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Autore: xlouisjuliet    08/07/2013    1 recensioni
Londra piange.
Il cielo sopra le teste dei passanti è plumbeo e pesante di nuvole, le gocce di pioggia si posano leggere sui vetri delle case e sui parabrezza delle macchine.
Harry Styles, giubbino di pelle e gli stivaletti vecchi più di un anno, trascina una valigia in strada, le labbra contratte ed una singola lacrima a bagnargli le guance.
Louis Tomlinson, invece, ha perso il conto delle lacrime salate versate mentre guarda il suo –ex- ragazzo accendere il motore della macchina ed andarsene.
-Larry.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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After 1349 days.



Londra piange.
Il cielo sopra le teste dei passanti è plumbeo e pesante di nuvole, le gocce di pioggia si posano leggere sui vetri delle case e sui parabrezza delle macchine.
Harry Styles, giubbino di pelle e gli stivaletti vecchi più di un anno, trascina una valigia in strada, le labbra contratte ed una singola lacrima a bagnargli le guance.
Louis Tomlinson, invece, ha perso il conto delle lacrime salate versate mentre guarda il suo –ex- ragazzo accendere il motore della macchina ed andarsene.

 



1219 giorni, 13 ore, 27 minuti e 56 secondi dopo.

 



È ormai pomeriggio inoltrato ed a Londra, stranamente, c’è il sole.
I bambini sono coperti da strati di maglioni e cappotti, berretti e sciarpe di lana, guanti e scarponi invernali mentre scorazzano per le strade della caotica città. La neve che fino a qualche giorno prima aveva trasformato il paesaggio in una distesa di bianco candido e silenzio sta iniziando a sciogliersi sotto i raggi tiepidi del sole.
In casa Stylinson –Louis si rifiuta di cambiare la targhetta accanto al campanello, deve ancora accettare che quella ormai sia diventata solo casa Tomlinson- la luce però non penetra.
Le finestre sono chiuse, le tende sporche tirate, bottiglie vuote di birra e scatoloni di pizza adornano il pavimento in uno scenario tetro. Il letto vuoto è sfatto, le lenzuola sporche non vengono cambiate da un’eternità. La televisione è accesa, sintonizzata su un canale di squallide sitcom ed inonda il salotto di un baglio azzurrognolo e spento. Dal bagno giunge lo scrosciare impetuoso dell’acqua che si abbatte sulle piastrelle della doccia. In cucina il lavabo contiene una quantità assurda di stoviglie sporche ed incrostate.
Louis Tomlinson, però, non si cura di nessuna di queste cose.
è rannicchiato in un angolo dell’entrata, la testa pressata tra le ginocchia coperte dai pantaloni lerci della tuta, le braccia, racchiuse in una felpa che tempo fa gli stava bene ma che ora gli è decisamente larga, stringono le gambe al petto mentre i singhiozzi gli scuotono il corpo.
Perché nonostante siano passati più di tre anni non ce la fa a dimenticare tutto, a smettere di provare a contattare quel ragazzo dagli occhi verdi ed i capelli ricci che tanto ama. Nonostante il tempo sia scorso inesorabile, piange ancora ripensando al loro ultimo incontro.

 

«Dove sei stato eh, Harry? –chiede Louis appena sente la porta di casa sbattere leggermente- Si può sapere dove le passi le serate mentre io sono a casa ad aspettarti mentre il cibo nel tuo piatto si raffredda?»
«Sono stanco, Louis» è l’unica scusa che è in grado di dargli il riccio mentre, con lo sguardo basso, inizia a salire le scale a passo pesante.
Louis a quel punto non ci vede più, letteralmente. Le lacrime gli appannano la vista rendendo il mondo una macchia sfocata mentre rincorre quello che è il suo fidanzato su per le scale e lo blocca al muro, i palmi delle mani poggiati al muro bianco accanto alla testa riccia.
Harry lo guarda a metà tra lo scocciato e l’arrabbiato, fa una leggera pressione sul petto dell’altro per cercare di allontanarlo ma questo non si muove di un millimetro mentre con lo sguardo cerca ancora disperatamente una risposta alle sue domande.
«Lasciami andare», ringhia allora Harry e vedendo che l’altro non l’ascolta lo spintona rischiando di farlo cadere giù per le scale.
Louis da terra lo guarda con le lacrime che gli rigano gli occhi e «Non ce la faccio più» sussurra mentre cerca di rialzarsi.
«Non ce la faccio più, –ripete in un sussurro- non possiamo continuare così Harry»
«Così come, Lou?», scandisce allora lentamente il più piccolo assottigliando lo sguardo.
«Sono stanco di aspettarti alzato la notte, chiedendomi se stai bene o se ti è successo qualcosa. A te invece non frega niente di me, vero? Cosa fai le notti quando non sei con me, ovvero sempre? Hai trovato qualcun altro con cui scopare, Harry?»
Ed è in quel momento che la mano di Harry parte, quasi senza volerlo, e lascia il segno delle cinque dita sulla guancia arrossata di Louis, il volto girato di lato per il colpo inaspettato.
«Se è questo quello che pensi, allora sì non possiamo continuare così» e gira sui talloni entrando nella loro camera, apre la valigia che si trova sotto il letto ed inizia a riempirla con i primi vestiti che trova.
Louis si apposta sotto l’uscio della porta guardandolo ad occhi sbarrati e «Cosa stai facendo Haz?».
Il riccio non lo degna di un solo sguardo, mentre chiude la valigia e si sfila la maglia di Louis che indossa per sostituirla con una sua ed il giubbino di pelle. Afferra la valigia e scende velocemente le scale sino ad arrivare alla porta principale. Si volta e «Ho perso il lavoro Louis, ne stavo cercando un altro. Non volevo dirtelo per non deluderti, ma a quanto pare ho fallito. Ed hai anche un’idea sbagliata di me a quanto ho sentito. Io non sono una troia che va con il primo che passa, io ho sempre voluto solo te. Ma così non si va da nessuna parte. Addio, Lou» esala mentre la sua voce si spezza sull’ultima parola e si chiude la porta alle spalle.
Harry non lo sa, ma Louis, mentre le lacrime gli rigavano le guance, ha infilato la sua collana in una tasca della valigia intuendo le intenzioni del riccio. Spera che, vedendola, lo perdoni.

 

 Da quel momento Louis, telefono alla mano ventiquattro ore su ventiquattro, non fa altro che lasciare messaggi telefonici –sempre più radi- nella segreteria del riccio. Sono tutti uguali, ma a Louis non importa. Spera che sentendoli, sentendo la sua voce, Harry capisca di quanto disperato sia. Sono tutti un “tiamotiamotiamo” e “perdonami per favore” e “senza te non vivo” e “Haz, mi manchi da morire” e ancora “tiamotiamotiamo”. Ma Harry non ha mai richiamato.
Louis non può dargli torto. Sa di essere stato un coglione, un cretino. Sa di essersi lasciato scappare dalle mani la cosa più bella che gli sia mai capitata, l’unico che avrebbe mai amato così. Sa che è tutta colpa sua ma sa anche di essersi pentito delle parole che gli ha detto appena pronunciate.
Tutto quello che sa di Harry e di ciò che gli è successo negli ultimi tre anni l’ha appreso grazie ai giornali ed alla televisione. È diventato un cantante famoso, una rockstar –dicono i titoli dei giornali- dal viso bambino. E Louis, nonostante tutto, è contento perché Harry ha sempre desiderato cantare e far sentire al mondo intero la sua voce. Ma gli fa male quando vede le foto in cui tiene per mano il suo attuale fidanzato, in cui si guardano come se null’altro al mondo contasse, come se ci fossero solo loro. Fa male perché una volta era lui il tutto di Harry, ed adesso non vale più niente.
Prende tra le mani tremanti il suo cellulare ormai vecchio, sempre lo stesso di tre anni e passa fa, e digita il numero che sa talmente bene e che ormai è il suo unico compagno in quei giorni bui e tetri.
Uno squillo, due squilli, tre squilli.. finché la voce calda e profonda di Harry lo accoglie per l’ennesima volta in una litania che ormai conosce a memoria.
“Ciao, sono Harry Styles! Al momento o non sono raggiungibile o sono occupato. Riprova a chiamare tra un po’ o lascia un messaggio nella segreteria telefonica!”
E Louis sussulta ogni volta nel sentire quella voce che tanto ha amato –e che ancora ama- diventata più roca e profonda man mano che il ragazzo si era lasciato l’adolescenza alle spalle.
Così «Sono Louis, –sussurra senza riuscire a trattenere un singhiozzo- ti amo cuppycake».
Chiude la chiamata e si lascia andare sul pavimento, la testa sbatte contro una bottiglia vuota di birra e si addormenta tra i singhiozzi, una mano sempre stretta attorno al cellulare.

 

 

 

Sono passati altri ventidue giorni –o almeno così dice il calendario sul cellulare di Louis, lui non ha la minima concezione del passare del tempo- da quella volta ed a Londra la neve si è ormai completamente sciolta.
Il ragazzo ha provato a chiamare Harry altre nove volte in quel lasso di tempo, finché non gli ha risposto Nick –quello è il nome del suo attuale fidanzato- intimandogli di smetterla o l’avrebbe denunciato alla polizia.
Louis, quella volta, ha pianto più del solito e, trascinatosi fino in bagno, ha vomitato anche l’anima mentre i singhiozzi lo percuotevano. Ha anche preso in considerazione di tagliarsi le vene dopo aver visto un rasoio posato sul mobiletto là accanto, ma è giunto alla conclusione di essere troppo codardo per infliggersi dolore da solo.
È in piedi davanti allo specchio, a coprirlo solo un paio di boxer, e si osserva. Anni prima, ricorda, odiava il suo corpo. Si lamentava in continuazione con Harry di avere la pancia e le gambe grosse mentre questo, un sorriso sul volto, gli diceva che era perfetto. Louis, in quel momento, si accorge di preferire il suo corpo precedente a quello magro e smunto di adesso, con le occhiaie a cerchiargli gli occhi di un azzurro spento, la barba lunga di parecchi giorni, i capelli lunghi e sporchi, le ossa degli zigomi che sembrano voler trafiggergli la pelle pallida.
Louis sospira prima di coprire la superficie riflettente con una coperta scura.

 

 

 

Passa un altro mese –sempre secondo il cellulare di Louis- e non ha più chiamato Harry.
È seduto sul letto, le gambe incrociate sotto coperte, il busto nascosto da una felpa pesante ed un berretto di lana in testa calato sin sopra le orecchie. Gli hanno staccato il riscaldamento, sono mesi che non paga le bollette. Probabilmente tra qualche giorno lo sfratteranno anche, ma a Louis non interessa.
Nella conca che le gambe formano vi è appoggiata una scatola di cartone spesso. Sul coperchio, con un pennarello indelebile, vi ha scritto “Hazza”.
Prende un profondo respiro e con le mani tremanti –Louis si chiede se non soffra del morbo di Parkinson- solleva il coperchio ponendolo accanto a sé. Subito il profumo di Harry lo investe prepotente, penetrandogli nei polmoni e destabilizzandogli i sensi. Chiude gli occhi –un po’ per riprendere il controllo del suo corpo, un po’ per godersi appieno quella fragranza che sa di fragola e pulito- e un’unica lacrima solitaria gli bagna la guancia. La scaccia via con un gesto stizzito della mano.
Louis afferra –con le mani pulite, ogni volta che tocca quella scatola si preoccupa di farsi prima una doccia di almeno mezz’ora- il berretto arancione che il ragazzo dagli occhi verdi era solito indossare. Se lo porta al viso ed inspira forte, vi struscia contro il piccolo naso e vi deposita un bacio con le labbra fini. Poi lo posa delicatamente accanto a sé sulle lenzuola che si è premurato di lavare.
È il turno della sua collana preferita, quella che si è dimenticato prima di uscire di casa e che non è mai tornato a recuperare. Consiste in un semplice ciondolo a forma di aereoplanino appeso ad un altrettanto semplice catenella d’acciaio. Louis se la infila al collo e sente il pendolo freddo posarsi all'altezza del suo cuore provocandogli un brivido lungo la spina dorsale.
Gli altri oggetti contenuti nella scatola sono molti e svariati. Un orsetto di pezza chiamato BooBear –lo stesso soprannome con cui Harry chiamava il ragazzo dagli occhi azzurri- dagli occhi grandi e dolci, diverse foto, il suo libro preferito, alcuni CD, il diario in cui scribacchiava canzoni che non ha mai cantato, diversi braccialetti, una maglietta, il mollettone rosa con cui era solito raccogliersi i capelli quando scriveva.
È il compleanno di Harry e Louis piange come un bambino quando risistema la scatola in un angolo dell’armadio.

 

 

 

Tre notti dopo Louis si sveglia di colpo. È disteso sul letto in un groviglio di lenzuola e sudore, il cuore gli martella forte nel petto e sembra volergli sfondare la cassa toracica.
Ha fatto un incubo che nemmeno ricorda e «è meglio così» si dice tra sé e sé affondando la testa nei cuscini cercando di riaddormentarsi.
Ma è proprio quando sta per cadere nuovamente tra le braccia di Morfeo, una mano aggrappata al lenzuolo sin a far diventare le nocche bianche, le ginocchia magre strette al petto, che lo scoppio potente di un tuono lo fa sobbalzare. E le lacrime iniziano a sgorgare inesorabili ricordando la paura che Harry aveva –e probabilmente ancora ha- dei temporali. Piange pensando a Nick che lo tiene stretto durante le tempeste, schiena contro petto, mani nelle mani, cercando di rassicurarlo cantilenando parole dolci all’orecchio. E allora non resiste, prende il cellulare ed invia un messaggio scritto al numero di Harry.
“C’è il temporale a Londra, ho pensato a te. Ti ricordi quando ti stringevo a me rassicurandoti che ti avrei protetto io? Mi manchi”

 

 

 

È il sette marzo quando Louis accende la tv e rischia un infarto.
Sullo schermo impolverato è apparso il viso cresciuto di Harry. Non ha più le guance paffute, i brufoli rossi sulla fronte, i boccoli troppo grandi per il suo viso piccolo. Le guance sono più incavate, la mascella e gli zigomi più pronunciati, la pelle liscia e perfetta, i capelli alzati in un ciuffo scompigliato. Le labbra sono sempre quelle. Gli occhi sono sempre quelli. E Louis scivola a terra sulle ginocchia, le mani chiuse a coppa all’altezza del cuore impedendogli di distruggersi definitivamente a quella vista paradisiaca.
Sta ridendo –il ragazzo dagli occhi azzurri giura di aver sentito il suo cuore sorridere tra i singhiozzi- e poco dopo l’intervistatrice gli chiede se può cantare una canzone scritta da lui.
Louis non vuole, sta per allungarsi sul tappeto logoro per afferrare il telecomando unto e cambiare canale perché proprio no, non può ascoltare la voce di Harry mentre canta e pretendere di non sgretolarsi ad ogni parola, ma lui è più veloce ed intona la prima nota.
Louis ascolta ammirato, pende dalle sue labbra e nemmeno si accorge delle lacrime –ormai sue amiche, o nemiche, fidate- che gli colano sulla maglietta e del cuore che si stringe sempre più tra le sue costole cercando di sparire e smettere di soffrire. Solo quando finisce la canzone, tra gli applausi e le urla del pubblico, Louis si accorge del suo malessere fisico e corre in bagno, si china sulla tazza del wc e si libera del sapore acido che gli è risalito per la gola. Si lava il viso con l’acqua fresca che si mischia alle lacrime calde e salate. Poi prende il cellulare e “Non volevo lasciarti andare, scusa se ti ho fatto sentire solo. Sono un coglione e ti amo.” Scrive a quel numero imparato a memoria involontariamente.
Louis però, dal bagno, non sente Harry che dice «Delle volte mi manca Londra, penso che in questi giorni andrò a visitarla.»

 

 

 

Louis è stato sfrattato, come aveva previsto, e –dodici giorni dopo, gli dice il cellulare- si ritrova in piedi in mezzo alla strada, una sacca con i suoi vestiti e le poche sue cose che gli importava tenere in una mano, lo scatolone di Harry nell’altra.
Rabbrividisce di freddo, si è dimenticato il giaccone in casa ed indossa solo due maglioni sopra i pantaloni a quadri del pigiama, i piedi calzati nelle scarpe da ginnastica ed il solito berretto di lana calato quasi fino a coprirgli gli occhi.
Il cellulare è gelosamente custodito in una tasca dei pantaloni. Ha chiamato Niall, il suo vecchio migliore amico. Era stupito di sentirlo, «Louis, sei davvero tu?» gli ha chiesto e troppo felice per aver finalmente ritrovato il proprio migliore amico d’infanzia non si è nemmeno accorto che la sua richiesta di asilo era un tantino approfittatrice. L’ha subito rassicurato dicendogli di aspettarlo al parco, sarebbe andato a prenderlo nel giro di pochi minuti.
Quando Niall arriva, entrambi stentano a riconoscersi. Ma sono le uniche due anime vive –anche se Louis non assicura che la sua lo sia, o almeno non completamente- in tutto il parco, a quell’ora deserto.
«Tommo, che ti è successo?», sussurra il biondo –Louis sa che è tinto, in realtà i suoi capelli sarebbero castani- accarezzandogli una guancia ispida per la barba.
E allora il castano crolla, per l’ennesima volta, ma quella volta a sorreggerlo ci sono due braccia forti e calde che sanno di casa, di amore.
Nessuno dei due si accorge del macchinone nero con i finestrini oscurati che passa accanto loro, diretto nella direzione opposta.

 

 

 

Quella stessa sera Harry torna in quella che per quasi tre anni è stata la sua casa a Londra, in compagnia dell’unico ragazzo che abbia mai veramente amato. Dopo Louis era stato con svariati ragazzi cercando di dimenticare quegli occhi azzurri che lo tormentavano ovunque andasse, poi aveva trovato Nick, così diverso dal ragazzo che aveva precedentemente amato ma aveva comunque deciso di provarci. E ci era quasi riuscito, a dimenticare Louis, poi aveva letto quel messaggio, uno dei tanti che gli aveva inviato in quegli anni di distanza ed a cui non aveva mai risposto. “Non volevo lasciarti andare, scusa se ti ho fatto sentire solo. Sono un coglione e ti amo”. Aveva quindi sentito la canzone, l’aveva sentito mentre la cantava ed aveva capito che sì, era rivolta a lui.
Harry si era precipitato nella casa che condivideva con Nick Grimshaw e velocemente aveva raccattato le sue cose, impilandole nel baule del macchinone che guidava, sotto lo sguardo allibito del ragazzo.
«Per favore, non dirmi che te ne stai andando per Louis Tomlinson. –aveva sussurrato con gli occhi sbarrati e sconvolti- Dimmi che non l’ha fatto ancora»
A quel punto Harry si era girato e «Fatto ancora cosa?» aveva chiesto con il tono di un’ottava più alto del solito.
«Lasciarti quei stupidi messaggi pieni di “ti amo” e “mi manchi”» aveva risposto lui muovendo la mano come per scacciare un insetto fastidioso.
Harry aveva tirato un calcio al muro avvicinandosi minaccioso a quello che ancora era il suo ragazzo sovrastandolo di qualche centimetro, gli aveva afferrato il viso con una mano in una presa ferrea e salda, impedendogli di guardare altrove. «È per questo che aveva smesso di lasciarmene? Per colpa tua?»
Nick si era aperto in un ghigno cattivo, malvagio mentre annuiva per quanto la stretta di Harry glielo consentisse.
«Sei uno stronzo –aveva quindi affermato Harry lasciandolo e dirigendosi velocemente verso il posto guida della macchina- e tra noi è finita, giusto per la cronaca»
E così, dodici giorni dopo, Harry si trova davanti la casa con ancora la targhetta “Stylinson” attaccata accanto al campanello. Non può far altro che sorridere mentre si china a spostare la piastrella sotto cui sono nascoste le chiavi di riserva.
Quando apre la porta viene travolto dall’odore di chiuso e stantio che regna nella casa. Allunga una mano per cercare l’interruttore e quando lo preme scopre che la luce non si accende. Decide quindi di aprire tutte le finestre perché –davvero- non riesce a sopportare quell’odore e quel buio.
Dopo aver inondato le stanze di luce ed aria pulita si ferma ad osservare le condizioni oscene in cui sono ridotte. Bottiglie di birra vuote, scatoloni di pizza, macchie sui muri e sui tappeti, il letto sfatto e sporco, i mobili impolverati e le stoviglie sporche nel lavabo della cucina.
Harry davvero non riesce a capire e quando sente la porta d’entrata chiudersi si gira col sorriso, sperando di vedere comparire gli occhi azzurri che tanto ama. Invece si ritrova davanti ad un uomo imponente, la barba ispida e gli occhi scuri e piccoli che riconosce essere come il proprietario della casa.
Nessuno dei due si sarebbe mai aspettato di vedere l’altro e fu quello più anziano ad interrompere il silenzio teso che si era creato tra i due. «L’altro ragazzo se n’è andato qualche ora fa»
Harry trasale, è arrivato troppo tardi. «Come mai?» domanda incassando la testa tra le spalle.
«Erano mesi su mesi che non mi arrivavano i soldi per l’affitto, l’ho sfrattato», rispose semplicemente l’altro con aria noncurante.
Harry si guarda un’ultima volta il tugurio in cui Louis ha vissuto negli ultimi tempi ed esce velocemente.
«Sa dirmi dove posso trovarlo?» chiede quindi in tono di supplica e quando l’altro si limita a scuotere la testa rimette in moto la macchina deciso a trovare il ragazzo, una mano stretta attorno alla collana che portava al collo, quella di Louis che aveva trovato nella valigia.

 

 

 

Esattamente ventisette giorni dopo Harry è disteso sul morbido letto di un hotel a cinque stelle nel centro di Londra. Ancora non è riuscito a trovare Louis e non riesce ad intercettarlo al cellulare. Gli sembra di essere caduto in un incubo.
Louis ha invece deciso di arrendersi, di smetterla di cercare Harry al cellulare. Lui ora sta con Nick e probabilmente con lui ci passerà il resto della sua vita. Se lo ama sul serio –si era detto- l’avrebbe lasciato vivere la sua vita senza il peso di un ex fidanzato sul punto di sgretolarsi e non riuscire più a ricomporsi. Così aveva rinchiuso il suo cellulare in un angolo dell’armadio nella camera che Niall gli aveva gentilmente concesso ed aveva provato a iniziare una nuova vita. Ci aveva provato sul serio, aveva iniziato pian piano a mangiare regolarmente ed a lavarsi ogni sera prima di andare a letto. Chiacchierava con Liam e Zayn –per lo più ascoltava i loro discorsi ed ogni tanto annuiva. Ma la sera, rannicchiato tra le coperte, si ritrovava ancora e ancora e ancora a piangere su una foto che lo ritraeva con un Harry sorridente, che lo guardava con sguardo adorante mentre si abbracciavano seduti sull’erba verde ed i fiori colorati.
Ogni notte sognava i suoi occhi verdi contornati dalle ciglia lunghe e scure, le labbra rosse e carnose che gli sorridevano scoprendo i denti bianchi. Poi però, puntualmente, quella visione si trasformava in un incubo doloroso in cui Nick Grimshaw catturava quelle stesse labbra in un bacio che di casto aveva ben poco, gli arti avvinghiati ad il corpo asciutto dell’altro. Allora si svegliava, le lacrime che scendevano inesorabili ed il cuore che gli martellava dolorosamente. E, ogni volta, si sedeva sul davanzale guardando il cielo blu sopra lui, chiedendosi dove fosse Harry, cosa stesse facendo e se ogni tanto lo pensasse.

 

 

 

Due notti dopo, svegliato a causa di un incubo particolarmente doloroso, Louis decide. Decide che quella che lui stava conducendo non poteva essere chiamata vita, decide di doverla smettere di pesare sulle  spalle dei suoi amici, decide di essere stanco delle occhiate compassionevoli che gli rivolgono. Decide che, senza Harry, non ha alcuna ragione di esistere.
Si alza dal letto indossando le scarpe da ginnastica ai piedi, scrive un biglietto in cui si scusa per il disturbo a Niall e in cui rassicura tutti i suoi amici che avrebbe voluto per sempre bene loro, che è grato per tutto ciò che hanno fatto per lui. Poi recupera il cellulare dall’angolo polveroso dell’armadio ed esce nell’aria fresca di fine aprile.
Si incammina per le strade di Londra senza curarsi di indossare solamente il pigiama e del fatto che Londra è ancora troppo fredda per essere girata senza giubbino. Ma sembra non sentire quel leggero spiffero gelato avvolgergli le membra. La sua mente viaggia indipendente tra i vari luoghi che erano stati per lui ed Harry –e che per lui ancora lo sono- importanti. Poi gli viene in mente la radura che avevano scoperto una delle loro prime uscite insieme, quando ancora erano dei ragazzini senza pensieri. Tasta una tasca dei pantaloni larghi e controlla di avere le pillole che gli ha prescritto il dottore: il barattolo è ancora pieno. Si ferma a comprare una bottiglietta di acqua da un distributore automatico e, con il sorriso sul volto, afferra il cellulare per lasciare l’ultimo messaggio nella segreteria telefonica di Harry.

 

 

 

Harry sta dormendo, la bocca semi aperta, i ricci sparsi sul cuscino bianco ed il lenzuolo a coprirgli il corpo seminudo, per questo non capisce subito cosa sia il rumore assordante e ripetitivo che gli trapana un timpano. Solo quando apre gli occhi realizza che il suo cellulare ha appena finito di squillare e sullo schermo illuminato appare il messaggio “chiamata persa da: Boo”, seguito poco dopo da quello “nuovo messaggio registrato”.
Si alza a sedere di scatto e preme il tasto “ascolta” con foga. Poi attende che la voce del ragazzo che tanto ama si diffonda nella stanza.
“Ciao love, volevo semplicemente avvisarti che questo sarà l’ultimo messaggio che ti manderò. Giuro, non ti disturberò più con tutte queste cose da dodicenne innamorata e con il cuore spezzato. Semplicemente non avrò più bisogno di cercarti perché se il paradiso –o l’inferno, chissà- esiste sul serio potrò guardarti tranquillamente senza scrupoli. Quindi addio Haz, me ne vado circondato dalle piante in fiore, il cielo stellato sopra di me e mille ricordi nostri ad affollarmi la vista. Ti ho amato, ti amo e ti amerò per sempre.”
Harry si è alzato già dalle prime parole del messaggio, capendo sin da subito le intenzioni del ragazzo. Non può permetterglielo, deve fermarlo in qualche modo.
«Maledizione!» impreca calciando la porta della camera dell’hotel per poi precipitarsi all’esterno dov’è parcheggiata la sua macchina. Spalanca la portiera e senza tante cerimonie gira la chiave d’accensione e preme sull’acceleratore.
Ha capito dov’è diretto Louis, alla loro radura. Quella del loro primo bacio a fior di labbra, quella dove tutto è realmente iniziato e, a quanto pare, dove ha intenzione di farlo anche finire.
Corre per le strade senza curarsi dei cartelli stradali, dei limiti di velocità, dei semafori. Le strade sono quasi deserte, le multe può pagarle senza problemi ora che è un cantante di fama internazionale. Parcheggia velocemente accanto ad un boschetto e scende senza nemmeno chiudere le portiere, che gliela rubassero pure. Corre a perdifiato tra gli alberi ed i cespugli irti, l’erba secca scricchiola sotto i suoi stivaletti –sempre gli stessi da anni- ed il fiato gli esce a fatica dalla bocca condensandosi in nuvolette argentee. Quando finalmente vede il passaggio allargarsi scorge una figura supina nel centro della radura. Urla, urla a per di fiato il nome di Louis mentre i piedi lo portano di loro spontanea volontà accanto alla figura del ragazzo. Gli posa una mano sul collo: il cuore batte ancora, anche se debolmente. L’unica cosa che riesce a fare è chiamare l’ambulanza mentre osserva il corpo smunto e magro del ragazzo accanto ad una boccetta di vetro che una volta doveva contenere piuttosto tante pillole.

 

 

 

Quando Louis si risveglia tre giorni dopo viene investito da una luce bianca.
Pensa di essere morto, non si ricorda alcun luogo talmente chiaro e silenzioso.
Sbatte le palpebre una, due, tre volte. Muove le dita delle mani e quelle dei piedi, storce il naso e prende un respiro profondo. Poi, come attratto da una forza superiore, gira lateralmente la testa e ciò che vede lo sorprende.
Le braccia incrociate sul materasso e la testa riccia china tra esse, Harry è seduto addormentato accanto a lui.
Louis non ci crede, non può credere di essere sopravissuto e di essersi risvegliato accanto al ragazzo che ama. Allora alza un braccio e con una mano –in cui è infilato un ago, si accorge- accarezza il profilo allungato del viso del ragazzo. Questo, di scatto, si alza ritto e guarda Louis con gli occhi verdi spalancati. Poi scoppia a piangere abbracciandolo stretto.
Il maggiore giura che è quello per lui il paradiso, stare tra le braccia di Harry.
Poco dopo si stacca quel che basta per guardarlo in faccia e «sei tornato» sussurra con la voce ridotta ad un sussurro roco.
Harry annuisce asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
«Non ti lascerò mai più, sunshine» singhiozza prima di baciarlo come per suggellare quella promessa.

 

Dopo 1349 giorni Harry e Louis sono di nuovo insieme, decisi a non lasciarsi più, innamorati più che mai, azzurro nel verde, corpo contro corpo, anima con anima.


LOL

Sono tornata!
Bene, questa one shot è nata dopo un pomeriggio passato a piagnucolare davanti a video Larry ed ascoltare canzoni riguardanti loro. Sappiate che io odio Louis per il semplice fatto che si diverte a tatuarsi sulla pelle titoli di canzoni assoutamente meravigliose. Soprattutto It is what it is dei Lifehouse, mi sono letteralemente innamorata di quella canzone.
Quindi, sì sono cosciente di quanto sia piena di angst questa one shot di circa 4600 parole. Però, ehi!, c'è il bel finale! Non è morto nessuno, anche se all'inizio era stata concepita con l'idea che Louis sarebbe morto ma.. è già morto in troppe storie *annuisce*.
So, vi lascio e vado a continuare a leggere Angeli e Demoni.
Il banner l'ho fatto io, sì.
Ci risentiremo presto, parola di fangirl.
-Giuly.

  
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