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Autore: marig28_libra    10/07/2013    3 recensioni
Lutti, incertezze, paure, lotte. La vita dell'apprendista cavaliere si rivela assai burrascosa per Mu che ,sotto la guida del Maestro Sion, deve imparare a comprendere e ad affrontare il proprio destino. Un destino che lo condurrà alla sofferenza e alla maturazione. Un destino che lo porterà ad incontrare il passato degli altri cavalieri d’oro per condividere con essi un durissimo percorso in salita.
Tra la notte e il giorno, tra l’amore e l’odio, Mu camminerà sempre in bilico. La gioia è breve. La rinuncia lacera l’anima. Il pericolo è in agguato. L’occhio dell'Ariete continuerà però a fiammeggiare poiché è il custode della volontà di Atena ed è la chiave per giungere al cielo infinito.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Mu, Aries Shion, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'De servis astrorum' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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“ Così, nelle tue braccia ordinatrici
io mi riverso, minima ed immensa,
dato sereno, dato irrefrenabile,
attività perenne di sviluppo.”

( A. Merini )

 


 La caldura del primo pomeriggio fermentava senza alcuna feracità.
Le magrissime fessure, che separavano le mattonelle delle stradine, non accoglievano farciture  di passi.
Nessun rumore di scarponi, zoccoli o  sandali grigliava sulle pietre bianchicce.
Rodorio era un grammofono d’ottone pigro che scioperava  contro l’autorità del baccano.
La sazietà dei pranzi covava sonno negli animi…
I minuti ciondolavano tra i rami di oleandri e allori come scimmie sfaccendate che non sanno a cosa giocare…

Le case di mattoni , coi  tetti in coppi d’argilla, s’abbrustolivano sotto i sibili canuti dei raggi solari.
I vetri delle finestre celestine o nocciola restavano sbarbati da qualsiasi scintilla di movimento…
Dai vasi delle verande, i gerani e gli origani  ondeggiavano indispettiti ai tenui moti delle api o delle farfalle…

La piazzetta del villaggio patrocinava la legge dell'accidia: il suo immobile ordine, di sassi levigati e disposti circolarmente, intricava la vista in un’indolente ipnosi.  
La piccola fontana di marmo rosa, che si ergeva al centro di quella trama, non strimpellava getti spumeggianti di fresche grinze.
Dormiva anch’essa lasciando fluttuare, sulla sua pellicola d’acqua sporca ,  cadaveri di moscerini e zanzare, scaglie di petali ammollati, forfore di biglietti cartacei…
 
Una bambina  uscì da un vialetto contornato da enormi anfore di lavanda.
Poteva avere otto anni. Era magra, non molto alta, portava un modesto cardiophylax *, gracili schinieri e delle protezioni di cuoio agli avambracci un po’  pesanti e scure.
I capelli lisci, che le coprivano il collo impolverato, brillavano dell’incarnato acerbo dei limoni apuli. Il loro biondo pungente sfumava in un verdino di profumata acidità.
I grandi occhi, dello stesso colore, erano smerlati da lunghe ciglia, pettini di fitto e spumato nero. 

Con la mano destra reggeva la maschera mentre con l’altra si strofinava il naso e tentava di asciugarsi le guance. 

Stava nascondendo, come merce di contrabbando, i singhiozzi.

Da nessuno  dovevano essere  uditi: né dalle grondaie delle case, né dagli sfarfallii dei panni che si asciugavano , né dai bruchi che strisciavano sulle  foglie intontite.

Sigillare tutto. Disfarsi della delicatezza.
Questa sarebbe diventata la sua legge.
Glielo avevano spiegato.

Lui, prima degli altri, glielo aveva spiegato.

Shaina  non voleva capire.
Suo padre la obbligava a farlo…Suo padre…Il Maestro.
Rahotep della costellazione di Apofi*.

Sacerdotessa guerriero. No, principessa. No, ballerina. No, scolara…
No, donna comune.

C’era da sudare,  tacere,   nascondere.
C’era da lottare e scordare. Lottare e rinnegare. Lottare e tagliare.

La piccola avrebbe dovuto  scomunicare  la normalità.
Non riusciva ancora a essere consapevole come un’adulta …tuttavia… intendeva che cose veramente vitali, veramente tenere le sarebbero state pignorate.
Niente feste. Niente vestiti. Niente bambole.
L’infanzia doveva restare una boa alla deriva.
In futuro niente turbamenti. Niente amore.
Nessun uomo.

La bimba si acquattò, sottilmente impacciata , all’ombra di un pino marittimo.
Si sistemò,  seduta e sconfitta,  con un ginocchio alzato e una gamba abbandonata al suolo.
Le scapole mingherline poggiavano sul tronco burbero e scanalato di rettangoli sproporzionati:  era come fosse  coperto di carta da regalo  marcita per qualsiasi occasione…
Le fronde, disseminate di spine, seguitavano a farfugliare saune di luci e penombre sgretolate…
Si poteva stare  tranquilli dentro il barattolo del primo pomeriggio che sapeva di salamoia e olio sfiorito.
Shaina si lasciava ungere dalle lacrime e dalle strimpellate avvizzite di qualche cornacchia  nervosa…

Era sola senza il viso del padre che si contorceva in rughe torve…
Era sola in un’ora di minuti sconditi di obiettivi.
Era sola e  cellofanata nella finitezza  scarna di richieste.

All’improvviso, nel cieco diabete dell'immobilità, una grattugia di rumorini.
Un palpito di passi…
Dei piccoli stropicciamenti…

La bambina si mise in allerta.
Indossò la maschera paurosamente.
Si nascose dietro l’albero sbirciando i dintorni.

Vide un bambino che stava attraversando la piazzetta del villaggio. Doveva essere suo coetaneo…
Aveva in braccio un’enorme busta di carta che tentava di domare.
I suoi capelli blu-viola erano scarmigliati da una spazientita gaiezza.
Gli occhi azzurri erano corrucciati in una buffa espressione affaccendata. La bocca si piegava in giù perplessa di fatica.

Era Milo, l’allievo e figlio di Kletias di Eophrynus.*

- Uffa! – si lamentò il piccolo- ma quante cose mi ha fatto prendere papà?!

Borbottando posò a terra il sacco e dispose diversamente i prodotti che stavano dentro…

Shaina si sporse maggiormente all’esterno dell'arbusto…
Continuò a osservare il ragazzino che sbuffava gonfiando le  gote tondeggianti…
Lo trovò incantevolmente divertente…Era  nitido, saltellante di esuberanza, agguantato  da irrintracciabili  tonalità…Attribuire  un indirizzo , una glossa, una mappa chimica alla ricca semplicità dei suoi  gesti   era davvero difficile…

- Ehi!

Si era accorto di non essere solo.
La bambina si  nascose dietro l’albero  come un pesciolino a tergo di bulbi d’  alghe.

- Sei una sacerdotessa? – le chiese Milo risollevando il  sacco ingombrante.

Silenzio.
Qualche cuculo osò solfeggiare goffamente nell’aria.
Silenzio.

- Dai! Perché non esci?

Shaina restò intimidita stropicciandosi le manine.

- Mica sono un cagnaccio rognoso! – rise il bambino – vieni fuori!

La ragazzina sentì che l’interlocutore si avvicinava.
Decise di palesarsi completamente.
Si fece avanti con lenta diffidenza.

- Aaah! – esclamò l’altro- ti ho già vista nei campi di addestramento! Tuo padre è il Maestro Rahotep di Apofi?

Rintronata da quella spontanea e squillante voce, la piccola annuì guardando a terra.
Il bambino sorrise.

- Ti chiami Shaina , giusto?

- Sì…- rispose  piano lei – tu invece…sei… Milo?

- Esatto! La mia costellazione è lo Scorpione! Tu hai… quel cobra…come si chiama anche? L’Ofiuno? No! No! E’….l’Ofiufo? L’Ofiumo? Ah! Che cretino! E’ l’Ofiuco!

Shaina alitò una leggera risata.
Milo si allietò nonostante quel suono dolce giunse ovattato per via della maschera.

- Perché giri da queste parti? -  domandò con curiosità.

La ragazzetta, vergognata, strofinò la punta del piede sul pavimento.

- Ecco…- confessò dopo un po’ – mio padre mi ha messo in castigo nel Tempio delle Sacerdotesse. Devo fare allenamento fino al tramonto senza mangiare…Sono scappata di nascosto…

Scorpio rimase  mortificato.

- Come mai questa punizione? – sussurrò.

- E’ da giorni che continuo a sbagliare gli attacchi- spiegò l’apprendista – papà si è arrabbiato molto. Dice… che non posso fare così se no… quando sarò grande mi ammazzano subito.

Il bambino capì che dovette evadere da quel burrascoso discorso.

- Senti….sono tornato tardi dagli addestramenti e mio papà mi ha spedito a fare la spesa…ora è in riunione…Che ne dici se pranziamo assieme?

- V-va bene…

Il ragazzino si accoccolò per terra imitato dalla compagna.
Rovistò nella busta espandendo un aroma gustoso e paglierino di grano cotto e fragrante…
Pareva di saggiare  il buon   legno dei forni antichi e rustici…

- Prova  questa  focaccia alle olive! – disse entusiasta Milo – è buonissima! Io vado matto!

Divise  il grande e morbido panino offrendo una metà alla bambina.
Lei rimase piacevolmente spaesata da  quel gesto…
Fu costretta  a voltarsi di spalle e togliere la maschera per poter assaporare le molliche di quella gioia.

Scorpio la guardò  con espressione costernata…
Le studiò la testina bionda, leggermente piegata , le spalle e la schiena  sottili…
In che modo si mescolavano i granelli del giorno nei suoi occhi? In che modo la sua bocca si  apriva e masticava? 
Analitico, il piccolo sbocconcellava la focaccia cercando di capire di che fattura potessero essere i contorni della sacerdotessa….Forse di liscio nailon? Di ruvido spago? Di fulminante rame?

- Emh…senti…- arrischiò  – non…non puoi proprio?

- Cosa? – mormorò ella.

- Cioè…n-non…puoi girarti verso di me?

Shaina tacque alcuni secondi.

- No. Non posso – rispose tentando di seppellire la  tristezza.

- Ma è…così rischioso? Che c’è di male se ti guardo in faccia?

- Io sono una femmina e tu sei un maschio.

- Beh…e quindi?

- Sono una sacerdotessa guerriero e tu un cavaliere. Se  mi guardassi senza maschera o ti dovrei amare o ti dovrei uccidere…

- Accipicchia! E’ una cosa pesante!

- Le sacerdotesse non possono fare l’amore…Non sono come le ragazze che vedi tutti i giorni…

- Fare l’amore?! E che significa? Lo sento spesso dai  più grandi ma non so cosa vuol dire….

- Per me significa darsi le carezze e i baci , poi non so se c’è qualcos’altro…

- Forse quel qualcos’altro è il sesso.

- Sesso?

- Sì…E’ quando due si baciano e si abbracciano nudi.

- Davvero?

- Certo! E’ così che si fanno i bimbi.

- Ma è pericoloso! Se una tipa si abbraccia nuda con un tipo rimane  incinta?!

- Mmmmh…Hai ragione…E ‘ un po’  strano…Ci sarà  un altro trucco che non mi hanno ancora detto…Presto lo scoprirò! Non ci credo che i nostri genitori si siano soltanto abbracciati senza vestiti!

I due risero.
Milo tirò fuori dalla borsa della spesa un sacchetto di mirtilli.
Ne porse una manciata alla ragazzina che li prese senza mostrare il volto.

- Mi…mi dispiace…- disse lui abbacchiato.

- Eh?

- Mi dispiace…che io non ti possa vedere gli occhi.

Shaina sospirò frustrata.

- Devo abituarmi a questo- pronunciò seccamente – è la mia vita.

Il ragazzino si zittì per un istante.
Una brezza debilitata scosse smozzicata le sagome dei fogliami.
I cinguettii molleggiati e cristallini dei passerotti riuscirono a strappare manifesti di propagande al  grigiore…
Alcune cicale rosicchiavano repertori graminacei e dondolanti di calura.

- Shaina…mi lascerai combattere al tuo fianco?

La bimba arrossì… Le tempie  le rombarono come velivoli. 

- Siamo lo Scorpione e il Cobra – affermò deciso Milo – non dobbiamo aver paura del deserto…Noi dobbiamo distruggere la sabbia…Diventeremo forti! Vedrai! Nessun veleno ci potrà sconfiggere!

La piccina sorrise.

- Certo…- disse- nessun veleno ci potrà sconfiggere!

Fissò le sferette dei mirtilli che aveva in mano…
Che fossero le perle che indossava la Notte e che venivano poi riposte sugli alberi durante il Giorno?
Per quale ragione possedevano un incarnato così screziato? Che rappresentava la loro abbronzatura nerastra che si scrostava mostrando squarci d’azzurrognolo?
Si vedevano cieli d’acque sotterranee? Futuri di plumbee luminosità?

 

Shaina si sedette sul suo letto ordinato e bianco di durezza.
Solo una piccola lampada di vetro donava  origami di luce  alle pareti della stanza in cui alloggiava.
Una finestra, rettangolare e arcignamente pulita, mostrava le zampate della notte che avevano imbrattato, quasi fossero  inzaccherate di marmellata di more, tutti gli edifici del mondo.

Fuori il dormitorio delle Sacerdotesse guerriero predicava la taciturnità…
Il Grande Tempio e il villaggio di Rodorio avevano sigillato i sipari delle parole.
I noci e gli acanti dei colli  si fissavano assenti d’amoroso interesse…
Gli uccelli avevano esaurito il carbon fossile per alimentare i ventrigli dei canti…
Gli insetti preferivano cullarsi in tumuli di terriccio…

Ogni cosa pareva aver trovato l’abbrivo per la dimenticanza.

La fanciulla ascoltò il gocciolio dei secondi della sua sveglia .
Fissò poi il cuscino spoglio e umilmente morbido…
Quante volte le aveva racimolato lacrime di insonni paturnie?
Accarezzò le lenzuola intatte per cercare di fingere una piana di sicurezza…

Sospirò faticosamente.

Era il suo segreto.
Era un’immensa e innocente colpa che mai avrebbe confessato ad alcun tribunale.
Era la sua El Dorado che non sarebbe stata invasa da nessun conquistadores.

Ella  faticava a sorreggere il peso di quell’estate, quella scia che non cadeva dal carro del sole come l’imprudente Fetonte.

Era impossibile sotterrare Milo in un campo  di sterpaglie e croci arrochite.
La sua bellezza, di festosa ed elegante procacità, rifulgeva irriducibile negli orizzonti del cuore.
La sua forza, simile a un gladiatore, combatteva in qualunque arena ghermendo ogni ombra con una rete pungente e trafiggendo ogni belva con un d’oro tridente.

Immaginare la dipartita di quell’astro equivaleva a non credere più nell’ossigeno.

La ragazza aveva appena trascorso una delle ore più orrende e squartanti della sua esistenza.

Quando aveva percepito il cosmo di Scorpio, dileguarsi nel nulla, un’incredulità d’incubo l’aveva assalita. Sudando molecole rocciose, era caduta nelle grinfie dell’angustia : quella gigantesca e muta aurea maligna, che aveva invaso le Dodici Case,  sapeva di sonno letale.*

Che cosa sarebbe accaduto se il ragazzo non fosse più tornato col suo sguardo d’alto respiro?
La sacerdotessa si era sentita azzannata le interiora da una nausea senza conati e aveva desiderato rimettere, invano, il poco bolo della cena consumata.
I minuti si erano mostrati dannatamente pietrificati, dementi e infami. Non le avevano dato alcuna spiegazione su quel misterioso spettro che aveva avvolto il Santuario.
Impotente, di fronte ad un nemico scontornato, ella si era adirata.
Aveva mandato a dormire le apprendiste bambine sgridandole e spaventandole ed  era corsa poi da Marin pretendendo chiarimenti  sulla natura di quell’entità malvagia.
La guerriera le aveva spiegato che probabilmente si era trattato di una o più divinità e che, nell’occulta battaglia, erano intervenuti ,  oltre a Milo,  anche  Mu, Camus, Aiolia, Aldebaran e il Sommo Sion.
A quella risposta, Shaina si era agitata ancora di più strepitando di voler intervenire ma l’Aquila l’aveva dissuasa e placata.
Era stata davvero dura tenere a freno il Cobra però si era rivelato urgente non complicare  la terribile condizione in cui si trovava il Tempio.

Per l’impetuosa armigera l’orrore si era concluso con la riemersione della sua luce: la costellazione dello Scorpione che aveva ripreso a brillare di rosso, giallo e bianco.

Milo era evaso da quelle tenebre misteriose e torturanti.
Risentire nuovamente i battiti del suo azzurro era stato come resuscitare da una cadaverica glaciazione durata irreali millenni.

Da troppo tempo la giovane nutriva un’immensità di fuoco per il cavaliere. Quel sentimento si era alimentato lentamente come un usignolo che va a becchettare briciole su un davanzale di fiori profumati.

L’aveva visto lei.
Aveva visto il faccino di Milo diventare più lungo e raffinato maturando tratti rigogliosi: la tondezza dei contorni si era disciolta in raggi di luminosa malizia mentre il corpo aveva sviluppato agilità e possanza mascoline sbriciolando la tenera indeterminatezza delle membra puerili.

Nel corso degli addestramenti, l’adolescente aveva assistito alle fatiche di Scorpio e agli straordinari potenziamenti delle sue tecniche…Sarebbe stata capace di verbalizzare le parabole dei suoi salti vertiginosi, sarebbe stata capace di riprendere le sue braccia che colpivano con l’affilatezza di aculei e le sue gambe che correvano frantumando gli urli dell’aria.
Nessun istante di movimento le era mai sfuggito. Neppure i singhiozzi della luce erano riusciti a volarle dall’animo…Se fosse stata una pittrice, avrebbe sperperato le tinte più preziose per rendere al meglio la lunga e ribelle chioma del combattente sotto i raggi del Giorno.
Il blu oltreoceano dei capelli pareva bagnarsi d’acqua infiammata quando era scosso dalle lotte, dalle giravolte e dagli spiri di sudore.

Rinchiusa nella sua camera, Shaina si detergeva lo spirito con quella soave pesantezza,

Era felice, mesta, insoddisfatta e ansiosamente tranquilla.
Non capiva veramente quale sentimento provare per primo.
Il caos roteava su un asse scalcagnato e ammaccato.

Non c’era nessuno con cui dialogare, nessun burocrate uditore cui esporre documenti di inspiegabilità.

Chissà…può darsi che Marin avrebbe ascoltato…
Marin…
Ogni volta che le rispondeva male, Shaina si pentiva amaramente ma era troppo orgogliosa per fare dietro front. Certo, questa sua caratteristica le dava fastidio, si sentiva odiosamente cocciuta e ottusa e , ciononostante,  provava vergogna a timbrare i propri errori.
Sapeva perfettamente che la ragazza giapponese non meritava risposte velenose…eppure continuava a rimandare le richieste di perdono…Non era corretto, ne aveva consapevolezza, però proprio non ce la poteva fare.
Doveva riuscirci presto o tardi! Doveva tentare di rompere quel guscio di tartaruga carnivora in cui si rinchiudeva!
Marin aveva l’indole per comprendere.
L’Ofiuco presentiva acutamente che anche lei era preda dell’amore.

Quella guerriera si palesava assai abile nel celare, in modo insospettabile, qualunque tipo di turbamento.
Era zelante, accorta, severamente equilibrata e non per nulla le guerriere più anziane la  ricoprivano di stima. A soli quindici anni stava intraprendendo un faticoso percorso di addestramento affinché Seiya avesse potuto conquistare in futuro l’armatura bronzea di Pegasus.
Lavorava duramente, con sacrale dedizione, e nessuna campana di fumo pareva incarcerare l’anelito del dovere.
L’Aquila s’involava, con vogate di ferree piume, verso gli absidi del cielo ma il Cobra l’aveva vista , differenti volte, scivolare nelle rogge delle basse quote.
Strisciando tra nascoste filature d’erba, nuotando sotto cuffie di sabbia, aveva osservato il nobile rapace accostarsi a un magnifico re…
Un Leone dalle auree zanne: Aiolia, futuro guardiano della Quinta Casa.
Shaina si era trovata ad analizzare la composizione sinfonica di quella leggiadra e tuonante dolcezza. Aveva anatomizzato la sottigliezza della voce di Marin prendere la profondità del tono del guerriero.
I due dialogavano, si confrontavano… Era accaduto che si fossero allenati assieme più volte.
 L’amazzone del Serpentario conosceva i momenti in cui la collega sorrideva, arrossiva e si inclinava alla tristezza.
Era come se stesse leggendo il riflesso di se stessa, un riflesso più morbido e sussurrato, però pur sempre una propria emanazione.

Cos’è che le differenziava realmente?
Erano una di fronte all’altra eguali  a statue di dee che dominano l’ingresso di un tempio profano.
Entrambe desideravano accedere alla medesima Babilonia di passionali giardini pensili, entrambe desideravano impadronirsi dell’arca dei comandamenti del cuore, entrambe seminavano lacrime dentro una serra che violava palpiti di fuga.
 
La maschera, la paura, la brama di ferirsi col corpo e l’animo di un uomo…Ecco i comuni denominatori.

“ Forse sono più codarda di te, Marin” rifletté Shaina “ non so come percepirmi…anzi…non voglio percepirmi in questo modo! Quel coglione di Milo! Non lo reggo! Ti assicuro, vorrei tanto far finta che non esista ma come potrei riuscirci?! Sarebbe una cosa assurda e cretina! Lo ucciderei! Lo ucciderei! Mi fa stare uno schifo! Mi fa venire la gastrite! Quante ragazze si sarà fatto?! Brutto stronzo…Si crede il figo dell’universo! Se solo potessi, strangolerei quelle troie, cervelli di gallina, che gli sventolano tette e culi! Tzè! Mi fa ridere! Ha l’harem di femmine in calore e viene a provarci con me?! Viene a dirmi, con quella faccia di cacchio, sei uno schianto di ragazza?! Non lo dovevo pestare Marin?!* Eh’?! Non dovevo?! Tu mi capiresti…Già…mi capiresti…se io avessi un po’ più spina dorsale…”

L’adolescente sferrò un pugno sulle coperte del letto.

“ Non riesco a tollerarmi…Perché?! Perché mi dà così fastidio sentire questo magone in corpo? Ci dovrei essere abituata ma mi sta sul cavolo! È da troppo tempo…Quello scorpione deficiente vuole incasinarmi ancora di più la vita! “

Si prese il viso tra le mani massaggiandoselo nervosamente.

“ Ma quante scemenze sto sparando? Io ho visto i suoi occhi. Li ho visti per davvero. Milo è troppo. È in ogni estate. È sempre nel Sole. È dove io vorrei essere e non sono capace di accedere. Come fa?! Come fa, dopo tante sprangate in fronte, ad avere il coraggio di ridere e fare l’idiota? Io mi sento sua prigioniera più che mai…”

La sacerdotessa guardò la propria maschera che giaceva sul comodino.
Udì i picchi del cuore accelerati che sgattaiolavano verso gli angoli bui della stanza.  

“ Sì, Marin…conosco i battiti di Milo. Sono simili ai miei. Hanno visto un Maestro che non sapeva giocare. Hanno visto un padre che non si chinava a raccogliere e accarezzare.”
 
Rahotep e Kletias.
Due genitori-guida.
Due involontari carnefici.

Shaina si era ricalcata sul proprio animo quella tarda mattina.
La mattina in cui quei maestri si imbarcarono per una missione sull’Isola di Andromeda*.
 

 La Persefone si allontanava da Atene scindendo i flutti analcolici e lacerati di un flaccido Egeo.
Era un mattino insulso ma inquietante, con un cielo sovrappopolato di nuvole sclerotizzate che coprivano il sole, ma non portavano pioggia.

Sulla banchina del Pireo gocciava una confusione ingolfata e frantumata: i marinai si muovevano, solerti e barbari, a bordo degli imbarcaderi passandosi ordini e rimproveri; i pescatori , dai peli unti e rugosi, scaricavano cassette di pesce da barche vecchie di reumatismi.

Nel mezzo di quella quotidianità indaffarata, Shaina non distoglieva gli occhi dalla nave appena partita.
A poppa la osservava, con algente abbattimento, il padre Rahotep.
Si ergeva con il corpo robusto, elevato e patito, insaccando ogni moto di brillantezza.

La ragazzina levò la mano in un fragile e amorevole saluto.
L’uomo alzò il braccio, severo e inarrivabile, eguale a un faraone d’oro incenerito.
Nell’interferenza di un volo di gabbiano, chiuse l’arto e gli occhi e si diresse verso il ponte della nave.

Shaina si aggrappò con l’animo all’imponente schiena del Maestro.

- Cerchi di vedere qualcosa?

La sacerdotessa si voltò.
Si era accostato Milo.
Nello sguardo aveva buio serale e inappetente. Sulla bocca, graffi di rabbia lacrimosa.
Era convalescente di ferite ma radioattivo d’astio.
Scrutava biecamente la Persefone.
Il suo corpo snello e in parte fasciato si accingeva ad alzarsi e maturare con sofferta bellezza.
Shaina lo rimirò intristita e ansiosa.

- Fidati – disse cupo lui- non guadagnerai granché a fissare il silenzio.

Inghiottì saliva piccante e amarognola. Gli occhi gli si lucidarono di fragore.
La fanciulla comprese immediatamente che stava pensando a Kletias e a rompicapi senza via di uscita.

- L’ho maledetto – mormorò l’apprendista -  ho detto che può…che può a-affogare nel mare.

In quelle parole c’era un orgoglio fasullo, una profonda vergogna, un odio odiato.
Shaina gli vide una lacrima crollare da un occhio.

- Lui…- domandò sommersa – lui non ti ha fatto capire nulla prima di partire?

Il ragazzino inarcò le sopracciglia in un’espressione di gratitudine solidale e angosciata.

- E’ orribile – proseguì ella – dici che,  quando torneranno, cambieranno qualcosa?

Milo guardò la Persefone sfuggire sempre più lontana come fosse rapita da Ade…
Ansò con le labbra traballanti.
Prese a singhiozzare.

Si avvicinò, con dolce e infantile annientamento, a Shaina. 
La strinse tra le braccia scoppiando a piangere, nascondendo il viso tra i suoi capelli biondi, distruggendo qualunque suono di risposta.

Lei ricambiò la stretta inumidendosi di mesta calura, lasciandosi cadere ai piedi il gelo sviscerato del vuoto.



Non ci fu un secondo inizio.
Non ci furono speranze di mutamenti.

Rahotep e Kletias non tornarono più ad Atene.
Naufragarono, durante il tragitto verso il Mediterraneo, dopo aver salvato i giovani superstiti della Persefone. 
Scomparvero, prigionieri dei costati del Fato, tra le onde spietate e immortali dell’oceano.

Shaina aveva desiderato disperatamente riottenere la salma del padre per seppellirla vicino a quella della madre.
L’uomo era nativo di Tebe e apparteneva alle comunità egiziane discendenti dagli antichi abitanti della Valle del Nilo.
Il Regno di Kemet era, da secoli, alleato del Santuario di Atene: oltre a rappresentare una preziosa sponda di scambio culturale, offriva alla Grecia guerrieri potenti e valorosi.
Rahotep fu uno di essi e il Sommo Sacerdote della Nuova Karnak* lo promosse tra le  gerarchie più alte.
In un periodo di operazioni di esercitazione, che si svolgevano nelle basi italiche di Atene, il cavaliere conobbe Libera.
Quell’autunno egli soggiornava sulla costa della Puglia garganica, nel paese di Rodi. Fu  nel tepore di settembre  che si innamorò della futura moglie decidendo, poi, di restare con lei e crearsi una felicità nel mezzo dei propri onerosi incarichi.
Dopo il matrimonio, nacque il primogenito e, a distanza di quattro anni, venne al mondo anche un secondo bambino. Per Rahotep e Libera le cose parvero andare per il meglio ma purtroppo i loro figli non giunsero mai all’undicesimo compleanno.

Quelle tragedie sconvolsero la loro esistenza e i due non vollero  avere bimbi per molto tempo. Ci provarono di nuovo, a trentasei anni, con afflizione e senza risultati. Talmente enorme fu la loro depressione che sembrarono essere diventati sterili.
Inaspettatamente, ormai sulla soglia dei quaranta, capitò il miracolo.

Libera rimase incinta di Shaina.
 
La nascita della piccola rappresentò una scomoda e gioiosa resurrezione.
La madre ne fu enormemente illuminata. Il padre ne fu affannosamente corroso.
Avrebbe portato a compimento il percorso di addestramento che non era riuscito a terminare con gli altri figli.
Divenne il Maestro dell’ultimo genita e si rivelò diverso, molto diverso.

Shaina era una femmina. Una difficoltà maggiore rispetto a un allievo maschio.
Le  spiegò che avrebbe indossato una maschera carceriera.

Rahotep detestava quella condizione ma non ebbe alternative. Non potette infrangere il giuramento prestato al Santuario di donare l’Ofiuco alle schiere di Atena.

Gli addestramenti si presentarono difficoltosi per una bimba di appena cinque anni e la situazione precipitò quando Libera perì a causa di un tumore.

L’egiziano diventò ancora più buio e nevrastenico e si accanì con intransigenza verso la figlia.

“ Papà “ pensava Shaina “ credevi in me? “

Ai piedi del letto, stava un tavolino di legno su cui era posata una vecchia fotografia.
Ritraeva un uomo di mezza età inginocchiato a terra assieme ad una piccina di tre anni. Lui , con sorriso opaco e tirato,  cingeva la bimba che gli si poggiava contro intimidita e  affettuosa.
 
“ Forse non ti sei fidato mai abbastanza…Anche se non lo davi a vedere, mi sorreggevi sempre…Avevi…paura che io fallissi, che io…non tornassi più da te…Io lo sapevo, papà ma tu volevi farmi capire altro. T’imbestialivi a ogni mio scacco, mi davi della stupida, dell’incapace. Ci stavo di merda, piangevo ma ti amavo tanto. Non volevo un Maestro d’armi. Volevo un padre tutto per me. Odiavo la tua corazza. Mi faceva paura. Ti adoravo quando dormivi perché forse ti sentivi più tranquillo e potevi salutare la mamma che sognavi. Per me eri l’uomo più bello del mondo…”   

Le bruciarono gli occhi.
Se li strofinò, con leggero tremore, come faceva da bambina.

“ L’ultimo giorno…prima che tu partissi…eri stato dolcissimo con me. Dovevo essere felice ma avevo il morale sotto i piedi. Ti eri comportato come io ho sempre desiderato…Avevamo fatto un giro per Atene, eravamo andati in spiaggia, avevamo mangiato…Nessun addestramento, niente, niente…Solo stare insieme. Non ero riuscita a godermi al cento per cento quella splendida giornata. Intuivo qualcosa di orribilmente strano…Anche tu lo intuivi…Lo intuivi che sarebbe stata la fine per noi. Volevi tentare di sistemare anni di tempeste all’ultimo secondo e… hai fallito. “

Lacrimò strozzando i singhiozzi.
Se si fosse vista allo specchio, si sarebbe presa a pugni.
Malediceva  quei suoi sfoghi puerili ma non poteva fare a meno di essi.

“ Abi*…vienimi a trovare…scopri un modo! Fai tornare anche mamma…Conosco le arti marziali ma piagnucolo come una  bimba idiota…”

La fanciulla si figurava gli occhi giallo-verdino del genitore, quelle ruote che suscitavano un po’ impressione poiché spiccavano taglienti e falsamente demoniache sul colore bruno della carnagione.
Era l’unica cromatura che aveva ereditato da lui.
Non possedeva i suoi capelli nerissimi e grinzosi tenuti a bada in lunghe e strizzate treccine. Non possedeva i suoi lineamenti dagli zigomi alti e garbatamente sporgenti dell’arte Amarniana*. Non possedeva il suo fisico elevato, possente e metallizzato di deserto.

Era bionda come la madre, aveva alcune sofficità del suo corpo, anche se era più snella e tonica. Il viso dolce, dalla sagoma triangolare tenue e fine, era davvero quello di Libera e contrastava con gli scontrosi atteggiamenti con i quali s’imponeva.

Anche Milo aveva ricevuto da Kletias solo lo sguardo affilato.
L’avvenenza del volto  e dei capelli gli derivavano  tutti dalla madre.
Persino la disposizione della casualità cromosomica lo accomunava con Shaina.

“ Milo…” pensò la guerriera “ vorrei sentire la tua voce, il tuo sorriso, il tuo respiro…Non abbiamo bisogno di traduttori per parlarci…non ne abbiamo mai avuto bisogno… Sai essere un emerito imbecille ma sei capace di colpire meglio di chiunque altro. Ti gonfierei di botte solo perché non riesci a scuotere bene quella dannata testa che  adoro. “ 

Ella tornò, con le filanti nebbie dell’animo, a quattro mesi prima quando era approdata in Grecia dopo una settimana di riposo in Italia. ..
 


Quel pomeriggio di giugno lasciava vagabondare un’ arietta tiepida e fresca…
Erano quasi le cinque. Il Sole non sgranava il suo sorriso più furfante ma neppure si immusoniva di melanconia. Vacillava in un perfetto stato di yoga senza eccessi.

Sul porto del Pireo attraccò un modesto piroscafo proveniente da Bari.
Un gruppo di passeggeri scese dalla passerella di legno…Tra di essi una ragazza fiera e un po’ afflitta…
Era di media statura ma possedeva squisite e proporzionate fattezze: il busto snello era vestito da una lunga camicia viola stretta in vita da una cintura grigia; le gambe slanciate erano avvolte in un’ attillata calzamaglia bianca; i piedi, che si muovevano severi, erano addolciti da un paio di ballerine color glicine.

Faceva strano vedere Shaina in quegli abiti freschi di ragazza.
Non portava la maschera siccome era fuori dal Santuario, tuttavia celava l’ identità con  grossi occhiali neri che le coprivano metà del  bel viso. 

Stava camminando con la valigia in mano, affumicata dal grigiore, quando si arrestò.

Non poteva crederci. Era come se avesse ricevuto in petto uno spillo cosparso di glassa d’arance e cioccolato bollente.

Milo le era di fronte.
Sorrideva raggiante e variopinto come le vetrate delle finestre gotiche. I lunghi e fitti capelli mescolavano le danze scalze del vento salino. Gli occhi cerulei ricevevano le fiocine del sole  brindando bruma estiva.
L’atletico corpo era sottolineato da un abbigliamento semplice e consumato di bricconerie giornaliere: una camicia bianca, arrotolata svogliatamente ai gomiti, mostrava un’aderente canotta rosso scuro. Dei jeans blu, strappati alle ginocchia, coprivano le gambe e i polpacci scattanti e ben torniti. Un paio di scarpe da tennis, divenuto grigiastro, aggiungeva una stagionatura di trascuratezza alla florida vivacità. 

- Allora, bambola?  Com’è andato il viaggio? – esclamò allegramente il ragazzo.

- Che…che ci fai qui?! – sbraitò lei.

- Volevo venirti a prendere…

Lui assunse un’espressione puerile e ghiotta di coccole.
La ragazza si sentì piacevolmente imbarazzata, ma non doveva ammollarsi come un biscotto zuppo di latte!

- Beh, ti ringrazio Milo Ethymides – tagliò seccamente – posso dirigermi da sola al Grande Tempio.

- Dai serpentella! Lascia la borsa! Te la porto io!

- Ce la faccio benissimo!

- Smolla l’osso!

- Ce la faccio!!

- Chiudi il becco! Sono o non sono un cavaliere?!

Ridacchiando, il giovane prese il bagaglio della guerriera.
Ella s’imbronciò.
Fissò di sottecchi l’accompagnatore che si avviava, baldanzoso e tranquillo, verso l’angiporto di Atene.
Non poté non restare ammaliata. Era una delizia lasciarsi bollire in un alambicco di sangria.
Le spalle di quel cavaliere si rivelavano avvincenti rilievi di protezione e sicurezza.
La giovane ritornò bambina quando , per evitare di   perdersi nelle folle cittadine ,cercava il dorso del padre; quel padre che, sebbene fosse stato  colpito dagli edemi dell'asprezza,aveva incarnato sempre  un triste sogno di carezze. 

- Che fai lì  impalata? – si voltò il guerriero.

- Oh? Niente! Niente!

Shaina prese a camminare con militaresca lena. Milo rallentò l’andatura squadrandola con giocosità.

- Beh? – brontolò lei – che ti prende?

- Sei buffissima! – rise lui- quel passo da soldatessa non ci azzecca col tuo vestimento! Sembri una fatina che marcia con una baionetta!

- Fatina?!

- Su! Non ringhiare! Guarda che stai benissimo! Magari ti potessi vedere così tutti i giorni!

L’amazzone si seppellì nel rossore come un granchietto nella sabbia.
Si aggiustò, con malsicura non curanza, i capelli sulle spalle.
Fissò i palazzi circostanti dalle vetrate di azzurro cielo…Tornò a guardare furtivamente Milo che le sorrideva malioso.

- Sei un bocconcino niente male!

- Piantala!

- Tesoro…il mio cosmo sta ardendo di febbre…

- Cretino!

- Se ti regalassi un corsetto di pelle e delle calze a rete, li metteresti per me?

- Fatti masticare da Cerbero!

La ragazza percosse  l’adolescente tra una sghignazzata e l’altra.

- Sì, amore! – gemette egli – fammi male! Oooooh sììì! Quanto mi sto eccitando!

- Io t’ammazzo!

- Serpica! Volevo sfotterti un po’! Se mi perdoni, offro da bere!

Il giovane aveva adocchiato un chiosco che sostava, turchese, placido e ilare, in fondo ad una piazzetta cinta da panchine e sicomori.

- Puoi sederti su quella panca – indicò lui strizzando un occhio – cosa desideri, cara?

- Emh…una bottiglietta d’acqua?

- E che cavolo! Qualcosa di colorato!

- Va bene…Un’aranciata.

- Perfetto! Io tracannerò una bella coca sperando di non esplodere in rutti!

Shaina sospirò sorridendo.
Si accomodò su un sedile, con la valigia posata di fianco, mentre il guerriero prendeva le bibite.

L’attesa durò giusto qualche minuto.

- Ecco a voi madamigella Cobra – scherzò Milo porgendo la bottiglietta di aranciata.

- Vi ringrazio messere Scorpione.

- E’ stato un onore. Questo e altro per addolcire il veleno che sputate dai dentini!

Ridendo si sedette affianco a Shaina  e aprì la lattina.
Nell’attimo in cui bevve, la sacerdotessa gli contemplò gli angoli retti e possenti dei ginocchi, le linee nascoste delle cosce, le sporgenze dei pettorali…
Lui staccò le labbra dal barattolo e posò l’obiettivo su di lei.
L’interlocutrice spostò l’attenzione altrove e prese a sorseggiare l’aranciata.
Il ragazzo la  fissò in modo comicamente insistente.

- La smetti , scemo?!

- Hai uno splendore che ferma il tempo…

- Vai all’inferno.

Lui ridacchiò e riprese a bere.
La giovane, in cuor suo, si sentì allietata e alleggerita dal peso di qualunque abbattimento…

Vi furono ventate di silenzio.

Milo compose sul viso un’espressione sorridente e più seriosa.

- Sei tornata da Rodi Garganico? – chiese.

- Sì.

- Come…è stato?

Prima di rispondere, lei guardò l’arancione del succo cercando di formulare qualcosa che potesse apparire vivace da narrare…Non seppe spremere nulla di davvero frizzante. Ingoiò aspramente le bollicine della bevanda. 

- E’ stato…bello…ma non se sono sicura…

- Cioè?

- Beh, è strano…Mi sono sentita triste e persa …

- E’ come se non avessi riconosciuto nulla, vero? Le case, le strade, le spiagge sono quelle ma tu non appartieni più alla dimensione in cui sei nata…

Scorpio fissava la guerriera con aria  triste e sorprendentemente sottile.
Ella avvertì un’improvvisa naturalezza nel disporre in tavola le proprie inquietudini.
  
- Già…- riprese- in un certo senso mi è sembrato strano aver camminato lì. Davvero ci ho vissuto? Davvero…sono stata normale? Pensavo di riabbracciare qualcosa nel rivedere la mia vecchia casa, la tomba di mia madre, il mio mare…Invece…ho visto il buio.

- Volevi ritrovare un po’ di te stessa ma non ti è rimasto che un mucchio di polvere.

Shaina percepì una confortante ma ansiosa teredine d’intesa. Il ragazzo pareva riuscisse a calarsi nell’intimità delle sue parole.
  
- È vero – ammise.

- Io è per questo che non torno più a Tinos, l’isola in cui sono nato. È tutto inutile. Là non c’è più niente. Non è in questo modo che ci si costruisce la forza. I posti in cui hai vissuto sono gusci vuoti. I mattoni o le pietre non hanno un’anima.

- Però i luoghi in cui hai trascorso momenti di vita si sono riempiti di te e dei tuoi passi…Ti hanno contenuto…Hanno sorretto minuti dei tuoi giochi…Se sono vuoti, è perché nessuno dà più energia.

Milo prese la mira e lanciò la lattina vacante dentro un cestino  poco distante dalla panchina.
Sospirò tentando di gettare fuori i germi dell'amarezza.
Proiettò gli occhi di fronte a sé. Disse poi un po’ riarso:

- Non puoi affidarti alla materia, Shaina. La sostanza delle dimore e dei paesaggi non ti assicura un accidente…Neppure i paesi o le città che hai abitato. Sembrano statici ma cambiano fregandosene di ciò che hai fatto e amato.

La ragazza bevve piano come se stesse cercando di non spezzettare la dolcezza dell'aranciata.
Staccò, afflitta,  le labbra dalla bottiglietta.
 
- Allora…è per questo che mi sono sentita forestiera- ragionò-  Le case di Rodi erano dove le avevo lasciate ma…parevano lontane da me… aliene…E’ la stessa sensazione che provi quando vedi che sei troppo grande per salire sull’altalena.

- Hai ragione. Dobbiamo pensare a custodire i ricordi nello spirito. E’ lui che portiamo sempre in noi, no le tegole che ci lasciamo per strada. La tua mamma è in te, così come la mia è in me. È il cuore che deve ingrandirsi per controllare il passato e sopravvivere nel presente.

- È il cuore però che ti fa sentire straniero. È da quasi otto anni che sto al Santuario ma molte  volte mi percepisco straniera anche qui. Caspita…Non so perché…Ho un fine che è quello di servire Atena ma ci sono momenti in cui mi perdo nei campi d’addestramento o a Rodorio. Ti giuro…in certi giorni  mi spavento e non riconosco quello che mi sta attorno.

- Ti senti una forestiera ovunque vai perché hai paura di fallire la meta che hai scoperto. Ti vedi inadeguata per la causa che stai servendo. Temi te stessa e gli altri. Non puoi fare pronostici su come reagirai e su come reagirà la gente. È questa imprevedibilità che ti fa percepire forestiera dell'’esterno e del tuo animo. Non hai controllo sulle cose. Provi a immaginare un altro obiettivo, provi a crearlo, a sognarlo ma più lo fai, più hai capogiri. Resti più estranea che prima e nessuna città ti fa offerte efficaci.

Shaina fu colpita da quel discorso. Forse era più impensierita di prima ma si sentiva posta su un alto livello di conforto e confronto.
 
- Sì…- mormorò- Atena ci ha dato un destino ma siamo noi che dobbiamo dare un senso a  quello che stiamo seguendo. In realtà bisogna costruire valori per far sì che si possano trovare, lì dove si sono seminati, nel caso di smarrimento…E’ terribilmente difficile…Ognuno elabora visioni soggettive e insicure.

- Mio padre diceva che il cielo ha troppe stelle e fa perdere il senno a chi lo guarda con ingenuità, rabbia e disperazione. Le costellazioni non ti potranno mai parlare con chiarezza. È il centro del tuo cuore che deve imparare a parlare per viaggiare nella notte. Non sono gli astri che navigano in noi, siamo noi che navighiamo negli astri per sapere come non perderci nell’infinità. Eppure…la realtà non è un’infinità di paranoie e angosce?

Shaina tirò la bottiglia nel cestino in cui era stata buttata la coca cola.
Osservò il cavaliere aprendo un esile sorriso.

- Mio padre mi raccontava che Ra, a bordo della sua barca, attraversava le tenebre dell'Occidente dei Morti per poi risorgere sempre a Oriente…Si attraversa il caos dei timori per poi risollevarsi. Occorre non impazzire in questo ciclo di equilibrio instabile. L’incertezza è il deterrente per diventare più forti. Senza la confusione non avremmo senso di esistere.

- Ragionavano bene i nostri maestri…

- Infatti. Peccato che siamo più orbi di prima.

- I primi orbi sono stati loro. Ci insegnavano a combattere per vederci evolvere ma…siamo migliorati realmente?

Il ragazzo sbuffò scoraggiato volgendo un’occhiata torva al cielo.
La fanciulla gli toccò l’avambraccio.
 
- Milo…purtroppo non possiamo tornare indietro. Siamo stati male, abbiamo vissuto schifose giornate, però senza veleno non diventeremmo uno scorpione e un ofiuco celesti…Io sono convinta che mio padre mi sorrida finalmente. Ho sognato che cenavamo assieme e che lui mi accompagnava a dormire dandomi la buonanotte. Mi pareva così sereno…Così bello. Scommetto che anche il tuo abbia voluto amarti nel modo più semplice e grande…

Il guerriero si accorse che dal viso di Shaina sgusciò una lacrima di seta cristallina.
Circondò le spalle della compagna con braccio vigoroso e canicolare.
Lei  s’irrigidì captando una delizia torpente mulinarle in testa.
Lui le carezzò una gota: le sonagliere dei brividi volavano, come cardellini storditi , dalle tempie fino agli androni del cuore. Il sangue fermentava coccolante sidro  in qualunque particella dei muscoli.

- Che bella bocca hai...- sussurrò il ragazzo con cullante ritmo di brace.

L’adolescente sprofondò ancor di più negli anfratti dell'agitazione.
L’indice di Scorpio le sfiorò con conturbante delicatezza le labbra.

- Anche se ti vedo solo metà viso, devi essere meravigliosa.

Il giovane accostò lentamente il volto a quello della sacerdotessa.
Ella  aspirò nell’animo la fragranza di lui intinta di balsamo di pino e muschio bianco…
Si stava ormai narcotizzando alle ariste ardenti delle emozioni, quando venne mozzicata dall’aspide dei doveri.
Allontanò bruscamente il cavaliere che però le afferrò la mano che gli aveva posato sul petto.

- Milo! – fremette lei- sai quali sono le regole…

Lui, sorridendo, la arrembò con tenerezza.
Le diede un sensuale e aereo bacio sulla guancia.

- Questo me lo dovevi lasciar fare!- esclamò con smaliziata e dispettosa puerilità.

Al contatto di quell’ansito di carne soffice e fine, lei era evaporata nello scombussolamento .
Milo, tra l’altro, stava cominciando a esplorarle i capelli simile ad un chitarrista che fa l’amore con le corde delle note.
Era struggente ipnosi…Erano rimbombi d’infinita estate…
Shaina doveva però far cessare tutto.
Si alzò con scatto legnoso dalla panchina.

- E’ meglio se ritorniamo al Grande Tempio- proferì rudemente- non dobbiamo tardare.

Il giovane espirò abbacchiato e risentito. Si levò pesantemente.
Prese il bagaglio della ragazza e s’incamminò con lei verso l’antica acropoli.

Proseguirono muti per diversi minuti.

- Oh, serpica -  mugugnò il ragazzo – non è giusto, eh!

- Cosa c’è?

- Ci stavamo divertendo!

 

Lui stava sorridendo allegro ma un po’ offeso. Fece la linguaccia. 
La fanciulla bollì paonazza.

- Quanto sei imbecille! – ringhiò.

- Scusa bellezza,  spero che  non mi scannerai se ti dico che mi è piaciuto tanto parlare con te.

Ella si arrestò qualche secondo.
Si massaggiò la nuca cercando di mascherare il felice disagio.

- A-anche a me – balbettò- è piaciuto tanto…

- Dovremmo farlo più spesso! – rise lui – pensiamo solo a menarci durante gli addestramenti!

- Emh…Milo?

- Mh?

- Ecco…beh…

- Sììììììììì?

- Ecco…

- Dimmi, zuccherino.

- Grazie…non mi capita spesso di fermarmi e…aprirmi.

Scorpio si bloccò un istante.
La guerriera lo esaminò interrogativa.
Ci fu quiete zittita di morbidezza.

Egli rise vellutato e appassionato.

- Sai una cosa? Sei strana e deficiente.

- Come?!

- Sì…hai una testa bacata perché sei fantastica e non te ne rendi conto sul serio.  

 

In che modo prendere sonno?
Shaina temeva di morire d’ipotermia se si fosse sdraiata sul letto.
Non riusciva ad appoggiare quel vuoto senza figurarsi Milo sdraiato lì, ad infuocare la penombra di gaie e seducenti espressioni…

“ Razza di stupido! Vattene! Non rompere! Non voglio saperne mezza di te, del tuo corpo, del tuo sorriso del cavolo!”

Alzò bruscamente le lenzuola del giaciglio e si sdraiò irrequieta.
Sentì quelle esecrabili ombre di assenza circondarla  come molesti gendarmi.

“ Dannato Milo! Ci mancavi soltanto tu a peggiorare le cose…”

Riproiettò , nella mente, la vicinanza del suo odore, delle impronte delle carezze, del fiato d’avorio.
Era stato magnetico, collassante, eccitante.
Shaina stritolò la federa del cuscino.

Mi insegni a fare l’amore? “ rabbrividì “ ti metteresti  sopra di me per non farmi vedere questo soffitto vuoto e insulso? “
 

La ragazza si sentì pizzicare le ossa dei lombi.
Voleva avere Scorpio, la lucentezza delle sue membra, il suo spirito, i suoi atomi…
Lui avrebbe scherzato, l’avrebbe abbracciata, le avrebbe promesso un’assurda lista di progetti…
Si sarebbero succeduti amplessi e sogni, giochi di profondità sensuali e contatti d’insostituibile protezione…

Shaina si sollevò dal letto. Aprì un cassetto del comodino che le stava di fianco. Afferrò una scatolina di legno …
Dentro dormiva, eguale a un neonato sazio e spensierato, un fermaglio.
Aveva la forma di un ramo di mirto.  Le foglie , decorate minuziosamente, esibivano una tonalità smeraldina  di venature sinuose e allegre. Le bacche nere dai riflessi azzurrognoli  luccicavano nella loro ciclicità d’intramontabile ed ebbra estate.

La ragazza portò timidamente alle labbra il fermacapelli.
Gli diede un bacio da bambina quasi si vergognasse di essere spiata dalle tenebre bandite.

Era il regalo di compleanno che le aveva fatto Milo.

Sorrise semplicemente piccola.
Sorrise quale opera d’arte gioiosa sconosciuta ai critici…

Era annacquata e dolce.
Era infreddolita e accaldata.

Era il suo splendore subacqueo rinchiuso nell’otalgia.
Un’ otalgia che ancora non accoglieva  echi palliativi di coraggio…

 

 

Note:

cardiophylax * : piccola corazza di metallo che veniva indossata dagli antichi soldati greci e romani per proteggere il cuore.

Apofi*: o Apophis , nella mitologia egizia, enorme demone-serpente  che emergeva dalle acque degli inferi per ostacolare Ra nella sua corsa celeste  per rinascere ad Est.

Karnak* : il più grande complesso templare, economico e politico  dell’Antico Egitto consacrato ad Amon, situato nella città di Tebe sulla sponda orientale del Nilo.

Abi* : “ papà” in egiziano antico.

Arte Amarniana*: corrente artistica di matrice regale religiosa diffusa nel regno di Akhenaton e Nefertiti. Era caratterizzata da raffigurazioni di visi dagli zigomi sporgenti e dai lineamenti affusolati. L'attributo " amarniana" deriva dal sito Tel- el- Amarna situato nell'Alto Egitto dove risiedeva la capitale fondata da Akhenaton.  


Note inerenti ai capitoli precedenti:

“ Era Milo, l’allievo e figlio di Kletias di Eophrynus.*”:  vedi  CAP 10- o’  phobon labyrinthos: aracnidi d’odio.

“ …che aveva invaso le Dodici Case,  sapeva di sonno letale*” : vedi  CAP 9 – verso il crepuscolo.

“ Viene a dirmi, con quella faccia di cacchio, sei uno schianto di ragazza?! Non lo dovevo pestare Marin?!*” : vedi CAP 9- verso il crepuscolo.

…si imbarcarono per una missione sull’Isola di Andromeda*” : vedi CAP 10- o’  phobon labyrinthos : aracnidi d’odio.
  


Note personali:

Ciao a tutti!! ^^ eccomi a distanza di un mese preciso!! Ahimè, avrei desiderato aggiornare gli ultimi di giugno ma, come al solito, ci ho impiegato più del previsto -.-
Finalmente  questa digressione su Shaina! L’avevo lasciata rabbiosa,  nel nono capitolo, dopo una pestata inflitta a Milo XD Adesso è emersa in un modo più complesso, dolce e triste con il suo back ground di sofferenze…Essendo lei, della costellazione del Serpentario, ho deciso di fare il padre-maestro egiziano…Il nome Rahotep significa “ pienezza di Ra” e la sua costellazione Apofi è proprio il demone-serpente che assaliva il Sole. Tale “ contrasto” ha valore apotropaico. Il padre di Shaina fu destinato a queste stelle per dominare la loro essenza demoniaca. Inoltre, mi occorreva un animale che dovesse essere simile negli attacchi al Cobra…u.u
Per quanto concerne il paesotto Rodi Garganico, a nord della Puglia, è un piccolo riferimento autobiografico ^^ io sono originaria di quelle parti ( anche se sono bolognese d’adozione) e le mie  seguaci lady dreamer , Sara992 e banira ne sanno qualcosa XD XD
Neppure il nome “ Libera” è casuale. Molte bambine a Rodi venivano chiamate così per la patrona del luogo,  la Madonna della Libera, che si dice abbia appunto “ liberato” il paese dagli assalti dei saraceni grazie ad un miracolo…
Dopo avermi tormentato di spiegazioni, vi do appuntamento ad agosto ( se tutto fila liscio) …Saremo di nuovo al santuario perché nel cap 18 si cambia scenario!! ;)

Un salutone a tutti!! ^^
 

 


 

   
 
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