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Autore: artemix_    07/07/2013    3 recensioni
Meanwhile Tardis. Rose Tyler POV.
"Chissà se finirà tutto questo, se io invecchierò e mi mancherà, se mi mancheranno il TARDIS e i pianeti che non sono riuscita a vedere. Non è più la Rose Tyler umana, questa. Io non sono più lei."
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Rose Tyler
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Doctor Who
Personaggi: Tenth Doctor, Rose Tyler
Avvertimenti: missing moments between the 2x11 and the 2x12.
Riassunto:  Rose e il Dottore in una piccola avventura sulla Terra del futuro.
Disclaimer: La storia è basata su fatti e personaggi creati e appartenenti alla BBC e a chiunque ne detenga i diritti.




You watch over me.
 

Mi sveglio nel Tardis, apro gli occhi lentamente, accompagno le palpebre con la punta delle dita. Ascolto il rombare familiare di questa macchina dorata e verde, di questa cabina telefonica troppo grande all’interno per essere piccola fuori.
Mi sfioro il naso con l’avambraccio, sbadiglio contro l’incavo del gomito.
Mi metto a sedere lentamente.
Tutto questo è casa mia. E’ casa mia questo spazio angusto che viaggia nel tempo, è casa mia questa fabbrica di avventure.
Sospiro. Alzandomi, do un’occhiata alla me che si riflette nello specchio di fronte al letto. Qui non si dorme mai, non trovo tempo per me. Mi manca ogni singolo vicolo, ogni singolo sole che non ho ancora sfiorato. Ricordo ogni singolo momento passato qua e un po’ là, lungo queste galassie che saranno calpestate dai miei piedi e da quelli del Dottore.
Il Dottore. Questo mezzo uomo, mezzo Signore del tempo. Questi capelli arruffati e questo cappotto color sabbia. Attraverso quindici corridoi e poi mi appoggio allo stipite dell’entrata della sala di controllo. Lo guardo armeggiare con il cacciavite sonico, con mille grinze che gli si formano ai lati degli occhi troppo stanchi per continuare a vivere, ma pieni di vita. Osservo il sopracciglio destro che gli si alza, attento.
Non posso fare a meno di sorridere per questo Dottore, che tutti chiamano così ma che non è, che lui non cura le persone, non ha studiato medicina, ma che si limita a far tutto questo perché è la sua vita; ha gioia di farne parte, ne ha bisogno. E io ho bisogno di lui.
Incrocio le braccia, ridacchio un po’. I capelli ridono assieme alle spalle.  Mi diverte il fatto che sia sempre così preso. Il suono della mia risata, gli fa alzare la testa.
Sta lì a guardarmi, forse sorpreso del fatto che io sia sveglia, o semplicemente ignaro del perché e del se mi sia mai addormentata. Lui non ne ha bisogno. E’ troppo preso per riuscirci, troppo sé. E’ il Signore del Tempo. Lui il tempo lo prende e lo usa a modo suo.
Gli guardo gli occhi come fossero un nuovo pianeta, ci scopro nuove specie tra quelle iridi. Ci scavo miniere. Smetto di ridere e la mia espressione diviene seria, ci vuole attenzione a non perdersi i dettagli.
Lo stupore iniziale ha abbandonato il suo volto. Stavolta tocca a lui scavare in me e sorridendo mi scava il cuore. Sorride tutto all’improvviso, come sempre. Io sto là, a farmi scavare. Forse ho bisogno di quel sorriso più del Dottore stesso e dei viaggi e della vita che mi sto apprestando a vivere.
Posa il cacciavite a terra e si alza.
- Abbracciami - dice. Gli manco, lo so che gli manco. Cammino lenta verso di lui senza staccare gli occhi dai suoi e ci cado, dentro quelle braccia. Cado lentamente in amore.
Non c’è bisogno di dirci altro. Sto lì a farmi avvolgere come un cartoccio. Assorbo il suo profumo. Dopo si stacca mi guarda e mi tiene un po' così, a guardarlo. Forse gli piace essere osservato. Forse ha bisogno di qualcosa.
Gli sorrido come sempre, c'è un'intimità in ciò che facciamo, senza pari.
Per un attimo mi sembra mi sfugga, scappi via da ciò che stiamo vivendo. Ma io so che lui non può farlo. Perché il Dottore fa stare bene le persone e me non può lasciare. Lui è la cosa più certa che ho.

***

Mi fa visitare la Terra nell'anno 234'567. I palazzi sono avvolti in un alone di mistero, i vetri delle case lasciano intendere che tutto questo non c'è più da molto tempo, intendo la vita. La Londra che conoscevo non esiste. Tutto questo non sembra esistere, come se non lo fosse mai stato.
Calpesto l'asfalto di questa città che non sarà mai la mia. Osservo le vetrine dei negozi spenti, oggetti che nessuno comprerà più, come se le persone si fossero finalmente decise a lasciar perdere il materiale. Curvo le labbra in un'espressione triste, odio pensare che questo sia sparito, che nessuno potrà più fare la commessa e che nessuno il meccanico, che non ci saranno più madri da lasciare e padri a morire. 
Sento lo sguardo del Dottore su di me, analizza i miei gesti, le mie emozioni. Cerca di ascoltarmi con gli occhi e forse si chiede cosa ci sia nella mia testolina stupida. Con la coda dell'occhio lo vedo fare avanti e indietro con lo sguardo, tra me e questa Terra solo fisica.
- Dove - prendo fiato e mi volto verso di lui - ... dove sono tutti?
- Il processo li ha consumati, i grandi imperi umani col tempo si deteriorano, come le carni di un corpo - con la mano fa il gesto di indicare davanti a noi - vi rimane solo lo scheletro.
Sposto lo sguardo sulla città, mentre camminiamo davanti al Parlamento, i cancelli rotti per chi non ha bisogno più di controllare le leggi. 
Mi lascia camminare avanti, il cappotto gli vola dietro come un mantello, le mani in tasca e la testa alzata, guardando un vecchio grattacielo che non è più occupato.
Immagino le ultime poche persone che vi erano per queste strade, o le tante scomparse tutte all'improvviso come schioccando le dita. C'è un orribile magia nell'aria che mi fa pensare a quanto dolore possa esserci stato o a quanto silenzio.
Mi fermo, le braccia lungo i miei fianchi e le mie mani che si contorcono. Quasi tremo. Io non faccio parte di questo mondo.
Il Dottore mi passa accanto, il mento alzato, fissa davanti a sé e aspetta una reazione che non riesco ad avere. Mi sento crescere tempeste nel corpo e tutto ciò che riesco a fare è stare ferma. 
Mi sento le dita strette da quelle del Dottore. Il mio cuore si ferma, poi riprende come in una botta di vita, di colpo.
- Ancora oggi mi stupisco di quanto tu possa avermi provocato questo - sussurra. 
Mi volto, con le nostre mani intrecciate mi sposto i capelli dal viso. - Cosa?
- È una sofferenza pari a quella di aver perduto Gallifrey, Rose - mi risponde e si volta a guardarmi. – Cerco di mettermi nei tuoi panni. E non ti ho portata qui per farti soffrire, ma capire.
I suoi capelli non si muovono neanche un po', sembra che non ci sia un briciolo d'aria, mi chiedo se sia davvero ossigeno quello che respiriamo. Non gli sorrido, mi limito a guardarmi in giro. Non sono capace di dare un nome a quello che faccio, alle mie azioni che sembrano servire a qualcosa, che a volte rovinano mondi, che a volte portano alla morte, mia e di altri. Potrei essere un guaio. 
- Perché mi hai portata qui, allora? - chiedo. – Capire cosa?
- La paura, tu hai paura?
- Paura di cosa?
- Sparire.
- Perché dovrei sparire, sono qui con te - mi allarmo, la mia voce si alza di un'ottava verso l'ultima parola. Quel 'te' risuona dappertutto.
Sposta lo sguardo e non parla. - Che succede, Dottore?
Sembra un attimo e qualcosa mi colpisce la spalla, leggermente sopra la clavicola, fora la stoffa della mia felpa ma non mi penetra la pelle.
Cedo e cado. Per un attimo mi gira la testa.
- Rose! - sento strillare. Il terrore mi ha offuscato la vista, ma posso intravedere l'espressione d'odio del Dottore, fissa davanti a sé. È intento a conversare con qualcosa, forse ciò che mi ha colpito. La vista migliora a mi osservo la spalla, niente sangue, sono viva.
- La pagherete, lo giuro sulla mia vita - ha i denti digrignati, il cacciavite sonico in una mano. Mi volto alla mia sinistra: tra le macerie di uno dei negozi lontano, mezzo imbrattato di cemento in polvere e leggermente ammaccato, un cyberman ci viene incontro. Il Dottore si ricorda di me, ancora a terra.
- Rose, stai bene? - chiede e mi tira su in un solo colpo. Allunga la mano sinistra, quella che impugna il cacciavite, davanti a sé, verso il cyberman, pronto ad attaccare. Con l'altro braccio mi preme contro il suo corpo esile e poggia il naso sulla mia spalla. 
- Dottore, va tutto bene - dico sussurrando. Mi sento terribilmente in colpa a farlo sentire in questo modo, costantemente spaventato e preoccupato per me. Mi distacco, mi sento forte, sto bene.
Mi guarda con la coda dell'occhio, mentre punta ancora il cacciavite. Il cyberman si avvicina.
- Stai accanto a me, non sappiamo quanti ce ne siano - mormora con gli occhi fissi sul nemico.
- Dottore, lì! - strillo. Alla sua destra, proprio davanti a me, un altro cyberman.
- Dobbiamo andarcene via di qui - dice e mentre si volta mi afferra per un braccio.
- Rose Tyler, corri.
Nonostante siamo in questa situazione non posso fare a meno di pensare a quanto mi piaccia sentire questa frase. È tremendamente piacevole sentirla. Così, inizio a ridere. Perché con tutte le avventure che vivo col Dottore mi sembra che questa sia la meno pericolosa. E lui mi guarda mentre corre.
- Ti sembra il momento adatto? - chiede arrabbiato.
- Assolutamente sì - rido. Così ride anche lui.
Raggiungiamo il TARDIS e chiudiamo la porta, qualche colpo dietro quel legno indistruttibile.
- Hai paura di questo, Dottore? - rido ancora, ma lui diviene serio. Si avvicina ai comandi e preme qualcosa, sembra non volersene andare. Guarda le lucette che si accendono e spengono, si blocca e poi alza la testa. Ho smesso di ridere, sono pietrificata contro la porta.
- Sono felice che tu non ti sia fatta niente - dice. - Vieni qua.
Tutto quello che mi chiede è questo. E io sì, ho paura. Paura che tutto questo possa finire. 
Lo stringo a me, gli occhi spalancati. Lo sento sospirare di sollievo contro il mio petto.
- Rose Tyler! - dice lasciandomi, lascia cadere l'argomento, così come il cappotto appena entra nel TARDIS.
Armeggia con i comandi e poi avvia la macchina del tempo, con un boato e una forte spinta il TARDIS parte.
Il movimento mi sbatte contro la ringhiera e comincio di nuovo a ridere. In un momento una situazione tragica come quella in cui ci trovavamo poco prima, diviene qualcosa di semplice.
Mi sento addosso lo sguardo del Dottore, quest’uomo mezzo adulto, mezzo ragazzino che continua a correre dappertutto. Si passa una mano sull’occhio destro, sembra riflettere su qualcosa che non comprendo. I capelli gli rimangono dritti in testa, le labbra formano una linea retta sul suo viso piccolo. Deglutisce un poco e poi guarda il centro del tavolo di controllo. Quel lungo tubo trasparente si illumina di tanto in tanto e il TARDIS smette di fare rumore, c’è silenzio.
Quando mi guarda, mi coglie di sorpresa e i miei occhi si spostano sulla mia destra e i miei capelli mi coprono una parte del viso. Infiammo. Brucio.
Mi trema la voce quando provo a parlare. – Siamo scappati?
- Oh … - mormora – ma noi non scappiamo - Non dice altro, si limita a incastrarsi le mani in tasca e a restare così, mezzo seduto sulla console. – Vuoi tornare indietro, Rose?
- Hai avuto più paura questa volta – dico, stupendomi delle mie risposte così cariche di sicurezza.
C’è silenzio, la macchina riprende il suo leggero rumorino.
- Mi sembra di averne sempre di più, ogni giorno. Credo sia colpa tua – continua, abbassando la voce sull’ultima parte.
- Vorresti che me ne andassi? – chiedo, di nuovo fissandolo.
- Torniamo indietro – dice e ricomincia ad armeggiare con le levette.  Mi avvicino di scatto e metto una mano sulla sua, poggiata su una leva.
- No, se non vuoi – dico. Lo sguardo ancora fisso sulle luci intermittenti di quei bottoni lì sopra si sposta su di me, un po’ china verso di lui. Attendo che lui mi dica cosa gli prende.
- Vuoi sapere perché? – mi dice, il suo fiato caldo mi colpisce in pieno viso, c’è troppa vicinanza fra i nostri volti. Annuisco e deglutisco, adesso sono io quella che ha paura, di un suo rifiuto o qualsiasi cosa sia. Non voglio ritornare a Londra, non voglio vivere con mia madre che si preoccupa in continuazione per me, non voglio sposare Mickey, non è lui che amo, non è quella la vita che amo. Io non voglio una vita, voglio un’avventura. E la mia avventura è questa qui, complicazioni comprese. Chissà se finirà tutto questo, se io invecchierò e mi mancherà, se mi mancheranno il TARDIS e i pianeti che non sono riuscita a vedere. Non è più la Rose Tyler umana, questa. Io non sono più lei. E mi piace quello che vedo quando mi sveglio la mattina, mi piace attraversare chilometri di macchina del tempo per raggiungere la sala di controllo. Mi piace prendere i vestiti da quel guardaroba infinito in fondo al corridoio e mi piace poter non avere scelta di chi amare.
- Lì non c’era nulla da salvare, Rose, lì era già tutto finito, le persone nasceranno in futuro, si rifaranno dai ciottoli del mare e procreeranno come hanno sempre fatto, ma non in quel momento. Quei cybermen non hanno fatto altro che peggiorare il processo, effettuando aggiornamenti su aggiornamenti che nessuno poteva più fermare. Ti porto lontano da lì perché non è quello che volevo farti vedere, non così in fondo. Le persone si sono rovinate da sole, i cybermen non c’entravano nulla. Volevo farti vedere com’è facile perdere e in parte ci sono riuscito. Ma non volevo metterti in pericolo per poter salvare qualcosa che oramai non c’era più.  Perché saresti dovuta morire se siamo arrivati lì solo per una visualizzazione veloce? – dice d’un fiato, gli occhi fissi nei miei, le sopracciglia corrugate, preoccupazione che non andrà mai più via. Le labbra si muovono veloci mentre cercano di spiegare. – Perché morire se non c’era nulla da salvare?
Provo a parlare, ma non ci riesco. Chiudo la bocca e lo guardo. – Salvare me era l’unica possibilità? Se fossimo rimasti saresti stato impegnato solo in quello? Ti preoccupa che io muoia quando altri come me non ci sono già più?
- Sei l’ultima che rimane, sempre, Rose Tyler. Finché sarai con me, per ogni pianeta, ogni luogo che toccheremo con i nostri piedi, ogni aria che respireremo, sarà la prima volta per te, ma anche l’unica. I viaggiatori del tempo, come me … e come te, toccano per una sola volta i posti che visitano, poi devono andarsene. Sei l’unica che rimane, in questo mondo, nel mio mondo, nel mio tempo. Non c’è un’altra Rose Tyler che ha visitato quello che conosci, o perlomeno non c’è una Rose Tyler come te. Ce ne sarà sicuramente una che starà viaggiando con me nel futuro o che sarà già invecchiata, e una che invece ancora dovrà nascere. Ma la stessa Rose Tyler che mi sta in piedi di fronte in questo momento, non esiste. I viaggiatori del tempo sono unici. Se tu fossi morta su quella Terra che non ti appartiene, la stessa Rose Tyler, quella che desidero adesso, la mia Rose Tyler, non l’avrei più rivista.
Gli occhi mi diventano pesanti di lacrime. Me li sento brillare, scoppiare. Ma non piango, perché di scatto ci afferriamo e ci scontriamo con le labbra, mentre nelle orecchie mi rimbomba il suono del TARDIS che riparte e lui si sposta dal tavolo e mi preme una mano contro la schiena, mi schiaccia contro di sé. Sono ad occhi aperti mentre lui mi bacia come se tutto ciò che avessimo fatto fino ad allora fosse stato aspettare. Sulle labbra mie la sento chiara la forma delle sue e mi sembra così strano baciare un alieno di 900 anni. Mi distacco per riuscire a prendere fiato e tocco con la punta del naso, il suo. Con le dita mi traccia invisibili strisce sulla felpa e per quelle righe mi sembra che mi scorra l’intero vortice del tempo che il sangue mi fa ribollire dentro. Respiro piano e gli bacio leggermente il labbro inferiore, con un’espressione seria che in quei momenti non mi capita d’avere, non quando sono con lui. Mi sembra tutto così serio in quel momento, così atteso, non c’è spazio per divertirsi, anche se abbiamo tutto il tempo del mondo. Ricambia il mio bacio e mi fa sedere sulla ringhiera, spostando poi le labbra dalla mia guancia al collo. Il suo respiro non mi fa solletico in quel momento, tutt’altro. Poi alza la testa di scatto e avvicina la fronte alla mia, la sfiora aprendo poi gli occhi e gettandomi il suo sguardo dentro.
- Torniamo indietro? – chiede, sorridendomi raggiante. Le mie labbra si aprono in un sorriso. – Qualche cybermen ha bisogno di una lezione.
- Perché tornare indietro? Salvami qui.
- Allora … - si sposta di qualche passo indietro, blocca il TARDIS come se ci fosse un freno a mano. – Fermi qui.
E avvicinandosi di nuovo, con la mano destra stringe la mia e passa la mano sinistra sulla mia nuca stringendomi i capelli dietro la testa, attirandomi per quella prima volta nel suo, nel nostro tempo, a sé come se non ci fosse futuro.


 

Angolo autrice:
Ammetto che per scriverla ci ho messo qualche giorno e per pubblicarla ci è voluto un gran coraggio, tipo che restavo 8 ore con le dita bloccate sulla tastiera per la sofferenza. Comunque ci ho provato ed è la mia prima fanfic/os su DW che pubblico. :) ho qualche altra idea in mente, però, e spero ci sia più ispirazione la prossima volta. Spero vi piaccia.

  
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