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Autore: Brokenhearted    08/07/2013    4 recensioni
[USUK. Dark. In futuro: depressione, (accennati) self-harm & abuso, (forse) character death.]
Alfred F. Jones è un ragazzo qualunque. Gli piacciono lo sport, i fumetti e guardare le stelle. Forse è un po' ingenuo, un sognatore, ma nel mondo in cui si trova l'unica cosa che gli rimane è sperare. Arthur Kirkland è un ragazzo problematico, disilluso da una vita troppo incasinata per credere ancora in qualcosa. I due si incontrano per caso, quando Alfred decide che gli farà cambiare la sua visione cinica della vita. Ma non sa che potrebbe già essere troppo tardi, prima che l'altro possa essere salvato.
"La sua esistenza era piatta, spenta, scolorita; come quella di tanti che vivono senza ragione e senza sogni."
{ dedicata alla Uzu perché sì, ispirata a Remembering Sunday degli All Time Low }
Genere: Angst, Dark, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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"Oddio no, non di nuovo tu!"
- tutti i frequentatori della sezione di Hetalia su Brokenhearted.
Ebbene sì, gente, sono di nuovo qui! Con un'altra USUK -tanto per cambiare. Dark. Deprimente. Visione cinica del mondo etcetera. Contenti? Fondamentalmente, stavo ascoltando Remembering Sunday degli ATL (è tipo settordicimila giorni che ce l'ho in testa a ciclo continuo) e questa perla (?) m'è venuta. Perché il "even though she doesn't believe in love, he's determined to call her bluff" è so usuk it hurts. /lasciatela nei suoi sogni pls/ Ma questa non è una song fic, è solo ispirata. I titoli dei capitoli però sono frasi della canzone.
E niente. Eccomi qui, quando dovrei star facendo tutt'altro (tipo greco. o latino. o entrambi) e invece scrivo fic random. Spero piaccia. Se siete tipi impressionabili vi consiglio di chiudere però, perché sebbene questa cosa non sia così deprimente come vorrei, rischiano di esserci seriamente argomenti forti in futuro. Poi boh, si vedrà. Dipende da come mi gira di farla. Dovrebbe durare intorno ai 5 capitoli, forse 7. Si vedrà [x2]. Enjoy.
Dedicata alla Uzu, perché la amo tanto e abbiamo ricominciato a sentirci da pochissimo. Mi sei mancata.

Prologue.
"They had breakfast together, but two eggs don't last like the feeling of what he needs."

Alfred era una persona qualunque. Sebbene fosse di bell’aspetto, la sua prorompente passione per la fisica e per i fumetti lo rendeva poco interessante per i suoi compagni a scuola- nerd, dicevano- e ciò non lo aiutava certo a distinguersi. Oltrettutto, poiché non amava studiare, non riusciva nemmeno a sfruttare pienamente il suo talento, non brillando neanche in classe, e di conseguenza per i professori rimaneva solo un viso qualsiasi tra tanti altri. Una faccia nella massa di studenti che si muovevano a scuola, anzi, una faccia nella massa di persone che si muovevano nella vita. La sua esistenza era piatta, spenta, scolorita; come quella di tanti che vivono senza ragione e senza sogni. Eppure c’era qualcosa in lui che non si trovava spesso, che nessuno aveva avuto ancora la possibilità di vedere... fino ad una particolare domenica mattina.

Lo ricordava ancora, quel giorno- probabilmente non l’avrebbe dimenticato mai. S’era svegliato presto, senza motivo apparente; forse era il destino stesso a sapere che quel giorno la sua vita doveva cambiare. Era entrato in camera di sua madre, dove lei ancora dormiva. Vedere l’altro lato del letto vuoto gli provocava sempre fitte al cuore, incontrollabili (i ricordi si susseguono- mamma e papà che litigano in cucina, le urla, la porta che sbatte- e lui nascosto, ad ascoltare quelle poche parole che riesce a capire; papà esce correndo dalla porta, mamma in lacrime, lui l’abbraccia e si mette a piangere anche lui, papà che scende dalle scale con una valigia e il cappotto addosso- ma è troppo tardi perché stia andando al lavoro-  e anche i suoi occhi sono pieni di lacrime e non ha senso, perché papà è il suo eroe, gli eroi non piangono, e dove stai andando?, papà che lo guarda per un istante, poi esce senza voltarsi, e lui non capisce- mamma lo stringe, mamma che gli dice che va tutto bene, che papà tornerà- ma sono passati anni e ancora lui non è tornato). Si era avvicinato al bordo del letto e aveva passato le labbra sulla fronte della donna che amava più d’ogni altra al mondo, così leggermente da passare per un alito di vento. Un sussurrato “I love you” aveva accompagnato quel gesto dolce, poi era uscito dalla camera, ed era andato a vestirsi. Gl’era venuta una strana voglia di fare colazione fuori- forse di nuovo il destino- e aveva deciso di andare in una tavola calda vicina aperta da poco.

Sfortunatamente (o forse fu fortuna) detta tavola calda era già piena, quando lui era arrivato, così si era ritrovato costretto a scegliere un posto in un tavolo già parzialmente occupato da un ragazzo biondo. Non che a lui spiacesse condividere, tutt’altro! S’era seduto sorridendo gentilmente all’altro, ma dopo aver visto il suo sguardo, era rimasto scioccato, immobilizzato alla sua sedia. Degli occhi così tristi, così disperati, così rassegnati- alla vita, alla crudeltà del mondo, al dolore- non li aveva mai visti prima. E lo spaventavano come niente altro.

“Io sono Alfred,” aveva detto, cercando di mantenere qualcosa che assomigliasse a un sorriso. L’altro non aveva risposto, e quel silenzio lo aveva spinto ad una decisione. Non importava quanto terrore gli provocassero quegli occhi, in quel momento aveva promesso a se stesso che avrebbe tolto da essi tutto quel dolore, facendo tornare a brillare quel verde intenso. Non capiva come fosse possibile, ma era certo che un tempo quello sguardo non fosse stato così pieno di disperazione, così privo di speranza, e aveva deciso che lui l’avrebbe riportato all’antico splendore. Forse era questo che lo rendeva speciale, anche se nessuno se ne rendeva conto: Alfred F. Jones possedeva ancora la speranza. Quasi come un bambino, credeva ancora nei lieti fini, nell’amore eterno, nel “tutto andrà bene alla fine”; non era stato infettato da un mondo pieno di cinismo, pieno di uomini grigi e privi di vita. Nel suo cuore, nascosto da un aspetto qualsasi, vi era nascosto il colore. E il ragazzo dagli occhi tristi, Arthur Kirkland, non sapeva quanto era stato fortunato ad incontrarlo.

All’inizio non avevano veramente parlato. Alfred aveva tentato di fargli domande, ma l’altro non aveva risposto, se non a monosillabi. Non gli aveva detto il suo nome (non glielo disse mai, in tutto il tempo in cui si conobbero), non gli aveva rivelato nemmeno la sua età. S’erano scambiati forse solo parole vuote, ma per Alfred erano state piene di significato. Ogni singolo suono che usciva dalla bocca di quel personaggio strano per lui era una vittoria, poiché significava che lo stava aiutando ad aprirsi, seppur poco. Era assurdo che una persona vista per caso in una tavola calda l’avesse colpito così tanto, eppure era accaduto. Avevano fatto colazione insieme, e insieme per davvero, anche se non si conoscevano; non erano stati semplicemente seduti allo stesso tavolo, avevano condiviso un momento speciale, forse irripetibile. O per lo meno, così credeva il nostro protagonista, ma come abbiamo già detto, lui era una persona piena di speranza, anche in un caso come questo.

Poi  se n’era andato. Così, all’improvviso, come un ombra; quasi non si fossero mai incontrati. Eppure Alfred non era riuscito a toglierselo dalla testa per tutta la giornata, e anche per quelle successive. Ed era una di quelle giornate quando cominciò la nostra storia.
  
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