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Autore: RubyChubb    21/01/2008    11 recensioni
Spinse con forza la porta di vecchio legno scuro e vetro. Una serie che pareva infinita di scricchiolii e mugolii accompagnò quel breve momento e, non appena anche l’ultimo centimetro del suo corpo fu all’interno, la richiuse. Uno tintinnio sottolineò la sua presenza: attaccati sulla porta, piccoli e di bronzo, delle piccole campanelle avevano suonato fin dal primo istante in cui la sua mano si era appoggiata sulla nera maniglia esterna.... -RubyChubb-
Genere: Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: i personaggi qua sotto citati, esclusi quelli di mia invenzione, non sono stati utilizzati per scopo di lucro. Né intendo dare con questa storia rappresentazione veritiera delle loro vite.  Anche il libro citato non è  stato utilizzato per scopo di lucro.

Another Neverending Story

CAPITOLO 1

 

Spinse con forza la porta di vecchio legno scuro e vetro. Una serie che pareva infinita di scricchiolii e mugolii accompagnò quel breve momento e, non appena anche l’ultimo centimetro del suo corpo fu all’interno, la richiuse. Uno tintinnio sottolineò la sua presenza: attaccati sulla porta, piccoli e di bronzo, delle piccole campanelle avevano suonato fin dal primo istante in cui la sua mano si era appoggiata sulla nera maniglia esterna.
Ansimando, sudato e bagnato della fredda pioggia, attese che ogni singolo rumore da lui provocato si chetasse, restituendo al luogo la serenità e la calma che lo contraddistingueva ancora da prima che lui vi irrompesse dentro.
Appena sentì l’avvicinarsi delle voci, ovattato dalla porta, che lo stavano seguendo, trattenne il fiato, preso di nuovo dal terrore. Ma si sentiva comunque salvo, lì dentro, in quel posto sconosciuto e mai visto prima. Si voltò, guardò attraverso il vetro opaco e le vide correre, andare dall’altro lato della strada, chiedersi dove fosse finito, e poi riprendere di nuovo a correre, come dei poliziotti in cerca del ladro di turno.
Solo che lui non lo era.
Non appena ebbero svoltato l’angolo, tirò un sospiro di sollievo, si voltò ed appoggiò la schiena alla porta. Che giornata di m…
Ma dove si trovava? Cos’era quel posto?
Si guardò intorno, ma gli ci volle qualche attimo per rendersi conto di essere dentro ad una vecchia libreria. Le luci erano così soffuse che i suoi occhi dovettero adeguarsi alla calda penombra. Le lampade, attaccate al muro e volte verso il basso, non sembravano avere molta voglia di illuminare quel posto.
Davanti a lui un piccolo corridoio, delimitato sulla destra da un muro e sulla sinistra dalle costole degli scaffali di legno, impolverati e stracolmi di libri. Un passo dietro l’altro, intimidito ed incuriosito, andò verso la grande poltrona di cuoio e legno che, dondolando impercettibilmente, dava le spalle ai benvenuti. Sul tavolo dietro alla poltrona, numerose ed alte pile di libri, illuminate da una piccola abat-jour.
Ogni tanto, un anello di fumo guizzava sopra la testa della seggiola, segno che qualcuno, un vecchio signore pelato e con piccoli occhialini sul naso, come se lo era immaginato, si stava riposando, seduto comodamente a fumarsi la sua pipa.
Ad un suo passo, il parquet scuro sotto ai suoi piedi cigolò. Si fermò, mordendosi il labbro, come farebbe un ladro che si faceva scoprire dai suoi rumori.
Il dondolio della poltrona cessò e, muovendosi su se stessa, rivelò il vecchio signore pelato con piccoli occhialini sul naso che aveva pensato vi si sedesse sopra. La sua giacca, di un grigio squallido, stava a malapena abbottonata sulla sua pancia. Sulle sue gambe, un libro chiuso, dalla copertina di cuoio, che sicuramente stava leggendo, a vedere dal dito che il signore vi teneva in mezzo. La pipa, che stava ancora tra le labbra, venne tolta, insieme agli occhialini rettangolari da lettura.
Quello che il vecchio signore vide fu un alto ragazzo, con cappellino da baseball e giacchetta di pelle, pantaloni di jeans strappati e scarpe da ginnastica. Notò gocce di acqua scendere rapidamente sulla sua giacca, fuori doveva essersi messo a piovere.
“Oh, buon dio.”, disse. Con un colpo d’occhio, aveva visto il codino scendere fuori dall’apertura posteriore del cappellino ed un paio di occhiali da sole retti dalla mano destra del ragazzo.
“Stammi bene a sentire, io non soffro i tipi come te, con i capelli lunghi e tanti stupidi pensieri in testa. Questo non è un posto per te, vattene.”, gli disse, con molta gentilezza, e tornò a dargli le spalle con la sua poltrona.
Il ragazzo rimase sbalordito, da quando in qua i clienti si trattavano in quel modo? Beh, il signore non aveva tutti i torti, lui non era proprio un cliente… giusto uno che aveva sfruttato il suo negozio appartato per sfuggire da…
“Ancora qui?”, sbottò l’omino, voltando di nuovo la sua poltrona, “Cosa devo fare per liberarmi di te? Cos’hai da dire?”
“Beh… a dire il vero niente.”, disse il ragazzo, sentendosi improvvisamente come il bambino intimidito dal professore burbero.
“I ragazzi della vostra età non hanno nemmeno un briciolo di educazione!”, sibilò il vecchietto panzuto.
“Non penso di essere così maleducato…”, provò a contraddirlo il ragazzo.
“Ah sì? E allora perchè non ti presenti?”
“Ehm…”, fece il ragazzo, come indeciso, “Mi chiamo Moritz.”
Il vecchietto lo guardò, socchiudendo gli occhi con fare indagatore.
“Moritz? Non sembravi tanto sicuro. E’ il tuo vero nome?”, borbottò, infilandosi la pipa in bocca e sbuffando un anello di fumo che pareva quasi perfettamente circolare.
“Beh… a dire il vero mi chiamo Georg… e poi Moritz.”
“Oh bene Georg. Io sono il signor Metternich.”, disse il vecchio, sorridendogli.
Ma l’uomo, da gentile che era diventato, si rabbuiò di nuovo.
“Cosa ci fai qua? Sei un ladro? Hai rubato qualcosa?”, borbottò stizzito.
“No no!”, si affrettò a dire il ragazzo.
“I tipi con i capelli lunghi, i calzoni strappati e le giacche di cuoio sono tutti ladri. Ora va’ via da questo negozio, prima che chiami la polizia!”
“Non sono un ladro! Mi creda, sono una persona per bene!”, cercò di convincerlo il ragazzo, “Stavo solo scappando da…”
“Dalla polizia, lo so, te lo leggo in faccia che hai svaligiato la cassa di un negozio.”
Brutto, vecchio e pure rimbambito!, pensò il ragazzo.
“Stavo scappando da… da alcune ragazze!”, disse, sentendosi infinitamente idiota, ma era la verità e quel signore sembrava avere il sesto senso per smascherare le bugie.
“Ah sì? Dalle ragazze! Ma quelli come te non scappano dalle ragazze, se le prendono a braccetto!”, disse, sghignazzando.
“Eh… fosse così facile…”, disse Georg, togliendosi il cappello e grattandosi la testa.
“Ma perchè fuggivi da loro?”, chiese il signore, ormai così interessato alla sorte di quel ragazzo che chiuse definitivamente il libro che stava leggendo e lo ripose sulla scrivania, coprendolo in parte con un giornale.
“Perchè… avevo dei… conti in sospeso con loro.”, disse il ragazzo. Era l’unica cosa che gli pareva sensata in quel momento. Non poteva mica dirgli che suonava in una  band famosa in tutta Europa e quelle ragazze lo stavano inseguendo perchè erano sue fans! Lui manco l’aveva riconosciuto.
“Sicuramente i tipi come te non si fanno scrupoli ad andare dietro a più di una ragazza contemporaneamente, non è vero?”, disse il signore, con sguardo ammiccante.
“Beh… diciamo di sì.”, rispose l’altro, quasi arrossendo. Gli pareva di stare a parlare con suo nonno…
“E i tuoi genitori cosa ne pensano?”, gli chiese l’uomo, congiungendo le mani ed appoggiandole sulla sua pancia sporgente.
“Mah… a loro va bene così.”, rispose, insicuro.
Il vecchio, prima di poter contrattaccare, fu attirato dal suono del telefono, che proveniva da uno studiolo. Vi si accedeva da una piccola porta, accanto al bordo sinistro della scrivania. Gli occhi del ragazzo seguirono il grassoccio signore finché non scomparve nella stanzina, chiudendosi la porta dietro di sé, poi si spostarono sull’ambiente circostante.
Tanta polvere, poca luce, libri vecchi: un posto per collezionisti ed appassionati, di sicuro, che non poteva competere con le mega librerie dei centri commerciali.
Incuriosito, passò in rassegna i volumi che stavano al primo posto sulle pile sopra la scrivania. Vi leggeva i nomi di alcuni dei più grandi classici dell’avventura, da ‘Robinson Crusoe’ a ‘Viaggio al centro della terra’, tutti in edizione centenaria, con copertine di cuoio e titoli in argento o oro.
Poi, la sua vista cadde sul libro, coperto per metà da un giornale ingiallito, che prima aveva visto sulle gambe del vecchio bibliotecario. Con la punta del dito, toccò il piccolo pezzo di metallo ricurvo che spuntava fuori dal suo nascondiglio. Poi, con un gesto rapido e veloce, scostò del tutto il giornale.
Esso rivelò un ovale, composto da due serpenti che si mordevano la coda, uno chiaro ed uno scuro, che contornavano il titolo: ‘La Storia Infinita’. Ah sì! Lo aveva visto tante di quelle volte da piccolo, il film! E gli era piaciuto anche parecchio, benché in quel momento non se lo ricordasse tanto bene.
Lui non era un gran lettore, non lo era mai stato, e non sapeva che il film fosse stato tratto dal libro. Quello davanti a lui aveva una copertina di cuoio di un rosso così scuro che pareva quasi sangue.
All’improvviso, come se una folle molla fosse scattata in lui, afferrò il libro con le mani e se lo mise sotto la giacca…
Andò verso la porta e, per evitare che anche il più piccolo rumore attirasse l’attenzione dello strano libraio, aprì la porta così piano e così poco che a fatica riuscì ad uscire. Poi, preso da un’infinita paura, iniziò a correre.
Perchè lo stava facendo? Lo aveva rubato! Era un ladro!
Si fermò, pensando che avrebbe fatto meglio a restituirlo seduta stante, scusarsi infinitamente e dimenticare tutta la storia. Non voleva venire denunciato dal vecchio scorbutico…
Eppure non lo fece. Spinto da qualcosa di sconosciuto che gli nasceva dentro, riprese a scappare.
Corse, corse e corse di nuovo, scusandosi con ogni persona che urtava lungo il suo tragitto. Gli ci volle un po’ prima di rendersi conto dove si trovasse: per seminare quelle idiote si era infrattato nei peggiori vicoli. Una volta ritrovata la strada principale, concluse la sua corsa, lontanissimo dal vecchio negozio. Riprese fiato e tornò al suo passo normale.
Sotto la giacca di cuoio quel libro.
Individuò la porta del palazzo e, affrettando solo leggermente il passo, vi entrò dentro, salutò velocemente con un gesto della testa i due portieri ed andò verso l’ascensore. Premette il pulsante del decimo piano.
Sentiva l’impulso irresistibile di prendere il libro ma doveva provare con gli altri. Comunque,  se non fosse stato il primo ad arrivare, sarebbe stato il secondo, dopo Gustav, e le prove non sarebbero iniziate prima di una mezz’ora buona… forse avrebbe avuto il tempo per leggersi almeno un paio di capitoli. Tra meno di un mese sarebbe iniziato il tour europeo, dovevano mettersi sotto così tanto con le prove che avevano ridotto al minimo ogni loro comparsata al di fuori della sala prove. Tutti giorni provavano dalle quattro alle sei ore, quasi ininterrottamente…
Una volta fuori dall’ascensore, andò verso la grande porta di legno ed acciaio, suonò il campanello ed entrò dentro. Salutò velocemente tutti coloro che lavoravano per loro, per il gruppo, per i Tokio Hotel, e si chiuse dentro alla sala relax.
Non c’era ancora nessuno.
Guardò l’orologio.
Cazzo! Era di ben un’ora di anticipo!
Non se lo spiegò bene come poteva essere arrivato lì con tutto questo scarto temporale, ma se ne fregò altamente, aveva il suo libro da leggere…
Lo osservò di nuovo, lasciando che la punta del suo dito indice vi scorresse sopra. Il cuoio della copertina era liscio come il vetro, ma caldo, sia nel colore che al tatto. I caratteri del titolo erano stampati in rilevo, di un oro un po’ sbiadito e i due serpenti che lo contornavano erano decorati con dei piccoli taglietti che si incrociavano, per dare il senso delle squame della pelle di questi rettili.
Aprì il libro e l’odore della vecchia carta subito lo investì. Lui, che si era già detto non essere mai stato un gran lettore, si stupì nel pensare a quanto fosse buono quel profumo, tanto che prese una manciata di fogli e li fece scorrere velocemente tra le dita, per farsi pervadere.
Era il momento di leggere.
Sfogliò via la prima pagina, dove c’era riproposto il titolo del libro ed il nome del suo autore Michael Ende. Il prologo si apriva con una scritta al contrario, che dovette sforzarsi a leggere, che diceva: ‘Antiquariato’, e continuava con la storia del bambino che entrava dentro a quel negozio perchè inseguito dai bulli della sua scuola.
Alzò gli occhi, lontani dalle parole scritte. Che analogia! Anche lui si era trovato a fuggire via, ma non dai bulli, dalle sue fans! Bizzarro, pensò, ridendo tra sé e sé.
Riprese la sua lettura e si stupì ancora di più… il dialogo tra il bambino, un certo Bastian, ed il burbero libraio gli ricordò quello che lui stesso aveva avuto con il vecchietto scorbutico. Il ragazzetto, poi, rubò il libro così come lui aveva fatto.
“Cazzo…”, borbottò Georg, “Questo si che si chiama plagio!”
Sorrise, leggendo il titolo del primo capitolo: ‘Fantàsia è in pericolo’. Sotto di esso, una grande A, immersa in arabeschi e fiorellini.
E così si addentrò nel mondo di Fantàsia.
Quattro furono i primi personaggi di cui si parlava, in quel capitolo. Un Fuoco Fatuo, una piccola palla luminosa contenente all’interno un messaggero, un piccolo omino, di nome Blubb. Un Mordipietra, cioè una gigante fatto di pietra, che pietra mangiava e pietra usava per costruirsi ogni oggetto, di nome Piornakzac, in sella ad una bicicletta, fatta appunto di pietra. Un Minuscolino, di mone Ukuk, un ometto finissimo, con in testa un grande cappello rosso ed a cavallo di una lumaca da corsa; infine un Incubino, un grosso bruco con una folta pelliccia, nera come la pece, ritto in piedi e con manine piccole, accompagnato dal suo pipistrello.
Ognuno di questi personaggi… come poteva non avere una faccia a lui conosciuta? Sorrise nel pensare a Gustav come al Mordipietra, entrambi amanti della bicicletta; a Tom come al Minuscolino, con i loro cappelli ed Bill come all’Incubino, con le loro ‘pellicce’ nere. Sembravano fatti apposta!
Seppe che ognuno di loro era in viaggio, erano dei messaggeri, e che dovevano recarsi alla Torre d’Avorio. Sì, se la ricordava com’era nel film, una lunga torre altissima, tutta color panna, con in cima una grande terrazza, al cui centro vi stava il bocciolo di magnolia, la casa dell’Imperatrice Bambina, o Infanta Imperatrice, come si leggeva nel libro.
Ognuno di loro doveva dirle che piccoli e grandi pezzi delle loro terre erano scomparsi, volatilizzati nel nulla. Già, il Nulla, quel male misterioso che stava colpendo tutti i paesi di Fantàsia, da quello più sconfinato a quello più vicino, e che inghiottiva lentamente ogni cosa.
Lesse anche di come, nel secondo capitolo, intitolato ‘La chiamata di Atreiu’, questi quattro messaggeri seppero della strana malattia che aveva colpito l’Imperatrice Bambina e di come nessun medico, nemmeno il più saggio di tutta Fantàsia, il centauro Cairone, seppe dire quale fosse, tranne che aveva un nesso misterioso con quel Nulla che stava annientando il loro mondo. Sì, più o meno anche il film narrava la storia in quel modo, se lo ricordava.
Lanciò un’occhiata veloce all’orologio, era già passata un’ora. Almeno Gustav doveva già essere arrivato. Sugli altri due non ci contava molto: erano sempre, perennemente, instancabilmente, definitivamente in ritardo.
Tornò sul suo libro e alle vicende di Cairone che, munito dell’amuleto, affidatogli dalla stessa Infanta Imperatrice, Auryn, che altro non era il simbolo metallico fisso sulla copertina, partì alla ricerca di un certo Atreiu. Era stato lei stessa a rivelargli quel nome: gli aveva chiesto di trovarlo, di dargli Auryn e di spiegargli qual era il suo compito: vagare per Fantàsia, senza meta e senza armi, munito solo dell’amuleto, per scoprire quale era la cura per la sua malattia, dato che nessuno pareva saperlo.
“Questa me la devo segnare!”, sentì esclamare, nelle sue vicinanze.
Gustav, in piedi, a bocca aperta ed occhi stupiti, lo stava guardando leggere.
“Che c’è? Cosa ho fatto?”, fece Georg, perplesso.
“Stai leggendo… non te l’ho praticamente mai visto fare, a meno che non si trattasse di un giornale o di un manuale di istruzioni d’uso.”
“E piantala! C’è sempre un buon momento per iniziare!”, esclamò Georg, lievemente infastidito.
Gustav, percepito la sua stizza, si zittì, sedendosi nel divano di fronte a Georg, che intanto aveva ripreso a leggere. Afferrò la bottiglia di coca cola che stava appoggiata, ancora inviolata, sul tavolino accanto al bracciolo del suo divano e, dopo averne versata un po’ in un bicchiere, la bevve, leggendo il titolo del libro che tanto stava interessando il suo amico bassista.
“La storia… ma dai! Stai leggendo ‘La storia infinita’! E’ un libro per bambini!”, sbottò, meravigliato dal tipo di lettura poco consona alla venticinquenne età dell’altro.
“E allora?”, disse Georg, senza distogliere gli occhi.
“Mah… almeno è interessante?”
“Sì, finchè non sei arrivato tu a rompermi i coglioni!”, proruppe Georg, “Mi vuoi lasciare in pace?”
“Ok! Ok!... non ti scaldare.”, disse Gustav. Si poteva vedere uno che si incazzava per uno stupido commento su di un libro? Innervosito, uscì dalla sala relax, chiudendosi nella sala prove per iniziare a riscaldare le mani.
Poco pentito della sua reazione, Georg lasciò perdere il suo amico, concentrandosi di nuovo nella lettura.
Cairone era arrivato nella terra del Mare Erboso, così lontana dalla Torre d’Avorio che aveva dovuto correre per dieci giorni e dieci notti, quasi ininterrottamente. In quella terra vivevano cacciatori bravissimi, dai capelli nero bluastri e dalla pelle scura, del colore delle olive. Sia Georg che lo stesso Cairone, si aspettarono di trovarsi davanti ad un imponente uomo, valoroso e potente, ma invece Atreiu non era altro che un bambino.
“Un bambino?!?”, esclamò, così come Cairone.

Mpf! Così diventava un po’ troppo inverosimile… ma se non ricordava male anche nel film Atreiu era un bambino, un ragazzino. Eppure, nonostante la sua giovane età, Atreiu accettò e…
“Vaffanculo!”, sentì gridare. Proveniva dal corridoio, appena fuori la porta della sala relax.
“No vaffanculo un cazzo!”, fu la risposta.
“Sei un cretino, un deficiente e un pezzo di merda!”
“No! Sei tu un cretino, un deficiente e un pezzo di merda!”
La porta della sala relax fu spalancata di botto ed entrò un Bill a dir poco imbufalito, rosso in faccia e con le vene del collo pulsanti. A ruota, Tom, ancora più imbestialito.
“Sei un coglione!”, gli disse Bill, “Un imbecille! Vengo mai a frugare nelle tue cose?”
“Sì che ci vieni!”, ribatté Tom.
“No che non ci vengo perchè rispetto la tua privacy! E tu devi imparare a rispettare la mia!”, gli gridò in faccia, puntandogli un dito sul naso.
Georg, impossibilitato nel continuare la lettura, chiuse il libro, toccandosi stancamente le tempie. Avrebbe voluto prendere un cartello e scriverci sopra ‘Levatevi dal cazzo’, ma intorno a lui non c’era niente per poter realizzare quell’attacco d’arte.
“Non ti azzardare mai, e dico, mai più a mettere le tue manacce unte tra le mie cose, chiaro?”, ripeté Bill al fratello, che evidentemente si doveva essere macchiato del reato di violazione della proprietà privata di Bill.
“Hai rotto i coglioni Bill! Non puoi stare sempre a fare il dittatore!”, esplose Tom.
Georg iniziò a contare i proverbiali dieci secondi prima di parlare. Prese un profondo respiro e poi cercò di attirare l’attenzione dei due fratelli coltelli con un colpo di tosse.
“Ah… ciao Georg.”, disse Bill, notando distrattamente la sua presenza sul divano.
“Disturbiamo per caso?”, chiese Tom, con educazione.
“Mah…”, rispose Georg, facendo spallucce.
“E QUINDI VAFFANCULO TOM!”, gridò Bill, con tutto il fiato che aveva in gola, dopo aver interpretato il ‘mah’ di Georg come un no. Uscì a grandi passi dalla sala relax, lasciando il fratello nell’impossibilità di contrattaccare efficacemente. Tom, dopo aver stretto i pugni tanto da farsi sbiancare le nocche, si buttò sul divano, a braccia incrociate e viso imbronciato.
Silenzio di tomba.
Georg rilassò la schiena, contento della fine dell’animata discussione. La pelle del divano, sotto al suo peso, scricchiolò.
“Fatti i cazzi tuoi Georg!”, sbottò Tom.
“Ma io non ho detto nie….”
“FATTI I CAZZI TUOI!”, urlò Tom, alzandosi di scatto e precipitandosi fuori dalla stanza, sbattendo la porta lasciata aperta dal tornado Bill.
Il quadretto appeso sul legno dell’uscio, che recitava la scritta ‘Sala relax’, cadde. Georg sentì il vetro rompersi, fare ‘crack’ ed andare in mille pezzi.
Quale reale metafora poteva esprimere al meglio la sorte dei Tokio Hotel, se non quella?
C’era poco da spiegare, a parte il fatto che da un mese a quella parte non tirava aria buona tra di loro. La stanchezza, lo stress, il nervosismo avevano preso il sopravvento, lasciandoli quasi senza fiato. C’era chi reagiva bene, come lui o come Gustav, che cercavano sempre di mantenere il controllo finchè potevano. C’era che reagiva male, come i due Kaulitz, che esplodevano per un nonnulla.
E poi c’erano tutte le pressioni della casa discografica, l’album che non stava vendendo bene come gli altri, il tour in preparazione, le voci di una possibile crisi che prendevano sempre più piede, la stampa che ricamava pizzi e merletti sulle loro vicende private.
Una vacanza?
Ne avevano bisogno.
Progetto fattibile?
Mmh… certo che no.
Lavoro, lavoro, lavoro.
Stress, stress, stress.
Incazzamenti, incazzamenti, incazzamenti.
Si alzò dal divano per andare a raccogliere i vetri del quadretto e per riappenderlo alla porta. Il libro, benché molto più allettante delle prove, doveva essere abbandonato per un po’.

 

Le prove si conclusero nel giro di un’ora perchè Tom, che ancora aveva da smaltire l’incazzatura, se l’era presa a morte con Gustav, accusandolo di aver sbagliato tempo in un paio di canzoni. Dopo un battibecco durato all’incirca trenta secondi, in cui ebbe la meglio Gustav, i ragazzi decisero di interrompere definitivamente le prove, non era proprio giornata.
Uno alla volta, i duellanti uscirono dalla sala prove, facendo a gara a chi sbatteva di più la porta. Bill, seduto sul suo sgabello, era intento ad ignorare il mondo circostante e correggeva alcuni spartiti con una matita. Memore dello scricchiolio del divano, che aveva causato l’esplosione dell’ennesima bomba atomica, Georg cercò di riposare il suo basso senza fare il benché minimo rumore.
“Dove vai?”, gli chiese Bill, senza però abbandonare i suoi fogli.
“Beh…”, balbettò Georg. Ogni risposta poteva scatenare un’altra guerra mondiale, “Pensavo di tornarmene in sala relax.”
“Ah…”, fece l’altro, mettendosi la matita in bocca e concentrandosi sugli spartiti.
“Hai bisogno di una mano per qualcosa?”, gli chiese.
“No, grazie.”, disse Bill, storpiando le parole per via della matita.
“Va bene.”, fece Georg, avvicinandosi alla porta.
“Se vedi Tom mandalo a fanculo da parte mia.”, gli disse, poco prima che uscisse.
“Ok, riferirò… messaggi per Gustav?”
“E’ un coglione, aveva ragione Tom, ha sbagliato il tempo in due canzoni.”, disse Bill, riponendo i fogli sul leggio.
“No, non ha sbagliato, perchè anche io seguivo il suo stesso tempo, che è quello che avevano deciso insieme.”, ripeté Georg, usando più o meno le stesse parole utilizzate appena qualche secondo prima da Gustav.
“Alla fine avevamo stabilito di farla più lenta, non veloce in quel modo! Sembra un pezzo da sala da ballo, non da Tokio Hotel!”, esclamò Bill, prendendo la parte di suo fratello.
“Sì, ma poi avevamo provato con il nuovo tempo e sembrava troppo smielata!”, ribatté Georg.
“Io quello non me lo ricordo!”, si giustificò Bill, ormai alterato ed in cerca di un nuovo scontro.
“Io sì, quindi la prossima volta prendetevi un po’ di fosforo, tu e tuo fratello!”, disse Georg, rimanendo comunque calmo ed uscendo dalla sala prove.
Che palle, disse tra sé e sé.
Tornò nella sala relax a riprendersi il libro. Voleva solo tornarsene a casa e passare tutto il pomeriggio da solo, in compagnia di un qualche videogioco. Non voleva nemmeno pensare alla brutta giornata che stava vivendo, solo sfinirsi le dita sul joystick… e magari leggere ancora, ma tanta era la rabbia che aveva dentro che non ne aveva più voglia.
Non avvertì nemmeno gli altri, scese al piano terra e chiese ai due portieri di chiamargli un taxi. Dopo mezz’ora, era seduto sul tappeto, davanti al maxischermo, a giocare a Tomb Raider.





Arieccoce qua, a pubblicare la nuova storiella! Eheheh, ci ritroviamo dopo poco meno di un mese, con un nuovo protagonista, Georg. Dopo aver dedicato un'intera trilogia a Tom ed anche un'altra storia singola, credo che sia sufficiente!
Eeeeehhhh Giorgino *me sospira*
Ma passiamo a spiegare alcune cose: innanzitutto questa fanfiction sarà un po' strana, intendo nella trama. Sarà concentrata totalmente su di Georg, il punto di vista sarà esclusivamente il suo, ho escluso tutti i pensieri degli altri dalla narrazione. Protagonista assoluto quindi, tutti i fatti saranno sottoposti al suo unico giudizio... ma non è questa la cosa 'strana' di questa fanfiction, ed è qui che arriva il bello...
Ho il grande timore che troverete la storia del tutto assurda e senza fondamento. Non posso spiegarvi esattamente in quale senso, perchè altrimenti vi rivelerei come si evolve, ma ho continuamente questa paura. Indi per cui vi chiedo, ora come mai ho fatto prima, di essere del tutto obiettive nelle vostre recensioni, dirmi dove pecco, dove sbaglio e dove la storia non vi piace, dove vi sembra assurda e totalmente irreale. Non mi offenderò assolutamente of course XD anzi, mi serviranno per capire dove sbaglio!

In due occasioni ho riportato dei frammenti microscopici di libro, specificatamente nel prossimo capitolo e anche più avanti. Se andassi contro le regole del sito, ditemelo così vedo di arrangiarmi. L'ho fatto senza scopo di lucro, nè con l'intenzione di violare alcun copyright.

Ovviamente ringrazio tutte quelle che hanno recensito l'ultimo capitolo di 'Time and Destiny'... sniff sniff... tiro su la lacrimuccia e lascio i miei figlioli camminare lungo il viale del tramonto tenendosi mano nella mano...

Vi lascio, per adesso, in attesa del prossimo capitolo e spero vivamente che questo inizio  abbia stuzzicato la vostra fantasia.


....Perchè la Storia Infinita sta dentro la Storia Infinita....
   
 
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