Lost
in a Fake Smile
A
The World That Never Was, le cose continuano a procedere
tranquillamente come
se nulla stesse accadendo: Saix, altero e stabile nel suo elemento,
continua ad
assegnare missioni ai pochi membri rimasti, solo che adesso si muovono
in singolo,
non più a coppie come accadeva prima
dell’incidente a Castle Oblivion.
Un
brivido freddo percorre la sua schiena al solo pensare quel nome, e il
Nobody
si ritrova a cercare con tutte le sue forze di mantenere intatto il
sorriso che
porta più per abitudine che per vera felicità
–come se potesse davvero provarla
lui, la felicità.
Dopotutto
non è che i suoi compagni noterebbero la differenza, troppo
presi nei loro
stessi problemi per captare la scomparse di qualcosa che prima era
così
familiare, ma, d’altro canto, nessuno di loro ha
più sorriso, anche solo in
maniera sprezzante, dopo il tradimento di Marluxia.
Tuttavia,
a lui, non importa granché di ciò –a
dirla tutta, a lui, non è mai importato
molto dell’Organizzazione stessa, ma, si sa, quando si
è in ballo si deve
ballare.
Eppure,
anche lui fatica a mantenere la facciata sempre allegra e disponibile
che tutti
hanno imparato ad associare a Demyx, il numero Nove.
Non
è che non sappia esattamente cosa abbia fatto scattare quel
cambiamento, non è
così stupido come Xigbar continua a ripetere eh, solo che
ancora non riesce ad
accettarlo.
C’è
differenza, e tanta anche.
Ha
qualcosa a che fare col tempo trascorso forse troppo in fretta; con la
desolazione che avvolge le bianche stanze ormai costantemente vuote del
castello; con la scomparsa di Roxas e Axel che impazzisce di dolore dentro e non dice nulla a nessuno, ma
Demyx sa, sa, che prima o poi li
tradirà, e scapperà alla disperata ricerca di
quel ragazzino che per lui è
tutto, ma che in realtà non è altro che il
riflesso della causa del loro
dolore, e quando infine lo troverà –Demyx sa che
lo troverà, sebbene non sia
sicuro dello stato in cui potrà essere Roxas in quel
momento- esploderà e verrà
bruciato dalle sue stesse fiamme, e allora perderà
l’unico amico che si è
fatto, lasciandolo solo –di nuovo- e allora sì che
impazzirà definitivamente.
Eppure
non è quello il motivo principale del perché,
quando si vede riflesso in uno
specchio e sorride, sente di star mentendo anche a se stesso.
Il
che è assurdo, considerando la mancanza di un cuore.
-Numero
nove-.
La
voce di Saix lo raggiunge flebile, come se tra di loro ci fosse un muro
d’ovatta, o l’altro lo stesse chiamando, urlando,
da una grande distanza. Non è
una sensazione piacevole.
-Tra
tre giorni andrai in missione. La meta sono gli Inferi situati sotto il
Monte
Olimpo. I dettagli ti verranno spiegati più avanti.-
Demyx
non fa in tempo nemmeno ad annuire –o a lamentarsi,
più probabilmente-, che già
il vice del loro Boss sparisce, inghiottito in uno dei loro corridoi
fatti
d’oscurità.
Il
ragazzo sospira.
Ormai
partecipare o meno alle missioni per lui non ha alcuna importanza.
-La
prossima missione sarà ad Halloween
Town, accompagnerai il numero Tredici.-
-Cosa? No, ti prego! Non ho voglia di andare
in missione. Roxas può cavarsela benissimo da solo!-
-Demyx, smettila di fare il bambino-
-Oh ti prego, Zexion!-
Il
ricordo lo colpisce all’improvviso, freddo e crudele nella
sua quotidianità,
caldo e dolce nella sua nostalgia, ed il Nobody ha bisogno di prendersi
qualche
secondo per recuperare il respiro e permettere a quel cuore che non
possiede di
riassestarsi.
La
mano guantata di nero stringe convulsamente il cappotto appena sotto la
spalla
sinistra.
Sono
passai mesi, eppure il dolore –quel dolore che, di notte, lo
tiene sveglio a
causa degli incubi e che, di giorno, aspetta solo un suo momento di
distrazione
per colpirlo; lo stesso dolore che non dovrebbe esistere- non si decide
ad
abbandonarlo.
Demyx
aveva fatto di tutto pur di non pensare a Zexion in quei giorni, dove
anche la
grande luna a forma di cuore che rappresenta tutte le loro speranze e i
loro
sogni aveva smesso di brillare.
Non
era mai stato il tipo che si sofferma a pensare troppo –era
il numero Sei
quello riflessivo; non era mai stato il tipo sentimentale
–gli sarebbe
piaciuto, forse, ma la mancanza di sentimenti non giocava a suo favore;
lui era
sempre stato il tipo diretto, quello che dice la prima cosa che pensa e
fa la
prima cosa che gli viene in mente, forse un po’ stupido come
modo di fare, a
volte anche stupido in maniera pericolosa, ma la maggior parte delle
volte era
semplice ingenuità. Demyx si era convinto che
l’avere l’aspetto di un
diciottenne da almeno qualche decina di
anni lo avesse un po’ influenzato. Ma lui non
è il tipo riflessivo, quindi
ha sempre fatto spallucce e preso per buona la prima teoria formulata.
Con
Zexion – per colpa di Zexion- era stato molto diverso invece.
Da
quando Demyx era arrivato in quel mondo dove il sole sembrava essere
stato
bandito per sempre ed era entrato a far parte di quello strano gruppo,
l’Organizzazione XIII –un nome strano,
più per il fatto che all’epoca erano
solo dodici-, non aveva ben capito a cosa stesse andando incontro.
Certo,
ora aveva dei superpoteri che gli permettevano di far fare
all’acqua quello che
lui voleva –incluso il bagno al tipo simpatico dai capelli
rossi, che sembrava
non apprezzare molto, ma fa nulla- e, nella sua visione un
po’ infantile, loro
erano dei supereroi incompresi che proteggevano la gente
dall’oscurità.
Dopotutto
le missioni che gli affidavano, quando si decideva a fare qualcosa,
avevano
sempre a che fare con lo sterminio degli Heartless e Demyx aveva
imparato, per
esperienza personale, che gli Heartless non portavano mai nulla di
buono.
Quindi,
se quelle gocce scappate da un oceano oscuro erano i cattivi ragazzi,
loro
erano, senza alcun dubbio, i buoni.
Così
si era lanciato senza tanti complimenti in quelle missioni, diventando
un
membro effettivo di quella organizzazione dal nome sbagliato,
perché a lui era
sempre piaciuto aiutare le persone.
Poi
era arrivato Zexion e tutto era crollato.
Lo
aveva già visto quello strano ragazzetto dai capelli cerulei
che sembrava più
giovane di lui, lo aveva visto la prima volta che era arrivato
lì, quando gli
erano stati presentati tutti gli altri membri, e aveva capito che
l’aspetto per
un Nobody davvero non contava, perché se quel ragazzino che
dimostrava si e no
sedici anni era uno dei Fondatori, allora chissà qual era la
sua età effettiva.
Ma non si era posto più di tanto il problema: era solo
questo ragazzo che
sembrava troppo giovane, toppo gracile e troppo stanco per essere
lì, che, ogni
volta che venivano convocati per una riunione, calamitava il suo
sguardo come
il più prezioso dei gioielli della Caverna delle Meraviglie,
facendogli
dimenticare dove fosse e cosa stesse facendo, costringendo poi Axel a
rispiegargli tutto quello che Xemnas aveva detto.
Tuttavia
non lo aveva mai avvicinato, limitandosi ad osservarlo, fino a quando
non se lo
ritrovò come compagno in una missione che aveva accettato
senza volerlo
davvero.
Dovevano
semplicemente indagare su questo nuovo mondo –Demyx non aveva
prestato nemmeno
attenzione al nome del posto dove sarebbe stato mandato, troppo preso
ad
elaborare la notizia dell’identità del suo
compagno di viaggio- e riportarne le
caratteristiche fondamentali. Una cosa facile: poteva riuscirci persino
lui.
Per
la prima volta, quel giorno Demyx arrivò puntuale ad un
incontro, causando
l’inarcamento di un sopracciglio –uno solo, ma era
comunque una vittoria- da
parte di Saix. Zexion era già lì, seduto su uno
dei divani che arredavano la
Sala Grigia intento a leggere uno dei suoi complicati libri, e quando
lo vide
arrivare alzò semplicemente gli occhi per osservarlo, prima
di chiudere il
libro e alzarsi.
-Andiamo?-
Per
la prima volta, quel giorno Demyx sentì la voce di Zexion.
Era strana: calma,
ma non profonda, un po’ gracchiata, come se non fosse
abituata ad abbandonare
il rifugio sicuro della gola del ragazzo da molto tempo; era una voce
che
sapeva di conoscenza, una di quelle che ti aspetti di sentire da
qualcuno che
sta per leggere qualcosa di davvero, davvero importante, ma davvero,
davvero
difficile.
Era
una voce che non aveva nulla a che fare con il mondo di Demyx, eppure
al numero
Nove piacque all’istante.
Si
ritrovò così a chiacchierare senza sosta per
tutto il viaggio -per tutta la
missione- di cose fondamentalmente inutili e che non interessavano
nessuno dei
due solo per il gusto i sentirsi rispondere a monosillabi o di
strappare un
qualche “Vuoi chiudere il becco?”, molto irritato,
senza soffermarsi troppo a
pensare al perché avesse il desiderio irrefrenabile di
sentire ancora quella
voce.
E
tutto era andato per il meglio.
Tutto
era andato per il meglio, fino a quando non avevano incontrato un
gruppo di
Heartless che stavano attaccando delle persone che, a guardarle
così, da
lontano, si poteva solo definirle innocenti.
-Dovremmo
fare qualcosa! Dovremmo aiutarli…-
-No.-
La
mente di Demyx non era abituata a fermarsi e a ragionare: sviluppava un
idea,
un pensiero, un impulso, un qualcosa,
e semplicemente lo seguiva finché non lo portava a termine,
o si stancava;
così, davanti al perentorio ordine di Zexion di
“non fare nulla di quello che
stai pensando” il povero e diretto cervello di Demyx
andò in crisi.
-No?-
si sentiva come un bambino a cui avevano portato via le caramelle.
-La
missione non richiede il nostro intervento in caso di avvistamento di
Heartless, solo di riferire in caso tale eventualità si
verificasse.-
La
voce di Zexion in quel momento gli parve proprio brutta.
-Ma…dobbiamo
aiutarli…-
-No.-
Per
la prima volta, quel giorno Demyx realizzò che no, loro non
erano i buoni.
Quando
tornarono al castello si rifiutò di parlare ancora con
Zexion, di vederlo o
anche solo di sapere che esisteva.
Per
un capriccio non meglio definito –o più
semplicemente perché aveva fame- si
nascose in cucina, come un bambino sgridato dalla mamma, e
lì finì per
raccontare tutto quello che era successo a Xaldin.
Xaldin,
sebbene fosse terrificante e atterrisse in maniera totale Demyx, lo
stette ad
ascoltare paziente, prima di scoppiare a ridere per la sua
ingenuità; il numero
Nove osservò il suo compagno con un’espressione
incredula dipinta sul volto
mentre questi gli spiegava che si, Zexion aveva ragione e no, non era
compito
loro aiutare quegli idioti incapaci di badare a se stessi,
perché, se da
qualche parte in quel mondo esistevano ancora i buoni, non erano
decisamente
loro.
Come
si fa ad essere “buoni” quando ti manca un cuore?
Demyx
non aveva capito molto bene cosa intendesse il numero Tre con quelle
parole,
fino a quando, quella sera, Axel, stanco del suo muso lungo, non gli
spiegò che
i Nobody come loro non possedevano un cuore, perciò non
potevano provare
sentimenti e che quelli che loro credevano di provare erano in
realtà uno
strascico dell’inconscio lasciato dal loro Somebody.
In
quel momento il Notturno Melodico desiderò essere il tipo
riflessivo, giusto
per capirci un po’ di più.
Non
era possibile che non avesse un cuore –sarebbe morto senza
cuore! Lo sapevano
tutti! Come potevano i suoi compagni credere di non averlo? E poi
dicevano che
lo stupido era lui…- perché Demyx era sicuro che
quando rideva, o era
spaventato, o era triste, o altro lui si sentiva davvero felice,
spaventato,
triste o altro e, no, non c’era nessuno vero-Demyx a
suggerirgli le battute da
pronunciare in quella strana commedia che si era ritrovato a vivere,
grazie per
averlo chiesto.
Tuttavia
il dubbio si era instillato nella sua mente che, per un breve attimo,
considerò
seriamente l’idea di diventare del tipo riflessivo, ma oh la
cena era pronta.
Così
Demyx si ritrovò a percepire che qualcosa non andasse ogni
volta che faceva
qualcosa.
Ma
era impossibile: lui aveva un cuore, giusto?
La
risposta arrivò qualche sera dopo.
Non
sapeva bene perché si fosse recato in biblioteca
–qualcosa nel suo cervello gli
aveva fatto credere che sì, la biblioteca era proprio il
posto perfetto per
suonare il suo Sitar senza infastidire nessuno. Dopotutto, chi ci
andava in
biblioteca?- e lì trovò Zexion, seduto su uno dei
divanetti, intento a fare una
cosa totalmente nuova: leggere.
Demyx
fece una specie di suono strozzato quando lo vide: si era dimenticato
di aver
fatto di tutto per dimenticarsi la sua esistenza, eppure la sua
presenza non
gli dava così fastidio, anzi, era contento di poterlo vedere
di nuovo.
Dal
canto suo Zexion si era limitato a guardarlo per due secondi netti
–forse di
meno- prima di tornare ad ignorarlo.
Incurante
di questa chiara richiesta di non essere disturbato, il numero Nove si
sedette
proprio di fianco al Burattinaio Mascherato e lo osservò per
qualche istante.
Da così vicino poteva anche sentire l’odore di
Zexion che sapeva di polvere, ma
non una polvere cattiva, come quella che si posava sul suo comodino
quando
–sempre- era troppo pigro per pulire decentemente la sua
stanza; era una
polvere più tenue, come quella che si posa sulle cose
preziose e rare,
custodite per anni in posti sicuri e segreti, in attesa di essere
liberate, con
un retrogusto di pergamena e, in qualche maniera disturbante, di
pozioni.
-Che
cosa leggi?- chiese per fare conversazione – o più
semplicemente perché
soffriva di incontinenza verbale.
L’interruzione
non piacque all’altro ragazzo, ma, per una fortunata
congiunzione astronomica,
decise di rispondere.
-Un
trattato sull’essenza dei Nobody.-
L’attenzione
di Demyx si calamitò immediatamente sui fogli stropicciati
che le mani di
Zexion stringevano forse troppo rigidamente, cercando di decifrare la
calligrafia sottile e leggermente inclinata dall’angolazione
in cui si trovava,
nella speranza che in essa fosse contenuta la risposta alla sua domanda.
Dovette
arrendersi tre righe e dieci parole saltate dopo.
Osservò
ancora un po’ il foglio, ma non ottenne molti risultati.
Avrebbe
lasciato perdere, normalmente, catalogando l’elemento
sconosciuto come
“totalmente inutile”, ma la sua
curiosità era troppa e beh, Zexion cosa era li
a fare se non a spiegare tutto a lui, naturalmente?
-Senti
Zexion…-
-Numero
Nove, sto cercando di leggere. Sei pregato di stare zitto, o andartene.-
L’aveva
già detto che la voce di Zexion era bella?
Incurante
della risposta -che, ovviamente, non era altro che un chiaro invito a
continuare la conversazione- Demyx sputò fuori, senza giri
di parole e senza
pensarci davvero quello che voleva chiedere.
-Senti
Zexion, ma io ce l’ho un cuore?-
Il
silenzio fu l’unica cosa che ricevette in risposta. Eppure
era sicuro che
l’altro lo avesse sentito, perché la stretta sui
fogli si era fatta più forte,
gli occhi chiari –beh, almeno quello non coperto dal lungo
ciuffo- si erano
dilatati un secondo per la sorpresa e le labbra si erano assottigliate,
come se
ci fosse qualcosa che lo infastidisse, ma Demyx non capiva proprio cosa
potesse
essere.
Quando
il silenzio stava durando già da troppo tempo e il Notturno
si preparava a
ripetere la domanda, tuttavia Zexion lo sorprese e gli rispose.
-Tecnicamente
no.-
Demyx
lo guardava come se si aspettasse una continuazione rivoluzionaria, che
contenesse il segreto del secolo.
-Tuttavia
qualcosa ci deve essere, almeno di fisico, per permettere al nostro
corpo di
mantenere le sue funzioni vitali, sebbene Vexen sostenga che sia
l’oscurità
stessa a farci muovere.-
Le
sopracciglia del numero Nove si aggrottarono perplesse.
-Sì,
ma io ho un cuore? Quello che provo è mio, è
vero…si?-
Demyx
si puntellò con le mani sui morbidi cuscini del divano,
avvicinando il viso
impercettibilmente a quello di Zexion, al quale il ragazzo sembra un
cagnolino
in attesa dei complimenti.
Il
numero Sei tuttavia non era una persona che mentiva per divertimento o
solo per
il gusto di farlo –non che non l’avesse mai fatto,
ma era sempre per qualcosa
che lui riteneva una giusta causa: far venire il mal di testa a Demyx,
sebbene fosse
allettante, non era una cosa per cui valeva la pena farlo-
così si ritrovò a
sospirare ad occhi chiusi e dire quello che pensava da, più
o meno, quando si è
ritrovato coinvolto in quella semi-esistenza.
-Non
lo so…-
Le
parole suonarono leggermente restie, come se non volessero davvero
uscire dalla
sua bocca, o come se facessero parte di un segreto inconfessabile che
era stato
appena rivelato, e allora, timide, cercavano ancora di nascondersi dal
pubblico
sguardo.
-Non
lo sai?-
Demyx
era moderatamente sorpreso dalla risposta: per lui, ognuno di loro, in
quella
Organizzazione, aveva un compito e un ruolo ben precisi e Zexion era
quello che
sapeva tutto. Una persona che legge così tanto e
così a lungo non può essere un
ignorante, giusto?
-No…immagino
che non avendo un cuore sia impossibile provare qualcosa, ma questo
solo se si
parte dal presupposto che sia il cuore a generare le emozioni. E
soprattutto,
bisogna anche capire cosa realmente sia, un
cuore…è complicato.-
Quella
sera Demyx capì che la risposta alla sua domanda era un
grande e gigantesco:
boh.
A
seguito di quella conversazione ne seguirono altre, tante altre,
secondo il
punto di vista di Zexion furono decisamente troppo, ma la risposta alla
domanda
non arrivava mai.
Ciò
nonostante qualcosa cambiò, il loro rapporto cresceva e
lentamente, Zexion non
era più uno dei Fondatori, ma solo Zex, e Demyx non era
più il Numero Nove, ma
solo Demyx –certo, non aveva un soprannome affettuoso o un
nomignolo, ma
considerando con chi aveva a che fare il Notturno si
considerò speciale in
maniera quasi spropositata, tanto che se ne andò in giro
gongolando per il
castello per circa due settimane, fino a quando Larxene, irritata dal
suo
sorriso beota, tentò di fulminarlo, e lui tornò
ad avere la solita espressione
spensierata di sempre, ugualmente fastidiosa, ma sicuramente meno
letale.
Non
che le loro conversazioni fossero granché, comunque.
Generalmente erano
composte da lunghi monologhi senza senso iniziati da Demyx e conclusi
in
maniera totalmente opposta sempre dallo stesso, con qualche commento
sporadico
o sospiro rassegnato da parte di Zexion. Ma mai una volta era stato
cacciato.
Tuttavia
una sera accadde un fatto che scombussolò completamente
l’esistenza di Demyx.
In
realtà non fu nulla di così eclatante
–Zexion stesso si accorse a malapena di
quello che era successo da quanto fu breve, rapido ed indolore-, ma da
quel
momento si ritrovò trasformato nel tipo riflessivo contro la
sua volontà, solo
che era un tipo di riflessività diversa dalla solita.
Accadde
in biblioteca -che era stata eletta dal numero Nove, senza alcuna
cerimonia, ma
senza nemmeno molte proteste, loro luogo di ritrovo segreto
perché, del resto,
chi andava in biblioteca? Escludendo loro, ovviamente-, Zexion,
cappotto e
guanti abbandonati accanto a quelli di Demyx sul grande tavolo al
centro della
sala, stava leggendo un libro grosso il doppio di lui che, secondo
Vexen,
poteva contenere qualche riferimento utile per capire
l’essenza delle loro
precarie esistenza, mentre l’altro ciondolava tra gli
scaffali, leggermente
annoiato da tutto quel silenzio.
-Questo
è interessante.-
Non
era un vero e proprio inizio di conversazione, Demyx aveva imparato che
spesso
e volentieri l’amico –se così si
potevano definire- commentava i suoi libri
quasi senza rendersene conto, ma considerando l’argomento
trattato il Nobody si
sentì chiamato in causa.
-Cosa?-
chiese, ingenuamente.
E
lì ci fu l’errore, il disastro, la variabile non
calcolata e il colpo di testa
involontario: nel sedersi accanto all’altro, Demyx fece un
piccolo errore di giudizio
nel considerare le distanze e si ritrovò appena
più vicino del solito al corpo
di Zexion, tanto che la sua mano finì con lo sfiorare
accidentalmente le dita
dell’altro.
Fu
solo un istante, un soffio, tanto che il vento avrebbe dato
più fastidio, e
Zexion nemmeno lo menzionò, mentre cominciava a spiegare la
teoria che aveva
scovato nel libro, ma di cui lui non riuscì a sentire
nemmeno una parola.
Inconsapevolmente,
Demyx aveva sempre creduto che la pelle del numero Sei fosse, in
qualche modo,
ruvida e sottile, come la pagina di uno dei suoi libri, senza le
scritte, magari,
e nessuna macchia gialla data dall’invecchiamento a turbarne
il candore.
Invece, la mano del ragazzo era liscia e fresca, morbida, e solo appena
più
sottile vicino alle nocche.
Era
solo pelle, era solo la pelle di Zexion, ma Demyx sentì una
scossa elettrica
attraversarlo da cima a fondo, e, per una volta, sperò che
la causa fosse
davvero quella pazza di Larxene.
Da
quel momento fu il disastro più completo.
Senza
sapere bene come fosse successo si era ritrovato a pensare
tutte le sere. A lui non capitava mai di pensare così a
lungo, ne per così tanto tempo sempre alla stessa cosa. Non
era questione di
stupidità, ma più di noia o qualcosa di simile.
Eppure adesso Demyx pensava. E
l’elemento fisso di tutto questo lavoro intellettuale era
sempre e solo il Burattinaio,
la sua pelle, e l’impulso, improvviso e non propriamente
facile da gestire, di
volerlo toccare di nuovo. Più a lungo, più
consapevolmente.
Aveva
un mal di testa così forte che, per un periodo,
considerò l’idea di andare da
Vexen a farsi curare.
Ma
alla fine nessuna pozione l’aveva aiutato e così
erano rimasti lui, il mal di
testa e lo strano impulso ingestibile.
La
situazione era diventata critica in maniera problematica e, quindi,
naturalmente, Demyx adottò la tattica più
funzionale e meglio collaudata degli
ultimi secoli: scappare.
Evitare
Zexion si rivelò, tuttavia, incredibilmente problematico:
improvvisamente si
rendeva conto di quanto la presenza del ragazzo all’interno
del castello fosse
concreta, reale; si accorgeva di ogni movimento che faceva, di ogni
sguardo che
lanciava e di ogni parola che pronunciava, si sentiva ridicolo
perché non lo
era mai stato così tanto in tutta la sua non-vita
–e nemmeno in quella prima, a
dirla tutta; come se non bastasse Saix, che sembrava trovare divertente
tutto
questo, non faceva che mandarli in missione assieme e lui si ritrovava
ad
accampare ogni volta le scuse più improbabili e, ogni volta,
a fine missione,
fuggiva il più velocemente possibile.
Era
tutto così difficile!
Dannato
Zexion: perché aveva dovuto inculcargli le sue
capacità riflessive? A lui
sarebbe bastato essere quello diretto, non gli sembrava di chiedere
tanto.
Incapace
di gestire oltre la situazione Demyx decise che era tempo di ricorrere
al piano
B, o alla fase due, o a qualsiasi altra cosa lo tirasse fuori da quella
situazione; nello specifico, questa cosa aveva
capelli rossi, occhi verdi e rispondeva al nome di Axel -quando faceva
comodo
rispondere, naturalmente.
Il
numero Otto entrò nella sua stanza di ritorno da una
missione davvero estenuante
in quel maledetto paese pieno di sabbia, nella speranza di rilassarsi,
quando i
suoi occhi incontrarono la figura del Notturno Melodico, seduto sul suo
letto,
che lo guardava con uno sguardo davvero miserabile,e,
all’improvviso, l’idea di
farsi altri mille chilometri nel deserto, sotto al sole, non gli
sembrava poi
così male.
-Demyx…che
ci fai qui?-
Il
sospirò rassegnato di Axel diede la carica al numero Nove,
consapevole che se
gli aveva rivolto un minimo di attenzione, allora l’amico non
aveva poi tutta
questa voglia di espatriare per sempre ad Agrabah pur di non starlo a
sentire.
-Axel…ho
un problema!-
Il
modo in cui la “e” del suo nome fu strascicata,
indusse il Soffio di Fiamme a
considerare effettivamente il ragazzo seduto di fronte a lui, con
l’espressione
di chi era pronto per andare al patibolo.
-Fammi
indovinare: Zexion.-
-Wao!
Come lo sai?-
Axel
si passò una mano ancora guantata sul volto, mentre Demyx lo
osservava in un
mix di sorpresa e rassegnazione.
-Dem,
se ne sono accorti tutti.-
Il ragazzo
dai capelli rossi si avvicinò lentamente, togliendosi la
lunga divisa nera,
prima di sedersi a fianco dell’intruso che gli era piombato
tra capo e collo,
quando tutto quello che voleva lui era farsi una doccia e andare a
dormire.
-Allora,
che succede?-
Con
quella domanda Axel firmò la sua condanna a morte, mentre
Demyx si lanciava in
un tormentato racconto di un’ancor più tormentata
settimana in cui tutto quello
che era stato in grado di fare era
pensare, scappare e prendere la scossa da solo.
Il
numero Otto seguì il monologo con grande attenzione
–per quanto la stanchezza
potesse concedergli- poi, con estremo occhio critico, emanò
la sua sentenza.
-Sei
un idiota-
Demyx
avrebbe voluto dargli fuoco, se fosse servito a qualcosa.
-Ti
sei fatto tutti questi problemi per…un incidente? Non credi
che sia abbastanza
stupido?-
La
rinnovata mente da grande pensatore che si era risvegliata nel
subconscio del
numero Nove dovette ammettere che si, era stato tutto molto stupido.
Ma
la scossa. Axel la scossa non era
normale.
Glielo
voleva dire, e forse i suoi occhi lo fecero al posto suo,
perché lui non aveva
ancora detto nulla di vagamente simile ad una parola, che
già Axel stava
riprendendo a parlare.
-Ignora
la scossa. Non è stato nulla. Dopotutto noi non proviamo
sentimenti, no?-
Per
un attimo Demyx credette –no, fu sicuro- che Axel stesse
parlando a se stesso.
Quando
uscì dalla stanza del compagno – o meglio, quando
venne cacciato- la sua testa
sembrava essere più leggera: un incidente non significava
nulla se lui pensava
che non significava nulla, e poi finché non avrebbe capito
cosa fosse per lui
un cuore non potrebbe provare nulla, quindi era tutto a posto.
O
almeno questo era quello che la parte riflessiva era riuscita ad
estrapolare
dalla sua conversazione con Axel, prima che la parte diretta non
tornasse
prepotentemente a fare da padrona e gli intimasse di andare a scusarsi
con
Zexion. Non sapeva bene nemmeno lui di cosa doveva effettivamente
scusarsi, ma
sentiva che doveva farlo, quindi lo fece.
Ovviamente
il numero Sei non era nella sua stanza, ma Demyx non demorse, sapeva
esattamente dove trovarlo e, difatti, pochi istanti dopo si
ritrovò impegnato
in una conversazione assurda, nel mezzo della biblioteca, in cui stava
cercando
di spiegarsi senza grandi risultati.
Tuttavia
Zexion sembrò capire –era molto bravo a capire,
lui- e non si soffermò più di
tanto sull’episodio, che cadde nel dimenticatoio di entrambi
senza grandi
ripercussioni su quella specie di rapporto che ancora tentavano di
mantenere.
Però
l’impulso di toccare era ancora lì.
Il
tempo passava ancora, velocemente, e Demyx crede che un po’
fosse dovuto
all’arrivo di Roxas, che sembrava in grado di catalizzare
l’attenzioni di tutti
loro –in particolare quella di Axel, ma Demyx non lo fece
certo notare a
qualcuno- e che aveva in qualche modo rianimato la loro routine.
Lui
e Zexion continuavano a cercare informazioni in gran segreto su un modo
per
capire cosa fosse, effettivamente, un cuore, rintanati nel sicuro della
biblioteca, ma, ogni volta, Demyx si accorgeva che c’era
qualcosa di diverso.
Ogni
volta erano seduti appena più vicini, le loro dita si
sfioravano appena un po’
più a lungo, quando si incontravano per sbaglio, e i loro
occhi sembravano aver
trovato il giusto posto l’uno in quelli dell’altro,
causando momenti di
silenzio infiniti, seguiti da un mortale imbarazzo che colpiva entrambi.
E
Demyx non capiva cosa stava succedendo.
Aveva
provato a parlarne ancora con Axel, ma questa volta il ragazzo lo aveva
ignorato, non per cattiveria nei suoi confronti, ma, semplicemente,
perché
troppo preso da problemi tutti suoi che, Demyx sapeva in qualche modo,
erano
legati agli occhi troppo azzurri del numero Tredici.
Così
non aveva insistito e non aveva indagato.
Però,
ora, non c’era nessuno a cui potersi rivolgere, a meno che
non volesse tentare
il tutto per tutto e chiedere direttamente a Zexion cosa stava
accadendo.
Scartò
questa soluzione per una settimana, poi fu lo stesso Zexion ad andare
da lui.
Erano
ancora in biblioteca, giusto per variare un po’, ma, questa
volta, la
consapevolezza che c’era qualcosa di sbagliato era
così forte nell’aria che
chiunque se ne sarebbe accorto. Dopotutto Zexion non stava leggendo.
Demyx
quasi si strozzò con la sua stessa saliva quando se ne rese
conto: Zexion. Non.
Stava. Leggendo.
Un
campanello d’allarme trillò indignato da qualche
parte nella sua testa.
Cautamente
il ragazzo si avvicinò al compagno, seduto sullo stesso
divano di sempre, e si
sistemò al suo fianco.
-Zex…-
-Demyx,
domani partirò alla volta di Castle Oblivion-.
Zexion
era sempre stato bravo a interrompere un suo qualsivoglia inizio di
conversazione, quando aveva qualcosa di davvero importante da dirgli, e
questo
lo era, sebbene, quando Demyx fu in grado di capire cosa effettivamente
quelle
parole significavano, più che sorpresa, il Nobody fu invaso
da qualcosa che
sapeva terribilmente di tristezza. Quella vera, non certo un ricordo di
chicchessia.
Tra
dieci giorni parto e non so quanto
starò via.
-Oh..-
-È
una missione.-
Come
se quello potesse spiegare cosa ci andasse effettivamente a fare Zexion
a
Castle Oblivion, quando sapeva con certezza essere territorio sotto la
giurisdizione di Marluxia.
Eppure
al momento non gli interessavano granché le motivazioni che
avevano spinto
Saix, o chi per lui, ha decidere di stanziare il numero Sei in quel
castello
lontano da tutti, dove le cose sembravano sparire dalla memoria di chi
vi
entrava con la facilità con cui una macchia veniva lavata
via dal pavimento.
Al
momento l’unico pensiero che ancora sembrava resistere nel
suo cervello era un
malinconico “E quando torni?”, che premeva per
uscire disperato dalle sue
labbra.
-E
quando torni?-
Il sospiro di Zexion
on gli piacque neanche un
po’.
-Non
so quanto ci vorrà.-
-Capisco…-
In
realtà no, non capiva.
Non
capiva perché, all’improvviso, tutto fosse
diventato così freddo, triste e
orribile. In fin dei conti entrambi avevano partecipato a talmente
tante
missioni –insieme e non- che una in più non
avrebbe cambiato nulla, eppure
c’era qualcosa nell’aria che sussurrava
nell’orecchio del Notturno Melodico che
quella volta sarebbe stato diverso, più difficile,
più pericolo.
L’istinto
impetuoso che caratterizzava la sua acqua si fece sentire
all’improvviso,
mentre le su braccia si ritrovavano ad avvolgere di slancio il corpo
quasi
evanescente di Zexion.
Demyx
aveva avuto paura: aveva improvvisamente rivisto davanti ai suoi occhi
gli
ultimi istanti di vita del suo Somebody, prima che il cuore gli fosse
portato
via in modo crudele e, per una qualche ragione che forse cominciava a
capire,
aveva avuto paura che questo avrebbe potuto succedere nuovamente.
Aveva
avuto paura di perdere Zexion.
-Demyx...-
Nel
suo abbraccio, Zexion si limitò a pronunciare il suo nome,
senza scacciarlo,
restando fermo e calmo come sempre, forse arrivando alla stessa
conclusione a
cui era arrivato l’altro ragazzo.
-Torna.-
Una
richiesta sussurrata appena.
Non
voglio perdere di nuovo il mio
cuore.
-Tornerò-
Ma
Zexion non aveva mantenuto quella promessa.
Demyx
era rimasto solo, solo senza più un cuore
–strappatogli via con forza per la
seconda volta- e con solo il ricordo del leggero sapore di Zexion sulle
labbra,
in quel loro primo –ultimo- bacio, che era stato qualcosa di
terribilmente bello
e doloroso allo stesso tempo, per poterlo davvero studiare.
Ed
ora, mentre cammina per i lunghi corridoi bianchi, diretto verso la
Prova
dell’Esistenza, Demyx può finalmente dire di
capire perfettamente la pazzia di
Axel, e si ritrova a sperare che riesca a recuperare il suo cuore, per
tutti
loro.
Lentamente
il ragazzo apre la porta che conduce alla sala dove le loro vite
–o quel che ne
resta- sono rappresentate in tutta la loro scialba essenza.
Il
suo sguardo per un attimo cade sulle effigi che rappresentano Axel e
Roxas e,
dopo un tempo infinito, un sorriso che è appena
più vero del solito fa capolino
nel vedere che ancora risplendono della luce azzurra della vita, ma
è solo un
breve istante, nel quale i suoi occhi cercano riparo dalla
realtà e si
rifiutano di osservare quell’effige spezzata, illuminata di
rosso, che sta a indicare
che per lui, la fuori non c’è più alcun
cuore.
-Zexion..-
Il
dolore è troppo forte, e la maschera composta da quel
sorriso incrinato cade
finalmente a terra.
Domani
Demyx la raccoglierà.
Oggi
vuole solo piangere le lacrime che non potrebbe versare.
°Note°
Oh
mio Dio.
Ho
scritto una Zemyx.
È
la prima cosa che scrivo in tutta la mia vita su Kingdom Hearts ed
è una Zemyx.
Che
fa pure schifo e che non ha senso.
Voglio
un po’ morire.
Beh
non doveva essere così angst (non doveva essere nemmeno
così lunga, io volevo
una drabble!) e magari sarebbe stato carino mantenere i personaggi
IC…
Prometto
di non farlo più!
Però
questi due meritano più amore! Donate anche voi un pezzo di
cuore a questa
coppia! (?)
Boh
non so davvero che dire di questo scempio.
L’unica
nota che mi sento di fare è sul trascorrere del tempo.
È diverso rispetto a ciò
che ci mostra 358/2: Roxas è già presente, quando
Demyx prende la scossa da
solo (lol), sebbene lo menzioni solo più tardi, quindi passa
più temo con tutti
i membri che poi finiranno a Castle Oblivion, dato che nel gioco
passano tipo dieci
giorni e qui…ugh…più di un mese circa?
Lol. Licenza poetica (???).
Se
avete domande (?) domandate…io sono qui pronta per i vostri
insulti.
Baci,
Seki