Fanfic su attori > Ben Barnes
Segui la storia  |       
Autore: _joy    08/07/2013    6 recensioni
«E di me ti fidi?»
«Posso fidarmi?» rispondo «Dimmelo tu» 
«Sì» risponde senza esitazione. 
 
Gin/Ben
[Serie "Forever" - capitolo IV]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Forever'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ben prende abbastanza bene la storia delle nostre foto sul sito.
 
O meglio: si è sicuramente incavolato, dato che per lui la privacy è sacrosanta, però mi ha rassicurata, dicendomi di non pensarci e di stare tranquilla.
Secondo Jack, che lo conosce bene, è inferocito perché detesta le invasioni nella sua vita privata, ma anche lui mi dice di non preoccuparmi: non è certo colpa nostra se i paparazzi si comportano così.
Però è davvero assurdo pensare che ci sono persone che non conosceremo mai né incontreremo mai, magari dall’altra parte del mondo, che in questo momento, mentre io mi faccio un panino, stanno guardando le foto di me e del mio ragazzo che ci baciamo.
E magari un milione di fan mi sta mandando un accidente proprio in questo secondo.
 
Ok, non pensiamoci.
 
Anche se sono sicura che stiano vivisezionando abbigliamento, capelli, borsa, scarpe: tutto.
Poi, ovviamente, berceranno che non sono abbastanza bella, elegante o raffinata per stare con il divino Ben Barnes.
Bè, sapete cosa?
Non avevo dormito, ecco.
Che ne sapevo che dovevo finire in giro per la rete?
Non che la mia prima preoccupazione fosse apparire carina agli occhi con vista a raggi X delle fan di Ben: sapete, avevo pensieri più pressanti in mente.
Tipo il mio ragazzo che è dall’altra parte del mondo da una settimana, tre giorni e undici ore.
 
Non che io stia contando le ore, è chiaro.
 
Vabbè, sì, come no.
 
Rigiro tra le dita il ciondolo che mi ha regalato Ben e sospiro, guardando truce lo schermo del mio portatile.
Non farlo, Gin.
Ma tanto so benissimo che lo farò: tanto vale togliermi il pensiero, giusto?
Mi guardo attorno come se pensassi che qualcuno possa vedermi, poi apro Google e digito veloce “Ben Barnes”.
 
BAM.
 
I primi risultati sono siti di news: Ben Barnes in love!; Il Principe Caspian si fidanza; Ben Barnes: baci all’aeroporto.
E roba del genere.
Con il cuore in gola, navigo tra i vari siti e vedo le stesse immagini, abbastanza sgranate: Ben che mi abbraccia, che mi bacia, che mi tiene la mano.
Io sono una figurina goffa e con le spalle abbassate, come a proteggermi dal dolore che sto provando.
Sembro abbastanza pietosa, in effetti.
Lui è serio, ma composto. E sempre bellissimo.
 
So che non dovrei, che sto facendo una cosa stupida, ma leggo qualche commento qua e là.
E resto di merda.
Cattiveria pura.
Ragazze che delirano, che giurano di suicidarsi, che dicono che sono fotomontaggi, che mi maledicono.
Ci resto male: ma che cavolo ne sapete di chi sono e di come stavo quel giorno?
Come fanno a dire cose tanto cattive senza nemmeno conoscere non dico me, ma lui!
C’è una che scrive che palesemente io non sono giusta per Ben.
Ma chi cazzo sei, Nostradamus?
E che ne sai, oltretutto?
Scommetto che sei una sociopatica pazza, per scrivere una cosa del genere.
 
Basta, chiudi.
 
Ma non ce la faccio: è una droga.
Cerco e leggo e sono sempre più attonita, ma c’è qualcosa di perversamente attraente nel vedermi con lui su queste pagine.
Sono io… e insieme non lo sono.
Mi sembra irreale.
Tutto quello che sono io – che è veramente Gin – qui scompare: sono solo una figura e vengo giudicata perché sto accanto a lui.
Ma io stessa faccio fatica a riconoscermi: non è come vedere una fotografia normale, è un’invasione nelle nostre vite, il furto di un momento solo nostro e privato.
 
Ed è una cosa sporca.
 
Abbasso lo schermo di colpo, arrabbiata, e prendo il cellulare.
Faccio il suo numero e aspetto.
Uno, due, tre squilli.
E lui risponde.
«Ciao, amore mio» dice, in italiano.
Mi butto sul letto e sento che il mio cuore pesa già dieci chili di meno, solo a sentire la sua voce.
«Ciao… che ore sono, lì?»
«Le 6.30»
 
Cazzo!
Dannato fuso orario.
 
«Ben, scusami!» gemo, mortificata «Non riesco ad abituarmi!»
«Tranquilla, ero sveglio: ho una ripresa presto. E poi è sempre l’ora giusta per parlare con te»
Sorrido come un’idiota al soffitto.
«Va bene, sai sempre cosa dire anche se sei appena sveglio. E io ti amo per questo»
Lui ride.
«Cosa stavi facendo?» mi chiede poi.
«Mangiando un panino. E…»
Esito, insicura, ma lui domanda:
«E?»
«Oh…una cosa stupida. Solo che ho aperto il computer e… bè, ho visto le nostre foto…»
«Gin» dice lui dopo un momento «Ma perché?»
«Perché… uff, non lo so» sbuffo «So che è una cosa stupida, ma… siamo noi due. Voglio dire: chi più di noi due ha il diritto di guardarci? E invece tutto il mondo sta a farsi i fatti nostri e se io apro uno di quei maledetti siti mi sento una guardona! E ci sono io in quelle foto! Ma è normale?»
Lui sospira.
«Piccola, per questo ti avevo detto di non guardarle. Vorrei proteggerti da tutto questo circo mediatico. È una cosa malsana, fa male. Se stai a vedere e leggere ogni cosa che dicono di te perché stai con me diventi pazza»
Io mi mordo il labbro.
«Dicono che sono troppo brutta, grassa e insignificante per stare con te» dico, prima di perdere il coraggio.
«Gin!» sbotta lui «Ma che cazzo dici?»
«Non lo dico io! L’ho letto… c’è qualche tua fan che pensa che io non sia alla tua altezza…»
«Amore mio, ascoltami bene» sgrano gli occhi perché dal tono di voce sembra davvero incazzato «Guai a te se scopro che hai letto anche solo un’altra riga su internet, capito? Ma tu dimmi se devi farti ferire dai commenti che scrive qualcuno che nemmeno ci conosce! Ma tu pensi che la gente sappia qualcosa di noi o possa giudicarci?»
«No, no, Ben, certo, ma…»
Annaspo, perché in fondo questa è la mia grande paura.
Voglio dire: se io non fossi la sua ragazza ma una semplice fan, se fossi ancora la Gin che lavora in Italia e legge di lui su internet, io cosa direi di queste foto?
Lo so: direi che quella ragazza che lo abbraccia è troppo brutta, grassa e insignificante per lui.
 
Batto le palpebre per scacciare una lacrima.
Forse è una parte del gioco: per avere lui, devo accettarlo.
Come le assenze, i viaggi, i film.
Ma questa fa male, fa male a livello personale, cazzo.
 
«Senti, principessa» lui addolcisce il tono, mostrando ancora che sa leggermi nella mente, pure da oltreoceano «Se ti azzardi non a dire, ma solo a pensare di te quelle cose, io ti lascio. Chiaro?»
«Ben!» mi offendo «Sono io qui quella trattata di merda!»
«No, per niente» controbatte lui «Sei solo quella testona che non si fida mai di quello che le dice il suo paziente e protettivo fidanzato»
Faccio una pernacchia al telefono ma lui prosegue, imperterrito:
«Chiariamo questa cosa, una volta per tutte: io ho scelto te. Ti amo e non cambierei una virgola di te. E se tu metti in discussione questa cosa per una cagata letta su internet, allora io non ho capito niente di te e tu di me. Ci siamo capiti?»
Ha ragione, lo so.
Sospiro.
«Lo so che hai ragione. Ma fa male lo stesso…»
Non faccio in tempo a finire la frase che lui sbotta, nervoso:
«Gin! Allora non mi ascolti! Fa male un giudizio di un estraneo che naviga in mezzo a quella spazzatura che circola in rete? Ma cosa ne sa quell’estraneo di me o di te? Te lo dico io cosa fa male a me: mi fa male svegliarmi e non trovarti qui, vicino a me. Mi fa male sapere che siamo lontani. A te invece fa male se una fan dall’altra parte del mondo scrive su un sito che non le piaci perché sogna di stare lei con me! Ma ti rendi conto?»
«Ben!» salto a sedere sul letto, scioccata «Ma perché mi gridi addosso? Ma perché mi dai della stupida? Certo che mi fa male che non sei qui! Ma vorrei vedere te se avessi una fidanzata bella da paura, che mezzo mondo sogna e i cui fan ti dicessero che sei indegno di lei!»
Lo sento sospirare, poi risponde con un tono di voce più pacato:
«Io ho una fidanzata bella da paura»
«Ben…»
«Io ce l’ho, Gin, e sei tu. E io ti volevo e ti voglio da morire. Tu hai cambiato le mie priorità, mi hai fatto desiderare una storia anche se non la volevo. Per me ci sei solo tu. Non è abbastanza, amore mio?»
«Ma certo!» urlo «Questo non è “abbastanza”, è tutto per me! Come fai a dubitarne? Ben, io… devi capire che io a volte mi vedo così, come dicono quelle ragazze. Non perché lo dicono loro… proprio perché lo penso io»
«Ma che cosa pensi?»
Butto fuori l’aria insieme alle parole, ormai tanto vale dirgli tutto:
«Che con te ho avuto un colpo di culo pazzesco. Che tutta questa felicità….mi fa paura. Che un giorno ti sveglierai e ti chiederai perché perdi tempo con me. Tu puoi avere chiunque, mentre io…»
«Ma Gin, che cavolo dici?» sembra completamente spiazzato «Ma perché non mi hai mai detto che pensi questo?»
«Perché quando sei qui con me è tutto facile, è tutto perfetto. Ma quando sei lontano…mi prende paura»
«Gin, noi…»
«Noi staremo sempre lontani. Sì, lo so» lo anticipo.
«E comunque, piccola, io ti ho scelta. Potevamo non stare insieme… e invece guardaci»
 
Sì, guardaci.
Un super attore strafigo e la sua patetica ragazza depressa e paranoica.
 
Mi trattengo dal dirlo, per fortuna, perché Ben mi dice:
«O è solo per me che la nostra storia è magica?»
Sembra amareggiato e stavolta urlo io:
«Che cavolo dici?»
«Dico che, se tu provi le stesse cose che provo io e ti senti come mi sento io, è impossibile che tu abbia dei dubbi così stupidi. Quindi…»
Io annaspo:
«Ma io ce li ho per natura!» strillo.
Sento un sospiro provenire direttamente dall’altra parte del mondo.
«Gin…»
«Ben, non sei tu! Tu non potresti essere più perfetto di come sei! Mentre io… sono la solita cogliona!»
«Mi sembra un’ottima definizione» dice, lasciandomi di stucco.
 
Cazzarola.
Cornuta e mazziata.
Esisteranno corsi per idioti depressi, tipo me?
E se sì, saranno in inglese e io non ci capirò una parola?
Me ne preoccuperò dopo, comunque.
 
«Ben, partiamo dal presupposto che io ti amo alla follia» dico «E che proprio perché ti amo così tanto ho paura»
«Gin, ti ricordi cosa mi hai detto quando ci siamo conosciuti, in Toscana? Quando io avevo paura di legarmi a qualcuno?»
Mi mordo un labbro.
Sì che me lo ricordo.
Mormoro un assenso e lui insiste:
«Dov’è quella ragazza che ha mosso il mondo, il mio mondo?»
Dopo un attimo rispondo:
«Qui. È sempre lei… solo che anche tu hai mosso il suo mondo e l’hai messa un po’ in confusione. Ma solo a volte, giuro: non è sempre così tanto cogliona… solo…solo un po’. A tratti»
 
E lui ride.
E io respiro di nuovo.
 
«Fortuna per te che ti amo anche se sei cogliona, se no dopo una telefonata del genere, all’alba, sarei tornato solo per torcerti il collo»
«Grazie» bofonchio «Che parole dolci…»
«Non te le meriti, le parole dolci» dice, implacabile.
«Stronzo! Comunque, per la cronaca, io lo so che sono matta. Detto questo… ti amo tantissimo. Tu mi ami?»
«Per niente»
«Ben!»
«Per niente, davvero. Mi hai fatto incazzare. Ora devo andare che mi chiamano. Ciao»
E mi attacca il telefono in faccia.
 
Mi ha attaccato il telefono in faccia.
 
Fisso il cellulare, attonita, non sapendo se urlare, piangere o lanciarlo dalla finestra.
So che ha ragione, ma… ma come si permette di dirmi che non mi ama e di attaccarmi il telefono?
Mi tremano le mani mentre deglutisco convulsamente.
 
E il cellulare suona di nuovo.
 
«Pron…» dico, in automatico, ancora scioccata.
«Ti amo immensamente, stupida cogliona» dice la sua voce, divertita «Ti amo e mi manchi da morire, ma se apri di nuovo il computer mi incazzo davvero, chiaro?»
«Ben…io…io…» balbetto e non so cosa dire.
«Tu cosa?»
«Io…»
E mi riattacca.
 
Ma che cazzo fa, è ubriaco?
Ma perché attacca quel maledetto telefono mentre io sono qui che non so che pesci prendere?
Ma io lo ammazzo!
 
Mi richiama e stavolta urlo io prima di permettergli di aprire bocca:
«Brutto coglione!»
Lui scoppia a ridere, mentre io quasi singhiozzo.
«Sei un maledetto stronzo! Insomma, se mi attacchi di nuovo io…io giuro che vengo lì…e..e…»
«Davvero?» chiede «Verresti qui? Allora ne varrebbe la pena…Sono molto tentato!»
«Ben!» strillo, minacciosa.
Ma lui ride di nuovo e, di colpo, la sua voce torna ad essere dolce e vellutata come sempre, quando parla con me:
«Mia bellissima cogliona, stai meglio?»
«Per niente, grazie a te!»
«Grazie a me o grazie al tuo nuovo passatempo da guardona?»
«Uffa» sbuffo «Odio quando hai ragione!»
Lui ride e io pian piano mi calmo.
«Scherzavi quando hai detto che eri arrabbiato?»
«Scherzavo solo in parte» risponde, sincero «Perché mi manda fuori di testa il fatto che tu pensi di te stessa delle cazzate del genere!»
«Ma io…»
«Ma tu?» chiede, in tono minaccioso.
«Io ti amo da morire» dico di getto, perché l’unica cosa che ho chiara in testa al momento è questa.
«Anche io ti amo» risponde, dolce «Mi fai impazzire, sei meravigliosa»
 
Ah, Ben è come la droga.
Ti dice queste cose in un modo tale che tu non puoi che crederci, ti trasporta in un mondo incredibile, fatto di sole, fiori e colori sgargianti… e poi leggi qualche commento acido e il paradiso diventa un inferno.
Ma davvero posso fidarmi di quello che dice qualcuno che non è lui?
Di una ragazza gelosa e sconosciuta, che avanza pretese su di lui come se lo conoscesse?
Sospiro.
«Scusami…»
«Solo se mi giuri che non ci stai male»
Vedi che mi conosce come le sue tasche?
Lo rassicuro e la telefonata prosegue e finisce con noi due che ci diciamo un miliardo di parole dolcissime e ci promettiamo l’universo.
Ci salutiamo, mettendoci dieci minuti, e lui mi richiama dopo tre secondi per essere sicuro che io stia bene.
Prometto quindici volte che non cercherò più cose su di lui o su di noi su internet, ci diciamo di nuovo una marea di dolcezze e quindi lui va a lavorare e io crollo prosciugata sul letto.
Passo un po’ di tempo in stato vegetativo, poi mi alzo, faccio una doccia e, prima di perdere la determinazione, prendo il cellulare e chiamo l’agente di Ben, che aveva promesso di aiutarmi a trovare un lavoro.
 
Per quanto io ami Ben, non è giusto che mi annulli per lui fino a questo punto, fino a diventare una schiocca ragazzetta che si fa mettere in crisi da due commenti idioti.
Io ho altro, oltre che lui.
Ed è ora che lo ricordi a me stessa.
L’appartamento l’ho messo a posto, quindi è ora di intervenire sul resto.
Per fortuna parlo con la segretaria di TJ, che è una ragazza molto gentile.
Dice che mi hanno trovato qualcosa come assistente su un set fotografico di moda.
Non male, mi pare.
 
Certo, finché non vedo in cosa consiste.
 
Due giorni dopo sono su un set delirante, pieno di cocainomani esaltati e persone schizofreniche, che urlano, corrono, gridano, si strappano i capelli, mentre due modelle anoressiche fanno la faccia annoiata davanti all’obiettivo di un fotografo.
E io che pensavo di averne viste, di follie, nel mio lavoro.
Praticamente non capisco nulla e nemmeno oso chiedere nulla, per non rischiare che qualcuno mi azzanni un braccio.
Mi limito a cercare di sopravvivere, scansando gente che mi urla cose incomprensibili, facendo caffè, portando acqua e bicchieri.
C’è qualcuno che tira coca proprio davanti a tutti, senza farsi problemi.
Nessuno ci fa caso.
Le ragazze sembrano strafatte: sono magrissime, non mangiano nulla, ti guardano male anche se porti loro solo un thé.
Non ho mai visto un casino del genere.
Sono sulle spine per tutto il giorno, non capisco mezza parola e, quando arriva la sera, tiro un sospiro di sollievo.
Esco e mi accorgo di barcollare sulle gambe mentre scendo in metro.
Ho un sms di Ben, che dice: “In bocca al lupo per oggi, amore mio. Chiama appena hai fatto. Ti amo. XXX”
Vorrei mettermi a piangere: come glielo dico?
Aspetto di arrivare a casa e di essermi calmata e poi lo chiamo, glissando sugli aspetti nevrotici della giornata e facendolo ridere con le cose più folli.
Lui mi racconta dei primi giorni sul set e lo sento emozionato e felice per questo progetto.
Mi scalda il cuore e riesco quasi a dimenticare lo squallore di quello che ho visto oggi.
All’improvviso, però, Ben mi chiede:
«Sicura che è tutto ok?»
«Sì, perché?»
«Perché certi ambienti li conosco… e non sono adatti a te. Se quel posto non ti piace non fa nulla: troverai di meglio»
«No, no, va bene» rispondo in automatico.
Se non lavoro come faccio?
«Piccola, ascolta: Londra non è una città facile, lo so… potrebbe volerci del tempo prima di trovare qualcosa di decente»
«Ce la faccio, tesoro, davvero»
 
Lo spero, almeno.
 
Non so se l’ho convinto, ma la settimana seguente procede tutto così, tra alti e bassi: Ben che lavora felice e io che mi barcameno tra i folli.
Quando penso che il peggio sia passato, arriva venerdì.
Sto trasportando un vassoio con sopra mille caffè ammucchiati e scavalco scatoloni, pile di vestiti e faretti vari, quando il fotografo decide di urlare addosso a uno dei modelli di non so quale spot.
Parte una litigata con dei ringhi furiosi, mentre io cerco di farmi piccola e strisciare rasente i muri.
Ma non serve a nulla, perché all’improvviso il fotografo lancia un bicchiere e mi prende in pieno.
Io sobbalzo e strillo e il vassoio fa un volo con capriola annessa, inzuppando me e parte del telone bianco del set.
Non l’avessi mai fatto.
C’è un attimo di silenzio attonito, poi tutti iniziano a urlarmi addosso, dal regista all’ultimo degli assistenti.
Io capisco nemmeno la metà di quello che dicono, ma il tono è inequivocabile.
Cerco di non mettermi a piangere, ma la situazione è terribile: non tanto per l’accaduto (che francamente non è colpa mia), né per il lavoro in sé (che è una merda, se mi passate il francesismo), ma per l’astio, la rabbia e le grida dei pazzi esaltati che ho davanti.
Nemmeno fossi una criminale che ha sfregiato la Gioconda.
Quando il fotografo mi strattona per il braccio, io gli mollo uno spintone e inizio a gridare anche io:
«Ma vaffanculo, stronzo drogato di merda!»
Incredibilmente, lui reagisce come se lo avessi preso a calci, ululando come un cane idrofobo.
Scoppia il caos nel caos e tutto finisce con me che vengo cacciata.
Non che volessi rimanere, per carità, ma è a dir poco umiliante.
Faccio una passeggiata solitaria lungo il Tamigi, cercando di calmarmi, mentre mi ripeto che non sono io ad essere una fallita che non sa nemmeno portare dei caffè ma quelli ad essere dei pazzi.
Torno a casa, mi butto sul letto e osservo il livido che mi si è formato sul braccio, dove il regista mi ha tirato il bicchiere.
Poi mi addormento, credo, perché non sento nulla finché mi sveglia il rumore di qualcuno che sembra voler buttare giù la porta a calci.
Salto sul letto e ci metto un attimo a capire che si tratta della mia porta.
Barcollo e vado ad aprire: è Jack, con il cellulare attaccato all’orecchio.
Quando apro mi lancia un’occhiata e poi dice:
«Tutto ok, è viva!»
 
Io batto le palpebre, perplessa: chi è viva?
Io?
Ma certo che sono viva…
Poi lui mi passa il telefono.
Lo avvicino all’orecchio e sussulto nel sentire la voce di Ben, stridula per la paura:
«Gin! Stai bene?»
«Ciao» aggrotto la fronte «Tutto bene, perché?»
«Ma come perché? Ti chiamo da ore! Non rispondevi al telefono, stavo impazzendo! Mi ha chiamato persino TJ!»
«Oh» all’improvviso arrossisco «Cosa…cosa ti ha detto?»
«Mi ha detto… Gin, che cavolo è successo?»
Sussulto, ma rispondo di getto:
«Io… ecco, io… ho provato, Ben, davvero. Ci ho provato. Ma erano dei matti. Tutti isterici, tutti drogati… e poi oggi… oggi ho fatto cadere dei caffè, ma giuro che non l’ho fatto apposta: se quello non mi tirava addosso un bicchiere io…»
Mi sfuma la voce e sento un preoccupante silenzio dall’altra parte del telefono, mentre fisso un attonito Jack Barnes che mi guarda come se avessi tre teste.
«Ehm…Ben?» chiedo, dopo un po’.
Lo sento ansimare.
«Ti hanno… tirato un bicchiere addosso?»
«Sì»
«Ma come sì?» urla «Ma che cazzo! Fammi chiamare quello stronzo di TJ e poi vediamo!»
Io sussulto, ma poi dico:
«No, no, lascia stare. Davvero»
«Lascia stare?» la sua voce si alza tanto che lo sente anche Jack «Ma stai scherzando? Ti ha mandata in un posto del genere? E tu non mi hai detto nulla! Da giorni!»
«Io… non volevo farti preoccupare. Non volevo che pensassi che non riesco a cavarmela nemmeno a portare dei caffè, ecco. Tutto qui»
«Tutto qui?» ripete, incredulo «Gin, ma tu vuoi farmi uscire di testa. Ti ho detto mille volte di non… e tu mi finisci proprio nel classico ambiente di drogati pazzi che ti raccomando da mesi di evitare! Non voglio che stai a contatto con gente così, mi capisci?»
«Ben, ma era solo un lavoro temporaneo…»
«Gin, non esiste che tu faccia una cosa del genere, nemmeno per una settimana, sono stato chiaro? Ma insomma: hai studiato, sai lavorare… Ma come pensi che mi senta io al pensiero che per colpa mia ti abbassi ad accettare una situazione del genere?»
«Per colpa tua?» ripeto incredula.
«Per colpa mia sei venuta a Londra!»
«Ancora con questa storia?» sospiro, stanca «Ben, ma come te lo devo dire? Io voglio stare qui!»
«D’accordo, ma hai accettato un lavoro di merda e…»
«E se io sono stupida la colpa è tua?»
C’è un attimo di silenzio, poi faccio cenno a Jack di entrare e riprendo a parlare:
«Ascolta: non c’è niente di male nell’accettare un lavoro del genere, se non si hanno competenze specifiche, come me in questo caso»
«No» dice subito lui «Un ambiente del genere non va bene per te!»
«Lo so, hai ragione» ammetto.
«Perché non me lo hai detto, Gin?» mi chiede, triste.
«Perché non volevo che pensassi che sono una pallosa incapace»
«Ma potrei mai pensare una cosa del genere, secondo te?»
«Non potrai sempre proteggermi…»
«Dovrò farlo, invece, se non posso fidarmi di te!»
 
Ci resto di merda.
Ha ragione.
È colpa mia, che non gli ho detto la verità.
Non avrei fatto la figura dell’imbecille se lo avessi fatto per tempo… e quello stronzo di TJ lo ha chiamato per gioire, ci scommetto.
 
«Scusami…» mormoro.
«Amore mio, ma per cosa ti scusi?» sembra incredulo.
«Perché ho sbagliato. E perché TJ si è lamentato con te»
«Lascia perdere quel cretino di TJ» dice, lapidario «Mi importa solo che tu stia bene. Non rispondevi al telefono, non sapevo che fare…»
Tiro fuori il mio cellulare e vedo dieci chiamate senza risposta.
«Scusami, scusami…che cretina. Era silenzioso»
«Gin» Ben espira di botto «Ti rendi conto che mi è quasi preso un colpo?»
«Così impari ad andare dall’altra parte del mondo anziché stare qui con me» scherzo, per alleggerire la tensione.
Lui sospira e parliamo ancora un po’, poi rendo il telefono a Jack, che si autoproclama mio cane da guardia personale prima di andarsene, e resto sola.
Mi faccio una doccia, richiamo Ben, lo becco in mezzo a una ripresa ma lui risponde comunque, con il bel risultato che prende un cazziatone enorme dal regista.
Oggi non ne faccio una giusta.
Quando Ben riesce a richiamarmi, sono le 3 di notte.
Mi sveglio e biascico qualcosa, accorgendomi che mi sono addormentata, con su le lenti a contatto.
Lui impreca, si scusa, ridiamo.
E va tutto bene.
Chiacchieriamo per un’ora, io semi-addormentata e lui sfinito, ma non ci basta mai.
Gli giuro mille volte che non gli nasconderò più niente e alla fine lui si calma.
 
Non so cosa succede tra lui e TJ, ma il giorno dopo ricevo un’imbarazzata telefonata di scuse dall’agente.
Mi chiede se voglio che mi cerchi altro, ma declino.
È molto meglio se me la cavo da sola.
Così, di giorno vado in giro e porto curricula a mano.
Ci sono dei posti che mi farebbero davvero gola, tipo la National Gallery, dove parlo con una signora gentilissima, ma purtroppo è una posizione per cui serve un certo background.
Ma Ben mi incoraggia e io insisto nella mia ricerca, caparbiamente.
E, alla fine, ho un colpo di fortuna: mi richiamano da un teatro, per un posto da assistente al Comedy Theatre.
Faccio un colloquio con un tizio gentilissimo e quando esco non faccio in tempo a prendere il telefono che già arriva un sms di Ben: “Congratulations for your new job!! I love you XXX”
Digito subito la risposta: “Se mi fai ottenere un lavoro con i tuoi contatti, almeno aspetta che io ti chiami tutta felice prima di farmi le congratulazioni!”
Dopo due secondi arriva un altro sms: “:(((((”
Io rido, da sola e in mezzo alla strada.
Poi digito velocemente: “Ti amo, comunque. Grazie”
Il cellulare suona di nuovo, due secondi dopo: “Mi ami..quanto?”
Rido ancora.
“Tantissimo. Ma comunque non avresti dovuto farlo”
Tempo tre secondi e arriva la risposta:
“Perché non posso aiutarti??? Sono il tuo ragazzo non un estraneo!!!!”
Sospiro: ho capito che la mia eccessiva indipendenza lo ferisce, a volte.
Ma il fatto è che io voglio dimostrargli che sono autonoma: lo sono sempre stata e non voglio diventare la sua ombra sperduta, mi fa troppa paura.
Imparerò a barcamenarmi tra questi due estremi, mi riprometto.
“Sei il mio supereroe. XXX”
Mi risponde solo:
“:))  <3”
 
Oddio, mi ha mandato un cuore!!
 
Va bene, ho capito, la smetto.
 
La sera sono accovacciata sul divano e mi strafogo di gelato, quando facendo zapping alla TV alla ricerca di canali italiani non finisco su CoomingSoon, proprio mentre trasmettono un servizio su un premio cinematografico hollywoodiano.
Aspetta… ma me ne ha parlato Ben!
Mi protendo sul divano, attenta, e vengo ricompensata: dopo un po’ inquadrano il mio ragazzo, in compagnia del regista del film e di due colleghi.
Evviva!
Forza, forza, intervistatelo!
Li incoraggio con la forza del pensiero e, effettivamente, il giornalista si avvicina per rubare una battuta sul film in lavorazione.
Il regista dichiara che sarà un film bellissimo, che il filone fantasy è prolifico e che Ben sarà eccezionale, lo sta già dimostrando.
C’è una storia d’amore? Sì, c’è e sarà avvincente (te pareva? Che palle!).
Al che il giornalista chiede a Ben se la collega è affascinante e se lui non teme che la sua fidanzata si arrabbi per via delle scene romantiche che gira in questo film, o in generale sui set.
La telecamera inquadra Ben: il ciuffo ribelle, il sorriso smagliante e gli occhi scurissimi.
Sento un tuffo al cuore e me lo mangio con gli occhi.
Almeno, finché lui non dice:
«Il film è davvero interessante ed è bello girare con attori tanto bravi, è un’esperienza unica. Ma no, non ho problemi: sai, io non sono fidanzato»
 
 

   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Ben Barnes / Vai alla pagina dell'autore: _joy