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Autore: thyandra    07/07/2013    3 recensioni
A Konoha è la festa del tanabata. Una MinaKushi molto leggera, e spero, dolce. A voi il giudizio!
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kushina Uzumaki, Minato Namikaze | Coppie: Minato/Kushina
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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Fasciata nel suo yukata blu notte, i lunghi capelli rossi – che ormai le arrivavano alle ginocchia – acconciati sopra la nuca, con qualche ciocca ribelle a incorniciargli il tondo viso corrucciato, Kushina Uzumaki dondolava i piedi; seduta sull’uscio di casa, diventava ogni minuto più impaziente.
“Mamma, papà! Insomma, volete sbrigarvi?” urlò loro attraverso la stanza, esasperata.
“Eccoci, eccoci” disse il padre, condiscendente, spuntando in quel momento e poggiandole una mano sulla testa con fare affettuoso.
“Fermo, o si scompiglieranno ancora!” si lamentò la ragazzina, senza però usare lo stesso tono autorevole di poco prima. Nonostante l’atteggiamento scontroso, non le dispiacevano le sue attenzioni.
Kushina si guardò nuovamente nello specchio, con sguardo critico, analizzando quella massa scarlatta alla ricerca di imperfezioni. Le sue guance s’erano un po’ imporporate.
Mamma Uzumaki ammiccò al marito. Se la figlia prestava tanta cura ai suoi capelli, fino a poco tempo prima tanto odiati, doveva esserci di mezzo un ragazzo.
“Kushina, sbrigati o faremo tardi!” la canzonò, per distrarla. Come crescevano in fretta, i figli!
Lei non se lo fece ripetere due volte.
 
Quella notte, il settimo giorno del settimo mese, Konoha era illuminata a festa dalle calde luci degli zen-washi, le bellissime lampade di carta. Tutto il villaggio passeggiava sotto le stelle, particolarmente luminose, come per l’occasione. << Quindi ci sarà anche lui >>,pensò la rossa, abbassando di scatto il capo per non far notare ai suoi vecchi il suo imbarazzo.
Sarebbe stato meglio non incontrarlo del tutto, decise. Non in presenza dei suoi genitori, perlomeno.
Ma si era preparata con tanta cura che sarebbe stato un peccato se Namikaze non l’avesse vista così in tiro.
Mentre rimuginava ancora su questi dilemmi, i suoi genitori si fermarono ad una bancarella. Stavano provando a catturare i pesci col retino.
“Vuoi provare?” la invitò il padre.
“Nah.” Scrollò le spalle e si guardò intorno alla ricerca di passatempi più interessanti. Di fronte a sé vide parecchi ragazzini della sua età appendere fogli colorati su rametti di bambù. Si congedò dai genitori ed andò ad indagare.
Apprese che quelle strisce di carta, i tanzaku, ospitavano i desideri e le preghiere offerte alle stelle in quella notte speciale.
Seguì l’impulso del momento e scrisse sopra uno di essi: << trovare il coraggio di dichiararmi a Namikaze. >>
Si allungò sulle punte per raggiungere i rami più alti, i soli ancora spogli. Gli scomodi sandali di legno la impacciavano.
“Serve una mano? Se vuoi, posso appendere anche il tuo.” La voce limpida, cristallina e inconfondibile di Namikaze la fece trasalire. Istintivamente, strinse il foglietto al petto, nascondendoglielo, e il suo viso raggiunse la stessa tonalità  dei capelli.
Non ottenendo risposta, il biondino si avvicinò, con un sorriso che era l’immagine della cordialità.
Kushina spostò lo sguardo sui suoi piedi, colta in fallo.
“Al diavolo questi cosi, tanto neanche ci credo’ttebane! Cercò di darsi un tono convinto, senza riuscirci completamente. Nascose rapida il foglietto tra le pieghe dello yukata. Minato la guardò incuriosito, ma non ribatté. Con un sorriso privo di malizia, le chiese:
“Che desiderio avevi espresso?”
“Non mi sembra corretto che tu me lo chieda senza prima dirmi cosa c’è scritto nel tuo” replicò la ragazza, riprendendo la sua consueta spavalderia.
“Hai ragione. Ma non te lo dirò. Però, forse, posso mostrartelo.” Le sorrise di nuovo. Senza lasciarle il tempo di rifiutare, la prese per mano e la condusse in un angolo più tranquillo, su un prato più in ombra. “Da qui si vedono meglio le stelle” spiegò e si sdraiò per terra, completamente a suo agio. Kushina lo imitò, sdraiandosi al suo fianco. Si torturava le mani, chiedendosi dove il ragazzo volesse andare a parare. Invidiava la sua serenità. Si voltò timidamente a spiarne il viso. Si sorprese nello scoprire che aveva chiuso gli occhi. Il suo viso disteso era così tranquillo e bello che le infuse un po’ della sua calma.
“Come fai a vedere le stelle ad occhi chiusi?” lo prese in giro. Poi si mise a ridere di cuore. “Sei proprio un imbranato, Namikaze!”
Lui rimase ad occhi chiusi, ma sorrise. “Minato. Chiamami Minato.”
Lei continuò a ridere. Finalmente, Minato aprì gli occhi e la guardò sorridere sinceramente, poi aggiunse: “Non mi serve guardare le stelle per sapere che ci sono. Ti ho portata qui per farle vedere a te.”
Kushina alzò il viso alla volta celeste. “Perché?”, chiese.
Lui si mise a sedere e seguì il suo sguardo.
“Sai perché ammiriamo le stelle? Perché sono fisse, immutabili. Infondono sicurezza e ci indicano la via di casa. Per questo io non ho bisogno di guardarle. Perché io sono già a casa.” Sbirciò la sua reazione.
“So che dovrei considerare questo posto casa mia, ormai” si giustificò lei, “ma sono gli altri a vedermi ancora come un’estranea.”
Casa non deve essere necessariamente un luogo. Possono esserlo anche le persone.”
<< Sei sempre così sicuro, tu, Namikaze... >>
“E poi, tanto per cominciare, potresti smetterla con quell’espressione contrita, che ti fa sembrare tanto spaventosa” aggiunse, cauto.
“Cos’è, cerchi guerra, Namikaze?” Gli mostrò il pugno serrato.
Lui si schermì con le mani. “No, no. Quello che volevo dire è che dovresti sorridere di più. Così.” Puntò il dito verso di sé, mostrandole quello che intendeva. Nella sua parodia di sorriso smagliante, a 32 denti, appariva un completo idiota.
La ragazza perse ogni proposito bellicoso di fronte a quella faccia imbranatamente sincera; cominciò a ridere con così tanto trasporto che non si accorse che il suo tanzaku era scivolato via e si era posato ai piedi del suo interlocutore. Questi vi posò gli occhi sopra distrattamente, avendo però il tempo di leggerlo, pur senza averne avuto intenzione. Lei, che nel frattempo si era ricomposta, si accorse del guaio. Troppo tardi per negare, sostenne il suo sguardo, sfidandolo a prenderla in giro. Ma gli occhi di Minato si erano fatti più luminosi.
In un attimo, le si fece vicino e posò le labbra sulle sue, delicatamente. Poi si scostò.
“Vuoi sapere cosa avevo scritto io?” Le porse il suo biglietto.
<< Vorrei farle capire che qui è la sua casa >>. Lei alzò gli occhi dal tanzaku ai suoi.
“Qui.” Specificò Minato, indicando il suo cuore. 





nota: buon tanabata a tutti :D 
Questo è il mio primo tentativo di scrivere qualcosa di fluff e non credo di esserci riuscita completamente. Era da un po' che volevo scrivere qualcosa su Minato e Kushina e ho colto l'idea che oggi mi è saltata in mente. Spero vi piaccia.
  
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