Videogiochi > Kingdom Hearts
Ricorda la storia  |      
Autore: Seki    09/07/2013    1 recensioni
Un brivido freddo percorre la sua schiena al solo pensare quel nome, e il Nobody si ritrova a cercare con tutte le sue forze di mantenere intatto il sorriso che porta più per abitudine che per vera felicità –come se potesse davvero provarla lui, la felicità.
[Zemyx!] [accenni AkuRoku]
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Demyx, Organizzazione XIII, Zexyon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH 358/2 Days
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Lost in a Fake Smile

 

A The World That Never Was, le cose continuano a procedere tranquillamente come se nulla stesse accadendo: Saix, altero e stabile nel suo elemento, continua ad assegnare missioni ai pochi membri rimasti, solo che adesso si muovono in singolo, non più a coppie come accadeva prima dell’incidente a Castle Oblivion.
Un brivido freddo percorre la sua schiena al solo pensare quel nome, e il Nobody si ritrova a cercare con tutte le sue forze di mantenere intatto il sorriso che porta più per abitudine che per vera felicità –come se potesse davvero provarla lui, la felicità.
Dopotutto non è che i suoi compagni noterebbero la differenza, troppo presi nei loro stessi problemi per captare la scomparse di qualcosa che prima era così familiare, ma, d’altro canto, nessuno di loro ha più sorriso, anche solo in maniera sprezzante, dopo il tradimento di Marluxia.
Tuttavia, a lui, non importa granché di ciò –a dirla tutta, a lui, non è mai importato molto dell’Organizzazione stessa, ma, si sa, quando si è in ballo si deve ballare.
Eppure, anche lui fatica a mantenere la facciata sempre allegra e disponibile che tutti hanno imparato ad associare a Demyx, il numero Nove.
Non è che non sappia esattamente cosa abbia fatto scattare quel cambiamento, non è così stupido come Xigbar continua a ripetere eh, solo che ancora non riesce ad accettarlo.
C’è differenza, e tanta anche.
Ha qualcosa a che fare col tempo trascorso forse troppo in fretta; con la desolazione che avvolge le bianche stanze ormai costantemente vuote del castello; con la scomparsa di Roxas e Axel che impazzisce di dolore dentro e non dice nulla a nessuno, ma Demyx sa, sa, che prima o poi li tradirà, e scapperà alla disperata ricerca di quel ragazzino che per lui è tutto, ma che in realtà non è altro che il riflesso della causa del loro dolore, e quando infine lo troverà –Demyx sa che lo troverà, sebbene non sia sicuro dello stato in cui potrà essere Roxas in quel momento- esploderà e verrà bruciato dalle sue stesse fiamme, e allora perderà l’unico amico che si è fatto, lasciandolo solo –di nuovo- e allora sì che impazzirà definitivamente.
Eppure non è quello il motivo principale del perché, quando si vede riflesso in uno specchio e sorride, sente di star mentendo anche a se stesso.
Il che è assurdo, considerando la mancanza di un cuore.
-Numero nove-.
La voce di Saix lo raggiunge flebile, come se tra di loro ci fosse un muro d’ovatta, o l’altro lo stesse chiamando, urlando, da una grande distanza. Non è una sensazione piacevole.
-Tra tre giorni andrai in missione. La meta sono gli Inferi situati sotto il Monte Olimpo. I dettagli ti verranno spiegati più avanti.-
Demyx non fa in tempo nemmeno ad annuire –o a lamentarsi, più probabilmente-, che già il vice del loro Boss sparisce, inghiottito in uno dei loro corridoi fatti d’oscurità.
Il ragazzo sospira.
Ormai partecipare o meno alle missioni per lui non ha alcuna importanza.

-La prossima missione sarà ad Halloween Town, accompagnerai il numero Tredici.-
-Cosa? No, ti prego! Non ho voglia di andare in missione. Roxas può cavarsela benissimo da solo!-
-Demyx, smettila di fare il bambino-
-Oh ti prego, Zexion!-

Il ricordo lo colpisce all’improvviso, freddo e crudele nella sua quotidianità, caldo e dolce nella sua nostalgia, ed il Nobody ha bisogno di prendersi qualche secondo per recuperare il respiro e permettere a quel cuore che non possiede di riassestarsi.
La mano guantata di nero stringe convulsamente il cappotto appena sotto la spalla sinistra.
Sono passai mesi, eppure il dolore –quel dolore che, di notte, lo tiene sveglio a causa degli incubi e che, di giorno, aspetta solo un suo momento di distrazione per colpirlo; lo stesso dolore che non dovrebbe esistere- non si decide ad abbandonarlo.
Demyx aveva fatto di tutto pur di non pensare a Zexion in quei giorni, dove anche la grande luna a forma di cuore che rappresenta tutte le loro speranze e i loro sogni aveva smesso di brillare.
Non era mai stato il tipo che si sofferma a pensare troppo –era il numero Sei quello riflessivo; non era mai stato il tipo sentimentale –gli sarebbe piaciuto, forse, ma la mancanza di sentimenti non giocava a suo favore; lui era sempre stato il tipo diretto, quello che dice la prima cosa che pensa e fa la prima cosa che gli viene in mente, forse un po’ stupido come modo di fare, a volte anche stupido in maniera pericolosa, ma la maggior parte delle volte era semplice ingenuità. Demyx si era convinto che l’avere l’aspetto di un diciottenne da almeno qualche decina di anni lo avesse un po’ influenzato. Ma lui non è il tipo riflessivo, quindi ha sempre fatto spallucce e preso per buona la prima teoria formulata.
Con Zexion – per colpa di Zexion- era stato molto diverso invece.
Da quando Demyx era arrivato in quel mondo dove il sole sembrava essere stato bandito per sempre ed era entrato a far parte di quello strano gruppo, l’Organizzazione XIII –un nome strano, più per il fatto che all’epoca erano solo dodici-, non aveva ben capito a cosa stesse andando incontro.
Certo, ora aveva dei superpoteri che gli permettevano di far fare all’acqua quello che lui voleva –incluso il bagno al tipo simpatico dai capelli rossi, che sembrava non apprezzare molto, ma fa nulla- e, nella sua visione un po’ infantile, loro erano dei supereroi incompresi che proteggevano la gente dall’oscurità.
Dopotutto le missioni che gli affidavano, quando si decideva a fare qualcosa, avevano sempre a che fare con lo sterminio degli Heartless e Demyx aveva imparato, per esperienza personale, che gli Heartless non portavano mai nulla di buono.
Quindi, se quelle gocce scappate da un oceano oscuro erano i cattivi ragazzi, loro erano, senza alcun dubbio, i buoni.
Così si era lanciato senza tanti complimenti in quelle missioni, diventando un membro effettivo di quella organizzazione dal nome sbagliato, perché a lui era sempre piaciuto aiutare le persone.
Poi era arrivato Zexion e tutto era crollato.
Lo aveva già visto quello strano ragazzetto dai capelli cerulei che sembrava più giovane di lui, lo aveva visto la prima volta che era arrivato lì, quando gli erano stati presentati tutti gli altri membri, e aveva capito che l’aspetto per un Nobody davvero non contava, perché se quel ragazzino che dimostrava si e no sedici anni era uno dei Fondatori, allora chissà qual era la sua età effettiva. Ma non si era posto più di tanto il problema: era solo questo ragazzo che sembrava troppo giovane, toppo gracile e troppo stanco per essere lì, che, ogni volta che venivano convocati per una riunione, calamitava il suo sguardo come il più prezioso dei gioielli della Caverna delle Meraviglie, facendogli dimenticare dove fosse e cosa stesse facendo, costringendo poi Axel a rispiegargli tutto quello che Xemnas aveva detto.
Tuttavia non lo aveva mai avvicinato, limitandosi ad osservarlo, fino a quando non se lo ritrovò come compagno in una missione che aveva accettato senza volerlo davvero.
Dovevano semplicemente indagare su questo nuovo mondo –Demyx non aveva prestato nemmeno attenzione al nome del posto dove sarebbe stato mandato, troppo preso ad elaborare la notizia dell’identità del suo compagno di viaggio- e riportarne le caratteristiche fondamentali. Una cosa facile: poteva riuscirci persino lui.
Per la prima volta, quel giorno Demyx arrivò puntuale ad un incontro, causando l’inarcamento di un sopracciglio –uno solo, ma era comunque una vittoria- da parte di Saix. Zexion era già lì, seduto su uno dei divani che arredavano la Sala Grigia intento a leggere uno dei suoi complicati libri, e quando lo vide arrivare alzò semplicemente gli occhi per osservarlo, prima di chiudere il libro e alzarsi.
-Andiamo?-
Per la prima volta, quel giorno Demyx sentì la voce di Zexion. Era strana: calma, ma non profonda, un po’ gracchiata, come se non fosse abituata ad abbandonare il rifugio sicuro della gola del ragazzo da molto tempo; era una voce che sapeva di conoscenza, una di quelle che ti aspetti di sentire da qualcuno che sta per leggere qualcosa di davvero, davvero importante, ma davvero, davvero difficile.
Era una voce che non aveva nulla a che fare con il mondo di Demyx, eppure al numero Nove piacque all’istante.
Si ritrovò così a chiacchierare senza sosta per tutto il viaggio -per tutta la missione- di cose fondamentalmente inutili e che non interessavano nessuno dei due solo per il gusto i sentirsi rispondere a monosillabi o di strappare un qualche “Vuoi chiudere il becco?”, molto irritato, senza soffermarsi troppo a pensare al perché avesse il desiderio irrefrenabile di sentire ancora quella voce.
E tutto era andato per il meglio.
Tutto era andato per il meglio, fino a quando non avevano incontrato un gruppo di Heartless che stavano attaccando delle persone che, a guardarle così, da lontano, si poteva solo definirle innocenti.
-Dovremmo fare qualcosa! Dovremmo aiutarli…-
-No.-
La mente di Demyx non era abituata a fermarsi e a ragionare: sviluppava un idea, un pensiero, un impulso, un qualcosa, e semplicemente lo seguiva finché non lo portava a termine, o si stancava; così, davanti al perentorio ordine di Zexion di “non fare nulla di quello che stai pensando” il povero e diretto cervello di Demyx andò in crisi.
-No?- si sentiva come un bambino a cui avevano portato via le caramelle.
-La missione non richiede il nostro intervento in caso di avvistamento di Heartless, solo di riferire in caso tale eventualità si verificasse.-
La voce di Zexion in quel momento gli parve proprio brutta.
-Ma…dobbiamo aiutarli…-
-No.-
Per la prima volta, quel giorno Demyx realizzò che no, loro non erano i buoni.
Quando tornarono al castello si rifiutò di parlare ancora con Zexion, di vederlo o anche solo di sapere che esisteva.
Per un capriccio non meglio definito –o più semplicemente perché aveva fame- si nascose in cucina, come un bambino sgridato dalla mamma, e lì finì per raccontare tutto quello che era successo a Xaldin.
Xaldin, sebbene fosse terrificante e atterrisse in maniera totale Demyx, lo stette ad ascoltare paziente, prima di scoppiare a ridere per la sua ingenuità; il numero Nove osservò il suo compagno con un’espressione incredula dipinta sul volto mentre questi gli spiegava che si, Zexion aveva ragione e no, non era compito loro aiutare quegli idioti incapaci di badare a se stessi, perché, se da qualche parte in quel mondo esistevano ancora i buoni, non erano decisamente loro.
Come si fa ad essere “buoni” quando ti manca un cuore?
Demyx non aveva capito molto bene cosa intendesse il numero Tre con quelle parole, fino a quando, quella sera, Axel, stanco del suo muso lungo, non gli spiegò che i Nobody come loro non possedevano un cuore, perciò non potevano provare sentimenti e che quelli che loro credevano di provare erano in realtà uno strascico dell’inconscio lasciato dal loro Somebody.
In quel momento il Notturno Melodico desiderò essere il tipo riflessivo, giusto per capirci un po’ di più.
Non era possibile che non avesse un cuore –sarebbe morto senza cuore! Lo sapevano tutti! Come potevano i suoi compagni credere di non averlo? E poi dicevano che lo stupido era lui…- perché Demyx era sicuro che quando rideva, o era spaventato, o era triste, o altro lui si sentiva davvero felice, spaventato, triste o altro e, no, non c’era nessuno vero-Demyx a suggerirgli le battute da pronunciare in quella strana commedia che si era ritrovato a vivere, grazie per averlo chiesto.
Tuttavia il dubbio si era instillato nella sua mente che, per un breve attimo, considerò seriamente l’idea di diventare del tipo riflessivo, ma oh la cena era pronta.
Così Demyx si ritrovò a percepire che qualcosa non andasse ogni volta che faceva qualcosa.
Ma era impossibile: lui aveva un cuore, giusto?
La risposta arrivò qualche sera dopo.
Non sapeva bene perché si fosse recato in biblioteca –qualcosa nel suo cervello gli aveva fatto credere che sì, la biblioteca era proprio il posto perfetto per suonare il suo Sitar senza infastidire nessuno. Dopotutto, chi ci andava in biblioteca?- e lì trovò Zexion, seduto su uno dei divanetti, intento a fare una cosa totalmente nuova: leggere.
Demyx fece una specie di suono strozzato quando lo vide: si era dimenticato di aver fatto di tutto per dimenticarsi la sua esistenza, eppure la sua presenza non gli dava così fastidio, anzi, era contento di poterlo vedere di nuovo.
Dal canto suo Zexion si era limitato a guardarlo per due secondi netti –forse di meno- prima di tornare ad ignorarlo.
Incurante di questa chiara richiesta di non essere disturbato, il numero Nove si sedette proprio di fianco al Burattinaio Mascherato e lo osservò per qualche istante. Da così vicino poteva anche sentire l’odore di Zexion che sapeva di polvere, ma non una polvere cattiva, come quella che si posava sul suo comodino quando –sempre- era troppo pigro per pulire decentemente la sua stanza; era una polvere più tenue, come quella che si posa sulle cose preziose e rare, custodite per anni in posti sicuri e segreti, in attesa di essere liberate, con un retrogusto di pergamena e, in qualche maniera disturbante, di pozioni.
-Che cosa leggi?- chiese per fare conversazione – o più semplicemente perché soffriva di incontinenza verbale.
L’interruzione non piacque all’altro ragazzo, ma, per una fortunata congiunzione astronomica, decise di rispondere.
-Un trattato sull’essenza dei Nobody.-
L’attenzione di Demyx si calamitò immediatamente sui fogli stropicciati che le mani di Zexion stringevano forse troppo rigidamente, cercando di decifrare la calligrafia sottile e leggermente inclinata dall’angolazione in cui si trovava, nella speranza che in essa fosse contenuta la risposta alla sua domanda.
Dovette arrendersi tre righe e dieci parole saltate dopo.
Osservò ancora un po’ il foglio, ma non ottenne molti risultati.
Avrebbe lasciato perdere, normalmente, catalogando l’elemento sconosciuto come “totalmente inutile”, ma la sua curiosità era troppa e beh, Zexion cosa era li a fare se non a spiegare tutto a lui, naturalmente?
-Senti Zexion…-
-Numero Nove, sto cercando di leggere. Sei pregato di stare zitto, o andartene.-
L’aveva già detto che la voce di Zexion era bella?
Incurante della risposta -che, ovviamente, non era altro che un chiaro invito a continuare la conversazione- Demyx sputò fuori, senza giri di parole e senza pensarci davvero quello che voleva chiedere.
-Senti Zexion, ma io ce l’ho un cuore?-
Il silenzio fu l’unica cosa che ricevette in risposta. Eppure era sicuro che l’altro lo avesse sentito, perché la stretta sui fogli si era fatta più forte, gli occhi chiari –beh, almeno quello non coperto dal lungo ciuffo- si erano dilatati un secondo per la sorpresa e le labbra si erano assottigliate, come se ci fosse qualcosa che lo infastidisse, ma Demyx non capiva proprio cosa potesse essere.
Quando il silenzio stava durando già da troppo tempo e il Notturno si preparava a ripetere la domanda, tuttavia Zexion lo sorprese e gli rispose.
-Tecnicamente no.-
Demyx lo guardava come se si aspettasse una continuazione rivoluzionaria, che contenesse il segreto del secolo.
-Tuttavia qualcosa ci deve essere, almeno di fisico, per permettere al nostro corpo di mantenere le sue funzioni vitali, sebbene Vexen sostenga che sia l’oscurità stessa a farci muovere.-
Le sopracciglia del numero Nove si aggrottarono perplesse.
-Sì, ma io ho un cuore? Quello che provo è mio, è vero…si?-
Demyx si puntellò con le mani sui morbidi cuscini del divano, avvicinando il viso impercettibilmente a quello di Zexion, al quale il ragazzo sembra un cagnolino in attesa dei complimenti.
Il numero Sei tuttavia non era una persona che mentiva per divertimento o solo per il gusto di farlo –non che non l’avesse mai fatto, ma era sempre per qualcosa che lui riteneva una giusta causa: far venire il mal di testa a Demyx, sebbene fosse allettante, non era una cosa per cui valeva la pena farlo- così si ritrovò a sospirare ad occhi chiusi e dire quello che pensava da, più o meno, quando si è ritrovato coinvolto in quella semi-esistenza.
-Non lo so…-
Le parole suonarono leggermente restie, come se non volessero davvero uscire dalla sua bocca, o come se facessero parte di un segreto inconfessabile che era stato appena rivelato, e allora, timide, cercavano ancora di nascondersi dal pubblico sguardo.
-Non lo sai?-
Demyx era moderatamente sorpreso dalla risposta: per lui, ognuno di loro, in quella Organizzazione, aveva un compito e un ruolo ben precisi e Zexion era quello che sapeva tutto. Una persona che legge così tanto e così a lungo non può essere un ignorante, giusto?
-No…immagino che non avendo un cuore sia impossibile provare qualcosa, ma questo solo se si parte dal presupposto che sia il cuore a generare le emozioni. E soprattutto, bisogna anche capire cosa realmente sia, un cuore…è complicato.-
Quella sera Demyx capì che la risposta alla sua domanda era un grande e gigantesco: boh.
A seguito di quella conversazione ne seguirono altre, tante altre, secondo il punto di vista di Zexion furono decisamente troppo, ma la risposta alla domanda non arrivava mai.
Ciò nonostante qualcosa cambiò, il loro rapporto cresceva e lentamente, Zexion non era più uno dei Fondatori, ma solo Zex, e Demyx non era più il Numero Nove, ma solo Demyx –certo, non aveva un soprannome affettuoso o un nomignolo, ma considerando con chi aveva a che fare il Notturno si considerò speciale in maniera quasi spropositata, tanto che se ne andò in giro gongolando per il castello per circa due settimane, fino a quando Larxene, irritata dal suo sorriso beota, tentò di fulminarlo, e lui tornò ad avere la solita espressione spensierata di sempre, ugualmente fastidiosa, ma sicuramente meno letale.
Non che le loro conversazioni fossero granché, comunque. Generalmente erano composte da lunghi monologhi senza senso iniziati da Demyx e conclusi in maniera totalmente opposta sempre dallo stesso, con qualche commento sporadico o sospiro rassegnato da parte di Zexion. Ma mai una volta era stato cacciato.
Tuttavia una sera accadde un fatto che scombussolò completamente l’esistenza di Demyx.
In realtà non fu nulla di così eclatante –Zexion stesso si accorse a malapena di quello che era successo da quanto fu breve, rapido ed indolore-, ma da quel momento si ritrovò trasformato nel tipo riflessivo contro la sua volontà, solo che era un tipo di riflessività diversa dalla solita.
Accadde in biblioteca -che era stata eletta dal numero Nove, senza alcuna cerimonia, ma senza nemmeno molte proteste, loro luogo di ritrovo segreto perché, del resto, chi andava in biblioteca? Escludendo loro, ovviamente-, Zexion, cappotto e guanti abbandonati accanto a quelli di Demyx sul grande tavolo al centro della sala, stava leggendo un libro grosso il doppio di lui che, secondo Vexen, poteva contenere qualche riferimento utile per capire l’essenza delle loro precarie esistenza, mentre l’altro ciondolava tra gli scaffali, leggermente annoiato da tutto quel silenzio.
-Questo è interessante.-
Non era un vero e proprio inizio di conversazione, Demyx aveva imparato che spesso e volentieri l’amico –se così si potevano definire- commentava i suoi libri quasi senza rendersene conto, ma considerando l’argomento trattato il Nobody si sentì chiamato in causa.
-Cosa?- chiese, ingenuamente.
E lì ci fu l’errore, il disastro, la variabile non calcolata e il colpo di testa involontario: nel sedersi accanto all’altro, Demyx fece un piccolo errore di giudizio nel considerare le distanze e si ritrovò appena più vicino del solito al corpo di Zexion, tanto che la sua mano finì con lo sfiorare accidentalmente le dita dell’altro.
Fu solo un istante, un soffio, tanto che il vento avrebbe dato più fastidio, e Zexion nemmeno lo menzionò, mentre cominciava a spiegare la teoria che aveva scovato nel libro, ma di cui lui non riuscì a sentire nemmeno una parola.
Inconsapevolmente, Demyx aveva sempre creduto che la pelle del numero Sei fosse, in qualche modo, ruvida e sottile, come la pagina di uno dei suoi libri, senza le scritte, magari, e nessuna macchia gialla data dall’invecchiamento a turbarne il candore. Invece, la mano del ragazzo era liscia e fresca, morbida, e solo appena più sottile vicino alle nocche.
Era solo pelle, era solo la pelle di Zexion, ma Demyx sentì una scossa elettrica attraversarlo da cima a fondo, e, per una volta, sperò che la causa fosse davvero quella pazza di Larxene.
Da quel momento fu il disastro più completo.
Senza sapere bene come fosse successo si era ritrovato a pensare tutte le sere. A lui non capitava mai di pensare così a lungo, ne per così tanto tempo sempre alla stessa cosa. Non era questione di stupidità, ma più di noia o qualcosa di simile. Eppure adesso Demyx pensava. E l’elemento fisso di tutto questo lavoro intellettuale era sempre e solo il Burattinaio, la sua pelle, e l’impulso, improvviso e non propriamente facile da gestire, di volerlo toccare di nuovo. Più a lungo, più consapevolmente.
Aveva un mal di testa così forte che, per un periodo, considerò l’idea di andare da Vexen a farsi curare.
Ma alla fine nessuna pozione l’aveva aiutato e così erano rimasti lui, il mal di testa e lo strano impulso ingestibile.
La situazione era diventata critica in maniera problematica e, quindi, naturalmente, Demyx adottò la tattica più funzionale e meglio collaudata degli ultimi secoli: scappare.
Evitare Zexion si rivelò, tuttavia, incredibilmente problematico: improvvisamente si rendeva conto di quanto la presenza del ragazzo all’interno del castello fosse concreta, reale; si accorgeva di ogni movimento che faceva, di ogni sguardo che lanciava e di ogni parola che pronunciava, si sentiva ridicolo perché non lo era mai stato così tanto in tutta la sua non-vita –e nemmeno in quella prima, a dirla tutta; come se non bastasse Saix, che sembrava trovare divertente tutto questo, non faceva che mandarli in missione assieme e lui si ritrovava ad accampare ogni volta le scuse più improbabili e, ogni volta, a fine missione, fuggiva il più velocemente possibile.
Era tutto così difficile!
Dannato Zexion: perché aveva dovuto inculcargli le sue capacità riflessive? A lui sarebbe bastato essere quello diretto, non gli sembrava di chiedere tanto.
Incapace di gestire oltre la situazione Demyx decise che era tempo di ricorrere al piano B, o alla fase due, o a qualsiasi altra cosa lo tirasse fuori da quella situazione; nello specifico, questa cosa aveva capelli rossi, occhi verdi e rispondeva al nome di Axel -quando faceva comodo rispondere, naturalmente.
Il numero Otto entrò nella sua stanza di ritorno da una missione davvero estenuante in quel maledetto paese pieno di sabbia, nella speranza di rilassarsi, quando i suoi occhi incontrarono la figura del Notturno Melodico, seduto sul suo letto, che lo guardava con uno sguardo davvero miserabile,e, all’improvviso, l’idea di farsi altri mille chilometri nel deserto, sotto al sole, non gli sembrava poi così male.
-Demyx…che ci fai qui?-
Il sospirò rassegnato di Axel diede la carica al numero Nove, consapevole che se gli aveva rivolto un minimo di attenzione, allora l’amico non aveva poi tutta questa voglia di espatriare per sempre ad Agrabah pur di non starlo a sentire.
-Axel…ho un problema!-
Il modo in cui la “e” del suo nome fu strascicata, indusse il Soffio di Fiamme a considerare effettivamente il ragazzo seduto di fronte a lui, con l’espressione di chi era pronto per andare al patibolo.
-Fammi indovinare: Zexion.-
-Wao! Come lo sai?-
Axel si passò una mano ancora guantata sul volto, mentre Demyx lo osservava in un mix di sorpresa e rassegnazione.
-Dem, se ne sono accorti tutti.-
Il ragazzo dai capelli rossi si avvicinò lentamente, togliendosi la lunga divisa nera, prima di sedersi a fianco dell’intruso che gli era piombato tra capo e collo, quando tutto quello che voleva lui era farsi una doccia e andare a dormire.
-Allora, che succede?-
Con quella domanda Axel firmò la sua condanna a morte, mentre Demyx si lanciava in un tormentato racconto di un’ancor più tormentata settimana in cui tutto quello che era stato in grado di fare era pensare, scappare e prendere la scossa da solo.
Il numero Otto seguì il monologo con grande attenzione –per quanto la stanchezza potesse concedergli- poi, con estremo occhio critico, emanò la sua sentenza.
-Sei un idiota-
Demyx avrebbe voluto dargli fuoco, se fosse servito a qualcosa.
-Ti sei fatto tutti questi problemi per…un incidente? Non credi che sia abbastanza stupido?-
La rinnovata mente da grande pensatore che si era risvegliata nel subconscio del numero Nove dovette ammettere che si, era stato tutto molto stupido.

Ma la scossa. Axel la scossa non era normale.
Glielo voleva dire, e forse i suoi occhi lo fecero al posto suo, perché lui non aveva ancora detto nulla di vagamente simile ad una parola, che già Axel stava riprendendo a parlare.
-Ignora la scossa. Non è stato nulla. Dopotutto noi non proviamo sentimenti, no?-
Per un attimo Demyx credette –no, fu sicuro- che Axel stesse parlando a se stesso.
Quando uscì dalla stanza del compagno – o meglio, quando venne cacciato- la sua testa sembrava essere più leggera: un incidente non significava nulla se lui pensava che non significava nulla, e poi finché non avrebbe capito cosa fosse per lui un cuore non potrebbe provare nulla, quindi era tutto a posto.
O almeno questo era quello che la parte riflessiva era riuscita ad estrapolare dalla sua conversazione con Axel, prima che la parte diretta non tornasse prepotentemente a fare da padrona e gli intimasse di andare a scusarsi con Zexion. Non sapeva bene nemmeno lui di cosa doveva effettivamente scusarsi, ma sentiva che doveva farlo, quindi lo fece.
Ovviamente il numero Sei non era nella sua stanza, ma Demyx non demorse, sapeva esattamente dove trovarlo e, difatti, pochi istanti dopo si ritrovò impegnato in una conversazione assurda, nel mezzo della biblioteca, in cui stava cercando di spiegarsi senza grandi risultati.
Tuttavia Zexion sembrò capire –era molto bravo a capire, lui- e non si soffermò più di tanto sull’episodio, che cadde nel dimenticatoio di entrambi senza grandi ripercussioni su quella specie di rapporto che ancora tentavano di mantenere.
Però l’impulso di toccare era ancora lì.
Il tempo passava ancora, velocemente, e Demyx crede che un po’ fosse dovuto all’arrivo di Roxas, che sembrava in grado di catalizzare l’attenzioni di tutti loro –in particolare quella di Axel, ma Demyx non lo fece certo notare a qualcuno- e che aveva in qualche modo rianimato la loro routine.
Lui e Zexion continuavano a cercare informazioni in gran segreto su un modo per capire cosa fosse, effettivamente, un cuore, rintanati nel sicuro della biblioteca, ma, ogni volta, Demyx si accorgeva che c’era qualcosa di diverso.
Ogni volta erano seduti appena più vicini, le loro dita si sfioravano appena un po’ più a lungo, quando si incontravano per sbaglio, e i loro occhi sembravano aver trovato il giusto posto l’uno in quelli dell’altro, causando momenti di silenzio infiniti, seguiti da un mortale imbarazzo che colpiva entrambi.
E Demyx non capiva cosa stava succedendo.
Aveva provato a parlarne ancora con Axel, ma questa volta il ragazzo lo aveva ignorato, non per cattiveria nei suoi confronti, ma, semplicemente, perché troppo preso da problemi tutti suoi che, Demyx sapeva in qualche modo, erano legati agli occhi troppo azzurri del numero Tredici.
Così non aveva insistito e non aveva indagato.
Però, ora, non c’era nessuno a cui potersi rivolgere, a meno che non volesse tentare il tutto per tutto e chiedere direttamente a Zexion cosa stava accadendo.
Scartò questa soluzione per una settimana, poi fu lo stesso Zexion ad andare da lui.
Erano ancora in biblioteca, giusto per variare un po’, ma, questa volta, la consapevolezza che c’era qualcosa di sbagliato era così forte nell’aria che chiunque se ne sarebbe accorto. Dopotutto Zexion non stava leggendo.
Demyx quasi si strozzò con la sua stessa saliva quando se ne rese conto: Zexion. Non. Stava. Leggendo.
Un campanello d’allarme trillò indignato da qualche parte nella sua testa.
Cautamente il ragazzo si avvicinò al compagno, seduto sullo stesso divano di sempre, e si sistemò al suo fianco.
-Zex…-
-Demyx, domani partirò alla volta di Castle Oblivion-.
Zexion era sempre stato bravo a interrompere un suo qualsivoglia inizio di conversazione, quando aveva qualcosa di davvero importante da dirgli, e questo lo era, sebbene, quando Demyx fu in grado di capire cosa effettivamente quelle parole significavano, più che sorpresa, il Nobody fu invaso da qualcosa che sapeva terribilmente di tristezza. Quella vera, non certo un ricordo di chicchessia.

Tra dieci giorni parto e non so quanto starò via.
-Oh..-
-È una missione.-
Come se quello potesse spiegare cosa ci andasse effettivamente a fare Zexion a Castle Oblivion, quando sapeva con certezza essere territorio sotto la giurisdizione di Marluxia.
Eppure al momento non gli interessavano granché le motivazioni che avevano spinto Saix, o chi per lui, ha decidere di stanziare il numero Sei in quel castello lontano da tutti, dove le cose sembravano sparire dalla memoria di chi vi entrava con la facilità con cui una macchia veniva lavata via dal pavimento.
Al momento l’unico pensiero che ancora sembrava resistere nel suo cervello era un malinconico “E quando torni?”, che premeva per uscire disperato dalle sue labbra.
-E quando torni?-
 Il sospiro di Zexion on gli piacque neanche un po’.
-Non so quanto ci vorrà.-
-Capisco…-
In realtà no, non capiva.
Non capiva perché, all’improvviso, tutto fosse diventato così freddo, triste e orribile. In fin dei conti entrambi avevano partecipato a talmente tante missioni –insieme e non- che una in più non avrebbe cambiato nulla, eppure c’era qualcosa nell’aria che sussurrava nell’orecchio del Notturno Melodico che quella volta sarebbe stato diverso, più difficile, più pericolo.
L’istinto impetuoso che caratterizzava la sua acqua si fece sentire all’improvviso, mentre le su braccia si ritrovavano ad avvolgere di slancio il corpo quasi evanescente di Zexion.
Demyx aveva avuto paura: aveva improvvisamente rivisto davanti ai suoi occhi gli ultimi istanti di vita del suo Somebody, prima che il cuore gli fosse portato via in modo crudele e, per una qualche ragione che forse cominciava a capire, aveva avuto paura che questo avrebbe potuto succedere nuovamente.
Aveva avuto paura di perdere Zexion.
-Demyx...-
Nel suo abbraccio, Zexion si limitò a pronunciare il suo nome, senza scacciarlo, restando fermo e calmo come sempre, forse arrivando alla stessa conclusione a cui era arrivato l’altro ragazzo.
-Torna.-
Una richiesta sussurrata appena.

Non voglio perdere di nuovo il mio cuore.
-Tornerò-
Ma Zexion non aveva mantenuto quella promessa.
Demyx era rimasto solo, solo senza più un cuore –strappatogli via con forza per la seconda volta- e con solo il ricordo del leggero sapore di Zexion sulle labbra, in quel loro primo –ultimo- bacio, che era stato qualcosa di terribilmente bello e doloroso allo stesso tempo, per poterlo davvero studiare.
Ed ora, mentre cammina per i lunghi corridoi bianchi, diretto verso la Prova dell’Esistenza, Demyx può finalmente dire di capire perfettamente la pazzia di Axel, e si ritrova a sperare che riesca a recuperare il suo cuore, per tutti loro.
Lentamente il ragazzo apre la porta che conduce alla sala dove le loro vite –o quel che ne resta- sono rappresentate in tutta la loro scialba essenza.
Il suo sguardo per un attimo cade sulle effigi che rappresentano Axel e Roxas e, dopo un tempo infinito, un sorriso che è appena più vero del solito fa capolino nel vedere che ancora risplendono della luce azzurra della vita, ma è solo un breve istante, nel quale i suoi occhi cercano riparo dalla realtà e si rifiutano di osservare quell’effige spezzata, illuminata di rosso, che sta a indicare che per lui, la fuori non c’è più alcun cuore.
-Zexion..-
Il dolore è troppo forte, e la maschera composta da quel sorriso incrinato cade finalmente a terra.
Domani Demyx la raccoglierà.
Oggi vuole solo piangere le lacrime che non potrebbe versare.

 

 

 

 

 

°Note°

Oh mio Dio.
Ho scritto una Zemyx.
È la prima cosa che scrivo in tutta la mia vita su Kingdom Hearts ed è una Zemyx.
Che fa pure schifo e che non ha senso.
Voglio un po’ morire.
Beh non doveva essere così angst (non doveva essere nemmeno così lunga, io volevo una drabble!) e magari sarebbe stato carino mantenere i personaggi IC…
Prometto di non farlo più!
Però questi due meritano più amore! Donate anche voi un pezzo di cuore a questa coppia! (?)
Boh non so davvero che dire di questo scempio.
L’unica nota che mi sento di fare è sul trascorrere del tempo. È diverso rispetto a ciò che ci mostra 358/2: Roxas è già presente, quando Demyx prende la scossa da solo (lol), sebbene lo menzioni solo più tardi, quindi passa più temo con tutti i membri che poi finiranno a Castle Oblivion, dato che nel gioco passano tipo dieci giorni e qui…ugh…più di un mese circa? Lol. Licenza poetica (???).
Se avete domande (?) domandate…io sono qui pronta per i vostri insulti.
Baci, Seki

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: Seki