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Autore: nightswimming    11/07/2013    6 recensioni
La vergogna è l'ombra dell'amore.
(historical!AU) (omegaverse: alpha!John, omega!Sherlock, alpha!Mycroft)
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note dell’autrice: buongiorno fandom <3 Rieccomi con un’altra fatica (?!). Sopportatemi, l’estate è calda e noiosa e io ho bisogno di distrarmi XD
Questo delirio è nato da un project dell’inglisc fandom che si divertiva a reinventare opere d’arte, testi di canzoni e trame di libri in chiave sherlockiana (fate un giro su Tumblr con il tag “let’s draw sherlock” – troverete cose fantastiche XD). Dopo aver letto una versione assolutamente epica di “Orgoglio e pregiudizio” in cui John veste i panni di Lizzy Bennett ho sentito il bisogno insopprimibile di saltare anch’io sul carro dell’harmony gay in costume, e così eccomi qua.
Questa storia è un’omegaverse!AU ambientata nell’800 - ridete pure, io non faccio altro da quando mi sono messa a scriverla XD – ispirata alla “Marchesa di O” di Heinrich Von Kleist, che, poveretto, a quest’ora si starà vivacemente rivoltando nella tomba e col quale mi scuso tantissimo. ç_ç
Inutile dire che Sherlock fa la marchesa (scusa, Sher) (con quanta gente mi sto scusando XDDD ma d’altro canto è il minimo), mentre John è sempre John, cioè un capitano dell’esercito inglese BAMFissimo e col fascino aggiunto della divisa storica.
Due parole su come verranno trattati l’omegaverse e lo slash durante questo drammone.
Il matrimonio omosessuale è consentito dalla legge, perché la mia take sul XIX secolo è molto gaia open-minded e giusta e buona. Ciò detto, gli omega sono esseri considerati deboli, utili quasi solo a sfornare bambini (non il caso di questa storia) e socialmente inferiori, al punto da avere bisogno dell’autorizzazione di un alfa (famigliare o consorte) per fare praticamente qualunque cosa - dall’andare in giro al gestire i propri beni al rimanere soli con altre persone in una stanza. Ovviamente, nel caso un omega dovesse avere un rapporto pre-matrimoniale (o anche solo subirlo), il suo onore sarebbe spacciato e si ritroverebbe ad essere una sorta di paria, rigettato da tutti e condannato a fare una vita da cani per il resto dei suoi giorni; mentre per l’alfa non ci sarebbe nessun problema, obviously. Dove l’ho già sentita questa storia? *sighs*
Anyway - gli alfa riconoscono gli omega reclamati dall’odore, che captano anche a centinaia di metri di distanza, ma non sono in grado di sapere l’identità né dell’omega in questione né dell’alfa che l’ha reclamato: ciò significa che sanno che devono starci lontano ma non sanno nelle ire di chi incorrerebbero nel caso dovessero sgarrare.
Una volta formato, il Legame fra alfa e omega è eterno e indistruttibile, nonché estremamente intenso – al punto da provocare una sorta di malessere fisico se i due stanno lontani troppo a lungo.
Come la gran parte delle storie omegaverse, vi è la problematica del consenso ogni qualvolta gli omega entrano in calore e tutti sembrano andare fuori come citofoni. E’ anche il caso, in senso lato (poi capirete) di questa storia – per cui se l’argomento vi turba vi consiglio di astenervi dalla lettura.
Ma non fatevi spaventare da questa clausolina. La storia per la maggior parte gronda romanticismo, dichiarazioni d’ammmore e sviolinate (letterali e non). Anzi, colgo la palla al balzo per avvertirvi che forse Sherlock potrebbe risultare un filo OOC. Io ho tentato di non farmi prendere troppo la mano, ma il rischio potrebbe esserci.
Vi annuncio con magno gaudio che la fic è già terminata (?!!!), comprende circa una quindicina di (corti) capitoli e verrà aggiornata settimanalmente.
Che giorno è oggi? *checks* Giovedì, benissimo, quindi ci vediamo giovedì prossimo <3
Spero vi piaccia :*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Shame is the shadow of love.
 
“Shame”, PJ Harvey
 
 
 
 
 
I
 
 
 
 
 
 
Sherlock Holmes era quello che si poteva considerare un ottimo partito.
Fra tutti gli omega spiccava per intelligenza e per un peculiare, esotico tipo di bellezza. Apparteneva inoltre a una famiglia nobile e danarosa che in futuro gli avrebbe garantito una rendita molto più che cospicua. Era in salute, colto e perfettamente educato; parlava diverse lingue senza sforzo; suonava il violino da virtuoso.
Eppure, all’età di trent’anni, non era ancora stato reclamato da nessuno.
Suo fratello Mycroft, con crudele ironia, dava spesso la colpa di questo increscioso stato di cose a una qualche malformazione, a uno scherzo del destino. Sherlock infatti possedeva un carattere che non  aveva niente della natura remissiva e accomodante degli omega: era autoritario, sprezzante, orgoglioso ed egocentrico. A colpo d’occhio, sarebbe sembrato un alfa come il maggiore degli Holmes, come il loro padre.
Ma non lo era. E questo, nonostante tutte le sue altre qualità, lo aveva sempre reso indesiderabile.
Non che la cosa lo ferisse. Al contrario: segretamente, lo rendeva fiero.
Sua madre e Mycroft non riuscivano a pensare a nessun alfa che potesse sopportare l’indole pungente di Sherlock; e Sherlock nemmeno concepiva l’idea della sottomissione a chicchessìa.
Per anni e anni era andato in calore odiandone ogni delizioso spasmo, ogni gemito forzato da un desiderio irresistibile che sentiva alieno, ogni raptus irrazionale che gli diceva di trovare un compagno e porre fino a quel vuoto doloroso che avvertiva dentro di sé. Inoltre conosceva bene i pochi diritti e i molti obblighi che spettavano agli omega reclamati e la prospettiva di limitare in qualsiasi modo la propria libertà non lo attirava affatto.
Non era fatto di quella pasta. Si sentiva nato per comandare, non per essere comandato.
La tragedia consisteva nel fatto che chi era come individuo strideva troppo con ciò che era per natura; ma, per quanto fosse frustrante far convivere queste due parti di sé, Sherlock non aveva mai ceduto.
I pochi pretendenti fattisi avanti erano stati respinti e lui si era ritirato nella solitudine del castello famigliare, circondato da servitori beta e omega che non rappresentassero un rischio, conducendo un’innaturale esistenza da celibe e dedicandosi esclusivamente ai suoi studi scientifici e al suo violino.
L’impasse non si era mai interrotta. Con buona pace di Mycroft e di sua madre, che lo avrebbero voluto sistemato – e felice – con un alfa adatto il più presto possibile; e gli anni erano trascorsi lenti e monotoni senza che nessuno venisse mai soddisfatto nei propri desideri.
 
*
 
Il susseguirsi di giorni sempre uguali venne interrotto dalla guerra.
Sherlock era talmente annoiato che al principio la considerò un piacevole diversivo, ma era destinato a ricredersi.
Il castello degli Holmes era abbastanza sfarzoso da attirare l’attenzione delle numerose truppe straniere in vena di razzie che avevano invaso il paese. Mycroft, che si trovava in Francia per affari, scrisse a Sherlock e a sua madre di abbandonare al più presto quel luogo ormai divenuto pericoloso e di recarsi nella loro tenuta di campagna, più modesta e meno appariscente.
La marchesa era un’omega già avanti con gli anni, cagionevole di salute e legata in maniera spasmodica alle comodità. Stropicciando con dita nervose la lettera di Mycroft, si lamentò della fatica e dei disagi che quel trasferimento avrebbe comportato, senza contare che il calore di Sherlock era ormai alle porte e sarebbe stato rischioso farlo viaggiare.
E poi, la guerra era quasi finita. Era solo questione di resistere per poco tempo ancora.
Sherlock era immerso nella lettura di un volume di botanica e ignorò del tutto quel tentativo di conversazione.
 
*
 
Gli assalitori erano russi. Sherlock ne riconobbe le uniformi, e distinse la loro lingua attraverso le urla.
La cittadella sulla quale svettava il loro castello era già stata costretta alla resa. Dopo aver occupato in meno di un giorno i magazzini, i campi e le case dei suoi abitanti, arrivando al punto di appiccare fuoco ai possedimenti di chi resisteva, l’esercito russo attese il calare della sera e sferrò un attacco notturno alle loro mura.
L’ala sinistra venne immediatamente distrutta, costringendo la signora Holmes e le sue cameriere ad abbandonarla fra strepiti e lacrime. Sherlock, debole e sudato a causa del calore, guidò il corteo delle donne fino ai sotterranei e gridò loro di rifugiarsi lì. Sopra le loro teste si udivano colpi di fucile, esplosioni, il fragore di porte sfondate e muri distrutti.
Una granata esplose dal nulla sulle scale che stavano scendendo e seminò lo scompiglio. Sherlock avvertì un dolore intenso alla testa e cadde a terra, tossendo per il fumo, squassato dagli spasmi liquidi che Madre Natura si ostinava ad infliggergli persino in momenti come quello.
Li scorse con la coda dell’occhio. Erano tutti e tre alfa, sghignazzanti e con il fucile in mano, e lo guardavano dalla cima delle scale con un luccichìo malevolo negli occhi.
Sherlock urlò per ricevere aiuto ma ormai aveva perso i suoi.
I tre lo trascinarono nella prima stanza a disposizione sputandogli addosso frasi oscene. Sherlock si divincolò, tirò calci e pugni alla cieca, persino morse, ma loro erano in maggioranza numerica e fu solo questione di minuti prima che si ritrovasse prono a terra con le mani costrette dietro la schiena.
Era furioso con sé stesso. L’odore di quei tre alfa obnubilava il suo cervello e rallentava i suoi movimenti, rendendoli languidi nonostante la rabbia e – si rese conto con orrore - invitanti. Si detestò come mai nella sua vita quando realizzò che sarebbe successo l’irreparabile e che il suo stesso istinto desiderava che questo irreparabile succedesse. Il suo corpo tremava di paura e di voglia, di disgusto e di aspettativa, di disperazione e di eccitazione.
Sherlock chiuse gli occhi quando avvertì una mano rude strappargli la camicia e pregò che finisse presto.
Si era definitivamente rassegnato a quell’umiliazione quando sentì la porta sbattere e si accorse che uno dei suoi assalitori, ferito gravemente, era caduto a terra. A fatica si voltò sulla schiena: davanti a lui era in corso un corpo a corpo selvaggio fra un soldato che portava l’uniforme dell’esercito britannico e i due russi superstiti.
L’uomo sconosciuto non era di grande statura ma si rivelò un esperto nell’arte del combattimento. Buttato il fucile a terra colpì con quella che sembrava una rabbia incandescente prima un uomo, poi l’altro, i suoi movimenti così fulminei che Sherlock a malapena riuscì a distinguerli.
Dopo averli uccisi sotto i suoi occhi trafiggendoli con la spada, alzò lo sguardo su di lui.
Sherlock trattenne il fiato. Era sporco di sangue, nero per il fumo e ansimante – ed emanava un odore delizioso. Era forse l’alfa più attraente su cui avesse mai posato lo sguardo.
“State bene?” chiese l’uomo inginocchiandosi al suo fianco, gli occhi che fino a un attimo prima erano stati spietati ora premurosi e quasi reverenti. Sherlock lo guardò con una gratitudine che si confondeva con il desiderio; l’uomo trattenne il respiro e imprecò.
“Voi-”
Aveva assunto un’espressione angosciata. Sherlock allungò una mano e lo sfiorò con meraviglia, il corpo e la mente ubriachi di bisogno, di sollievo, di quell’adorazione cieca che il calore provocava anche solo nei confronti della mera idea di un alfa degno e forte. E lui, lui era stato solo tutta la vita e ora ne aveva uno in carne e ossa a poca distanza.
Quando le dita di Sherlock gli carezzarono il collo l’uomo gemette. Le pupille gli erano diventate enormi; tutto il suo corpo tremava come un arco teso allo spasimo. Si morse un labbro e lo guardò con aria terrificata e allo stesso tempo predatoria.
Ormai al limite della resistenza, stava per avvicinare il proprio viso al suo quando l’uomo imprecò nuovamente e si alzò di scatto, allontanandosi da lui. Sherlock si sentì mancare il fiato: gli sembrò così ingiusto, così crudele.
“Vi aiuterò” disse l’uomo con voce strozzata, prima di aprirsi la giubba dell’uniforme, strappare un pezzo della propria camicia e premerselo su naso e bocca, “ma voi dovrete aiutare me e impedirmi di essere come loro.”
Diede un calcio a uno dei cadaveri che giacevano a terra. Sherlock seguì il movimento del suo piede con sguardo appannato. Accettò la mano che lui gli porgeva per alzarsi in piedi e si ritrovò premuto contro di lui.
D’istinto, schiacciò il naso contro il suo collo per inspirare a fondo il suo odore e gemette.
L’uomo emise un verso frustrato e gli afferrò un braccio con una mano tremante, tentando di tenerlo a distanza.
“Vi prego,” disse attraverso i denti digrignati, lo sguardo fisso a terra. “Vi prego, vi voglio portare via di qui sano e salvo.”
Sherlock lo sentiva a malapena. La minaccia cui era scampato stava pompando adrenalina nel suo sangue, acutizzando gli effetti del calore e privandolo di qualsiasi altro scopo se non quello di avere quell’alfa, diventare cera nelle sue mani e farsi prendere.
Perché lui facesse resistenza quando era ovvio che il desiderio era reciproco, la mente obnubilata di Sherlock non riusciva a capirlo.
L’uomo lo trascinò fuori dalla stanza e su per le scale, sostenendolo per un braccio, ma tenendo un passo sostenuto per evitare di stargli troppo vicino.
“La mia guarnigione ha sventato l’attacco, i russi sono quasi tutti fuggiti o morti” gli disse con lo sguardo fisso davanti a sé. La sua voce era soffocata dalla stoffa che teneva premuta sul viso con la mano libera. “Riavrete la vostra casa - seppure in queste misere condizioni. Mi rincresce.”
Notata una stanza che era stata risparmiata dal grosso della distruzione, l’uomo emise un urlo vittorioso e lo guidò all’interno.
Erano i suoi alloggi privati.
Sherlock si fece guidare confusamente verso il proprio letto, tentando di attirarlo a sé come poteva, ormai reso quasi pazzo dal bisogno. L’uomo resisteva sempre meno, gemendo in preda alla frustrazione, cercando di tenerlo a distanza ma guardandolo con occhi che bruciavano.
“Chiamo aiuto” disse, bloccandogli sopra la testa quelle mani che lo cercavano con insistenza animalesca, e facendolo stendere in modo che riposasse. “Lasciatemi chiamare aiuto per voi. Vi prego.”
L’ultima parola venne fuori quasi come un singhiozzo. I lineamenti dell’uomo erano contratti in un’espressione sofferente e combattuta.
Sherlock gli mise le braccia al collo e lo strinse più forte che potè.
“Non andatevene” disse in un sussurro disperato, baciandolo sulle labbra, sulla mascella, sulle palpebre. “Vi scongiuro, restate con me. Voglio-”
Poi divenne tutto nero.
   
 
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