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Autore: RobyWiccan    06/07/2013    5 recensioni
Questo è il primo capitolo di una FanFiction che vede come protagonisti Billy e Teddy, con l'unica particolarità che non hanno nulla a che fare con l'universo Marvel.
Billy è un ragazzo che non ha mai conosciuto suo padre e la cui madre è misteriosamente scomparsa tempo fa, lasciandolo con un tutore che potremmo associarlo al patrigno di Percy Jackson (per chi ha letto la saga). A scuola è il tipico sfigato emarginato mentre a casa viene costantemente picchiato dal patrigno.
Teddy al contrario è popolare a scuola, è un campione della squadra di football, vive nei quartieri agiati con degli splendidi genitori. Eppure nessuno sa che gli piacciono i ragazzi, e ha paura di quello che succederebbe se dovesse scoprirlo qualcuno.
Due persone tanto diverse non hanno molte occasioni di incontrarsi, eppure una di queste è anche la più strana e inaspettata..
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Billy Kaplan/Wiccan, Teddy Altman/Hulkling
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Una mattina di primavera. Il classico scenario da film hollywoodiano con giovani passerotti che si rincorrevano cinguettando tra le fronde scosse da un leggero venticello. Una piccola stradina con poche macchine, solo quelle che si sentivano dalla più trafficata via laterale, sembrava quasi deserta tranne per qualche ragazzino che passava in bicicletta a buttare il giornale. Tante piccole casupole si susseguivano per la strada, l'una accanto all'altra. Ma ce n'era una in particolare che sembrava la più bella di tutte. Una casetta bianca, con un piccolo portico davanti al quale si trovava un giardino ben tenuto. Tutt'intorno alla casa correvano delle aiuole fiorite, di mille colori vivaci. Ed è proprio lì che un piccolo bambino giocava con il tubo dell'irrigazione. Avrà avuto sì e no dieci anni, forse anche meno. Un piccolo berretto bianco lasciava sfuggire dei piccoli ciuffi mori ribelli. Dovevano essere il frutto di un vano tentativo di metterli in ordine.

 

"William, vieni qui dai!"

 

Il piccolo volse due grandi occhi color cioccolato in direzione di quella voce calda e dolce sorridendo. Posò il tubo e corse verso la donna in ginocchio. Il cappello volò via in terra mentre correva. La donna sorrideva davanti a delle ortensie, evidentemenete aveva appena finito di sistemarle e posato la paletta da giardino. La luce che passava attraverso le fronde dell'albero illuminavano i capelli lunghi e li facevano sembrare quasi vivi mentre tendeva le braccia per accogliere il bambino. Questo ci si buttò a capofitto e la strinse forte.
"Mamma!"
Ognuno di loro aveva un tesoro tra le braccia ed entrambi lo sapevano fin troppo bene. Wanda Maximoff non poteva essere più orgogliosa di quel bellissimo figlio e lui non credeva potesse esistere una donna più bella e dolce di sua madre. Appena si guardarono negli occhi poi sembrò che il paradiso dovesse impallidire al confronto. Pareva che il mondo esplodesse di vita ai loro sorrisi, i loro occhi che si incontravano erano quanto di più bello potesse mai esistere.

BILLY!”

Quell'urlo fermò tutto. Una porta si aprì è l'incanto s'infranse come uno specchio rotto. Lui rovinava sempre tutto.

 


Mi sveglio di soprassalto. Forse è stato un sogno, ma sono sicuro fosse un ricordo, un ricordo bellissimo. Ma la dura realtà al momento mi sta trapanando i timpani dal piano di sotto e la sveglia non può nemmeno sperare di competere. Il mio patrigno (mia madre non avrebbe mai potuto sposare un simile essere) sta imprecando con la sua voce fastidiosa e gracchiante.

Getto le coperte in fondo al letto e filo in bagno. Accendo la luce e alzo lo sguardo allo specchio. Il ragazzo che mi guarda nel riflesso è un giovane moro, asciutto, non eccessivamente alto e con il fisico magro. I muscoli sono esili e affusolati, diciamo che sono sufficientemente atletico da non sembrare una vera e propria mozzarella. La carnagione è pallida e tratteggiata da evidenti segni di botte che si intravedono su tutto il torace e le braccia. Avvicino il viso allo specchio a contemplare più da vicino con due occhi lucidi e marroni un piccolo taglio sull'arcata del naso. Non è profondo né tanto meno esteso ma sulla pelle risalta rendendolo molto evidente, troppo evidente. Mi sembra di essere uscito da una clinica per malati mentali così provo ad abbozzare un sorriso. Il risultato è tanto pietoso e patetico che lo copro velocemente con una maglietta nera e spegnendo la luce. Non ho voglia di guardare oltre quello spettacolo. La porta si chiude con un tonfo.

Giù il vecchio ha smesso di urlare. Nel salotto aleggia una puzza tremenda di alcol e droga. Un vero e proprio schifo, come lo stato in cui è la casa in generale. A dir poco pietoso. “Letamaio” sarebbe alquanto riduttivo come aggettivo. È un miracolo che non ci siano gli scarafaggi o i topi in giro.

Una volta non era così. Dalla cucina usciva sempre un po' di musica e le finestre erano sempre aperte in modo che il profumo di fiori e la musica si mescolassero. Ora erano chiuse, sporche e con le tendine tirate. Sceso dalle scale evito accuratamente di guardare in direzione della causa di tutto quel caos. Ora sta guardando programmi spazzatura alla TV, spaparanzato sopra un divano sporco e scucito. Non posso fare a meno di associarlo ad un maiale. Entro in cucina e apro lo sportello del frigo. Basso e sporco, semivuoto. Ci sono praticamente solo lattine di birra, pancetta, un barattolo di olive vuoto per metà, altri barattoli e alcune uova. Dalla credenza, che pure non compete per abbondanza, tiro fuori un pacco di cereali decisamente anonimi, per il resto è quasi vuota. Mangio in fretta, non vedo l'ora di andarmene da quello schifo. Buttata la tazza sporca nel lavello prendo la borsa a tracolla e filo a passo svelto verso l'uscita mentre la voce lamentosa riprende a mugugnare. Mi gira solo un'ultima volta per dare un saluto alla vecchia all'unica cosa che mi è rimasta di mia madre, la casa in rovina. Ricordo ancora quando le pareti erano bianche e dipinte di fresco e tutto intorno l'odore di fiori la rendevano perfetta.

Ciao mamma..”

La Abraham Lincoln High School non è troppo lontana, basta percorrere la Neptune Avenue e si può già scorgere il campo da football prima di girare nella Ocean Parkway. Qui mi attende il mio comitato di benvenuto. Le cheerleaders all'entrata, o almeno quelle che mi notano, e, credetemi, sono veramente poche, mi guardano con occhi vagamente schifati, poi tornano a chiacchierare sull'ultimo pettegolezzo come se niente fosse. La scuola rimane comunque un paradiso rispetto a casa. Lì non è mai cambiato niente, i ricordi non mi assalgono quando passo nei corridoi o durante le lezioni. È sempre stato così.

Oh, eccoli. Con il loro grande strascico di gloria e ragazze.”

Dico tra me e me mentre le majorette si avvicinano ad alcuni giocatori della squadra di football come mosche sulla frutta marcia. Lo trovo vagamente disgustoso così cerco di non pensare alla giornata terrificante che mi si prospetta e filo velocemente in classe. Sembro un paria quando attraverso la stanza. Scivolo nel banco meno in vista, magari uno attaccato alla parete, e tiro fuori il necessario. Una penna e un quaderno con il mio sopra, Billy Kaplan.
Solo mia madre mi chiamava William e non voglio che lo faccia nessun altro. Questa è anche l'unica sorta di accordo che c'è tra me e il mio patrigno. Il cognome è quello del padre che non ho mai conosciuto. Mia madre diceva sempre che era un uomo bellissimo e dolce, proprio come me. Che quando sarei cresciuto sarei stato esattamente come lui.

L'insegnante entra in classe e comincia a spiegare. Mi reputo abbastanza intelligente ma nelle lezioni non eccelgo, cerco il più possibile di mantenere un profilo basso e non farmi notare. Perfino i professori si astengono dal rivolgermi la parola se non è strettamente necessario. In ogni caso non mi sforzo, potrei fare molto di più ma mi limito a quello che basta a prendere un buon voto, che mi impedisca di venir bocciato ma che non mi faccia spiccare come genio. Perdere l'anno è fuori questione, finire gli studi potrebbe essere l'unico modo per poter smettere di lavorare per il mio patrigno, il lavoro che vuole che io faccia. Mi hanno consigliato molte volte, alcuni professori, di andare dal consulente scolastico. Mi sono sempre rifiutato. Meno sa la gente di me e meglio è per tutti. Nessuno ha voglia di avere a che fare con uno sfigato come me, per di più gay. Questo però nessuno lo sa e prego Dio o chi per lui che nessun altro lo venga mai a sapere. Già con il tutore è stato un errore, gli aveva solo dato un'altra possibilità di rovinarmi la vita, meglio che non lo sappia nessun a parte oltre ai miei.. Clienti.

Mentre cammino nel corridoio un ragazzo mi distoglie da questi pensieri tirandomi una spallata tale che manda a terra me e tutti i libri che tenevo in mano. È il numero 27 della squadra di football, uno dei ragazzi più in vista della scuola. Questi scoppia a ridere, fiero della sua impresa, senza nemmeno guardarmi in faccia.

Greg, piantala!”

Il suo compagno, il numero 55 lo riprende. Io non dico niente, non li guardo nemmeno. Prendo le mie cose senza alzare lo sguardo, la campanella suona e io mi immetto nel fiume di gente che sta uscendo. Adesso sono libero di tornarmene a quell'inferno che non ho il coraggio di chiamare “casa”.

Arrivato finalmente in camera mi siedo alla scrivania. In un paio d'ore ho finito tutto mentre sgranocchiavo qualche cracker, a dimostrazione del fatto che se mi impegno posso fare di più. Cerco di non pensare a nulla per il resto del pomeriggio. Magari scrivo qualcosa, faccio la spesa con i pochi soldi che avanzano, oppure disegno un po'. Non sono un vero e proprio artista, ma me la cavo. Quando ho esaurito le idee mi butto sul letto e guardo il soffitto, con le cuffie attaccate.
Alla fine della giornata vengo interrotto. Il cellulare vibra leggermente sul letto e così mi alzo togliendo le cuffie, rassegnato. Il messaggio è praticamente lo stesso ogni volta, cambia solo l'orario e la persona. Mi alzo e torno di sotto, infilandomi la giacca mentre scendo le scale. Prima di chiudermi la porta alle spalle mormoro solamente una piccola frase.

Vado a lavoro..”

 


La sera prima nel campo di football della Lincoln Theodore “Teddy” Altman recupera la palla ai margini della mischia e scatta, inserendosi a fondo nella metà campo avversaria ed evitando abilmente due cariche avversarie. La piccola folla di Lincoln avverte un brivido di aspettativa che scuote tutte le tribune perché il numero 55 ha tutte le carte in regola, velocità e potenza, per arrivare fino in fondo. Si avvicina sempre di più, venti, dieci, cinque iarde ed è fatta! Ma all'ultimo secondo un placcaggio del più grosso degli avversari, che lo supera di una buona spanna, lo manda dritto a terra mentre il giocatore avversario, detto “Golia” lo copre alle telecamere della TV con la sua enorme mole. L'arbitro interviene, la folla urla indignata mentre Altman viene liberato dalla massa di giocatori e la palla si scopre oltre la linea! La folla è in visibilio e un urlo fragoroso si leva unanime da tutti i tifosi del Lincoln che si alzarono dalle tribune come una gigantesca onda, cercando di correre a bordo campo per applaudire il campione che ora veniva portato in trionfo dai suoi compagni di squadra.

 


Sto aspettando dietro al NetCost Market, sotto il cavalcavia, mentre un treno passa sferragliando a tutta velocità con un gran clangore metallico. Le luci del negozio rimangono sempre aperte fino alle dieci, il che significa che sono chiuse già da un pezzo. In ogni caso la luce dei lampioni della ferrovia sopra bastano ad illuminare discretamente la zona. Quel tanto che basta per farsi vedere solo da gente che sa dove trovarmi.

 

Se quel cretino non si decide ad arrivare giuro che me ne torno a casa.”

 

Sbuffo, ma ci ripenso subito dopo tastandomi la piccola cicatrice sulla testa, poco sopra la nuca. Non voglio che si ripeta quello che è successo un paio di anni prima, in coincidenza con l'inizio del mio discutibile “mestiere”. Da quanto tempo lo faccio? Un sacco. Nemmeno mi ricordo più quanto. So solo che serve a portare a casa i soldi necessari per pagare bollette, cibo e la droga di McLowes. La mia casa, la droga del patrigno.

Quando mia madre se n'è andata, mi sembrano secoli, il testamento indicava che tutti i beni appartenuti a mia madre ora appartenevano a me, la casa in primis. Non al patrigno, lui era solo il compagno, il mio tutore, ancora non posso credere che mamma convivesse veramente con un uomo del genere. Sicuramente era per prendersi cura di me, lui era solo il tutore legale e non aveva praticamente nessun diritto su quella casa. McLowes, lui è l'avvocato che doveva occuparsi della mia sorveglianza. Questo perché il vecchio aveva già precedenti per possesso di droga e cose del genere, ottima idea affidarmi a lui, sarei stato meglio da solo, ma al tempo ero troppo piccolo. Gli avevano dato la libertà vigilata per potersi prendere “cura” di me e appena scontata la pena aveva ricominciato, più bisognoso che mai di quella dannata polvere degli angeli o come la gente si divertiva a chiamarla. Quel cosiddetto avvocato era l'unica persona che poteva procurargliela. Nemmeno lui era uno stinco di santo, era stato ben felice di prendersi la briga di fargli da spacciatore privato. Dietro lauto compenso ovviamente. Compenso che ovviamente il sottoscritto deve procurare, pena le botte. McLowes prende i soldi volentieri in cambio anche del silenzio con le autorità. Me lo immagino già, tutto impettito a fare il suo rapporto mensile o quel diavolo che è, sorridendo con quella sua faccia pomposa del cazzo e i suoi dannati baffoni da tricheco a dire al giudice che andava tutto a meraviglia mentre io a casa sputavo sangue dalle botte. Il sistema perfetto, a miei danni.

 

E io mi prendo legnate per gente come questo deficiente che non si decide a farsi vedere?” Dico sputando a terra.

 


La sera, subito dopo la vincita, è grande festa giù alla NonStop, la discoteca più popolata da adolescenti stracotti di chimica della città, quel genere di posti dove puoi ritrovarti incinta e devi indovinare tra cinquanta persone chi sia il possibile padre. Sono ancora elettrizzato dalla vittoria ma mi limito alla birra, anche se sto eccedendo pure in quella visto che mi scappa da morire. Mi guardò intorno tra le luci giallo, verde, blu, magenta che si susseguono a ritmo incessante e mi sembra di riconoscere qualche mio compagno. C'è chi scompare in qualche angolo più buio insieme ad una ragazza sempre diversa per una sveltina. Chi a vomitare fuori in mezzo ai cespugli. Chi a farsi strisce di coca o ecstasy o non ho idea di cosa sia sui tavoli sparsi. Chi è già a vaneggiare su vibrazioni positive nell'aria. Scivolo fino al bagno per scaricare la vescica, è il classico cesso. Scritte ovunque risalenti forse anche alla prima apertura del locale. Frasette d'amore scontate e altre cavolate. Con un mezzo sorriso, forse dovuto anche alla quantità d'alcool che ho in corpo, alzo lo sguardo alla lampadina piena di ragnatele intorno alla quale volavano dei rumorosi moscerini. Mi illumina gli occhi azzurri e devo sbattere le palpebre per il fastidio che mi dà. Le pupille continuavano a restringersi ed allargarsi, devo fare veramente impressione. Quelle luci stroboscopiche mi hanno spappolato il cervello.. O forse qualche qualche mio compagno mi ha appena messo mezza dose di acidi nella birra.

Tirata l'acqua mi accorgo di una piccola scritta dietro la catenella: numero di cellulare e la classica scritta che tutti i giovani si divertivano a scrivere sul retro dei sedili degli autobus dopo essere stati lasciati dalle rispettive fidanzate. La classica promessa di una “serata interessante” da passare con qualche sconosciuto.

Che gran cagata.”

Penso con una mezza risata ma rileggendo mi accorgo che è più che chiaro che il cosiddetto sconosciuto accetti solo clientele di tipo maschile. Subito capsco il senso della scritta e per poco non mi strangolo con la saliva. Ho sempre saputo di avere interessi “diversi” dagli altri miei compagni, sempre a sbavare dietro alla puttanella di turno. Mentre io ho sempre cercato di non far scoprire a nessuno quali fossero i miei interessi in fatto di relazioni. Molte ragazze mi ronzano spesso intorno ma ho sempre cercato di allontanarle. Non oso immaginare quello che succederebbe se qualcuno scoprisse che mi piacciono i ragazzi. Quella possibilità così semplice, quasi troppo, mi mette in difficoltà. Sbatto le palpebre con forza. La scritta se ne sta ancora lì, dietro alla catenella ciondolante. C'è una vocina dentro di me che continua a parlarmi.

Andiamo Teddy, è un'occasione unica. Sei adolescente, nessuno te ne fa una colpa. Nessuno lo verrà a sapere. Chi vuoi che lo scopra? Andiamo che vuoi che sia? Ti meriti un piccolo premio per la vincita, dopotutto.”

Sarà l'agitazione. Sarà la vincita. Sarà l'alcool. Sarà l'acido. Si dà il caso che, preso il cellulare digito il numero con un breve messaggio.

"Alle 11, ci stai? Dove ti trovo?"

La risposta arriva dopo pochi minuti.

"Dietro al NetCost Market, sulla W 6th St. Ci vediamo."

Uscito dal bagno mi perdo di nuovo nella folla che balla in preda ad una nuvola di chimica pura, musica spacca timpani e luci stroboscopiche. Del messaggio quasi mi dimentico, me ne ricorderò ben dopo, magari la mattina con un mal di testa da panico.

 


Il freddo sta diventando insopportabile, e non siamo nemmeno in inverno. Mi mordo le labbra al pensiero di dover tornare a casa senza i soldi per il patrigno. La cicatrice sulla nuca sembra quasi pulsare risvegliando vecchi, orrendi ricordi. Mi tornano prepotenti alla mente e a volte non posso fare nulla per togliermeli dagli occhi.

McLowes era venuto a casa per parlare con il vecchio, si erano salutati come dei vecchi amici e il patrigno mi aveva urlato di sparire con un calcio. All'epoca ero poco più di un ragazzino, tredici anni o poco meno. Filai in cima alle scale tra gli sghignazzi dei due uomini. Rimasi in cima, sul pianerottolo, ad aspettare che se ne andassero enrambi, come facevo sempre in queste situazioni. Ma poco dopo, sempre con la sua voce gracchiante, il vecchio mi aveva chiamato giù e l'avvocato aveva cominciato a parlarmi. Non mi aveva invitato a sedermi, in casa mia. Aspettavo in piedi e ora mi guardava con i suoi piccoli occhi lucidi e la faccia arrossata e sudata per un bel po' di vino bevuto prima.

Tu sei William, vero?”

No, Billy.” Doveva averlo letto sui miei documenti, il mio nome ufficiale. Nessuno poteva chiamarmi con quel nome se non mia madre. Nessuno mi ha mai chiamato così tranne lei ma rimasi comunque intimorito mentre il mio patrigno sbuffava infastidito da questa apparente sottigliezza.

Bene.. Billy, il tuo patrigno e io abbiamo chiacchierato un po' prima. Riguardo a te." Continuò McLowes. A lui serve una cosa che solo io posso dargli, mi segui?” Annuii. L'avvocato quella volta mi sembrava una specie di grasso tricheco e continuo ancora a vederlo in quel modo dopo tutti questi anni.

Bene, ora, sai che il tuo tutore non ha un lavoro vero? Beh, noi crediamo che tu sia abbastanza grande per lavorare. E il genere di lavoro che lui ha in mente per te è questo..” E mi fece segno di avvicinarmi.

Quando me lo disse all'orecchio mi ritirai inorridito. Cominciai a dire che era fuori questione, che non l'avrei mai fatto. Guardai il patrigno, schifato, sapevo benissimo che l'idea era partita da lui. Era la peggior punizione possibile per me. Dissi che erano pazzi e feci per andarmene. A quel punto il vecchio si alzò di botto e mi si scagliò addosso, prendendomi per la maglia e gettandomi sul tavolo davanti agli occhi porcini e stupiti di McLowes e facendo cadere tutti i bicchieri in frantumi. Molti mi graffiarono, sembrava di avere mille aghi infilati nella schiena. Cercò di strangolarmi tant'era sbronzo ma non dubito che lo avrebbe fatto volentieri anche da sobrio. Cercai di di spingerlo via con i piedi e a quel punto il vecchio non ci vide più. Mi scaraventò contro i mobili della cucina, inciampai e presi lo spigolo del lavandino dritto sulla testa, non ricordo di aver mai perso tanto sangue in vita mia. Mi sembrava di vedere rosso ovunque ed ebbi incubi per parecchi giorni. Vedevo solo la sagoma confusa di un uomo. Quel bastardo di McLowes ci aveva messo un'eternità a capire che il tutto non era uno scherzo, mi guardava con i suoi dannati occhietti da tricheco. Alla fine erano stati i vicini a chiamare l'ambulanza per via dei rumori. I due avevano finto di essere appena tornati dopo una passeggiata e di aver trovato la porta aperta, dissero che probabilmente erano stati i ladri. Nell'ambulanza c'erano solo loro dietro e in un momento di lucidità ricordo di averli sentiti parlarmi. Sembravano molto agitati, ma non lo erano per me.

Non dirai niente, hai capito? Nessuno lo deve sapere. Nessuno. Non dirai niente.”

Sebbene siano passati quasi tre anni quel ricordo ancora mi spaventa a morte. Sto cominciando a diventare veramente nervoso. Mi immagino già di tornare a casa con lui che si aspetta i soldi. Mi sembra di sentire la testa pulsare ancora mentre un uomo mi parla. Ho la nausea.

Mi giro con gli occhi sempre più lucidi sperando che la macchina si faccia vedere il prima possibile. Quando però vedo due fasci di luce gialla di un Pick Up scuro comparire dietro una delle grandi colonne di ferro mi lascio sfuggire un gridolino di sollievo e mi affretto ad asciugarmi le lacrime di nervosismo che avevano minacciato di uscire da un momento all'altro.

 


Quando mi avvicino alla figura davanti a me le mani mi sudano per il nervosismo e tenere in mano il volante è una vera e propria tortura. Continuo a pensare a questa mattina, quando mi sono svegliato con un mal di testa incredibile e ho trovato la conversazione della notte prima. Nemmeno ci credevo di aver fatto una cosa simile. Eppure il messaggio era lì, ed ora io sono in macchina. Il mio Pick Up che, i miei genitori, madre avvocato e padre medico, mi hanno regalato e continuo a pensare.

Perché ho mandato il messaggio? Ma soprattutto.. Perché non sono rimasto a casa!?

Appena mi avvicino alla sagoma scura del ragazzo ho l'impressione di averlo già visto da qualche parte ma nel momento in cui apro i finestrini mi rendo conto è proprio un mio compagno di scuola! E' lo stesso che Greg ha colpito stamattina. Non sono sicuro di come si chiami, non ci ho mai fatto troppo caso. È il tipico sfigato che si vede in tutti i film ma che tutti sanno essere reali, sempre con qualche botta o livido in faccia. Sembra sempre che venga picchiato da qualche bullo ma nessuno lo ha mai visto in giro e io la maggior parte dei bulletti della scuola li conosco. Si divertono a fare le loro bravate, ad infilare la testa di quelli del primo anno nel cesso, a mettergli del fango negli armadietti o quant'altro. Ma non arriverebbero a tanto. So per certo che non si azzarderebbero mai a picchiare nessuno senza un valido motivo, e comunque mai così pesantemente. E allora perché? Viene picchiato a casa? Quelle botte certe volte sono talmente violente che i miei compagni del football non si azzardano nemmeno a commentare. Non a caso ha un taglio proprio sul dorso del naso e una pessima cera. Non lo avevo notato oggi.

Se mi sentivo a disagio già a farmelo fare da uno sconosciuto figuriamoci con lui. Un verme, ecco come mi sentirei.

Non ci ho mai fatto tanto caso, nei corridoi, ma se ne sta sempre per i fatti suoi. Non parla mai, non mi ricordo nemmeno quali lezioni abbiamo in comune. Chimica? Letteratura? Non so nemmeno che voce abbia, forse non l'ho mai sentita effettivamente. Quei pochi che ogni tanto ne parlano pensano che sia uno di quei dark, emo depressi o quant'altro, alcuni lo chiamano “Mr. Nessuno” o “Mr. Invisibilità”, ma sono talmente pochi che ne parlano che sembra veramente.. Invisibile.

Non si può dire che non sia un bel ragazzo in effetti, ma cosa diavolo ci fa in un posto come questo? E, soprattutto, a spacciare il proprio numero di telefono per certi servizi ad ogni genere di depravato?

Ah già, ci sono pure io qua.

 


La macchina si accosta al lato della strada superandomi di qualche metro e fermandosi, con il motore acceso che sembra faccia le fusa. Un gran bel Pick Up, devo ammetterlo.

Il numero è nuovo, sicuramente sarà il solito uomo d'affari con moglie e figli che non sa come sfogare lo stress della settimana, Penso. Eppure mi sembra di aver già visto la macchina da qualche parte..

Quando si abbassano i finestrini invece si scopre essere nientepopodimeno di.. Uno dei giocatori di football più in vista della scuola! Che diamine ci fa qua? Mi sembra quello di stamattina, è il numero.. 55. Come si chiama? Ted? Theodore? A scuola è sempre circondato, insieme ai suoi compagni di squadra, da mille cheerleader e altre ragazze, quelle poche popolari abbastanza da sedere all'omonimo tavolo. Deve aver trovato il mio numero in qualche discoteca, quando speravo di trovare qualcuno più giovane in questo male. Probabilmente erano tutti troppo fatti per accorgersi della piccola scritta dietro alla catenella. È la persona più giovane che si sia mai fermata da me, di solito sono solo sopra i quaranta, e probabilmente anche il biondo non si aspettava un ragazzo così giovane, meno che mai il sottoscritto. Lo sfigato della scuola. Poi mi rendo conto di una cosa a cui nel primo istante non ho fatto caso.

Un momento.. Lui, gay?

Cerco di mascherare l'espressione sorpresa dalla faccia semplicemente distogliendo lo sguardo e non aspettare nemmeno un invito ad entrare in macchina.

Fa un freddo cane stasera vero?”

Dico mentre la portiera si chiude con uno scatto. Lo vedo nervoso e non aspetto nemmeno una risposta, la mia era una semplice domanda di cortesia. Anche inutile in queste situazioni ma mi ha preso in contropiede. Perché diamine ha ancora quell'espressione sulla faccia?!
Cinquanta dollari, parcheggio del Century Playground e poi mi riporti qui, OK?

Non mi perdo in convenevoli. Sono parecchio nervoso a causa di tutta quella tensione che sta crescendo in quella macchina, sembra di doverci annegare dentro da un momento all'altro.

Andiamo, non ho tutta la sera.” Taglio corto.

Forse il tono della voce è un po' alterato ma sortisce l'effetto desiderato. Con un piccolo sobbalzo, quasi impercettibile, il biondo si riscuote e mi toglie quegli strabuzzati occhi azzurri di dosso, ingrana la marcia e si decide a partire. Giriamo e ci immettiamo nella Neptune Avenue fino alla Ocean Parkway. Lui non è sicuramente di lì, è dei quartieri ricchi, senza ombra di dubbio. Mi ci gioco il culo, il che è tutto dire, che vive nella zona di Brighton. Ha una guida sciolta nonostante il nervosismo che trasparisce chiaramente. L'abitacolo è ben riscaldato rispetto a fuori, non siamo nemmeno in autunno inoltrato e già la sera fa un freddo cane. Sfiliamo tra le mille automobili che affollano Ocean Parkway quella sera e io finalmente mi rilasso sul sedile di pelle morbida, guardando fuori. Sono queste le uniche occasioni che ho di fare un giro in macchina ma non sono per niente piacevoli. Il più delle volte, se non sempre, quando torno a casa la prima cosa che faccio è andare a vomitare. Odio fare tutto questo. Mi dico che odiare il ragazzo alla mia sinistra non ha senso, non è colpa sua se ha trovato il mio numero. E' colpa del mio patrigno che mi ha costretto a fare tutto questo. E' colpa di McLowes che non ha mai denunciato nulla e non lo farà mai. Secondo me temono la mia maggiore età più della peste.

Scendiamo sulla destra fino al Century Playground e ci fermiamo nel parcheggio subito prima.

Ho rinunciato da tempo ad attaccare bottone con il biondo e cerco di ricordarmi il suo nome. Altman.. Altman qualcosa. Rinuncio. In ogni caso siamo appena arrivati.

 


Sono nervoso per tutto il tempo del viaggio e mi sudano le mani, di tanto in tanto me le asciugo sui pantaloni e spero che il moretto non lo noti. Ma sono sicuro che se n'è accorto eccome, anche se guarda fuori. Ha uno strano atteggiamento, prima mi sembrava quasi spaventato, poi irritato e ora rilassato. Ma è malinconico. Lo vedo dalle spalle abbassate e l'espressione cupa e corrucciata. Mi vergogno tantissimo di tutto questo e non so come resisterò alla prossima mezzora. Dopo una decina di minuti siamo arrivati, non ha bisogno di indicarmi il piccolo parcheggio prima del parco, sembra fatto apposta per l'occasione. Questo pensiero mi sconcerta un po' perché era un parco che da piccolo frequentavo con i miei genitori, è un tantino inquietante ora che sono qui, in questa situazione. Spengo il motore. Si sentono solo alcune macchine più rumorose di altre che vengono dallo stradone e passa un treno poco sopra di noi. Ma mi sembra tutto così assurdo. Sento freddo umido vicino alle orecchie e sul collo. Sono in preda al panico e anche un cieco se ne accorgerebbe. Me ne rimango immobile, paralizzato. Non so cosa fare. Abbasso a fatica le mani dal volante e, anche se può sembrare equivoco, stringo il cambio cercando di smorzare la tensione, quasi fosse un'ancora di salvezza. Ho la gola secca che sembra segatura. Nemmeno prima di una partita mi sento così ed è terribile. Non so cosa fare. Un ragazzo che, okay, conosco solo di vista ma va a scuola con me sta per.. Non voglio nemmeno pensarci. Non può succedere così. È sbagliato. Anche per lui. Non capisco. Perché è qui. Perché lo fa. Non è giusto che succeda così. Mi immagino la scena di quello che sta per succedere e cado praticamente nel panico. Non sono pronto. Mi vergogno come un cane per aver approfittato di questo ragazzo e sinceramente non so cosa fare. Non ho la scusa di essere stato ubriaco perché non lo ero, non così tanto. E in ogni caso avrei potuto fare finta di nulla e non venire affatto. Non sapevo nemmeno chi fosse e la cosa era reciproca. E poi è pure carino, mi sentirei veramente un verme se glielo lasciassi fare. Aspetta. Carino? E da dove mi è uscita questa? Sono sicuro che già mi odia. Potrei dargli direttamente i soldi, anche di più. Ma non posso mica chiedergli di dimenticarsi la mia faccia e di far finta di nulla. No, non posso lasciarglielo fare.

Il mio cervello cerca disperatamente una via d'uscita mentre tutto questo mi attraversa la mente un secondo prima di cadere veramente nel panico.

 


Teddy (grazie al cielo mi sono ricordato il nome!) è tanto teso che probabilmente se qualcuno lo toccasse con un bastoncino potrebbe fare un salto di venti metri da seduto. Delle piccole perle di sudore gli si sono formate sulle basette e il pomo d'Adamo va su e giù che sembra un ascensore. Non ne posso più di questo silenzio, quest'immobilità nell'aria. Decido che prima mi toglo la sua faccia dal campo visivo e meglio è per entrambi e così faccio l'unica cosa che so fare in queste situazioni. Una cosa che detesto fare. Mi abbasso verso il suo inguine e tendo la mano per slacciare la cintura dei pantaloni. Non l'ho nemmeno sfiorato che sobbalza e mi allontana con uno schiaffo. Per un attimo lo guardo negli occhi, esterrefatto. Poi mi sento quasi avvampare mentre sento montare dentro una rabbia autentica. Ma cerco di preservare un minimo di autocontrollo e prendo un bel respiro profondo prima di parlare con il tono più gentile che riesco a rimediare in quel momento. Anche se sono sicuro che il risultato non sarà troppo convincente. Forse è meglio così, gli indecisi mi stanno veramente sul cazzo.

Senti amico, a me quei soldi servono. Facciamo così, che ne dici se ci facciamo una chiacchierata e poi mi dici quando hai voglia di fartelo fare?”

OK, probabilmente il tono non è stato per niente convincente. È carino. Molto carino. OK non era proprio una sberla. No, d'accordo, non lo era. Ha cercato di allontanarmi ma era tanto teso che è scattato come una molla e mi ha colpito. Ma la cosa mi fa andare in bestia. Mi manda un messaggio in piena notte. Mi fa aspettare al freddo tanto che rischio l'infarto e poi non mi lascia nemmeno fare il mio lavoro? Nemmeno mi piace farlo! Ho solo bisogno di quei soldi, cazzo. E' tanto difficile da capire? Sennò perché crede che starei lì? Perché mi piace beccarlo in culo dal primo pedofilo che mi capita a tiro?

Poi mi calmo. D'altra parte posso capirlo. Mi ricorda me stesso le mie prime volte. Ogni volta ero sul punto di piangere e arrivato a casa vomitavo spesso, poi mi rintanavo sotto le coperte in modo che il vecchio non mi sentisse piangere.

Quasi mi dispiace per come gli ho parlato e cerco di smorzare un sorriso pallido per metterlo a suo agio.

 


Dovrei almeno chiedergli scusa per quello che ho fatto e invece trovo a malapena la forza di annuire. Passano minuti che sembrano interminabili e mi guardo spesso intorno, come a vedere che non arrivi nessuno. Ho paura che si offenda, va bene, prima mi odiava a prescindere e ora ha solo un motivo in più, se continuo a farmi problemi di essere scoperto. Ma qui non ci passa mai un cane e lui deve saperlo meglio di me. Prima avrei voluto sprofondare per il tono che ha usato ma ora sembra essersi tranquillizato. Mi sta perfino sorridendo! Non posso fare a meno di pensare che è veramente carino ora che l'ho visto meglio e più da vicino. A scuola non me n'ero mai reso conto, non lo avevo mai notato prima di stamattina. Ed ero anche distratto per via del messaggio. Chi poteva immaginare che avrei incontrato proprio lui quella sera? Forse lui non si ricorda di me. Greg gli aveva dato un tale spintone che non mi meraviglia se la sia filata a muso basso. Deve farlo ogni volta. Mi dispiace tantissimo per lui e la curiosità comincia a rodermi. Ma non oso chiedere e nemmeno immaginare i motivi per cui è qui. Ho sempre vissuto in una bella casa, nei quartieri, non ricchi ma decisamente accoglienti di Brighton. Non mi è mai mancato nulla. Lui invece non ho idea da dove venga, né chi sia. Cavolo, non so nemmeno come si chiama! Continua a sorridermi anche se ha tutti i motivi di questo mondo per volermi tre metri sotto terra, eppure il suo sorriso sembra sincero. Con quel livido in faccia e quello che gli ho fatto trova perfino la forza di sorridermi? Mi rendo conto che la curiosità mi sta uccidendo e che lui sta aspettando che parli prima io quindi chiedo direttamente.

Che.. Che hai fatto al naso?”

 


Ottima domanda, penso. Prendo un bel respiro, tanto vale raccontargli la verità. Nessuna bugia sarebbe credibile. Che sono scivolato? Maddai..

Così gli racconto tutto dall'inizio. Non direbbe niente a nessuno in ogni caso. Non è così stupido.

Gli riassumo la mia situazione da quando dissi al mio patrigno che ero attratto dai ragazzi. Forse è un periodo un po' troppo remoto da cui partire, ma a quel punto non tornerebbero alcuni dettagli e non voglio che lui entri in argomenti che non voglio trattare, come mia madre, perciò glieli dico direttamente io. A quel tempo mamma era scomparsa da un paio di mesi. Mi sentivo perso e una sera andai dal mio tutore, il patrigno. Non so cosa sperassi di ricevere da lui, forse compassione, forse solo meno maltrattamenti. Mi dissi che nemmeno lui poteva essere così crudele. Ma mi sbagliavo. All'inizio era furibondo, disgustato e divertito allo stesso tempo. Ad un ragazzino di appena dodici, tredici anni come me era uno spettacolo terrificante. Mi pestò, urlando che ero un mostro, che quelli come me sono malati. Qualche giorno dopo arrivò McLowes a casa e mi parlò. Eclisso sul dettaglio della cicatrice. Non voglio sembrare più nella merda di quanto già non sia e gli racconto direttamente del taglio ancora evidente sul dorso del naso.

Un altro regalino del vecchio. Quando McLowes venne a prendere i soldi a casa e fece un commento poco colorito sul mio giubbotto, uno di quelli con la pelliccia corta e ispida sul cappuccio.

"Gran bel pelo, frocetto!"

Ed erano scoppiati in grasse risate, uno ubriaco e l'altro stronzo al naturale. Sarebbe stato meglio non rispondergli e lasciar correre. Ma risposi a quello sporco maiale di farsi gli affari suoi e il vecchio era scattato in piedi sbattendomi la testa sul tavolo.

Mentre parlo non piango e non mi trema nemmeno la voce. Sono davvero diventato così insensibile a quello che mi succede? Il biondo mi ascolta senza interrompere tranne per qualche smorfia di dolore impercettibile, quasi se vivesse in prima persona quello che racconto.

E' un miracolo che non sia rotto, il naso. Il taglio però è ancora visibile mentre la botta è sparita lasciandomi solo con un gran dolore alla testa. Non mi meraviglio che l'abbia notata. Non so perché ma non voglio farlo preoccupare. Così gli dico che probabilmente sarà a posto in un paio di giorni se ci metto del ghiaccio sopra. Non lo sto guardando, fisso solo il buio davanti a me visto che i fari sono spenti da quando siamo arrivati. Da quando ho finito è calato il silenzio.

 


Mi sento in colpa, anche se non ho fatto nulla di male a parte trovarmi qui. Sono nato nella bambagia, ho dei genitori fantastici e comprensivi e non ho mai avuto il coraggio di dire loro la cosa che più mi sta a cuore. Lui invece, con tutti i problemi che aveva, lo ha detto al suo patrigno. Gli ha dato fiducia perché si aspettava di essere capito e lui ha distrutto la sua vita. Avrebbe potuto scegliere di mentire, come ho fatto io. E ha scelto la solitudine. No, la solitudine alcuni ragazzi la vedono quasi come una moda. La sua è più un'autoreclusione solitaria. Mi viene voglia di picchiarlo, questo patrigno, e nemmeno lo conosco. Il bastardo se la prende con questo ragazzo che sembra la persona più buona del mondo. Anzi, probabilmente lo è, io un tutore del genere lo avrei già preso a calci. E lui invece ha avuto la forza di non abbassarsi al suo livello. Penso che deve avere la forza di volontà più straordinaria del mondo. Mi viene da vomitare solo a immaginarlo coperto di botte e pestato a sangue. La curiosità si affaccia di nuovo e questa volta non tengo a freno la lingua.

E tua madre? Come ha fatto a lasciarti con quel pazzo?”

Ma lui si limita a scrollare le spalle e mi rendo conto che, oltre a non essere un buon argomento, lui capisce il perché della sua decisione e lascio stare. Mi dispiace veramente tanto per lui.

Ad un tratto ho un mancamento a pensare come potrebbero prenderla i miei. No, non si sognerebbero mai e poi mai di farmi una cosa del genere, ne sono sicuro. Non credo che la prenderebbero bene ma non arriverebbero mai a tanto. Vorrei poterlo consolare ma si vede ad un miglio di distanza che non cerca compassione. Potrei aiutarlo ma non ho idea di come fare. Forse se ne parlassi con i miei mi potrebbero consigliare ma poi? No, capirebbero come stanno le cose e non voglio che lo vengano a sapere in questo modo.

Ricevo una buona paghetta, potrei dargliene una buona parte. Ma non sarebbe comunque abbastanza. In ogni caso decido di fare un tentativo.

Se vuoi posso darti una mano, i soldi non mi mancano.”

Mi guarda con quegli occhi scuri e in un momento mi sembra che un barlume di speranza li abbia attraversati. Apre la bocca per dire qualcosa ma scoppia subito a ridere. È una risata cattiva. Aspra. Sprezzante. Non mi crede.

 


A sentirlo parlare così mi viene da ridere e non ce la faccio più. Fra un po' mi piscio sotto da quanto sto ridendo e ho quasi le lacrime agli occhi ma mi riprendo prima che possa aggiungere qualcos'altro.

Senti amico, è stata una bella chiacchierata e questa battuta è proprio divertente. Ma a me quei soldi servono veramente quindi se te lo lasci succhiare io poi mi levo dalle palle e torniamo tutti e due a casa felici, OK?” Sento il tono di sprezzo che si insinua nella mia voce, ma non mi importa.

Non stavo scherzando!” Ribatte lui.

Oh, non ne dubito.” taglio corto, sghignazzando“Ma vedi bello, la clientela fissa non è il mio forte. Se vuoi un buco tutto per te ogni volta che vuoi, be', per quello devi trovarti un ragazzo. Con me non fuonziona così, chiaro?”

Ho esagerato. Me ne rendo conto. Quello che ho detto è terribile e lui non si merita tutta questa cattiveria da parte mia. Sembra ferito, e gli do pure ragione. Ma nessuno, in tutti questi anni, si è mai chiesto perché un ragazzo così giovane facesse questo lavoro. Nessuno ha mai cercato di aiutarmi, hanno solo peggiorato la mia situazione, ogni volta. Perché con lui dovrebbe cambiare qualcosa? Sembra sincero, questo è vero, e mi ispira fiducia. Ma non ci penso nemmeno a fare la figura dello sfigato di turno. Del poveraccio che tenta di fare il duro. Della checca deboluccia che il vecchio pensa che sono.

 


Non credevo che avrebbe reagito così. Ma io voglio veramente aiutarlo. Mi si stringe il cuore a sentirlo parlare in quel modo di sè stesso. Ho l'impressione di sentire una nota di dolore nella sua voce che sembra quasi palpabile. Sembra che non gliene importi nulla della sua persona e del suo corpo. È diventato quello che voleva il suo patrigno. Dio solo sa cosa gli ha messo in testa quel malato di mente. Probabilmente mi vede solo come un altro depravato venuto solo a portare guai. Devo sembrare il classico giocatore di football della scuola. Lo spaccone popolare che non vede l'ora di infilare la testa di qualche novellino nel cesso. Io non sono così. Non ho mai fatto nulla di simile. Anche le proposte simili dai miei compagni di squadra le rifiutavo o cercavo di impedirlo. Ma a quanto pare mi è già stata data un'etichetta. E la cosa non mi piace, per nulla. Così lo guardo deciso e continuo.

Non ho intenzione di fare nulla del genere. Voglio solo darti una mano, se me lo permetti.”

Non so perché sono così ostinato nel volerlo aiutare. Non è solo perchè è carino (anche se ha sempre uno sguardo truce), se fosse solo quello non basterebbe comunque a pareggiare il suo caratteraccio. Ma è proprio questo il punto forse, non è quello il suo carattere. Non è sé stesso. Scommetto che sotto quella scorza, quei muri che si è costruito intorno è una persona fantastica. L'ho visto, quando ho visto quella scheggia di speranza illuminargli gli occhi.

 


Stavo quasi per rispondere male come al mio solito ma il ragazzo sembra veramente convinto. Forse l'ho giudicato male all'inizio, non volevo offenderlo. Allora gli chiedo, con tono calmo, ma spero ci colga anche le mie scuse.

E come hai intenzione di fare?”

Non sono sprezzante o sarcastico, voglio veramente sapere come pensa di aiutarmi. Io le ho già pensate tutte e ognuna di queste è peggiore dell'altra. Scappare di casa è fuori discussione; non posso abbandonare gli studi e in ogni caso chiamerebbe McLowes che mi farebbe cercare da mezza polizia di Coney Island e passare per un ribelle drogato o che so io. Non lascerei mai la casa, è l'unica cosa che mi resta di mia madre. Non posso denunciare la storia alle autorità, perché un avvocato come McLowes insabbierebbe tutta la faccenda facendomi passare per un adolescente impazzito. L'unica possibilità sarebbe il suicidio, ma non ci penso nemmeno ad ammazzarmi. È una questione d'orgoglio oltre al fatto che il suicidio in sé non lo sopporto, mi sembra una soluzione per i deboli, che scappano dal problema invece di affrontarlo. Ma io non lo sto affrontando per niente. E non capisco come possa questo ragazzo, il mitico Altman della squadra di Lincoln, il famoso Altman, tanto bello e affascinante che le ragazze gli sbavano letteralmente dietro, trovare una soluzione al problema che mi assilla da anni.

Mi sembra di averle pensate tutte. Possibile che mi sia sfuggito qualcosa?

 


Penso e ripenso a mille possibilità, ma sono sicuro che lui le ha già vagliate tutte. Non mi viene in mente niente, sono troppo agitato e confuso per pensare. Non riesco a ragionare lucidamente, se potessi dormirci sopra e parlarne con calma in un altro momento sarebbe il massimo. Ma non posso cominciare a parlargli nei corridoi da un giorno all'altro e ho paura che se non trovo una soluzione in fretta mi cacci via. Ma ha un'aria tranquilla, un po' rassegnata ma non ha più quello sguardo truce. Non avrebbe tutti i torti in ogni caso a mandarmi a quel paese. Potrei contattarlo con il cellulare ma è meglio parlarne di persona, dopotutto è veramente carino e sono sicuro che quando è tranquillo sia anche abbastanza simpatico. Non mi dispiacerebbe incontrarlo qualche volta. Quando mi ha sorriso aveva una luce particolare negli occhi, non saprei descriverla. Mi piacerebbe rivederla.

Senti, adesso non mi viene in mente nulla. Facciamo così, stasera ti do i soldi così il tuo patrigno non si insospettisce e magari..”

E qui la mia voce si fa più flebile. Accidenti, credo di essere arrossito.

Magari possiamo vederci domani, che so.. dopo la scuola?”

 


Lo guardo, sono sicuro di aver capito male. Mi sta veramente aiutando e mi ha perfino chiesto di uscire? Devo essere impazzito. Oppure è impazzito lui. O addirittura mi sta prendendo in giro, ma sembra sincero. Certo che lo è, guarda com'è rosso! Penso. Mi sa che lo sto diventando pure io perché sento caldo sulle guance e non è perché in macchina c'è il riscaldamento. L'invito è fantastico ma non è il momento di fare cazzate. È stato gentilissimo ma non posso certo chiedergli di farsi vedere in giro con l'essere più sfigato della scuola. Ergo il sottoscritto.

Forse sarebbe meglio se.. ci vedessimo di nuovo qua, non credi? Conosco un paio di bar poco frequentati..”

Lo guardo e mi accorgo che evidentemente ha colto la mia allusione. La gente comincerebbe a fare domande sul perché si fa vedere in giro con il sottoscritto e, anche se nessuno sa che sono gay, non ci metterebbero molto a fare due più due e rovinargli la reputazione. Per non parlare dei suoi genitori. No, non posso chiedergli tutto questo. Posso consigliargli dei posti dove nessuno va e, in ogni caso, nessuno che conosce lui.

Ma quando l'ho detto la mia voce ha tremato. Perché tutt'a un tratto mi sento così.. felice? Il mio cuore batte più forte. È dai tempi di mia madre che non mi sento così. Nessuno in vita mia mi ha mai invitato ad uscire e ora arriva lui, bello come il sole (dico davvero, sembra che diventi più bello ogni minuto che passa) e non solo mi salva dalla solita tortura serale con lo sconosciuto di turno ma cerca pure di aiutarmi! Non può essere vero, è troppo bello per poterlo essere.

Arrossisce di nuovo e abbassa lo sguardo prima di rispondermi.

Oh sì, certo. Hai ragione. Allora.. a domani..?”

Scendo dalla macchina e lo guardo di nuovo prima di chiudere la portiera.

William, chiamami pure William.”

E gli sorrido.

Fine




Be', che dire. Sono una fan dei Giovani Vendicatori e (come avrete sicuramente notato) di Billy e Teddy! Vi è piaciuta? Gli altri capitoli dovranno ancora aspettare ma non troppo tempo, non preoccupatevi. In ogni caso, sia se vi è piaciuta sia non, potete recensirla per farmi sapere come vi è sembrata la trama, lo stile, la vostra parte preferita o se non vi è piaciuta, quella che veramente non avete sopportato!

Grazie mille in anticipo anche solo per averla letta!

  
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