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Autore: absolution    06/07/2013    2 recensioni
Eppure Dom un giorno glielo aveva detto.
"Matt, io ti amo."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Dominic Howard
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Rettangoli illuminati si riflettevano sulla lunga vetrata della stanza numero 2234 dell’Hotel Belle Veu, e anche gli occhi cerulei di Dom facevano lo stesso. Sembrava gli dicessero di smetterla di drogarsi, di rovinarsi, di rimpiazzare quelle sue mancanze con quella merda; invece il suo cervello, il suo corpo, i suoi nervi ne volevano ancora, ancora, e ancora, ma la sua anima, che forse anch’essa si stava dimostrando in quello specchio, non privo, di certo, di perturbazioni, gli urlava che ormai si vedeva, no, si giudicava al primo colpo, che lui fosse un drogato.
Ma Dom non voleva recepire tutti quegli avvertimenti, e continuava a farsi del male.
Si sdraiò sul divano, pensando al prossimo concerto, al prossimo stadio e ai prossimi fan.
Certe volte lui stesso voleva essere un fan; lì, in prima fila, con le transenne quasi a rompergli le costole.
Lo voleva, perché così poteva ammirare Matt senza vergogna, fissarlo negli occhi e forse farsi notare da lui, per toccare la sua mano.
Oh, quelle sue mani lunghe e affusolate, le adorava.
Adorava tutto di lui. Lo desiderava.
Lo desiderava perché, ormai, Dom era stufo di baciare labbra troppo rosse, di guardare occhi troppo puliti di suoi ricordi, di toccare petti troppo abbondanti.
Dom voleva quelle labbra sottili, voleva quegli occhi color mare in burrasca, voleva quel collo da stringere appena, mentre si soffermava sul sapore di Matt.
Lo voleva ancora, anche se aveva il cuore spezzato, le ali rotte e gli occhi stanchi…
Eppure, una volta glielo aveva detto.
“Matt, io ti amo.”
“Ti amo anche io, fratellone!”
Fu come lo stridio delle unghie sulla lavagna.
“E amo anche quelle!” Matt indicò le dieci bottiglie vuote di birra sul tavolo, poi si sedette e crollò sul divano.
Il battito di Dom si fermò.
Si fermò come l’ultima nota, l’ultimo “dong”, a fine canzone.
 Eppure aveva scelto la batteria proprio perché amplificava il battito del suo cuore.
Ogni battito era una nota che non smetteva di comporre una melodia.
Ma, da quel momento, ogni pezzo della batteria era stato distaccato l’un l’altro, e quello che ne usciva fuori  era solo un flebile ticchettio di bacchette che sembrava facessero iniziare un’altra canzone, ma che, invece, segnavano solo i secondi passati.
E, ormai, il tempo non era più una costante per Dom.
Si alzò; guardò ancora fuori dalla vetrata: la maggior parte delle luci era spenta e i rumori erano diventati  meno intensi; un po’ come lui.
Dopo fissò la sua figura riflessa.
E poi voltò lo sguardo su l’ultima riga, già preparata, sul tavolino di cristallo della stanza 2234 in quel grattacielo a New York.
   
 
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