), diventa la prima città incorporata dal parlamento
inglese.
1918: L'Austria diventa una repubblica.”
Pansy Parkinson sbadigliò
dimenticandosi di mettersi la mano davanti alla bocca mentre scorreva la pagina
internet fissandola distrattamente, una mano appoggiata pigramente sul mouse e
l’altra che si riscaldava col tepore della tazza di caffèlatte delle quattro
del pomeriggio.
”Il 12 novembre è il 316° giorno del Calendario Gregoriano (il 317° negli anni
bisestili). Mancano 49 giorni alla fine dell'anno.”
Un
anno a dir poco deprimente, aggiunse nella sua testa, spegnendo il computer
insoddisfatta.
Uscendo dall’Internet Point si chiese se era veramente
arrivata ad un punto di autocommiserazione tale da passare il proprio
pomeriggio libero (a dire la verità, sarebbe più appropriato dire ‘uno dei tanti’: non è che tu abbia uno smodato bisogno – e
conseguentemente, nemmeno voglia – di lavorare, quando ai tuoi genitori i
galeoni escono dalle mutande come se avessero ingoiato i propri portafogli e si
fossero presi la dissenteria) in mezzo ai babbani.
Tutte le volte che camminava nella folla babbana le
veniva istintivo smettere di respirare. Nonostante cercasse (con non molta
buona volontà, comunque) di abituarsi, le faceva ancora abbastanza schifo non
stare sempre a contatto coi purosangue. L’unica cosa che riusciva a sopportare
del mondo babbano era l’Internet Point,
che nel mondo magico non esisteva.
E, non avendo assolutamente nulla da fare tutto il giorno, passava dal navigare
su Internet a guardare le vetrine – come una di quelle mantenute che riescono
inspiegabilmente a fare shopping con stivali tacco dodici e perizoma tra le
chiappe, solo che a lei mancavano gli stivali (oggi decoletées
tacco a rocchetto, che tranciano meno i talloni) e soprattutto le mancava il ‘mantenitore’ che non fosse interno alla piccola pregiata
cerchia Parkinson. E che non avesse un neo del
diametro di sei centimetri e mezzo proprio sotto la palpebra sinistra e l’alito
delicatamente cipollino (leggasi suo cugino Demetrius
– un metro e cinquantanove di ingiustificata vanità).
Il punto era che, ora che la nave Draco aveva
definitivamente preso il largo dal suo porto verso altri lidi (e qui leggasi
quella zoccola di sua cugina di quarto grado Rebecca Malfoy
– sfortunatamente un metro e settanta più circa otto isolati di gambe di pura
stupidità), era piuttosto sprovvista di sfoghi sessuali appetibili, o che non
richiedessero miserabili trucchetti erotici quali
bende/mascherine/cetrioli sugli occhi per potersi immaginare qualcun altro al
posto del discutibile soggetto che l’aveva faticosamente rimorchiata. E tutto
ciò poteva essere frustrante, specie se eri abituata che ti andasse di lusso –
nel caso qualcuno se lo sia mai chiesto, Malfoy non è
un nome, è una garanzia.
Girò l’angolo tacchettando sul cemento del
marciapiede, in un vialetto in penombra che portava al Paiolo Magico.
Programma: strip ginnastica (sua madre: “Come ‘perché ho fatto comparire un
palo al centro del tuo salotto’? Tutte le ragazze
della tua età ce l’hanno” e “Come ‘cosa ci fa quest’uomo
villoso nudo avvinghiato al palo’? Tutte le ragazze
della tua età hanno un istruttore di strip ginnastica, è l’ultima tendenza in
fatto di fitness. Pensavo fossi contenta. Come pensi di sedurre un uomo se non
hai un palo da strip-tease in casa? A proposito, hai richiamato Demetrius?”) e abbuffata di cioccolatini al peperoncino
sotto le coperte.
Si tirò un po’ giù le pieghe della gonna, mentre camminava: la portava da
quando aveva quindici anni, e forse ora che ne aveva ventuno era il caso di
smetterla, specie se doveva camminare nei vicoli bui ed insidiosi.
- Non è un po’ presto, per voi ragazze, a quest’ora?
– chiese una voce commiserevole alle sue spalle.
Pansy si voltò istintivamente, senza capire.
Le ci volle un po’ per riconoscerlo – o meglio, per restringere il campo ad almeno
due persone con la stessa fisionomia – e lo stesso valse per lui. Quando
entrambi ci arrivarono, si scambiarono sguardi un po’ schifati.
- Oh, Parkinson, sei tu. – fece George
Weasley, masticando un chewin-gum
rosa shocking e facendone un palloncino praticamente in faccia a lei.
Pansy lo fissò disgustata finché il palloncino non
scoppiò e lui riprese a masticare.
- E’ sempre un dispiacere fare questi nostalgici incontri, Weasley.
Anzi, mi stupisce che tu mi abbia chiamato, considerato che non ci siamo mai
nemmeno parlati. –
Lui inarcò le sopracciglia, allacciandosi la sciarpa sopra il cappotto.
- Questo è vero, ma in fondo è un po’ come essere vecchi amici; non ci siamo
mai parlati direttamente ma parecchio alle spalle, no? –
Pansy fece una risatina fredda.
- Questo è sicuro. –
Erano davanti al Paiolo Magico; Weasley aprì la porta
e Pansy fece un passo per entrare, ma lui la
precedette – è bello sapere che la cavalleria è morta anche nei ceti sociali
bassi.
- Comunque, lungi da me salutarti, Parkinson, ma non
ti avevo riconosciuta, pensavo… -
Pansy lo guardò diffidente mentre il ragazzo faceva
uno strano sorriso. Si era sempre tenuta lontana dai gemelli Weasley, e non solo per schifo. Lasciando perdere quei
patetici esemplari di Ron Nerd-is-cool
Weasley e Ginny La-do-via Weasley, doveva
ammettere che i gemelli la mettevano leggermente in soggezione; erano sempre
stati più somiglianti a dei Serpeverde di qualsiasi
altro Grifondoro avesse mai conosciuto. A volte se
non si riesce a dividere in categorie la gente, ti confondi.
- Ti avevo scambiato per una prostituta, conciata come sei. Oh, è uscito il
nuovo numero di Healthy Quidditch!
– esclamò candido fermandosi davanti ad un’edicola.
Pansy lo fissò, livida.
- Cos’hai appena detto? –
- E’ uscito il nuovo numero di Healthy Quidditch. –
- Stronzo! –
- Zoccola. – rispose con un sorriso mentre pagava la rivista all’edicolante
perplesso.
- Mi hai veramente… -
Poi però successe una cosa strana, perché si sentì d’improvviso la testa
leggera leggera, un forte senso di nausea che sul
momento attribuì alla vista dell’aria serafica di George
Weasley, il quale divenne sempre più scuro… o meglio,
tutto divenne scuro e poi, bum, non vedeva più nulla.
-
Ma tu guarda questa sfigata. Ehi, Parkinson, ti dai
una svegliata? Lo sai che mi hai fatto perdere una spedizione del negozio? –
Qualcuno la schiaffeggiò non troppo delicatamente.
Sentendo un gran male alla testa, Pansy aprì piano le
palpebre con le sopracciglia aggrottate. Si sentiva come quella volta che si
era accapigliata con Rebecca Malfoy: dolorante,
depressa e nauseata.
Non si sentì meglio quando vide la faccia scocciata di George
che la fissava impaziente. Dietro di lui un gruppo di persone dall’aria
preoccupata.
- Sarà il caso di chiamare un medimago? – chiese
qualcuno.
- Ma figurarsi, non facciamo perdere tempo prezioso ai professionisti. Questa è
più dura dell’acciaio. Vero, Parkinson, che stai
benissimo? –
Pansy si mise a sedere. Era sul marciapiede sotto gli
occhi di tutti i passanti. Che schifo e che vergogna. Avrebbe preferito non
risvegliarsi.
- Sì… cioè, mi sono solo dimenticata di pranzare. – borbottò.
- Visto? Mentre milioni di persone nel mondo muoiono di fame, questa si
dimentica di pranzare. Scorrere, scorrere, non c’è più niente da vedere. –
Una vecchietta lanciò un’occhiataccia a George. Pansy era troppo acciaccata per mettersi anche ad odiare
ulteriormente uno dei Weasley a caso.
- Dovresti accompagnare la tua amica a casa. -
- Quale amica? – chiese George, guardando pensoso la
signora. Lei ricambiò lo sguardo scandalizzata da tanta maleducazione. – oh…
immagino intenda la Parkinson. – si rivolse a lei. –
vuoi davvero essere riaccompagnata? –
Pansy ebbe appena la forza di alzare lo sguardo.
- Assolutamente no! –
- Visto? – sorrise George, affabile.
- E’ da irresponsabili lasciarla andare da sola, guarda com’è pallida –
insistette la vecchietta, che evidentemente non aveva altro da fare negli
ultimi anni della sua esistenza che rovinare i primi degli altri.
La signora continuava a fissare George come se si aspettasse
che cambiasse la sua espressione scettica, ed alla fine il ragazzo cedette.
- E va bene, che vinca pure la pubblica opinione, santo cielo. Giuro che non
l’aiuterò mai ad attraversare la strada, signora. – disse, afferrando Pansy per un polso (non troppo gentilmente) e tirandola su
di peso. La vecchietta lo fissò sgomenta. Pansy si
liberò della sua stretta energicamente, per poi barcollare all’indietro. George roteò gli occhi prendendola per un braccio e
sorreggendola alla bell’e meglio, e si avviarono giù
per la strada sotto lo sguardo indagatore della signora.
- E poi dicono che i vecchi non esercitano più la loro autorità! Quella è così
incattivita che sembra soffra di emorroidi da vent’anni,
cosa che probabilmente è. -
Pansy, rassegnandosi al fatto di non reggersi molto
bene in piedi da sola, trattenne una risata che le era inquietantemente venuta
spontanea.
- Allora, miss roviniamo una giornata economicamente perfetta, spero che casa
tua non sia lontana, perché non vorrei che le autorità mi scambiassero per il
tuo protettore. –
Pansy lo fulminò con lo sguardo.
- Io ti ammazzo, Weasley. E mollami il braccio. –
disse, a voce più bassa di quanto volesse.
- Sì, e con cosa mi annienti, con lo Svenimento Devastante? Sei proprio
viziata. E oserei dire simpatica come una Nimbus 2000
su per il retto. Oh, non dirmi che casa tua è questa. –
Il palazzo dove viveva Pansy era stato scelto da sua
madre. Parecchio pretenzioso, la sua entrata con gli stipiti laccati di bianco
fresco si notava lontano un miglio; sembrava uscito da una rivista di
paesaggistica. Sul primo campanello, troneggiava il suo nome in un delicato
corsivo dorato.
- Non salirai in casa mia. – sibilò Pansy, proprio
mentre salivano le scale.
George si guardava intorno schioccando la lingua con
disprezzo.
- E’ proprio il tuo genere, eh? – commentò, lanciando un’occhiata divertita ad
un serpente argentato ripreso sulle piastrelle di tutta la parete del corridoio
del primo piano, con effetto giramento di testa.
- Vaffanculo. –
- Oh, bonjour finesse! Ecco la tua adorabile porta,
con l’elegantissimo pomello a forma di faccia di pitone! Certo che a voi Serpeverde deve piacere molto il trash. –
Pansy non aveva parole per descrivere quanto volesse
spaccargli la faccia; così rimase zitta a bruciare, mentre infilava la chiave
nella toppa e si scrollava di dosso la mano di George.
- Bene, hai finito il tuo servizio da boyscout, Weasley,
addio. – fece per chiudergli la porta in faccia, ma lui la bloccò col braccio
destro, sgranando gli occhi, lo sguardo fisso al di là delle sue spalle.
- Oh-santo-Merlino! Dimmi che quello non è un palo da
spogliarelliste! –
In qualche modo riuscì a superare la sua barriera e Pansy,
ancora stordita, lo fissò attonita mentre avanzava al centro del soggiorno e
guardava il palo ad una certa distanza, come un’opera d’arte post-moderna.
- Questa è decisamente l’apoteosi del cattivo gusto. Caspita. Sono
davvero commosso. – disse George, gli occhi azzurri
ancora spalancati; scuoteva la testa incredulo.
Pansy si trascinò verso la cucina, prese una
cucchiaiata di zucchero dalla dispensa e la trangugiò.
-
Weasley, crepa. Ed esci immediatamente da casa mia! –
- Si possono fare fotografie? Se lo dico in giro non ci crederà nessuno, che
hai un palo in casa. –
Pansy, sentendosi leggermente meglio, strappò con i
denti la carta di una merendina al cioccolato e l’addentò rabbiosamente.
- Quello che ho in casa sono fatti miei – disse, a bocca piena, sputacchiando
cioccolata qua e là. – e tu, Weasley, non fai
decisamente parte di quello che dovrei avere in casa. –
- Cioè, ma fammi capire, Parkinson – esclamò George, senza dare minimamente cenno di ascoltarla. – tu ti
metti qui ed intrattieni gli ospiti, tipo? Ma non era meglio una scatola di
cioccolatini? – disse, ridendo da solo, sotto lo sguardo gelido di Pansy.
- E’ un attrezzo ginnico. – rispose, secca. Si pentì subito di averlo detto;
che diamine, pure se aveva un palo da streaptease in
casa, od un centinaio di cavallucci marini in un acquario, mica si doveva
giustificare con lui, che per di più stava sicuramente violando una qualche
legge sulla privacy.
- Ah, ma certo. – replicò lui, ridendo, allontanandosi per un attimo per andare
(senza permesso) nella dispensa e prendere una merendina anche per sé.
- Beh, Weasley, non mi stupisce affatto che la cosa
ti diverta – disse Pansy, rinvigorita dalla
cioccolata. – le uniche che sarai riuscito a rimorchiare saranno delle depresse
con le mutande di ferro e la fantasia erotica di uno stercorario. –
George masticò la sua merendina, pensoso.
- Uhm, no, non direi proprio. La chiamerei piuttosto eleganza. –
- Ed io la chiamerei frigidità. –
George la guardò con commiserazione e lei si sentì
avvampare dalla rabbia.
- Ti sconvolgerà saperlo, Parkinson, ma ci sono
uomini che non hanno bisogno di acrobazie da circo per essere ipnotizzati da
una donna. –
- Certo. E subito dopo ci sono i gay. –
George rise, per niente arrabbiato. Sembrava
decisamente impossibile scalfirlo. La cosa era talmente irritante che Pansy si scordò del fatto che doveva cacciarlo via.
- Fammi capire, tu vai solo con uomini che ti trovano attraente dopo averti
vista arrampicare su una sbarra? Più che ginnastica, mi sembra uno svilimento
gratuito. –
Lo avrebbe volentieri schiaffeggiato.
- Ma stai zitto, Weasley – sbottò Pansy.
– non mi dirai che non trovi la cosa attraente. –
- Te lo dico, eccome. E non trovo attraente nemmeno te. –
E chi se ne frega, brutto cafone! Avrebbe voluto urlare. Ma era talmente
furiosa e stanca di essere considerata non-attraente: e Draco
che la scaricava; e sua madre che le piantava in salotto un palo da zoccole ritenendola l’unica soluzione alla sua singletudine; e Demetrius neo-che-cammina Parkinson che
ormai la chiamava solo per fare sesso; e ora perfino George
Weasley che le sbatteva in faccia con aria
ingenua la sua mancanza di sex appeal.
Gli si avvicinò, minacciosa.
George smise di masticare, inarcando le sopracciglia.
- Beh? Vuoi lanciarmi una fattura? -
- Tu non mi trovi attraente perché sei abituato a delle sottospecie di donne
sexy quanto la McGrannitt tra le bolle di sapone, Weasley. Ma quanto ci scommetti che non sapresti più
riabituarti alla tua desertica vita sessuale, se avessi a che fare con me? –
George inarcò ancora di più le sopracciglia, ma non
parve particolarmente colpito; la guardò ancora con commiserazione.
- Oh, ti prego. Semmai è il contrario. Sei così disperata da provarci con me? –
Già, era così disperata da provarci con lui? Cioè, era in sé? Avrebbe
fatto meglio a darsi una calmata o l’umiliazione sarebbe stata inevitabile,
specie dato che lui non sembrava prenderla neanche lontanamente sul serio.
Ma la verità era che sì, era davvero così disperata. E pure un po’ sola. Tanto,
chi lo rivedeva più, George Weasley?
E chi gli avrebbe mai creduto, se lui lo avesse sbandierato ai quattro venti?
Lo guardò fisso e si sbottonò il primo bottone della camicia.
George incrociò le braccia con aria scientifica,
senza dire nulla.
Sì, beh, avrebbe anche potuto tentare di fermarla, razza di cretino! Al terzo
bottone cominciò ad arrossire leggermente. Non era mica più tanto convinta di
volerlo fare.
George aggrottò le sopracciglia.
- Tutto qui, Parkinson? Guarda che un reggiseno ce
l’hanno tutte. Ci vuole ben altro. –
Le si avvicinò all’improvviso, eppure lentamente; non le fu ben chiaro come
accadde. Le sue mani rimasero a mezz’aria, sul quarto bottone; si intravedeva
appena il pizzo nero della biancheria intima. George
la guardò dritto negli occhi, molto più intensamente di quanto avesse fatto
prima lei stessa; così intensamente che per un attimo, attonita, pensò di stare
per svenire di nuovo.
Diamine, che occhi azzurri. Se anche George Weasley fosse stato del tutto deforme, sarebbero bastati
quegli occhi per renderlo perfettamente appetibile. Il guaio, naturalmente, era
che non era proprio per niente deforme, anzi.
Pansy non poteva crederci, ma sentì distintamente una
scossa misteriosa lungo la schiena. Una scossa bella forte, di quelle che si
dovrebbero sentire se qualcuno ti tocca; eppure George
era fisicamente lontano da lei di almeno una decina di centimetri.
Poi, lui cambiò espressione, con un sorrisone trionfante.
- Oh, e chi è il migliore seduttore adesso? -
Pansy si riscosse.
- Cosa? –
- Non mi sono mosso, eppure ho visto la tua faccia. Visto che seduttore raffinato?
Altro che pali e trapezi. –
Pansy lo fissò schifata, indietreggiando di un passo.
- Non ho fatto nessuna faccia. -
- Dovevo fotografarti? –
- Piantala. Sei tutto tranne che un seduttore. –
- Piantala tu, Parkinson. Puoi avere tutta la
carrozzeria in regola, ma se non sai guidare la macchina, non ti serve ad un
bel niente. –
Pansy lo fissò con astio. Si credeva un gran figo, eh? Beh, lei pure non era da buttare via, oh. Era un dannatissimo Weasley,
andiamo! Era impossibile che fosse così inespugnabile. Era una questione di
orgoglio, ecco.
Si tolse rapidamente la camicia, rimanendo davanti a lui in reggiseno.
Umiliante, forse; ma non poteva essere non-attraente, di certo.
George la squadrò, critico, poi sospirò.
- Voi Serpeverde, che frettolosi. Giuro che non ti
capisco. Ma sei vissuta di sveltine, finora? -
Beh, più o meno, stronzo! Comunque, non glielo
avrebbe certo detto.
- Tu – continuò lui, incrociando di nuovo le braccia davanti a sé. – per me non
sarai mai attraente perché, te lo dico proprio spassionatamente, dai
l’impressione di poterti avere subito. E’ questo il tuo problema. Per me non
farebbe alcuna differenza se ti togliessi pure la gonna, perché ormai ti ho già
visto le mutande salendo le scale. –
Non si poté trattenere; lo schiaffeggiò.
Lui accusò il colpo, poi si voltò lentamente, massaggiandosi la guancia.
- Ma come, perfino il tuo pietroso cuore si scalfisce per questi commenti senza
importanza provenienti da una persona senza importanza, Parkinson?
Devi essere proprio triste. –
E se anche lo fossi?
Se fosse davvero triste non aver trovato nessuna scossa alla schiena nella
propria vita?
Se fosse davvero triste non sentirsi attratti né attraenti?
Se fosse davvero triste essere indifferenti a tutti e a se stessi?
Se fosse davvero triste trovarsi lì, mezza nuda, davanti ad uno pronto a riderti
in faccia?
Se fosse davvero triste sentire improvvisamente di starsi perdendo qualcosa.
Pansy resse il suo sguardo.
Era davvero triste, ma non una piagnona.
Le due cose erano ben diverse.
- Se vuoi, comunque, Parkinson, ti do in via
eccezionale un paio di consigli prima di andarmene e di non vederci fino
all’anno del Mai nel mese del Più. –
George, senza alcun preavviso, portò le braccia
dietro la schiena e si chinò paurosamente verso di lei; Pansy,
le sopracciglia aggrottate in un’espressione arrabbiata, rimase immobile mentre
lui appoggiava impercettibilmente le labbra sull’incavo sinistro del suo collo,
poco al di sopra della sporgenza della sua clavicola, tenendo però il resto del
corpo e le mani ancora lontani da lei. Non la stava baciando, ma il suo corpo
rispose entusiasticamente come se lo stesse facendo.
- Una cosa decisamente poco attraente – bisbigliò lui, la voce attutita dalla
sua pelle. – è la fretta. –
Pansy avrebbe proprio voluto scrollarselo di dosso,
buttarlo fuori e buttarsi sotto le coperte per vergognarsi di tutto ciò più o
meno in eterno. Ma cos’aveva da perdere?
Niente, in fondo aveva tempo di attutire la vergogna; si sarebbero rivisti solo
nell’anno del Mai nel mese del Più, no?
I capelli di George avevano un profumo rassicurante,
di quelli che se chiudi gli occhi riesci a immaginarti quanto serena e solare sia
stata la sua vita, di quelli che raccontano quella persona in un attimo.
Le sue labbra percorsero un immaginario sentiero sulla sua pelle fino al lobo
dell’orecchio; Pansy sentì a quel punto un brivido
tale che istintivamente alzò le mani per avvicinarlo; ma lui fu più veloce, e
stringendole i polsi la costrinse a riabbassare le braccia.
- Non c’è fretta. – ripeté lui.
Sì, va bene, ma un’urgenza è un’urgenza, diamine.
Le mani grandi e calde di George rimasero per diversi
istanti strette attorno ai suoi polsi; solo ad un certo punto, e ci mise un
attimo ad accorgersene, cominciarono a risalire le braccia, sfiorando il gomito
fino alle spalle. Si sentiva come se la sua pelle fosse un insieme di candele
spente e soltanto passandoci sopra la mano, George
riuscisse ad accenderle.
Il che, che cavolo, era assolutamente assurdo, perché, sveglia!, quello lì era
una Grifondoro, anzi, peggio, un Weasley,
orrore!, che non meritava nemmeno di respirare la sua stessa aria, figuriamoci
entrare nel suo spazio vitale.
La cosa un pizzico deprimente era che non riusciva proprio a collegare
ciò che il suo amato raziocinio le ordinava con le azioni, come una paralitica
persa; poteva solo stare lì ed ascoltare con un orecchio la sua mente
lamentarsi, e con l’altro il respiro leggero di George
nel silenzio del suo fino ad allora deserto appartamento.
Quando lui fece per tirare indietro il viso, allontanando le labbra, Pansy ebbe uno scatto istintivo e sfiorò con le labbra la
guancia del ragazzo; forse fu inaspettato perfino per lui, perché slacciò le
mani da dietro la schiena e le avvicinò pericolosamente alla vita nuda di lei,
per poi ritirarle all’improvviso e fare un passo indietro.
Pansy cercò di ricomporsi in un ghigno trionfante.
- Ah-ah. – disse, con la voce un po’ più roca di
quanto volesse.
George la guardò male, le iridi azzurre leggermente
assottigliate dalla dilatazione delle pupille.
- Sarà ora che vada. –
- Sì, proprio ora che stavo vincendo. –
Cosa, come, quoi? Ma che se ne andasse! Stava
tentando di trattenerlo?
Si sentì avvampare ma non distolse lo sguardo, osservando la sua reazione.
George inarcò le sopracciglia, un po’ confuso quanto
lei.
Non si capiva bene dove arrivassero le regole del gioco, a che livello questo
gioco fosse; e poi non era nemmeno tanto chiaro se fosse un gioco. Ma tra un’ex
Serpeverde ed un ex Grifondoro
non poteva andare diversamente.
- Vincendo? La prendi sempre sul piano competitivo, tu? –
Pansy annuì senza esitazione e lui per un attimo si
rilassò davvero e rise.
Oh-oh.
Sentendosi ipnotizzata come una specie di pitone, Pansy
utilizzò tutte le sue reminiscenze di vecchi tentativi seduttivi,
gli si avvicinò e prima che potesse parlare gli sbottonò i primi bottoni della
camicia.
Il sorriso di George si spense, alzò le mani per
fermarla, poi lei lo guardò e si fissarono, lui con le mani ancora a mezz’aria,
lei con le dita ancora intrecciate sul quarto bottone.
Rimasero così, senza dire nulla, respirando soltanto ed analizzandosi con un
po’ di diffidenza.
Pansy lo guardava e quasi riusciva a sentire i suoi
pensieri, ‘questo va contro la mia etica, ma ormai sono qui, perché non
approfittare di lei?’.
Beh, lei avrebbe approfittato ugualmente di lui: inutile ingannarsi, al momento
lo avvertiva più potente di una calamita.
Le mani del ragazzo si abbassarono, lentamente, tornando lungo i fianchi. Lei
sbottonò il quarto bottone facendogli frusciare un lembo della camicia; poi il
quinto, il sesto.
Esitò un istante prima di aprirla per scoprirgli il petto. George
fu più veloce, se la levò lentamente rimanendo a petto nudo: Pansy affondò le unghie nei palmi delle proprie mani per
impedirsi di toccarlo.
Lui non gettò la camicia per terra, inaspettatamente: la usò per circondare le
spalle nude di Pansy – che si sentì avvolgere dal
tipico tepore fresco della camicia appena utilizzata da un ragazzo, con un quel
buon profumo e quel rumore timido della stoffa leggera – ed usò le maniche per
avvicinarla di un passo a sé, baciandola sulla nuca, fra i capelli carbone
arruffati.
Finalmente portò le mani sulla sua vita, e già questo bastò a far tornare il
corpo di Pansy dell’umore entusiastico di pochi
minuti prima.
Le dita di George percorsero piano piano la sua schiena, ogni minimo centimetro, mentre la sua
bocca viaggiava da una parte all’altra del suo viso – ma mai sulle labbra.
Pansy osò toccargli il petto, sentendosi stranamente
inesperta, di fronte a lui, nonostante tutto ciò, nell’insieme, fosse più o
meno innocuo. La pelle di George era calda e morbida
come le sue mani: sembrava fatta apposta per essere toccata.
Le mani di George continuarono a vagare lungo la
schiena; ad un certo punto, notò Pansy, cominciarono
a spostarsi con maggiore frequenza sulla parte bassa del ventre, per poi tornare
frettolosamente indietro; i loro respiri cominciavano ad essere meno regolari,
e le labbra si avvicinavano sempre più spesso.
Ad un certo punto, George avvicinò pericolosamente le
dita al gancio del reggiseno di Pansy e le labbra
furono talmente vicine a quelle di lei che Pansy
pensò rabbiosamente di aver quasi creduto che si fossero toccate.
Lui la scrutò.
- Ma. – le disse.
Silenzio.
- Ma cosa? – chiese lei, ancora un po’ indispettita dall’improvviso
dietro-front della sua bocca.
- Non lo so. Ma c’è sempre un ‘ma’ a questo punto. -
Pansy ci rifletté vagamente su; strano che al momento
gliene fregasse ben poco, eppure era sicurissima che pochi minuti prima la sua
coscienza le avesse parlato: ora il silenzio nella sua testa era pressoché
totale, tranne i numerosi reclami perché non l’aveva ancora baciata.
- Sì. Dobbiamo parlarne proprio adesso? –
- Se non ne parliamo adesso, dopo non avrà più molto senso parlarne, ninfomane.
–
Pansy lo fulminò con lo sguardo. Aveva dimenticato
che al di là di… beh, tutto ciò rimaneva pur sempre un Weasley, o comunque uno che per vivere vendeva Caccabombe.
- Non fasciamoci la testa prima di essercela rotta. – disse in fretta Pansy, avvicinandosi leggermente a lui.
George non pareva molto recalcitrante, più che altro
sembrava cercare delle scuse sensate senza riuscirci, il che era snervante –
accidenti, quelle labbra dovevano essere proprio…
- Sì, ma anche andarla a sbattere volontariamente contro il muro… poi pensavo
di non piacerti. –
- Infatti non mi piaci. – rispose Pansy sbattendo le
palpebre seria.
- E’ una frase che stona un pochino con l’atmosfera o pare a me? –
- Senti, Weasley – disse la ragazza, spazientita,
portando le mani alla sua nuca per vederlo bene negli occhi. Okay, non era
stata una gran mossa: ora doveva solo ricordarsi come si coniugano i verbi
nella lingua parlata. – non facciamone una questione personale e basta. –
George la fissò.
- Non facciamone una questione personale. – ripeté.
- Ecco. –
- Mh. –
Pansy era determinata: si mise in punta di piedi, ma
poi lui parlò di nuovo.
- Mi sentirò in dovere di riparlarne comunque. -
Lei roteò gli occhi distrattamente.
- Va bene, va bene. -
E lo baciò e da lì in poi a nessuno venne più in mente di proferire parola.
Se le fosse mai capitato di sentire parlar male di George
Weasley in avvenire, si sarebbe senz’altro sentita in
dovere di spezzare una lancia a suo favore solo per come baciava.
Non aveva mai sentito niente del genere: era come andare in un parco dei
divertimenti senza pagare il biglietto. Senza file. Il giorno dello zucchero
filato omaggio. L’apoteosi del piacere.
Le cose in effetti cominciarono a farsi un po’ più movimentate; George aveva paventato tutto quel discorso sulla fretta, ma
ora sembrava gli fosse passato un attimo di mente.
In qualche modo finirono sul divano – Pansy si
affrettò a gettare via il pacchetto di cioccolatini al peperoncino incastrato
tra i cuscini mentre lui non guardava – ed in qualche modo lui si slacciò i
jeans e lei rimase avvolta nella sua camicia, mentre il suo reggiseno doveva
essere rimasto per terra da qualche parte – oh, al diavolo anche quello,
comunque.
Durante la sua discutibile vita sessuale fino ad allora, era sempre stata lei,
bene o male, a doversi ‘occupare’ dell’altro. Quindi
era comprensibile se adesso faceva un po’ fatica a contenersi con tutte le
attenzioni che George – mani, labbra, occhi – le
dedicava, che a lui dovevano apparire normali, per non dire doverose.
Quando lui le baciò il seno per l’ennesima volta cominciò a dubitare che
sarebbe riuscita a respirare ancora; quando la toccò con maggiore decisione
sotto il ventre, pensò ad un infarto. Il suo impianto cardiaco non avrebbe
retto, troppa caffeina ingurgitata negli anni di carenza sessuale; e ora
sarebbe schiattata prima di scoprire il resto.
Ovviamente il suo cuore resse – anche se aveva davvero dubitato, per un attimo
– ma c’era da dire che George sapeva quel che faceva
molto più di lei. Pansy tentava di ricambiare ma
sembrava quasi impacciata, come se lei stessa pensasse non fosse abbastanza:
eppure, lui sembrava gradire semplicemente la sua presenza, il che lo rendeva
ancora più sexy in senso stretto, purtroppo.
La sopportazione era ormai al limite e, quando ormai lei non se l’aspettava
quasi più, successe.
Si ricordava di aver pensato che baciarlo fosse l’apoteosi del piacere, ma
evidentemente per George Weasley
dovevano inventare una nuova scala di giudizio.
Era quella l’apoteosi.
Doveva
essere stato proprio un tour-de-force, perché di
solito non era il tipo di ragazza che si addormentava ‘dopo’:
era il tipo di ragazza che ‘dopo’ rimuginava su
quanto fosse schifosa la propria esistenza fumando sigarette puzzolenti e
bevendo litri di burrobirra corretto, una vera lady.
Invece eccola lì, al di fuori delle dimensioni umane di spazio e tempo,
addormentata da quando?, gli occhi fissi (un po’ increduli) su George che dormiva profondamente e sereno e soddisfatto
come se avesse appena bevuto un bicchiere di latte al miele.
Pansy prese la sua camicia e si alzò in punta di
piedi – da notare che nelle sue usanze tipiche sarebbe rientrato sbattere porte
e padelle per svegliare il malcapitato e cacciarlo in mutande sul pianerottolo.
George doveva averla infestata col suo virus di
(sospettava, falsa) innocenza.
Andò a bersi un bicchiere d’acqua (freddo) ed a passarsi un fazzoletto (freddo)
sul viso.
Inutile dire che la infastidiva non poco il pensiero della questione dell’anno
del Mai, mese del Più, ora che sapeva di tutto ciò.
Lo sbirciò dalla porta della cucina, mentre dormiva, meditando sulla
possibilità di stringere un accordo, chessò, un
contratto a tempo indeterminato, giusto così, in amicizia.
Lui aprì gli occhi senza alcun preavviso e la guardò. Si fissarono in silenzio.
Lui si guardò e notò anche i propri vestiti per terra. Tornò a guardarla.
- Mi sento usato. -
Le successe una cosa davvero strana, perché scoppiò a ridere, ma sinceramente.
- Ti ho usato, infatti. – disse, accendendosi con ostentata tranquillità una
sigaretta.
George le lanciò un’occhiata scettica e prima che lei
potesse dargli un’ultima occhiata nostalgica si rivestì. Le si avvicinò e Pansy, un attimo nel panico, si bruciò le dita con al
cenere mentre lui si riprendeva la propria camicia.
La ragazza riprese in fretta il proprio reggiseno da terra, riallacciandoselo.
Poi, George si voltò a guardarla, divertito.
- Prima… -
- Taci. -
- Ma… -
- No. -
- Devi ammettere che… -
- Scordatelo! -
- … ho vinto, eh! – e simulò un coro di tifosi in visibilio.
Pansy lo guardò con odio; poco a poco riusciva a
tornare alla normalità, anche se leggermente (solo leggermente) ammorbidita nei
suoi confronti; beh, per forza, l’aveva ‘salvata’ da
una serata wanna-be una noia mortale, perciò.
Sì. Ecco.
George Weasley si allacciò
l’ultimo bottone e si mise la giacca.
- Quindi, mi pare di capire che non ci dobbiamo nulla a vicenda. -
Lei distolse lo sguardo.
- Ovviamente. Oddio, se vuoi pagarmi, puoi. -
- E poi dici che non sei una mercenaria. Tanto te lo scordi, non ho un soldo al
momento; potrei pagarti in natura, ma in quel caso credo entreremmo in un
inquietante circolo vizioso. –
Pansy non poteva credere di averlo detto, eppure lo
disse.
- Beh… in fondo. -
George la guardò con aria interrogativa. Ovviamente,
ora non poteva più non-notare i suoi occhi azzurri.
- In fondo cosa? –
- No, dico, in fondo, sarebbe così terribile? – buttò lì, con aria
strafottente.
Ma allora era scema davvero. O ninfomane. O una ninfomane un po’ tocca.
Diamine.
George la scrutò attentamente.
- Sono una persona impegnata, sai? -
- Ma va? -
- Nonostante il mio aspetto da bello-e-povero, sono
un uomo in carriera. E tu non sei esattamente una che presenterei ai miei. –
- Non entrerei mai in quel cesso che dev’essere casa
tua a conoscere i tuoi pidocchiosi genitori! – esclamò Pansy,
schifata.
George chiuse gli occhi, sembrò contare
ragionevolmente fino a dieci e li riaprì.
- Mettiamola così: ti onorerò nuovamente della mia presenza, povera piccola
ragazza odiosa, quando ci sarà nuovamente un allineamento di pianeti simile a
quello di oggi, che dev’essere stato per forza il
motivo che ci ha condotti verso questo baratro imbarazzante. –
Aprì la porta, le fece l’occhiolino.
Poi George Weasley se ne
andò, nello stesso modo assurdo in cui era arrivato, cioè sorridendole in modo
scherzoso come se non si fossero odiati per anni.
Cioè, lei lo aveva sempre odiato seriamente; eppure non riusciva ad immaginare
che lui odiasse seriamente qualcuno. Quindi, magari, nemmeno lei, oh.
Di nuovo sola nel suo appartamento con il palo da strip-tease in mezzo alla
sala, oggetto rivelatosi incredibilmente e piacevolissimamente inutile, guardò
il calendario appeso alla parete con apprensione.
“Il
12 Novembre di quest’anno, Pansy
Parkinson compie ventuno anni.
Il 12 Novembre di quest’anno, Pansy
Parkinson ride per la prima volta e George Weasley si ricrede su
qualcuno per la prima volta.
Prossimo perfetto allineamento dei pianeti, 12 Novembre dell’anno prossimo.”
E
che cavolo, decisamente happy birthday to me.
End.
**
Sì,
ogni tanto mi faccio risentire! Queste tre righe per spiegare perché sono
sparita.__. Questa fic mi è
stata richiesta dalla Vally (Weasleygirl), oserei
dire l’iniziatrice del quantomai turbevole
pairing George/Pansy, per il suo diciottesimo compleanno (!) a Novembre.
Inutile dire che come al solito sono riuscita a fargliela avere solo come
regalo di Natale, ma vabbè.__. Immagino che alcuni di
voi mi odino perché sono mesi che non continuo Sole di mezzanotte._. Purtroppo sono in un periodo un po’ faticoso e
stancante e diciamo che l’esiguissimo tempo che mi
avanza quando non devo sgobbare come una macellaia alla fiera della porchetta,
cado stesa/fisso il vuoto riflettendo su quando avrò dal tempo, chessò, magari anche per spelucchiarmi
le sopracciglia che stanno assumendo una forma inquietante. In tutto ciò vi
assicuro che mi è stato impossibile riuscire anche ad aggiornare la fic, nonostante mi dispiaccia
tantissimo. Perciò, beh, volevo solo chiedervi di avere un po’ di pazienza e di
scusarmi.__. Odio le cose lasciate a mezzo ma per ora
non riesco a fare altrimenti.
Chiusa questa tragicomica parentesi, come ho già detto questa one-shot ha trovato uno spaziettino
nella mia vorticosa vita (!) perché era un regalo ed ho dovuto darle la
precedenza.
Ah, e se vi state chiedendo perché è così assurda, incolpate la Vally, che è
fatta su misura per lei!XD
Doveroso dire che se avete bisogno di qualcosa, mi trovate qui -> http://midnightsun.altervista.org
, di cui ovviamente è webmistress la Vally medesima
(attenti, quella è come la birra all’Oktoberfest,
ovunque).
A presto!
Miwako__