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Autore: emotjon    08/07/2013    2 recensioni
"I don’t think they know the truth
Say they saw
I don’t think they know, how could they know".
Genere: Malinconico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DON’T THINK THEY KNOW.

 

“Don’t think they know the truth
Say they saw
Don’t think they know
How could they know…”.

- Chris Brown feat. Aaliyah.

 
Non ho mai pensato che loro sapessero. Nel tempo mi sono auto convinto che loro in realtà non sapessero niente. Che sapessero solo quello che vedevano, che dicessero solo quello che i loro occhi credevano di vedere.
Ho sempre odiato i paparazzi e i giornalisti.
Le gente crede in tutto quello che i giornalisti scrivono. Crede nelle parole di un giornalista come fossero oro colato. E dato che i giornalisti riportano le apparenze, è come se la gente credesse nelle apparenze, no? Danno per scontato che sia tutto vero.
Chris Brown è un mostro. Vero.
Chris e Rihanna non si sono mai amati. Vero.
Io non ho mai pensato che loro potessero capire quello che mi lega a lei, a Robyn. Non ho mai provato nemmeno a spiegare, non avrebbero capito. La nostra non è mai stata una di quelle storie per cui ad una sola occhiata riesci a capire tutto.
Per questo non ho mai creduto che loro sapessero. A dire la verità non lo sapevo nemmeno io.
Sapevo solo che me ne stavo sulla spiaggia di Malibù, all’alba, senza aver dormito più di un paio d’ore, con una sigaretta tra le labbra, un diario sulle ginocchia e una penna tra le dita, a sbattere ripetutamente contro il bordo del diario.
Nervoso. Incazzato. Totalmente fuori di testa.
Ancora innamorato, totalmente e incondizionatamente.
Innamorato della ragazza che avevo conosciuto otto anni prima, in casa discografica. Ricordo ancora la mia espressione quando la vidi. La vidi ridere con Melissa e Jay, come se si conoscessero da una vita. Era una ragazzina, un anno più grande di me. Ma ricordo che già otto anni fa, io la volevo.
Ricordo perfettamente il momento perfetto in cui quasi mi sentii affogare nei suoi occhi.
Verdi, all’apparenza. Ma io non ci ho mai creduto. Non ho mai creduto di poter conoscere una persona da quello che vedevano i miei occhi. Castani, intorno alla pupilla, per poi sfumare nel verde, e diventare quasi neri ai bordi dell’iride.
Ricordo che la vidi sorridere appena, e che senza volerlo un sorriso comparve anche sul mio volto. Ricordo lo scappellotto che mi diede mia madre dietro la testa, quando vide che stavo fissando quella meravigliosa ragazza dai capelli ricci e indomabili e quegli occhi talmente indefiniti da averne quasi paura.
Ricordo la prima volta che la sentii cantare, e pensai che avesse la voce di un angelo.
E le movenze di un angelo, la prima volta che la vidi ballare.
Penso di averla amata dalla prima volta che per caso le nostre dita si sfiorarono. Sentii come un brivido, brivido che non faceva che ripetersi ogni volta che ci sfioravamo. La sensazione più strana che abbia mai provato in tutta la mia vita.
Avrei voluto lei in ogni fottuto video della mia carriera. Avrei voluto che lei fosse la ragazza di “Gimme That”, “Forever”, “Run it!” e tutti gli altri video. Avrei voluto dare il mio meglio, sempre, anziché cadere nell’oblio e tirarla giù con me. Avrei voluto prendermi cura del suo cuore meglio di qualsiasi altra cosa. Più di quanto tenessi a me stesso. Avrei dovuto mettere lei al primo posto, sempre.
Ho pensato di essere sbagliato, che il nostro amore fosse sbagliato.
Non avrei voluto perdere il controllo e picchiarla fino a renderla irriconoscibile. Non avrei dovuto farmi fino a perdere la ragione, non ero in me. E avevo promesso di essere buono con lei, di amarla sempre, fino alla fine. Non mi ricordo se ero più fatto o più ubriaco, ma ricordo di averla pestata.
È un’immagine che non se ne andrà mai dalla mia mente, per quanto io provi a cacciarla.
 

I don’t think they know the truth
Say they saw
I don’t think they know, how could they know.

 
Scrivo quelle tre righe  con il pensiero fisso su di lei, tamburellando le dita nell’aria, immaginando qualche nota, oltre alle parole. L’avevamo fatto decine di volte, io e Robyn. Ed era successo decine di volte che lei si addormentasse dopo aver fatto l’amore… allora io la guardavo dormire e scrivevo.
Le parole venivano naturali, uscivano dalla mia penna come un fiume in piena. E non riuscivo a trattenermi dallo scrivere finché la canzone non era finita, finché anche l’ultima parola e l’ultima nota non andava al giusto posto.
Forse era la sua presenza, o il pensiero di averla accanto, ma venivano fuori dei capolavori.
Non ho mai pensato che loro sapessero la verità. Dicono quello che vedono. Non penso che sappiano, come potrebbero sapere? Nessuno mi conosce veramente, non come mi conosce lei, e viceversa. Sono l’unico che la conosca in ogni sua più piccola sfaccettatura, dalla punta dei capelli – di qualsiasi colore se li faccia – alle unghie dei piedi.
Conosco qualsiasi cosa le piaccia, il significato di ogni testo delle sue canzoni, il significato di ognuno dei suoi tatuaggi. Sono il suo Navy numero uno, se così si può dire. Conosco ogni intonazione della sua voce, ogni suo sguardo, ogni suo cambiamento d’umore…
Guardo per qualche secondo il solo sorgere, e scrivo.
Scrivo come non facevo da mesi. Da quando Karrueche è tornata nella mia vita insomma.

 

Don’t let them tell you any different
They don’t know about us, they don’t know about it
I owe it all to you
They don’t know about us, they don’t know about it
And as much as I messed up, always give me your best love
They don’t know about us, they don’t know about it.

 
Credo in ogni parola che butto giù su quel pezzo di carta. Credo davvero che nessuno tranne me e Robyn possa capire, credo davvero che nessuno sappia ciò che abbiamo passato in questi otto lunghi.
Credo davvero che Robyn non debba lasciare che dicano di lei qualcosa di diverso da quel che è. Lei non è solo Rihanna. Non è solo la star mondiale, quella dei sette album in sette anni, quella dei milioni di followers su twitter, dei milioni di fans su facebook… lei è anche, soprattutto, Robyn.
Lei è ancora la ragazzina nata alle Barbados, quella che ha fatto la modella per il suo Paese, in modo da fargli pubblicità, in modo che il suo Paese non andasse in rovina, in un certo senso. Lei è la ragazza legata ai suoi fratelli, legata alla nonna che l’ha lasciata. Legata alla madre, legata alle sue migliori amiche, legata ai suoi fan.
Legata a me.
Credo davvero a quello che scrivo. Credo davvero di dovere tutto a lei, perché è vero. Le devo tutto. Sono quello che sono adesso anche grazie a lei, grazie agli sbagli che abbiamo fatto insieme, grazie all’amore che abbiamo provato l’uno per l’altra.
E per quanto io abbia fatto un casino, lei mi ha sempre amato, mi ha sempre dato il suo meglio.
Robyn è sempre stata con me, qualsiasi casino combinassi, qualsiasi cosa facessi. Ha cercato di tirarmi via dall’alcool, dalla droga. non ci è riuscito nessuno, nemmeno l’amore della mia vita. Qualsiasi cosa succedesse, lei c’era.
Finché non ho rovinato tutto.

 

Sometimes I wonder what I did to deserve you
They don’t know about us, they don’t know about it
They gon’ talk about it (gon’ talk about it)
Gon’ try to change your mind about it
Gon’ tell you things you don’t wanna hear
Cause we good. (Don’t worry ’bout it)
So when they talk about (they talk about it)
Just let ‘em know we already got it
Just tell ‘em that we gon’ work at it, we good (Don’t worry ’bout it).

 
Mi sono chiesto un milione di volte una cosa: cosa ho fatto per meritare Robyn? Cosa ho fatto per meritare una meraviglia come lei? Lei mi ha cambiato la vita dal momento in cui i nostri sguardi si sono incrociati.
Ha cambiato la mia vita, con una sguardo, un sorriso, un bacio.
Ha cambiato la vita di un ragazzino della Virginia, la prima volta che abbiamo fatto l’amore.
E la prima volta che abbiamo cantato insieme. E la prima volta che l’ho vista mora, o rossa, o bionda, o tornare al suo colore naturale. È sempre stata una sorpresa, qualcosa cosa facesse, in qualunque veste si presentasse.
Per me rimaneva sempre e solo Robyn.
Hanno continuato a parlare di noi per mesi, continuano a parlare di quella cerimonia dei Grammy ancora oggi. Cerimonia a cui io e lei alla fine non abbiamo partecipato, ma di cui in qualche modo siamo stati protagonisti, più di altri. Parlavano di noi come se non fossimo presenti, come se non esistessimo.
Parlavano di me come del mostro che ha distrutto la faccia di Rihanna.
E per quanto io dicessi di non essere in me, loro continuavano a dire che era colpa mia, che ero sbagliato, che Robyn non poteva amare uno come me. L’avevo picchiata a sangue, come poteva amarmi? Per quanto mi sforzassi di non sentire le loro accuse… beh, sono stato male anch’io.
Niente in confronto a quello che ha dovuto subire lei, ovvio. Ma ho sofferto, proprio come ha sofferto lei, nello stesso identico modo e con la stessa intensità. Perché se lei stava male per quello che le avevo fatto e che aveva dovuto sopportare, io stavo male. I sensi di colpa mi attanagliavano lo stomaco in un modo che nemmeno credevo possibile.
I sensi di colpa… li sento ancora adesso, dopo quattro anni.
Hanno continuato a parlarne. Hanno continuato a provare a farle cambiare idea su di me. Hanno continuato a dirle cose su di me che lei non voleva sentire, le parlavano di Karrueche, come se tra me e Robyn non ci fosse mai stato nulla. Ma a me sembrava che lo facessero apposta, per farla sentire peggio di quanto già non stesse.
Ma la cosa importante è che siamo stati bene, insieme.
Quando siamo tornati insieme, avremmo dovuto lasciare che loro sapessero che avevamo capito cosa intendessero, avremmo dovuto lasciare che sapessero che tra noi avrebbe continuato a funzionare, stavamo bene. Stavamo da Dio, a dire il vero. Eravamo io e lei contro il mondo, avevamo superato quello che era successo anni prima, quando l’aveva picchiata… stavamo bene, come mai prima di allora.
Le avevo detto di non preoccuparsi.
Ma la verità era che quello preoccupato ero io, senza nemmeno saperne il motivo.

 

At my best you love me
They don’t know about us, they don’t know about it
Even though I act my worse
They don’t know about us, they don’t know about it
And I know that it’s different, feels like we’re best friends
We connected
They don’t know about us, they don’t know about it.


Prendo un respiro profondo, guardando per qualche secondo il sole salire nel cielo. Ripenso a tutte le volte che ho guardato l’alba dal finestrone della mia camera da letto, accarezzando la schiena nuda di Robyn, aspettando che si svegliasse per il mio tocco, o per il calore del sole contro la pelle.
Ricordo ogni suo risveglio. Si svegliava col sorriso sulle labbra, e mi salutava con un bacio.
Chiudo gli occhi e tiro un sospiro, era parecchio che non mi lasciavo andare ai ricordi. Cercavo di andare avanti con Karrueche, ma dopotutto era lei stessa a ricordarmi Robyn, inutile negarlo. Occhi e capelli più scuri, vero, ma aveva la stessa forma delle labbra di Robyn, la sua stessa carnagione. Si vestiva più o meno nello stesso modo.
Erano molto simili. Robyn era unica, certo, ma Karrueche le andava molto vicina.
Robyn ha sempre amato il meglio di me. Lei è stata la mia luce, la luce in fondo al tunnel in cui mi ero perso. Io facevo del mio peggio e lei puntualmente mi portava sulla retta via, mi riportava a respirare, mi riportava alla luce.
Abbiamo anche provato a essere migliori amici, prima di tornare insieme. Era come se non riuscissimo a stare lontani, ma né io né lei eravamo pronti a tornare insieme, così abbiamo provato a essere amici. Era diverso, era come se ci mancasse qualcosa, come se mi mancasse un pezzo… perché io e lei siamo sempre stati più che amici, siamo collegati.
Collegati, uniti a doppio filo. Come nella leggenda giapponese.
Sorrido al pensiero.
Esiste una bellissima leggenda giapponese. La leggenda narra che ognuno di noi nasce con un filo rosso legato al mignolo della mano sinistra. Questo filo ci lega indissolubilmente alla persona a cui siamo destinati, il nostro grande amore, la nostra anima gemella. Le anime così unite, sono destinate ad incontrarsi, non importa il tempo che dovrà passare, le circostanze o le distanze che le separano… perché il filo sarà lunghissimo e fortissimo e non si spezzerà mai. Sarà lo stesso destino a tenerlo saldo e unito finché esse non si incontreranno.
È sempre stata una delle mie leggende preferite.
Ricordo di aver pensato a me e Robyn, la prima volta che l’ho sentita raccontare.
 

After all the awards
That they gave me
You still found me
You didn’t play me, you didn’t doubt me
Think you want some more
I truly believe that if it wasn’t all for you
I don’t know what I would do.

 
Lei c’era, c’è sempre stata. Sempre. Dopo ogni singolo, dopo ogni album, dopo ogni intervista. Dopo ogni premio. Anche se non andavamo insieme alle premiazioni, lei c’era. E il suo sorriso mi arrivava dritto al cuore ogni fottuta volta, facendomi dimenticare puntualmente chi dovessi ringraziare per il premio.
Facendomi dimenticare di tutto, perché era il suo sorriso la cosa più importante.
Ha continuato a trovarmi, sempre. Non ha scherzato, non ha dubitato di me, mai. Nemmeno per un attimo. Ci siamo lasciati, di nuovo, perché lei voleva di più… e io, molto semplicemente, non ero pronto. E credo fermamente che senza di lei io a questo punto non sarei niente, non so cosa avrei fatto se un uragano di nome Robyn Rihanna Fenty non mi avesse sconvolto la vita.
Ma dopotutto, probabilmente ci saremmo incontrati, prima o poi.
Sono convinto che il destino ci avrebbe fatti incontrare, magari non quel giorno in casa discografica. Magari non da persone famose con migliaia di fans al seguito. Magari saremmo stati sono una ragazzo della Virginia e una ragazza delle Barbados.
Ma probabilmente non sarebbe stata la stessa cosa, no?

 

Don’t listen to (How could they know)
What people say (How could they know)
They don’t know about (How could they know)
‘Bout you and me (How could they know).

 

~

Esco dalla conferenza stampa sistemandomi gli occhiali da sole e passandomi poi una mano tra i capelli, di nuovo biondi, che stanno crescendo. Ho firmato centinaia di autografi, autografato centinaia di album, firmato decine e decine di fotografie, risposto ad una miriade di domande. Mi sono guardato intorno aspettando di trovarmi immerso in quegli occhi verdi, tanto belli quanto profondi.
Ma niente. Stavolta sono da solo.
Karrueche è chissà dove per un servizio fotografico, e sinceramente non mi interessa.
Salgo di malavoglia in limousine e tiro fuori l’iPhone dalla tasca dei pantaloni, aprendo poi l’applicazione di twitter. Scorro la home vagamente soprappensiero, retwettando qualcosa di particolarmente esilarante, per poi passare ad Instagram.
Allora quasi non mi viene un colpo.
La copertina del mio nuovo album, sul profilo di Robyn. E sotto una didascalia.
Nemmeno io ho mai creduto che loro sapessero, o che potessero capire. Hanno sempre riportato solo quello che i loro occhi vedevano, ma sappiamo entrambi che sotto c’è molto altro, giusto? Ti amerò sempre, lo sai. Sempre tua, Robyn”.
Allora sorrido, non mi ha lasciato solo nemmeno stavolta. Non mi ha lasciato crollare, come sempre. La amerò sempre, fino alla fine, come ci eravamo promessi. Perché nonostante tutto io mantengo le promesse.
Mi tolgo gli occhiali, sorridendo.
E in quell’istante non sono più Chris Brown. Sono solo Christopher.


   
 
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