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Autore: Gea_Kristh    20/01/2008    12 recensioni
Bella e Edward. Il tempo passa, e la memoria tende a svanire. Ma cosa succede, quando si ritorna dove tutto è cominciato?
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga, Contesto generale/vago
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Ed eccomi tornata!! 

Mamma mia… erano secoli che non pubblicavo qualcosa! Bèh, questa nuova schifezza mi è uscita fuori abbastanza di getto, dopo un luuuuungo periodo di fissazione con Twilight & co. Questa fanfiction conterà solo di due capitoli, infatti il prossimo sarà anche l'ultimo. Dovrei aggiornare approssimativamente in tre giorni. Va bèh, senza che sto qui a tediare i (pochi) lettori che avranno il coraggio di entrare in questa pagina… Buona lettura (spero)!

Gea Kristh

***

Still and Forever

Capitolo 1

Still

Bella’s POV

 Aprii gli occhi quando un suono improvviso ruppe il silenzio. Era notte, e come tutte le notti non dormivo, limitandomi a giacere inerte sul grande letto della mia camera. Mia e di Edward. Quel pensiero fugace mi fece sorridere, e se avessi potuto sono sicura che sarei arrossita. Potevano passare anni, decenni, ma l’effetto che il mio angelo mi faceva non cambiava. Sembravo sempre una bambina alla sua prima cotta.

 Mi tirai su e scesi dal letto. La camicia da notte che indossavo ondeggiava ad ogni passo, lambendomi piacevolmente le cosce; seta perlacea che scendeva morbidamente sulle mie forme.

 Mi infilai una vestaglia che giaceva su una sedia in un angolo, poi aprii la porta e scesi le scale, fino ad arrivare nel grande salone di casa Cullen. Casa mia.

Edward suonava il piano. Una melodia che riconobbi come la canzone preferita di Esme quasi immediatamente; la prima che gli avessi mai sentito suonare. Cercai con la coda dell’occhio gli altri, ma non vidi nessuno. E, oltre alla dolce musica, nessun altro rumore vibrava nell’aria. Una notte pressoché immobile.

 Quella sera io e mio marito eravamo soli, ricordai. Il resto della famiglia era a caccia, e sarebbe stata via per l’intero fine settimana.

 L’improvviso silenzio mi riportò alla realtà. Edward mi guardava, con quel suo sorriso sghembo che adoravo, e con un aggraziato movimento della mano mi invitò a sedermi accanto a lui sulla panca del pianoforte. Un secondo dopo ero al suo fianco, in attesa di sentire ancora la musica invadere la mia mente. Le mani del mio angelo si mossero agilmente sui tasti color dell’avorio, e l’aria si riempì di quella che riconobbi immediatamente essere la mia ninna nanna. Sorrisi, non potei proprio farne a meno. L’amore che provavo per Edward non aveva fine…

 - E così siamo soli…- iniziai dopo un po’. Avevo voglia di sentire la sua voce.

 - Già. Domani si parte.- non aveva smesso di suonare mentre mi rispondeva. Se avessi avuto un cuore che batteva in petto, allora quello avrebbe accelerato drasticamente il ritmo.

 Mugolai qualcosa in risposta, avvicinandomi al corpo di lui. Un braccio mi cinse la vita, attirandomi stretta. La pelle di Edward non mi era mai più parsa ghiacciata dopo la mia trasformazione, eppure continuava a farmi rabbrividire di piacere. Sorrisi ancora al pensiero che, in fondo, ben poco era cambiato da quando ci eravamo conosciuti.

 - Si torna a Forks infine…- un sussurro che udii distintamente. Era vero. Erano passati sessantacinque anni, uno più uno meno, da quando avevamo levato le tende dal paesino in cui tutto aveva avuto inizio. Mi sorpresi di come il tempo era volato, di quanto brevi mi fossero parsi quei sei decenni e mezzo.

 Ricordavo ancora come fosse stato il giorno prima il momento in cui i denti affilati di Ed avevano sfiorato la pelle fragile del mio collo, per poi affondarvi, dolorosamente. Il veleno secreto dalle ghiandole della sua bocca mi era entrato in circolo, dando il via a quel processo di cambiamento che, per tre giorni interi, mi aveva mandato in delirio. Lo ricordavo, e, nonostante la memoria tendesse a cancellare gli avvenimenti del passato, rabbrividii impercettibilmente al ricordo di tanto dolore.

 Non ero più tornata a Forks dopo la partenza per l’Alaska. Avevamo cambiato spesso località, passando periodi più o meno lunghi anche in paesi esteri, senza mai rientrare nella penisola Olimpica.

 Mi sentivo pronta. Sapevo che avrei saputo affrontare il mio passato, senza rimorsi.

 La musica era cessata di nuovo. Guardai Edward negli occhi d’ambra, sorridendo allegramente.

 - Non vedo l’ora!- esclamai. Lui mi sorrise a sua volta, poi poggiò le sue labbra sulle mie. Quando approfondì il contatto, e sentii la sua lingua carezzare con dolcezza la mia, ringraziai di non poter più andare in iperventilazione.

 - Ti amo.- fu poco più di un sussurro nelle mie orecchie, ma abbastanza per poterlo udire distintamente. Il sorriso sulle mie labbra si allargò e gli gettai le braccia attorno al collo.

- Anche io. Da morire.-

 

 

 Forks era diversa da come la ricordavo. Più grande, più trafficata. Non una metropoli, ma una decente cittadina di provincia.

 Mentre camminavo verso la scuola superiore che per la seconda volta avrei frequentato, a partire dal terzo anno, pensavo alle mie vecchie conoscenze. I visi che incontravo per strada erano sconosciuti. Quelli nella mia memoria sbiaditi. Come se non fossi mai vissuta davvero qui, come se fosse stato tutto un sogno che ricordavo a tratti.

 Anche la scuola era cambiata. La struttura dove essere stata ricostruita, poiché appariva più nuova, e considerevolmente più grande, di quella che ricordavo essere.

 Al nostro passaggio la gente si voltava a guardarci, lanciando occhiate sbalordite e incredule alla nostra bellezza. Quegli sguardi che mi avevano messo a disagio nei primi anni, ma a cui lentamente avevo finito per abituarmi.

 Ben presto il parcheggio fu alle nostre spalle, e penetrammo nel cortile. Gli altri chiacchieravano tra loro riguardo il nuovo arredamento da dare alla casa, rimasta inutilizzata per più di sessant’anni, ma io prestavo poca attenzione alla conversazione, riservandola piuttosto a ciò che mi circondava. Gli edifici piatti e monotoni che ricordavo formare la struttura scolastica erano stati sostituiti da due soli stabili a più piani, tra i quali si trovava quella che doveva essere la palestra.

 Entrammo nell’edificio più prossimo a noi, cercando la segreteria. Compilammo qualche modulo, e ci venne consegnato l’orario delle lezioni. Che monotonia.

 - Ci vediamo dopo.- mi sussurrò Ed in un orecchio. Gli sorrisi, scoccandogli un bacio su una guancia.

 - A dopo amore.-

Avevo chimica in prima ora, aula 56. Guardai distrattamente la piantina della scuola attaccata ad un muro e mi diressi dove avevo visto la mia classe. In quello stesso palazzo salii due rampe di scale e attraversai qualche corridoio. L’aula si trovava di fronte a me. Bussai alla porta, visto che la lezione doveva già essere cominciata da pochi minuti, e un “avanti” mi giunse alle orecchie. Aprii la porta con un movimento fluido, ed entrai. Gli sguardi di una ventina di persone si posarono su di me. Non mi curai di quelli eccitati di diciassettenni con gli ormoni a mille, e nemmeno di quelli di ragazzette sconcertate e invidiose. Mi diressi invece alla cattedra, dove un uomo sulla cinquantina afferrò il foglio che gli porgevo firmando con grafia disordinata in corrispondenza del suo nome.

 - Signorina Hale, giusto?- mi chiese mentre aggiungeva il mio nome al suo registro. Annuii in risposta, anche se non mi guardava.

 - Isabella Hale…- mormorò mentre annotava la data.

 - Prego, siediti pure dove vuoi.-

 Con un rapido sguardo valutai che l’unico posto libero era a un banco in prima fila, accanto ad un ragazzetto un po’ bruttino. Mi diressi senza esitazioni alla sedia, accomodandomi.

 La lezione di chimica si preannunciava noiosa. Con un orecchio ascoltavo a ciò che il professore diceva, rispondendo alle sue domande rivolte a testare le mie conoscenze di tanto in tanto, ma la mia attenzione andava a tutt’altro. Chissà cosa stava facendo Edward…

 Per la noia a un certo punto mi misi ad ascoltare i discorsi dei miei compagni di corso. A quanto pareva ero diventata l’argomento piccante dell’ora. Due ragazzette sedute vicine parlavano a bassa voce del mio abbigliamento, criticando il fatto che la gonna fosse troppo lunga, e la maglietta poco attillata. Per una con il fisico come il mio, assolutamente perfetto, dicevano, quello era senza dubbio uno spreco. D’altronde, a me la gonna che arrivava poco più su del ginocchio e la maglia con le maniche a tre quarti di cotone piacevano. Non avevo bisogno di mettermi in mostra, né lo desideravo.

 La moda di quegli anni somigliava a quella di una quarantina di anni prima. Maglie corte, attillate, e gonne a mezza coscia, o jeans scuri – neri o grigi. Non che a me interessasse più di tanto, ma Rosalie e Alice mi avevano dato modo di essere un’esperta nel campo.

 Nel banco dietro al mio due ragazzi fissavano come in trance la mia schiena. Poverini, mi facevano quasi pena. Altri due ragazzi, invece, poco più in là, discutevano a bassa voce del mio di dietro. Da sballo, a quanto ne dicevano.

 - Signorina Hale, mi sai dire i coefficienti per bilanciare questa formula chimica?- chiese il professore. Il silenzio assoluto cadde nella stanza, mentre rispondevo con voce annoiata. Avevo una laurea in chimica.

 - Bene. Mi chiedevo che tipo di corso di chimica avessi frequentato precedentemente.- continuò l’uomo.

 - Frequentavo il corso avanzato.- risposi senza particolare inflessione nella voce.

 L’uomo annuì e tornò alla spiegazione. L’ora passò monotonamente. Il ragazzo al mio fianco sedeva rigidamente, con mio sommo divertimento, e non si azzardava a girare lo sguardo di mezzo grado dalla faccia del professore, nonostante non gli stesse prestando un briciolo di attenzione. Quando suonò la campanella di fine lezione mi alzai, raccolsi le mie cose e controllai nell’orario che materia avessi. Matematica. Che palle. Odiavo quelle materie, per il semplice fatto che mi annoiavano a morte. Dopo aver frequentato decine di volte la scuola superiore e l’università si cominciava a non sopportare più di ripetere sempre le stesse cose.

 A matematica seguirono Inglese e fisica. Passate le prime quattro ore, mi diressi a mensa. Notai che solo Jasper era già arrivato. Faceva la fila per prendere un vassoio. Mi accostai a lui e, con un sospiro, gli domandai:

 - Allora? Come è andata?-

 - Più che altro una noia mortale. Però in seconda ora ho avuto storia con Rosalie, e almeno abbiamo chiacchierato un po’.-

 - Beato te! Io invece mi sono limitata alla noia.- Jasper mi sorrise divertito dalla mia espressione.

 Intanto vidi Emmett, Alice e Rose avvicinarsi a noi. Tra una chiacchiera e l’altra arrivò anche il nostro turno, e presi due vassoi, uno per me e uno per Ed, riempiendoli di poche cose dall’odore disgustoso. Cibo. Un tanfo tremendo. In un angolo trovammo un tavolo libero, abbastanza grande per noi sei.

 - Ma è proprio necessario frequentare una scuola?- Alice si stava lamentando della monotonia della nostra vita da quel punto di vista. E non aveva tutti i torti, visto che tutti noi ne eravamo stufi.

 - Potremmo andare a ritirarci in qualche località esotica la prossima volta.- propose Emmett. Non male come idea.

 Un profumo familiare mi solleticò il naso, dolce e forte. Assolutamente irresistibile. Seppi che Edward stava arrivando. Mi voltai verso l’ingresso della sala con un mezzo sorriso, in attesa, e dopo poco lui fece il suo ingresso, in tutta la sua gloria. Gli sguardi che l’intera popolazione femminile di quella scuola gli rivolgeva mi davano fastidio, ma cercai di non badarci. Essere gelosa non serviva a nulla, purtroppo. Lui era assolutamente e irrimediabilmente perfetto, e potevo fin troppo bene capire le occhiate adoranti che gli venivano rivolte.

 Quando arrivò finalmente al nostro tavolo mi sorrise e mi baciò su una guancia, facendomi, tanto per cambiare, emozionare. Si sedette osservando il vassoio tra il disgustato e l’esasperato.

 - Scusate il ritardo, la prof di francese non mi mollava più.- sussurrò, con voce troppo bassa per essere udita da orecchie umane. Gli rivolsi un mezzo sorriso divertita dalla sua espressione infastidita.

 - Scusato. Che hai la prossima ora?-

 - Educazione fisica.- mi rispose. Battei le mani entusiasta.

 - Andiamo insieme allora! Anche io ho educazione fisica! –

 Ed mi sorrise, con quel sorriso che adoravo.

 - Avete idea, - cominciò, - di quante teste avete fatto girare voi tre in questa scuola? Siete diventate il centro delle fantasie sessuali di ragazzini con gli ormoni sballati. – ghignò verso Rose, Alice e me. La mia biondissima sorella scrollò le spalle, un mezzo sorriso dipinto sulle labbra perfette. Alice sghignazzò tra sé e sé, gettando un’occhiata maliziosa a Jasper che le aveva stretto la mano infastidito. Io sbuffai solamente, trattenendomi dall’esprimere qualche commento acido. Edward mi prese la mano tra le sue, intrecciando le nostre dita. Amavo il contatto della mia pelle con la sua. Amavo tutto ciò che riguardava lui, in realtà.

 - Comunque, non è per dire, ma ho sentito addirittura le bidelle spettegolare sui vostri fondoschiena.- Rose calcò il tono sull’aggettivo possessivo, inviperita. Non l’avrei mai detto prima di conoscerla bene, ma è una tipa estremamente gelosa del suo Emmett.

 - Tanto per cambiare.- aggiunsi io. Edward ridacchiò e si sporse a scoccarmi un bacio sulla guancia. Odiai il fatto che eravamo in pubblico, e che quindi non poteva osare di più. Regola Cullen numero 1.

 - Ci vediamo dopo.- salutammo gli altri quando la campanella suonò, incamminandoci verso la palestra.  Fuori il tempo era discreto, almeno per gli standard di Forks: nuvole scure a coprire il cielo, vento forte, ma almeno niente pioggia. Arrivammo camminando mano nella mano, tra i pettegolezzi di quelli che ci vedevano insieme. Per quanto ne sapevano loro, noi avremmo dovuto essere fratelli.

 Mi andai a cambiare nello spogliatoio femminile, indossando una tuta non troppo pesante. Le altre ragazze avrebbero voluto uccidermi, avrei giurato dai loro sguardi di fuoco. Evidentemente la gelosia che il mio corpo causava le aveva toccate parecchio. La cosa non mi infastidiva più di tanto, né mi lusingava. Ero indifferente all’opinione degli umani.

 Quando entrai nella palestra, Edward era già lì, un po’ distante rispetto agli altri. Mi accostai a lui, sorridendogli.

 - Mi sto seriamente trattenendo dall’uccidere qualcuno.- mi disse.

 Lo guardai incuriosita, non capendo a che cosa si riferisse. Con un rapido, troppo perché gli altri presenti lo cogliessero, movimento del viso indicò un gruppetto di ragazzi.

 - Ti stanno mangiando con gli occhi, per non parlare dei loro pensieri. Dio, ma quanto possono essere maniaci dei diciassettenni?! – ridacchiai divertita dalla sua gelosia. Avrei voluto baciarlo, ma non era il caso, ricordando la regola Cullen al riguardo.

 - E io che dovrei dire allora?- gli domandai, indicandogli delle ragazze che gli lanciavano occhiate ammirate e adoranti.

 - E’ peggio quello che stanno pensando i maschi di te, te lo assicuro.- mi sorrise.

 - Mh… solo perché sono più pervertiti in proporzione a delle ragazze.-

 - Vero. Hanno una spiccata fantasia, bisogna riconoscerlo.-

 La nostra discussione venne interrotta dall’arrivo di un uomo, che si presentò a noi come Coach McKenzie. Gli porgemmo i soliti fogli, che lui firmò prima di riconsegnarci.

 - Cullen, Hale! – ci richiamò dopo che avemmo corso chiacchierando tra noi per una trentina di giri di campo. Ci avvicinammo a lui, che continuò:

 - Come ve la cavate con la pallavolo?-

 Edward rispose per entrambi scrollando le spalle. Il coach gli passò una palla che lui afferrò. Una volta che le due squadre furono formate, io e Ed ci dirigemmo alla nostra metà campo. Eravamo insieme con altri due ragazzi e due ragazze. Io andai alla battuta, e il mio angelo si sistemò in ricezione, alla mia immediata sinistra. Al fischio del coach schiacciai, cercando di misurare la forza. Nonostante ce ne avessi messa il meno possibile, la palla schizzò velocemente, e quelli della squadra avversaria nemmeno provarono a prenderla. Edward ridacchiò tra sé, e io gli lanciai un’occhiata divertita.

 Altro fischio, altra battuta. Altro punto.

 Si andò avanti così, finché sul sette a zero il coach decise di farci girare comunque, perché altrimenti non c’era partita. Alla battuta andò una ragazzetta bassina, che schiacciò con poca forza, riuscendo a malapena a fare passare la palla oltre la rete. Quelli della squadra avversaria rimadarono la palla dalla nostra parte con una schiacciata non male, per i loro standard, ma commisero l’errore di direzionarla verso Edward. Lui con un bacher la recuperò senza problemi, figuriamoci, mandandola direttamente tra le mani del nostro alzatore. Sotto rete l’altra ragazza la rimandò di là, con un palleggio piuttosto scadente e una smorfia disegnata sul viso. Quelli della squadra avversaria ancora una volta schiacciarono dalla nostra parte, questa volta verso la ragazzina alla mia destra – quella che aveva battuto -, che con un po’ di difficoltà recuperò la palla, mandandola verso di me. Con un ghigno lanciai una fulminea occhiata a Edward che, capendomi al volo, quando gli alzai la palla – con una certa classe, devo ammetterlo – schiacciò facendo punto.

 - Cullen, Hale, giocavate nella squadra di pallavolo nella vostra scuola precedente?- ci chiese il coach allibito dalla sua postazione accanto alla rete.

 - No.- gli risposi io. Edward scosse la testa in segno di diniego.

 - Facevate parte di qualche altra squadra?-

 - No.-

 - Praticate qualche sport?-

 - No.- Edward si limitò a osservare il viso del prof con un certo divertimento.

 - Avete praticato qualche sport?-

 - No.- questa volta gli risposi con tono esasperato. Il coach non fece più domande.

 Tornammo alla partita, che alla fine vincemmo abbastanza in fretta. Mi ero già cambiata quando suonò la campanella.

 L’ora successiva avevo informatica, e passò più o meno in fretta.

 Finalmente mi diressi verso il parcheggio, verso le due macchine che avevamo usato quella mattina: una BMW e una Mercedes. Edward era poggiato con nonchalance alla carrozzeria grigio metallizzata della vettura, e mi fissava mentre camminavo verso di lui, un sorriso sghembo sulle labbra. Lo salutai con un bacio su una guancia, e lui mi carezzò una spalla con un movimento lento che mi fece quasi impazzire.

 - Pronta per tornare a casa?- mi chiese aprendomi la portiera, da vero gentiluomo.

 - Pronta.- gli risposi sorridendo, mentre mi sedevo al posto del passeggero. Gli altri sarebbero andati con la Mercedes.

 Edward accese il motore e partì. Ci lasciammo alle spalle la scuola superiore e imboccammo la strada verso casa. La via mi era familiare, nonostante fossero passati tanti anni.

 - Vorrei andare in alcuni posti dopo.- esordii. Volevo andare al cimitero, e volevo andare nella mia vecchia casa. Mi chiesi se ci abitasse ancora qualcuno, con una fitta di dolore che aveva ben poco a che fare con il piano fisico.

 - Ti accompagno.-

 Annuii. Mossi la mano per accendere la radio. Le note di Claire de Lune si diffusero nell’aria, rilassandomi all’istante. Ci vollero poco più di cinque minuti per arrivare a casa. Parcheggiammo nel garage, per poi risalire in casa. La nostra camera era esattamente come Ed l’aveva lasciata sessantacinque anni prima: spaziosa, con ampie vetrate, scaffalature su una parete, colori chiari. I mobili erano vecchi, ma non apparivano logori. Polverosi, certo, ma la maggior parte ancora utilizzabili.

 - Bisogna rimboccarsi le maniche.- dissi sorridendo. Edward annuì.

 - Ti va di fare un giro a Seattle per cercare qualcosa?- mi chiese. Subito annuii, elettrizzata all’idea di dover girare per centri commerciali col mio angelo. Amavo fare shopping se c’era lui con me.

 Mi sedetti sul vecchio letto, e una nuvoletta di polvere si sollevò in aria. Storsi il naso. Ed si sedette accanto a me, abbracciandomi.

 - Sai che sono piuttosto arrabbiata?- misi su un finto broncio, al che lui sorrise, stringendomi di più a lui. Poggiai la testa sulla sua spalla, sospirando. Il suo profumo mi mandava in estasi.

 - Ah sì?- mi chiese con voce bassa e seducente. Con un dito sollevò il mio mento, fissando i suoi occhi nei miei. Le sue iridi color dell’onice mi mandavano brividi lungo la spina dorsale. Smisi inconsciamente di respirare. Si avvicinò a me, smisi quasi di pensare.

 - Sì.- fu un sussurro così basso il mio che dubitai che anche lui l’avesse sentito. In questo momento, se fossi stata umana, sarei svenuta.

 - Posso rimediare allora.-

 Unì le sue labbra con le mie, e istintivamente gli cinsi il collo con le braccia. Mi spinse gentilmente con la schiena sul materasso, e non mi curai della polvere.

 Baciare Edward era una delle esperienze più belle che avessi mai provato; seconda solo al fare l’amore con lui, oserei dire.

 

 

 Quando sentimmo gli altri rientrare in casa io e Edward ce ne stavamo sdraiati sulle coperte impolverate, io supina, con la testa piegata da un lato, verso di lui che, accanto a me, era girato su un fianco, e con le dita di una mano giocherellava coi miei capelli. Bello, bello come solo lui era. In tutta la sua gloria, nudo, mi guardava con espressione tanto carica di amore da togliermi il respiro. Letteralmente parlando.

 - Dobbiamo alzarci mi sa.- dissi quando ritrovai la voce. Lui sorrise notando che mi tremava.

 - Mi sa di sì…- sussurrò chinando il viso sul mio e posando un leggero bacio sulle mie labbra. Sospirai.

 - Non mi va…-

 - Nemmeno a me.- altro bacio.

 - Adesso mi alzo.- cercai più che altro di convincere me stessa, ma non suonai sincera nemmeno alle mie orecchie. Lui ridacchiò, facendomi sorridere a sua volta.

 - In fondo è stata una giornata stressante, ho tutto il diritto di volermi rilassare, no?-

 Edward rise contro i miei capelli.

 - Giusto.- disse.

 - E poi non è che abbiamo qualcosa di urgente da fare, no?-

 - Assolutamente.-

 - E… Edward?- richiamai ancora la sua attenzione. Sorrisi furbescamente. – Baciami.-

   
 
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