Serie TV > Teen Wolf
Ricorda la storia  |      
Autore: Samarskite    10/07/2013    3 recensioni
“Passami la chiave inglese da sette. Le catene si sono allentate.”. Non sono dell'umore, gli passo il primo che mi capita a tiro. Mi vuole ancora legare lì dentro, per il mio bene. Nel freezer. Vuole che studi di più, invece che guardare la televisione o giocare a lacrosse.
"È da nove, cretino. Sai la differenza tra un sette ed un nove?”
“Qual è? La differenza tra un sette ed un nove, un bullone, un bullone?, dimmi qual è, picchiami, urla, ma non rinchiudermi lì dentro, papà per favore, per favore, dimmi cosa devo fare...”
“Devi stare zitto. Zitto. Entraci, stronzo! Entra in quel dannato freezer ADESSO!”

[spoiler 3x06]
Genere: Angst, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Isaac Lahey
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Motel California

Entrai nella stanza del Motel che condividevo con Boyd, e appoggiai il borsone da lacrosse.
Mi sentivo intontito dal lungo viaggio, ed era come se per la prima volta dopo diciassette anni di vita il mio cranio percepisse la presenza dei bulbi oculari nelle orbite. Non mi sentivo affatto bene. Sarei andato a letto a avrei dormito tutta la notte. Quel viaggio mi aveva ucciso.
“Io prendo la parte di sinistra del letto.”, grugnì Boyd appoggiandovi il borsone. Per me andava bene, era indifferente. Gettai un'occhiata all'orario sulla sveglia del comodino - erano le dieci di sera. Mi sedetti sul bordo del letto e mi tolsi la felpa, gettandola da qualche parte sulla poltrona. Notai che nell'angolo della stanza c'era anche una televisione vecchia e probabilmente rotta, così mi ripromisi di controllare se funzionava, prima della partenza nella mattina successiva. Mentre facevo questi pensieri, Boyd uscì dalla camera senza dire una parola, sbattendo la porta con violenza. Ebbi appena il tempo di chiedermi cosa diavolo gli fosse preso, che la televisione emise una specie di crepitìo e si accese da sola. Inclinai il capo verso destra, e mi alzai per controllare di non essermi seduto sul telecomando. Appena constatai che non era così, lo vidi appoggiato sul bracciolo del divano. La televisione accesa mi dava fastidio, perciò mi diressi verso di essa per spegnerla.
Impugnai il telecomando e provai a cambiare canale. Quello su cui mi trovavo era il 200, e lo schermo era totalmente grigio, pullulante di puntini, come tante piccole formiche che...



“Isaac.”, mi chiama mio padre. Trasalisco. La sua voce proviene dalla cantina, ed io non voglio andare in cantina. Lì c'è il frigorifero, lì c'è la pazzia più totale, c'è il buio, c'è il respiro che manca, c'è la punizione. “Isaac, scendi giù, imbecille. Credi che ti punisca per la A in italiano? Dobbiamo... Devo... Devi disinfestare.”.
Disinfestare. Vorrei che disinfestasse me e la mia testa, piena di pensieri. D'accordo.
Le mie spalle hanno una leggera contrazione mentre giro il pomello della porta con cautela, e scendo le scale verso la cantina. Appena salto l'ultimo gradino i miei occhi si abituano all'oscurità, e vedo mio padre chino su un cumulo di terra, accanto al frigorifero. “Formiche”, mi dice. “Fottute formiche. Cosa stavi facendo di sopra?”

Stavo guardando il David Letterman Show.
“Stavo studiando scienze sociali, papà.”
“Bravo, Isaac. Se continui così a scuola, non ti dovrò più punire a casa, giusto?”. Annuisco, mentre nella mia testa mi domando solo perchè la mia vita sia sintonizzata su un canale che non posso cambiare.




Continuavo a provare a cambiare canale, ma ero sempre sul 200. Mi scossi quando mi accorsi che il telecomando era bollente, e mi resi conto di avere un vago sorriso sulle labbra. Le mie sopracciglia corrugate lo fecero svanire, lasciando dietro di sè un senso di inquietudine che si annidò nel mio petto. Mi alzai dalla poltrona, sulla quale non ricordavo nemmeno di essermi seduto, la superai e tornai a sedermi sul letto, per allacciarmi le scarpe.
Mentre scioglievo i lacci delle mie Vans la sveglia lampeggiò e segnalò con un bip che erano le undici. La scarpa che avevo appena scalzato mi cadde di mano.
Poco fa erano le dieci. O quell'orologio era difettoso, o era rimasto a premere bottoni a caso davanti alla televisione per quasi un'ora, da vero coglione certificato. In un mondo di lupi mannari, kanima e pleniluni, avrei optato per la seconda opzione.
Scossi la testa e tesi la mano verso la sveglia, rivoltando il suo schermo a faccia in giù. Inquietante.
Tolsi anche l'altra scarpa, feci per sdraiarmi ma poi mi accorsi di avere freddo e dovetti tornare a recuperare la felpa che avevo lanciato. Mi sdraiai sul letto, sollevando le coperte, e mi ci infilai sotto.
Boyd non era ancora tornato.
Chiusi gli occhi e mi sentii galleggiare.



“Lahey.”.
Mi alzo dal banco e mi avvio verso la cattedra. Non ho studiato per questo compito di chimica. Avevo gli allenamenti di lacrosse. Prendo in mano il compito ostentando indolenza, ma la
C tracciata in rosso con cattiveria da Harries mi fa balzare il cuore in gola.
Mio padre mi uccide. Riesco a pensare solo a questo. Non alla media, non alla Argent che dietro di me aspetta il proprio voto, non al professore che me lo tende accigliato. È la volta buona che mio padre mi uccide.
Le prendo e mi volto. Ho Allison Argent a pochi centimetri da me. Arrossisce. Sta con Scott McCall, ora. Sento il suo respiro. “Tutto a posto, Isaac?” mi chiede, forse a proposito della verifica, con un tipo di sorriso che si può permettere solo la gente che sa di aver preso un buon voto. Deglutisco. Ripenso alla cantina. Non proprio tutto a posto, Allison. Stiro un sorriso. Sto già pensando a come dirlo a mio padre. “Credo di... di non saperlo.”, mi ritrovo a dire. Il sorriso di Allison vacilla, io la supero e torno al mio posto.
Mio padre mi uccide. Giuro su Dio che è la volta buona che mio padre mi uccide.



Mi svegliai di colpo; avevo sentito come una voce che mi sussurrava qualcosa nell'orecchio, ma non ricordavo cosa. “Boyd?”, chiesi scattando a sedere. Gattonai verso il bordo del letto, mi voltai verso la parte sinistra e vidi che ero ancora solo. Cosa diavolo stava facendo quell'imbecille violando il coprifuoco? Se il coach lo avesse visto fuori dalla camera avrebbe pensato male, e ci sarei andato di mezzo anche io. Lahey ci andava sempre di mezzo. “Boyd?”, ripetei incerto, giusto per essere sicuro. Ma non era Boyd ad aver parlato.
Era mio padre, seduto sul bordo del letto accanto a me, la mano tesa verso la mia come se stesse aspettando un dollaro da elemosina. Cosa ci faceva lì mio padre? Lui era...



“Passami la chiave inglese da sette. Le catene si sono allentate.”. Non sono dell'umore, gli passo il primo che mi capita a tiro. Mi vuole ancora legare lì dentro, per il mio bene. Nel Frigorifero. Vuole che studi di più, invece che guardare la televisione o giocare a lacrosse.
"Che diamine? È da nove, cretino. Sai la differenza tra un sette ed un nove?”




“Qual è? La differenza tra un sette ed un nove?, un bullone?, dimmi qual è, picchiami, urla, ma non rinchiudermi lì dentro, papà per favore, per favore, dimmi cosa devo fare...”



“Devi stare zitto. Entraci, stronzo! Entra in quel dannato freezer ADESSO!”



Urlai con tutto il fiato che avevo in gola ed indietreggiai dal bordo del letto alla testiera. Mio padre era morto, morto, morto, non poteva rinchiudermi, non poteva punirmi, non poteva più urlare. Presi il cuscino e me lo premetti sulle orecchie, serrando gli occhi il più possibile. Avevo il terrore che scorreva nelle vene, come sabbia che scorre fluida tra le mani. I miei muscoli erano contratti dolorosamente, ma non mi sarei mosso per nulla al mondo. Il mio cuore perse un colpo e quando ripresi coscienza del mio corpo lo sentii scomodo. Più scomodo di quando mi era sdraiato. Sdraiato sul duro. Allentai la presa sul cuscino ed azzardai un'occhiata.
Ero dentro il frigorifero.
Il panico mi invase.
Sentivo mio padre che urlava, figlio di puttana così impari a studiare, appena esci di lì ti picchio fino a farti uscire il sangue dal naso e dalla bocca, io non lo volevo un figlio, Isaac taci, Isaac sta' zitto!
Dovevo andarmene dovevo uscire dovevo respirare mi mancava l'aria e non riuscivo a pensare mio padre era morto quindi chi era che mi stava facendo questo dov'era Scott dov'era Boyd dov'era Derek avevo bisogno di Scott mi mancava l'aria e sarei morto soffocato all'istante, io...
Il coperchio si chiuse e le mie corde vocali divennero grezze a furia d'urlare.



“Dove sei, Isaac? Vieni fuori. Non sono arrabbiato, sul serio. Dài, vieni fuori. Una C non è grave. Tua madre campava a B ed a C, a scuola. Vieni fuori! Dove sei?”, urla mellifluo mio padre per tutta la casa. È esattamente un piano sotto di me: lui in salotto al pianterreno, da cui si accede alla cantina, io al piano superiore, nella mia camera da letto. Sono scappato perchè mi voleva rinchiudere per la sessantatresima volta. Lo sento che bestemmia, ci separa solo un pavimento, siamo distanti ma ho paura che il mio cuore mi tradisca. Rimbomba nel mio petto, ed ho paura che lo senta, anche da basso. Quando sento le scale scricchiolare sotto il suo peso sono certo di aver appena perso due anni di vita. Quando bussa alla mia porta sono già a quota cinque anni. Quando si avvicina al mio letto avverto il battito che vuole uscire dalla cassa toracica, e quasi sobbalzo, come se battendo il cuore provocasse una protuberanza contro il petto che mi solleva dal pavimento. Quando vedo una mano che solleva il copriletto, sono certo di essere morto. Di aver perso tutti gli anni della mia vita. Ho paura, paura come non ne ho mai avuta. La testa ancora mi fa male per il manrovescio di poco prima, ho paura paura paura, paura che mi gonfi di botte.
Vedo gli occhiali storti di mio padre comparire dallo spiraglio, vedo i suoi occhi, che sembrano verdi anche se non lo sono mai stati, sembrano quelli di
Lydia Martin, penso, sento che mi dice: “Eccoti qui, Isaac, ho una sorpresa per te.”. Ma lo dice con una voce troppo giovane per essere la sua, sembra quasi la voce di Stiles, Stiles Stilinski.
Poi mi allunga una specie di candela.
Poi sento caldo, e tutto si scioglie.




Mi svegliai sotto il letto, raggomitolato in posizione fetale. Spostai il mio sguardo verso il razzo di segnalazione che Stiles mi aveva lanciato e lo osservai intontito, finchè non mi accorsi che stavo stringendo con le unghie i lembi della manica della mia felpa. Quando ero piccolo, la mia maestra mi diceva sempre: tirati su quelle maniche, Isaac, non tirarle giù fino alla punta delle dita. È maleducazione. Ma io non avevo mai perso il vizio. Era come avere una protezione in più. Mi asciugai gli occhi lucidi ed il sudore con la manica, e strisciai fuori dal letto. Vidi Boyd che, nel bagno, si stava rivestendo dopo esser stato nella vasca. Vidi una cassaforte zuppa d'acqua ai suoi piedi, e mi chiesi se fosse meglio lasciar perdere le domande. La sveglia non era più sul comodino, ma in pezzi sparsa sulla moquette. Guardai il cellulare. Erano le due di notte.
Mi tornò in mente Derek, che ci insegnava a trovare la nostra àncora. A me, Boyd, Erica.
Qual è la tua àncora, Derek? La rabbia. La mia? Mio padre.
In quel momento realizzai che Derek aveva paura della propria rabbia, così come io avevo paura di mio padre. L'àncora di Scott non era Allison, ma piuttosto la paura di perderla. La nostra àncora era la nostra stessa paura. Perdere l'àncora significava perdere sè stessi, la propria paura, la propria umanità. Perchè solo i mostri non hanno paura.
“Ehi, Boyd. Vieni a dormire?”, gli chiesi tirando giù le maniche della mia felpa. Affondai le dita nella stoffa, stringendola, e mi sentii meglio. Annuì, e sentii che tirava su col naso. “Nottataccia?”, aggiunsi. Boyd non mi era mai stato particolarmente simpatico, ma quando alzò lo sguardo dalla cassaforte mi fece pietà. Se io avevo visto mio padre, chissà lui cosa aveva visto. Annuì di nuovo.
Volsi lo sguardo verso la finestra, e mi chiesi se anche Scott avesse avuto dei problemi. Gliel'avrei chiesto la mattina successiva, sicuramente lui stava bene. Non aveva paura di nulla. Boyd chiuse la porta del bagno e venne verso il letto. Sapevamo già che saremmo andati a dormire nel pullman. “Già”, dissi. “Nottataccia. Anche per me.”
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: Samarskite