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Autore: Paradichlorobenzene_    10/07/2013    6 recensioni
[Dolcetta][Lysandre][Armin][Castiel]
La pioggia scendeva ormai copiosa, un temporale che il cielo lo mandava. Le principesse non piangono. Le principesse non piangono. Parole, queste, che risuonavano continuamente nella mente di Erech mentre un’ultima lacrima le scendeva sul viso abilmente nascosta dalla pioggia. Sembrava fosse fatto apposta. La ragazza si alzò, i capelli fradici la seguirono in un’elegante onda, la mano passò sul viso, asciugandolo parzialmente. Si tirò il cappuccio del mantello, non del tutto bagnato, sugli occhi e riprese la strada per tornare al castello.
Adesso sapeva qual era il suo posto, il suo ruolo in tutta quella storia.
Storia scritta a quattro mani con Gozaru. Amate, onorate e rispettate quella ragazza.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin, Castiel, Dolcetta, Lysandro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era stanca, sporca e non si sentiva più i piedi.
Aveva camminato per giorni e giorni, attraversando foreste e nuotando attraverso le acque turbinose dei torrenti della Terra di Confine. 
Aveva i vestiti laceri, varie ferite sulle gambe a causa dei fitti rovi dei boschi, la gola riarsa dalla sete e lo stomaco vuoto ma, incurante del fatto di essere ormai arrivata al territorio di frontiera, e quindi ad acqua calda, cibo commestibile e soprattutto ad un tetto sulla testa, Erech si sedette sotto un albero, almeno per far riprendere sensibilità ai piedi. Chiuse gli occhi, stanca, e ripensò al perché fosse scappata di casa.
Adesso, con lo stesso aspetto di un vagabondo in piena regola, non ne vedeva più motivo.
Ricordò le stanze ampie e pulite del castello, i vestiti leggeri e la pelle bianca che profumava di lavanda.
Aprì gli occhi e, guardandosi le mani, le trovò diverse. I vestiti di suo cugino le stavano grandi e la spada le arrivava poco sotto il gomito, quando, normalmente, doveva arrivarle al polso.
Sospirò. Non era bello ritrovarsi il proprio padre che, a colazione, annuncia un matrimonio imminente.
“specialmente se si tratta del mio”, pensò la ragazza.
Odiava indossare abiti lunghi, intrecciare i lunghi capelli neri in elaboratissime acconciature, calzare scarpe strette e scomode e portare fin troppi gioielli.
Il dover imparare a suonare il pianoforte e il clarinetto. Quelle assurde lezioni di solfeggio.
Fin da bambina ascoltava di nascosto il padre e lo zio discutere di battaglie e di storia, ed era questo ciò che l’affascinava davvero.
Finché qualcuno non decise che doveva sposarsi con un perfetto sconosciuto.
Non ne conosceva il carattere, l’aspetto, nemmeno il nome. E questo non le stava bene.
Fuggì la sera stessa dalla sua casa, decisa ad andarsene il più lontano possibile.
Sospirò, rialzandosi e ripulendosi i pantaloni dalla terra, nonostante fossero macchiati di fango e strappati. Recuperò la strada camminando velocemente e con le ultime forze fino al regno che si vedeva all’orizzonte.
“Ma  nonostante tutto – pensò Erech – chi è che dovrei sposare?”.
 
 
 

Con un tintinnio di ceramica dorata il giovane principe ricongiunse la tazza da tè al piattino che teneva in mano dopo aver bevuto un sorso della bevanda ancora calda appena portatagli da una delle tante cameriere che lavoravano al castello.
Di fronte a lui, comodamente seduta su una poltrona, sua madre, in una posa più che regale ma in linea con la sua figura di ex regina.
Bella di una gioventù ormai persa e dell'esperienza di coloro che sopravvivono alle persone che amano.
I lunghi capelli bianchi le ricadevano su di una spalla raccolti in una morbida treccia.
Il corpo più magro che snello vestiva ancora perfettamente gli abiti di corte di quando era una sovrana presente e amata.
Ma ora, nella debolezza degli anni che passano, il suo ruolo si limitava all'assistenza del giovane figlio succeduto al padre sul trono del regno di Calimon. Egli, ormai schiavo dei suoi modi regali anche nella vita privata, sedeva ritto con la schiena su di un'altra poltrona, in fronte a quella dell'amata madre.
Gli abiti sontuosi ma meno formali per il colloquio privato con la madre: mancava, infatti, dalle sue gracili spalle il lungo mantello che era solito tenere durante i discorsi pubblici o gli incontri ufficiali con cariche importanti degli altri regni. Faceva, invece, la sua bella comparsa sulla chioma bianca del principino una piccola corona incastonata di gemme rare, perlopiù smeraldi, posta su di una parte della regale testa in perfetto equilibrio.
Ad ogni movimento del capo del giovane, essa pareva voler scivolare verso il pavimento ma, magicamente, restava al suo posto.
Il nuovo reggente allontanò la tazza di tè dal suo corpo poggiandola sul tavolino intarsiato del secolo precedente che avevano fatto arrivare da regni lontani che lo divideva dalla figura femminea della donna. Accavallò aggraziatamente le gambe e le cinse con le mani inguantate di bianco.
Era solito assumere quella posizione a lui comoda quando doveva disquisire con la dolce madre di faccende private. Egli trovava la sua figura molto imponente ma ben presentabile in siffatto modo. Com'era facilmente notabile, il giovane principe era un ragazzo che, nonostante i suoi ventidue anni suonati, sembrava molto più maturo e responsabile degli altri giovani suoi coetanei. Aveva una forte considerazione della propria persona e ciò lo portava a svolgere egregiamente il suo compito, rendendolo visibilmente fiero del suo operato.
Quel giorno aveva deciso di richiedere udienza con l'amata madre per riprendere un discorso lasciato in sospeso nei giorni precedenti. Gli stava a cuore parlare del suo futuro e quando aveva preso la decisione di ammogliarsi con la figlia del Re del reame vicino era stato solo grazie alle parole della regina. Aveva chiesto ad alcuni dei suoi uomini di fiducia di indagare sul conto della principessa ma le informazioni reperite da terzi non si erano rivelate soddisfacenti. Quando schiuse le sue rosee labbra la donna di fronte a lui non aspettò le parole del figlio perché gli desse attenzione: era pronta a ricevere le parole del suo interlocutore ancora prima che questi decidesse di rivolgergliele.
«Cara madre» esordì lui. Il tono di voce era pacato e dolce come sempre quando si rivolgeva ad ella. «Ricordate forse il discorso intrapreso tre lune or sono?». La donna fece pacatamente di sì con il capo. Constatato ch'ella non aveva perso il ricordo di quella conversazione, continuò. «Ho cercato qualche particolare sulla fanciulla che voi m'avete raccomandato. Siete davvero sicura che sia la candidata più appropriata per un ruolo così importante?». Il viso della donna si accese in un dolce sorriso. Posò le mani sulle sue gambe coperte dalla lunga seta nera del suo abito d'alta sartoria e guardò con condiscendenza il giovane. «Figlio mio, pensi, di grazia, che potrei anche solo pensare ad una compagna che ti sia inferiore?».
Rassicurato dalle parole della genitrice, il giovane sorrise di rimando. «Bene» riprese egli sciogliendo la sua regale posizione per conquistarne una eretta. Aggirò il tavolino intarsiato per avvicinarsi alla madre, allungando verso ella una delle sue mani. La donna appoggiò i polpastrelli nudi sulla seta bianca del guanto aspettando il baciamano del principe che, chinandosi verso la mano della madre, quasi sfiorò con le labbra gli anelli che portava sulle dita affusolate. Subito dopo si allontanò con la corona ancora magicamente al suo posto.
Uscito dalla stanza situata nell'ala adibita ad alloggio della famiglia reale con passo svelto, venne subito raggiunto da una guardia responsabile della sua sicurezza. Il principe chiamò il nome del soldato con voce ferma. «Mandami subito Castiel alla Sala del Trono.» proferì e ancor prima che potesse verificare, la guardia si era già allontanata in una differente direzione in cerca del Generale delle legioni di Calimon.
   
 
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