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Autore: Oducchan    22/01/2008    6 recensioni
***Sono solo, adesso, ora che due delle mie luci si sono spente definitivamente. Ho perso la strada, e non so dove dirigermi. Sono ancora degno di essere chiamato eroe, ora che coloro per cui ho lottato stanno per raggiungermi nell’aldilà? Sono ancora degno di essere osannato, quasi idolatrato, quando sono sotanzialmente troppo debole per superare un lutto? Quanto ho sbagliato, quanto! E se potessi, vorrei tornare indietro, a quando la vita era semplice, spensierata come non lo sarà mai più. Ho sacrificato tutto…per niente. Dov’è la mia strada? Che qualcuno me la indichi, io non riesco a trovarla!*** siamo al palazzo del supremo. Vegeta è morto, Gohan è presunto tale, i bambini stanno imparando la fusione e majiin buu si sta scatenando. ma c'è qualcuno che non riesce ad affrontare la realtà, qualcuno che è distrutto dalla sofferenza, qualcuno che non riesce nemmeno a piangere..qualcuno che pensa di essere solo ma non lo è, qualcuno che ha bisogno di aiuto per trovare la strada giusta. perchè non si vive senza dolore...
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Goku, Piccolo
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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I’ve lost my way

I’ve lost my way

Perché non si vive senza dolore

 

Il sole era alto nel cielo, sotto il palazzo del Supremo. Anche se lì il tempo atmosferico era immutabile, e tutto esprimeva un’idea di luce e calore, l’assenza di strati nuvolosi parecchi metri più in basso lasciava intendere che così fosse anche per il pianeta.

Eppure, quella sensazione di calore, quel cielo di uno splendido azzurro, quell’aria tiepida stonavano tantissimo con quello che stava realmente accadendo sulla sua superficie. La Terra, e con lei tutti i suoi abitanti, stavano attraversando le loro ore più buie. E Son Goku, che quel pianeta l’aveva salvato innumerevoli volte, che per la sua integrità aveva rinunciato a tutto, compresa la vita, non riusciva più a sopportare quel calore e quella luminosità. Non dopo che le luci che per lui contavano di più si erano spente.

Si prese il volto tra le mani, desiderando disperatamente che il sole smettesse di splendere. Come poteva continuare a brillare imperterrito, mentre Majiin buu spadroneggiava incontrastato e loro non c’erano più?

Non poteva, non doveva finire così. Quello avrebbe dovuto essere un giorno perfetto, un’occasione per stare di nuovo tutti insieme, per ritrovare la sua famiglia e i suoi amici, per poterli salutare un’ultima volta.

Chi sarebbe andato a immaginare che lo sarebbe stato nel verso opposto?

Lasciò scivolare le braccia lungo il corpo, inerti, senza forze come si sentiva lui in quel momento. Vuoto, desolato, solo. La gioia, la rabbia, la spensieratezza avevano lasciato posto al nulla, un vacuo sentimento di mancanza che avvertiva nel suo organo cardiaco, un’incertezza che avvolgeva la sua ragione. Non poteva riuscire a credere che fosse davvero successa una cosa del genere; guardava il nulla restando immobile, imbambolato, contro la fredda parete posteriore del palazzo, lontano dai pianti di Bulma, alle grida dell’amica di suo figlio (come si chiamava? Videl?) e dal corpo esamine di sua moglie. Lontano da quelli sguardi, un po’ accusatori, un po’ speranzosi, che si rivolgevano a lui in cerca di sostegno. Quel sostegno che doveva mostrare a tutti i costi, quella spavalda sicurezza che in lui era sparita come neve al sole. Che conforto poteva dare, se a stento riusciva trattenersi dal gridare, dallo scappare nel mondo dei morti, dove almeno sarebbe stato lontano da quella sensazione? Da quella sensazione di vuoto…

Affrontare gli altri voleva dire affrontare la realtà; ci aveva provato, ci era riuscito fino a un certo punto. Aveva resistito di fronte al dolore delle ragazze senza andare in mille pezzi come un vaso di vetro, era stato forte come al solito: né un attimo di esitazione, né un solo minuto in cui non si era dimostrato fermo e intaccabile, fino a sfiorare la freddezza. Neanche contro le grida dei due piccoli, le accuse di Trunks rincarate da Goten, neanche allora il suo muro difensivo contro il dolore era andato in frantumi. Era stato duro, era stato energico, era stato inflessibile. Non era stato lui. Dopotutto, era il suo modo di affrontare i problemi…

Ma ora, lontano da ogni fonte di rumore, ora che poteva pensare liberamente a quello che era accaduto dal suo ritorno sulla Terra, ora non riusciva a crederci. Sapeva che doveva piangere, sfogare il dolore, tirare fuori quella sconcertante ondata di vacuità che lo aveva travolto. Finché stava lì, non avrebbe risolto un bel niente, non avrebbe smesso di soffrire e di tormentarsi, sarebbe presto arrivato il momento di andarsene di nuovo e l’idea di rivedere anche solo uno dei due non gli risollevava l’animo come avrebbe dovuto. Aveva accettato di starsene per il resto dell’eternità in compagnia di re Kahio e degli altri guerrieri spirati solo con la prospettiva che non li avrebbe visti per molto, molto tempo. Che li avrebbe ritrovati solo quando la vecchiaia si sarebbe fatta sentire, troppo avanzata per il sangue sayian, e che alcuni di loro avrebbero potuto andarlo a trovare, una volta morti e transitati da Re Emna. Già, magari avrebbe rivisto i suoi figli e i suoi amici, ma gli altri…Chichi, Bulma, Pual e gli altri che al contrario non erano combattenti non avrebbero potuto essere ricevuti sul pianeta del Gran maestro Re Kahio…e figurarsi lui…

Deglutì, sentendo lo stomaco accartorciarglisi nel petto e minacciare di spandere il suo contenuto sulle ginocchia del proprietario. Come aveva fatto a non pensarci? Era rimasto sette anni senza la sua nemesi e ci erano voluti cinque minuti, il tempo di sferrare il primo attacco, per capire che combattere contro di lui era la cosa che insieme alla moglie e al figlio gli era mancata di più al mondo, che avrebbe voluto non tornare mai più in Paradiso, che quel duello durasse in eterno…certo, senza quella luce assassina carica di follia negli occhi dell’avversario, senza quella emme incisa sulla sua fronte, senza quel sangue innocente sulle sue mani…un attimo, un attimo solo, e poi buio. E non l’avrebbe visto mai più.

E poi…Gohan, il suo bambino! Gohan, che a soli quattro anni era stato rapito da Radish! Gohan, che aveva sopportato tutto, che aveva combattuto nemici mille volte più forte di lui, Gohan che doveva diventare uno scienziato, Gohan che era forte, Gohan che era dolce, Gohan che era la sua promessa per il futuro, Gohan che era cresciuto, che era diventato uomo, Gohan di cui andava fiero e di cui era orgoglioso, Gohan che era tutta la sua vita, Gohan che era suo figlio….spazzato via, come una foglia da un ramo, da un vento crudele color rosa acceso.

Impossibile da credere, impossibile da accettare.

Soprattutto perché capiva che il suo precedente sacrificio, quel sacrificio che stava ancora pagando, era stato totalmente, perfettamente inutile. Che senso aveva essersi fatto saltare in aria per salvare chi amava, se poi non era in grado di evitare che gli scivolassero via dalle dita?che senso aveva aver rinunciato a tutto, se tanto la morte trovava il modo di strappargli il cuore comunque?

Guardò il cielo, ma non gli diede alcun conforto. Era come se una mano invisibile gli fosse entrata nel petto e gli avesse strizzato il cuore come una spugna, lasciandolo lì, asciutto, colmo solo di un dolore che non riusciva a esprimere. E aveva la strana sensazione che se quella mattina non si fosse aggregato a Baba, se non si fosse allontanato dal pianeta del Gran Maestro re Kahio, tutto quello non sarebbe sicuramente successo.

-è colpa mia…- sussurrò, affondando la testa tra le ginocchia, gli occhi spalancati in quell’orrore che non riusciva a cancellare. Sette anni inutili, l’ennesimo errore. Perché tentava sempre di riprovarci con la vita?

Immerso in questi cupi pensieri, non si accorse della figura che gli si era avvicinata fino a che questa non gli rivolse la parola

-Goku-

Rapido, tentò di ricomporre il viso in un’espressione che esprimesse fiducia, e alzò lo sguardo sul suo interlocutore

-Piccolo-

Gli occhi neri del namecciano saettarono rapidi nella sua direzione, prima di perdersi nel nulla del cielo azzurro. Si appoggiò al muro, incrociando le braccia, lasciando che il bianco mantello si agitasse leggermente dietro le sue spalle

-allora?-

Goku si strinse nelle spalle –i ragazzi sono andati a mangiare, sto aspettando che abbiano finito per ricominciare…-

-sai cosa intendo. Quello che stai provando…allora?-

Il sayian deglutì, a disagio. Certi atteggiamenti del suo amico, anche dopo tanti anni, non facevano che incutergli terrore; e avrebbe dovuto ricordarsi che era piuttosto bravo nel leggere nella mente ciò che gli premeva sapere.

-allora cosa? Che vuoi dire?-

-voglio sapere quello che provi. Non hai detto una sola parola che esprimesse i tuoi sentimenti da quando sei arrivato, solo frasi di conforto per le terrestri e qualche ragionamento sulla fusione. E ora voglio che tu mi parli-

Goku tornò a guardare davanti a sé, l’infinito azzurro acceso che non risentiva delle ore e del tempo.

-e cosa vuoi che ti dica, Piccolo?-

Il namecciano scosse il capo, e parlò con durezza –Gohan è morto. Vegeta è morto. E tu stai lì e fai finta di niente. Tua moglie sviene, i ragazzi urlano, ma tu stai zitto e non reagisci. Qualcosa non quadra, Goku. Quello che non esprime sentimenti o reazioni umane di solito sono io. Quindi, ora voglio che tu esterni quel dolore che certamente covi da qualche parte, e solo poi potremo pensare alla Terra. Un salvataggio alla volta-

I due si guardarono, di nuovo. Il moro si chiese dove voleva andare a parare l’altro, con quel discorso così insolitamente lungo per i suoi parametri, e pieno di significati.

-dobbiamo andare avanti…- mormorò spaesato, non sapendo come interpretare la domanda e tantomeno come rispondervi, ma questo sembrò fare infuriare il namecciano

-tuo figlio e quello che probabilmente per te è quello che voi terrestri chiamate miglior amico sono morti, e tu mi dici “bisogna andare avanti”? Piangi, urla, fai qualcosa, dannazione! Non stare lì ad aspettare che la sofferenza ti cancelli l’anima!-

Per una frazione di secondo, Goku temette che il suo amico fosse uscito completamente di senno, vedendolo sbottare in quel modo: aveva perso totalmente la sua calma serafica. Poi, però, comprese: Piccolo non era bravo con quella sfera di sensazioni chiamate sentimenti, e quello che sembrava un attacco verbale a testa bassa era più probabilmente un estremo tentativo di consolarlo e di aiutarlo. Ma lui non ne aveva bisogno, non poteva averne bisogno. Lui era l’eroe, ed era suo compito essere roccia per chiunque ne avesse avuto bisogno, e non poteva permettersi di essere debole. Anzi, quei momenti erano già una leggerezza troppo grande, e avrebbe dovuto alzarsi per prepararsi a continuare l’allenamento coi bambini. Ma le sue gambe parevano non volergli ubbidire, il suo corpo pareva volere rimanere lì in attesa, ad aspettare che gli eventi continuassero il loro svolgimento senza che lui vi prendesse parte.

-non abbiamo il tempo, Piccolo. Non c’è tempo né per le lacrime, né per le urla. Non ne ho il tempo-

-credi che tu sia l’unico a sentirne la mancanza?-

Gli occhi del sayian saettarono rapidi verso l’individuo al suo fianco

-no!- rispose, piccato -ovvio che no, so benissimo che soffriamo tutti per la loro scomparsa, ma non possiamo permetterci di perdere tempo per rimpiangerli, loro non lo vorrebbero mai!-

-strano, però puoi permetterti di perdere tempo a guardare il cielo, vero? Perché è questo che stai facendo. Guardi il cielo, nella speranza che il tempo che ti resta scorri il più velocemente possibile, per non dover sopportare ancora il senso di colpa!- ribatté l’altro sferzante

-io non…-

-ho visto come hai reagito all’insulto di Trunks, ho visto cos’è passato per i tuoi occhi in quell’istante: tu gli dai ragione, tu pensi di avere la colpa della morte di tuo figlio e di Vegeta!-

-smettila-

-tu ti senti in colpa, e stai fingendo che non sia così, perché speri di riuscire a stare meglio, perché credi che dare la colpa a qualcun altro sia peggio che incolpare se stessi di una cosa su cui non hai minimamente potuto interferire!-

-BASTA!- Goku urlò, colpendo il terreno con gli occhi chiusi, i pugni serrati, facendogli affondare per un paio di centimetri nelle delicate piastrelle bianche. Rimase in quella posizione per qualche istante, tremando di rabbia, poi si calmò –se io…io oggi non fossi venuto…-

-non avresti mai conosciuto Goten, Gohan avrebbe sofferto la tua lontananza per un periodo ancora più lungo, tua moglie si sarebbe lagnata per l’eternità, Vegeta non avrebbe avuto parte di quel combattimento che tanto agognava…devo continuare?- rispose ironico l’alieno –il punto è che sei mancato a tutti, Goku. Lo ammetto, pure a me. E se un mago pazzo e la sua creatura hanno deciso di usare un giorno che avrebbe dovuto essere tranquillo e gioioso per seminare morte e distruzione, beh, non è sicuramente una tua negligenza! Ciascuno ha il diritto di avere la sua seconda possibilità nella vita. Nella tua sono rientrati i guai, ma non è una cosa che dipende da te. E se proprio vuoi saperlo…impedire a Gohan di combattere, o a Vegeta di sacrificarsi, oggi, sarebbe stato pressoché impossibile-

Combattere. Sacrificarsi. Era stato proprio lui ad istigare il figlio a dare il meglio di se, lui ad interrompere quel combattimento all’ultimo sangue, lui tanto stupido da farsi giocare da un sotterfugio…incosciamente, qualcosa dentro di lui s’infranse, e lacrime di puro dolore salirono ai suoi occhi d’ebano, inondandoli come un fiume in piena

-non è questo, no..io..io non…è che mi mancano, mi sento…solo…e…non…non so cosa fare!- proruppe, ripiegandosi su se stesso, conficcandosi le unghie nelle braccia, tentando vanamente di far fronte a quell’uragano emotivo che finalmente trovava sfogo in lui. Proruppe in singhiozzi, intermezzati da frasi sconclusionate per tentare di spiegare che no, non era solo questione d’incolparsi, che sì, era perché aveva perso quell’unico fratello che lui stesso aveva risparmiato anni prima, che sì, voleva indietro suo figlio, anche solo per potersi scusare per averlo abbandonato, che sì, lo sapeva che lui non poteva nulla di fronte al destino, che no, lui non voleva più quella maledetta responsabilità di dover accantonare ciò che amava per il bene superiore…che sì, soffriva dannatamente, e voleva con tutto il cuore poterlo fare, ma che stava abbandonando a strada che si era prefissato sei anni prima. Voleva dirle, tutte quelle cose, forse voleva aggiungere molto di più, ma non ce ne fu bisogno. Piccolo comprese, e con un amaro sorriso si sedette accanto a lui, poggiandogli una mano sulla spalla, restando in silenzio ad ascoltare le grida straziate della sua mente, confortandolo con la sola presenza.

 

Sono solo, adesso, ora che due delle mie luci si sono spente definitivamente. Ho perso la strada, e non so dove dirigermi. Sono ancora degno di essere chiamato eroe, ora che coloro per cui ho lottato stanno per raggiungermi nell’aldilà? Sono ancora degno di essere osannato, quasi idolatrato, quando sono sotanzialmente troppo debole per superare un lutto? Quanto ho sbagliato, quanto! E se potessi, vorrei tornare indietro, a quando la vita era semplice, spensierata come non lo sarà mai più. Ho sacrificato tutto…per niente. Dov’è la mia strada? Che qualcuno me la indichi, io non riesco a trovarla!

 

Qualche minuto dopo, Son Goku riuscì a trovare un argine alla sua sofferenza, e a calmare almeno parzialmente quel bruciore intenso che attanagliava il suo cuore. Tirò su col naso, passandosi i palmi sugli occhi arrossati, e si guardò attorno spaesato, quasi non si ricordasse di dove si trovava; il suo sguardo incontrò quello di Piccolo, e ancora una volta si stupì del cambiamento che si era operato in lui

-va meglio? – gli chiese infatti, con una piccola pacca sulla schiena

-un po’- rispose, arruffandosi i capelli e fissando il cielo azzurro, dannatamente troppo azzurro, cercando di avvistare qualcosa oltre quello, cercando di trovarvi una strada. O un’indicazione.

-ti ci dovrai abituare. E non fare quella faccia, non ti sta incolpando nessuno. Ora tocca te, fare la prossima mossa-

-eh?- tornò a guardarlo, cercando di vedere oltre quello sguardo imperscrutabile

-puoi scegliere. Giocare in attacco, o restare in difesa, continuare con i bambini e sparire per sempre o partecipare agli atti d’onore di quest’oggi…tu sei incredibile, Son Goku, e questo l’ho capito molto tempo fa; puoi salvare chiunque: hai salvato la terra, hai salvato me, hai salvato Vegeta…prova a salvare te stesso, questa volta…Eroe-

si alzò, e fece per allontanarsi, ma dopo qualche passo, sembrò ripensarci e tornò a voltarsi

-se ti fa stare meglio…non sei solo. Gohan manca in modo lancinante anche a me. E sinceramente, non avrei mai pensato di potermi sentire tanto dispiaciuto per quel nanetto arrogante…pensaci, Son Goku. Loro avrebbero voluto che tu ti arrendessi? Loro non l’avrebbero mai fatto-

Goku fissò la sua figura allontanarsi, finché il mantello bianco svolazzante non scomparve dietro l’angolo; avrebbe giurato di aver visto una patina lucida in quegli occhi di ferro, e una lacrima scintillare in un angolo.

Tornò a guardare il cielo. Troppo azzurro, forse, ma non sufficiente per farlo desistere

 

Lo farò. Perché ve lo devo. Poi pensate solo ad illuminarmi la strada.

 

 

 

Ok, due paroli brevi, soprattutto sul sottotitolo. Quata storia è dedicata a chi, come me, trova dragonball un po’ privo di sentimenti, e Son Goku un’emerito rimbambito con uno stomaco troppo grande e senza un briciolo di maturità. Insomma, non sbranatemi, sarà anche adorabile nella sua ingenuità, ma il modo in cui affronta le brutte notizie è detestabile!

Non si può vivere senza provare anche il dolore; e Son Goku, con il suo sorrisone idiota sempre sul volto, resta morto per circa metà della serie Z. ergo, non vive. Ma io ho detto: santo cielo, avrà diritto anche lui a un po’ di umanità, no? E allora ecco nascere la storia, ambientata nel momento che il buon vecchio citrullo dovrebbe essere il più drammatico.

Grazie a coloro che hanno letto questa storia e questo sfogo, vi voglio bene!

Kiss, vostra wolvie

   
 
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