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Autore: argentite    07/07/2013    0 recensioni
Nella storia dell'umanità, ci sono state tre mele importanti.
La mela di Adamo ed Eva, che secondo la Bibbia dovrebbe averci condannati tutti.
La mela di Steve Jobs, segno della tecnologia che avanza e ci inghiotte.
La mela di Adam Dornel, che ha ricevuto questo frutto dopo averne seminati di marci per tutta la vita.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La condanna delle mele


Un panno passato sulla canna della pistola per renderla più lucente è l’unico movimento nella stanza silenziosa permeata da un rugginoso odore. Sono le mani di un civile a passare quel panno: curioso che solo i medici possano aiutare la vita a sbocciare ma che chiunque la possa condurre in declino, no?
Adam Dornel è un inglese. Un ventenne con la cresta colorata che il lunedì sera va nei pub a urlare in cerca di anarchia, uno di quei giovani che per farsi grande impreca con gli amici, ma che prega Dio quando gli servono i soldi per riempire il serbatoio marcio della Jaguar nero pece. È una macchia indistinta di idee e sensazioni, uno sfondo dipinto frettolosamente che una volta scartato nessuno guarderà mai.
Adam Dornel è seduto sul lavandino lurido del suo monolocale e pulisce ancora la sua pistola; una sciarpa di lana gli protegge il collo dagli spifferi di freddo che s’addentrano tra i vetri scheggiati del bagno.
Nemmeno questo mese ha pagato la bolletta del gas, ma non gli importa finché gli rimangono i soldi per il caffè delle nove all’angolo tra Dempton Street e Malaguar Street. Le persiane sono abbassate come sempre e l’unica luce nella stanza deriva da una candela indaco che sparge nell’aria una speziata fragranza: lui ha sempre odiato le candele profumate, ma è uno di quei ragazzi problematici a cui non si sa mai cosa regalare per il compleanno, perciò era pieno di cianfrusaglie inutili che ogni dodici marzo si accatastavano in un angolo dell’armadio.
La candela spande una timida luce su una Polaroid scolorita su cui sono ben visibili degli scarabocchi a matita: gli occhi scuri di Adam Dornel, coperti da una frangetta di capelli color cenere, emulano alla perfezione l’espressione di una ragazzina che posa assieme a lui, sorridendo pronta allo scatto. Adam Dornel si ricorda bene di lei. Occhi chiari e dolci come schiuma marina contornati da lunghi ciuffi di grano che si piegano per lasciarsi pettinare dal vento. Era ricca, come ben si poteva intuire dai suoi abiti sempre puliti e dai capelli cotonati, ma ricca davvero: dotata di apprezzabili virtù che venivano smarrite col passare delle generazioni. Da piccoli giocavano spesso insieme, Adam Dornel e quella bambina.
Correvano sulle spiagge nere della Cornovaglia, facendo a gara con i gabbiani e mangiando mirtilli fino a quando non si sporcavano tutta la faccia. Lei aveva sempre i capelli raccolti in una lunga treccia per non sporcarli e si copriva gli occhi con le mani quando la sabbia le finiva sul viso. La mamma di Adam Dornel il pomeriggio preparava la merenda, prima di diventare un’alcolizzata, ma sul tavolo non c’era mai più di un bicchiere di latte ad accompagnare il piatto ricolmo di biscotti al cioccolato. C’era sempre un bicchiere di vino, però.
Il giovane uomo appoggiò la pistola tirata a lucido su una mensola ed allungò una mano alla sua sinistra per afferrare una bottiglia verde quasi vuota. Il liquido ambrato gli colò lungo il mento, ma non ci fece caso mentre sentiva l’amaro sapore della birra scavarsi una strada quasi fino al suo cuore; si staccò dalla bottiglia dopo un altro lungo sorso e la sbatté con troppa forza sul mobile, proprio accanto alla pistola. Poi accese la televisione per rimanere in contatto con quella parte di mondo che riusciva a filtrare anche troppo alterata da quello schermo e prese ad allacciarsi gli stivali da militare con calibrata lentezza, coperto dal rumore della radio che trasmetteva una canzone country e dal telefono che squillava. La pistola era già finita nella sua tasca.
Da piccolo, Adam Dornel aveva assistito incredulo alla nascita della prima consolle portatile, un gameboy dai colori spenti ma che esercitava su di lui uno strano magnetismo. I Dornel non erano né saranno mai una famiglia facoltosa e fecero molti sacrifici per comprargli quel giocattolo, perciò lui non poteva ripagarli portandolo in spiaggia e rischiando di romperlo.
Alla sua amica, la bambina dai capelli di grano, questo non piacque poiché amava le passeggiate all’aria aperta e stava perdendo tutti i suoi amici a causa dei videogiochi che li tenevano imprigionati in casa; Adam Dornel non la vide per parecchi giorni, stentando a riconoscerla in seguito: un paio di tondi occhialetti dalla montatura scura e i capelli corti che le arrivavano alle spalle le davano un’aria sbarazzina, ma le avevano tolto quella raffinatezza spontanea e genuina che la caratterizzava.
Gli occhi della ragazzina non erano più così luminosi, adesso, né i suoi capelli così lisci e morbidi.
Il giovane uomo aveva finito di vestirsi e si grattò il mento, sfoggiando una barba vecchia di tre settimane. Non spense la radio e nemmeno la televisione, ma prese con sé il telefono ed uscì dalla propria abitazione: con tre decise falcate si lasciò alle spalle il monolocale dalla bolletta non pagata che profumava di candela speziata. La sua destinazione era il pub più famoso della città, quello del vecchio Bradford O’Weeley: il ritrovo di tutti gli anziani che amavano spendere la pensione all’unica slot machine presente o trangugiando litri di vino.
Parcheggiò la Jaguar che si arenò borbottando con due ruote sopra il marciapiede, mancando di pochi centimetri una buca delle lettere risalente a vent’anni prima; era un cliente abituale del pub e quando entrò, trovò un pacchetto di Marlboro rosse che lo aspettava sul bancone, non facendogli rimanere altro da fare se non pagarlo e uscire.
Se ne accese subito una con un mezzo sorriso di scuse, prendendo posto con calma nella macchina malridotta. Alla sua amica d’infanzia non era mai piaciuto il fumo e tanto meno la sua macchina: quando lui aveva cercato di fumare in sua compagnia la prima sigaretta, sui sedili anteriori di quella stessa Jaguar, lei gli aveva lanciato un’occhiata amareggiata e aveva aperto con forza la portiera, facendo sussultare la parrucca bionda che le copriva la testa ormai interamente calva. Non gli dedicò nemmeno un sorriso mentre scompariva tra le strette stradine inglesi, ma forse perché da quando portava l’apparecchio non sorrideva più.
Adam Dornel invece era felice di avere la patente: per prima cosa accompagnò la madre in un centro di recupero per alcolizzati, poi con la seconda sigaretta della sua vita stretta fra le labbra era andato a far visita a suo padre in cimitero. Non era mai stato un genitore molto presente, neanche prima di venire segato in due da una falciatrice mentre dormiva in mezzo ai campi di Larry Fairden senza far nulla.
L'Adam Dornel adulto, invece, passò a tutta velocità proprio davanti a quell’ospizio dove sua madre viveva serenamente ormai da quindici anni e sorpassò il cimitero di St. George senza degnarlo nemmeno di uno sguardo, dirigendosi invece all’ospedale come faceva ogni sabato dalle quindici alle diciotto. Diceva ai suoi amici che andava a fare volontariato, ma in realtà andava a vedere lei.
La sua amica con il passare del tempo era diventata sorda: il cancro l’aveva dilaniata, facendola dimagrire fino a quasi scomparire, l’apparecchio era ancora attaccato ai suoi denti e gli occhiali dalle lenti sempre più spesse erano appoggiati con fatica sul naso piccolo.
“Mi dispiace, Terra.” le disse, schietto, prendendole una mano e stringendola con dolcezza. Lei lo guardò con occhi ormai apatici mentre lui proseguiva sussurrando: “Quando non usavo la macchina, non sprecavo soldi dietro alle idiozie e non mi uccidevo i polmoni con le sigarette mi divertivo... cioè, ci divertivamo molto di più. Ma a te non è rimasto molto tempo, vero Terra?”. Lei abbassò la testa.
“Sono stato un uomo molto stupido, ma adesso raccolgo il frutto di ciò che ho seminato.” concluse serenamente Adam Dornel, infilando una mano in tasca in cerca del freddo metallo sporgente.


I medici non si chiedevano mai perché quel paziente ogni volta inscenasse la recita di essere un visitatore che veniva a parlare con qualcun altro, quando invece non faceva altro che parlare da solo per ore, confrontandosi con il suo riflesso allo specchio appeso nell’angolo vicino alla finestra, ma ormai erano rassegnati al fatto che la sua psiche funzionasse in quel modo.
Non se lo chiesero nemmeno quel giorno, quando Adam Dornel si puntò la pistola in bocca e fece fuoco.
Le sue ultime parole le aveva udite una signora malata di leucemia.
“Questa non è la prima mela che condanna tutti noi. Grazie per quello che hai potuto fare, Terra.”






Scarabocchi finali!
Salve a tutti, spero che questo piccolo testo possa essere stato una lettura piacevole :)
Credo che alla fine si sia capito, ma Terra non era altro che una proiezione della coscienza fanciullesca di Adam, un'allucinazione che ha iniziato a morire quando lui si è avvicinato alla tecnologia, infatti più il bambino/ragazzo si discostava dalla natura, più la sua amica si ammalava. Lui ha sempre cercato di fare pace con se stesso, in un certo senso, e il nome della bambina/ragazza è proprio quello del nostro pianeta, cosa che può essere benissimo vista come una velata critica ambientalista.
Grazie per aver letto e se il racconto vi è piaciuto e avete due minutini liberi, sarei felicissima di leggere i vostri commenti, positivi o negativi che siano! Grazie ancora :)


   
 
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