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Autore: Mellark_    11/07/2013    4 recensioni
One Shot ambientata dieci anni dopo la guerra. Peeta e Katniss sono sposati e felici, ma la paura la blocca ancora, impedendole di realizzare ciò che vuole veramente, ma qualcosa l'aiuterà a superarla.
Dal testo:
"Ho imparato molte cose, in questi anni, una di queste e che non devi impedire mai alla paura di intralciarti perché si perdono le cose migliori. A volte bisogna smettere di pensare e buttarsi, cercando di ignorare tutto ciò che ti terrorizza. Devi accantonare tutte le insicurezze e devi riuscire a stiparle in una scatola.
Ma non pretendere di farcela senza aiuto.
Io ho Peeta e lui ha me, ci sosteniamo a vicenda, l’abbiamo sempre fatto. "
Spero che vi piaccia.
Spoiler Mockingjay!
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annie Cresta, Johanna Mason, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Calcio?- chiedo, stupita.
-Già- risponde Peeta, raggiante. –E’ un gioco che si fa con questa palla- detto questo alza il ‘pallone’.
Me lo porge e io me lo rigiro tra le mani, diffidente E’ una specie di grande sfera, abbastanza morbida esternamente, con dei pentagoni neri e altri bianchi, divisi da cuciture.
Alzo un sopracciglio, dubbiosa.  Peeta sospira, divertito. –E’ un gioco che prima di Panem, prima dei Giorni Bui, prima di tutto, era molto in voga. Tutte le nazioni di allora avevano delle squadre e facevano dei campionati!- mi spiega, paziente.
- Non ne ho mai sentito parlare- dico, e non riesco a capire cosa ci facciano, con quella palla.
- Bhe, non frequentavi molto la città- ribatte, sempre tranquillo. –Noi ci giocavamo, a volte. Ma non avevo mai visto un pallone! Usavamo sempre delle palle di carta, o qualcosa del genere- detto questo riprende da terra delle strane cose piegate su sé stesse, fatte da una rete e dei ‘tubi’ bianchi. Lui le chiama ‘porte’.
Ci dirigiamo verso il bancone del negozio di giocattoli ed un uomo sulla quarantina, di bell’aspetto e sorridente, mette il pallone e quelle due cose bianche piegate, le porte,  in una grande busta e ce la porge. Peeta gli allunga alcune banconote sul tavolo ed esce salutando Jake, il ragazzino che sta rovistando in una cesta colma di palle di tutti i tipi, e per il momento non ho voglia di sapere per quale gioco strampalato servano. 
Tiro un respiro profondo e blocco Peeta su una panchina.  –Cosa si fa in questo benedetto gioco?-
Lui ride per un po’ e io mi siedo corrucciata affianco a lui. –Ok, ok! – Esclama quando riesce a controllarsi. –E’ facile! Serve un campo..- inizia, ma lo interrompo con una domanda piuttosto stupida: -Di grano?- lui mi guarda come se fossi pazza. –Il campo, Peeta!-  Allora attacca a ridere per almeno un minuto.
Roteo gli occhi e distolgo lo sguardo, non mi piace quando mi prende in giro così.
-Amore, dai, non prendertela- mi mette una mano sulla spalla e mi sorride, allora mi sciolgo. Non posso restare arrabbiata con lui, quindi mi volto e gli sorrido a mia volta. –Per campo intendevo un prato, o qualcosa del genere- puntualizza. –Ci sono due porte, chiuse da una parte con una rete, quelle che abbiamo comprato in miniatura poco fa- ricordo quegli strani oggetti che non capivo a cosa servissero. –Lo scopo del gioco è mandare il pallone nella porta dell’avversario, quando ci riesci si chiama goal- finita la sua spiegazione mi guarda, come se volesse capire la mia reazione.
-Wow, emmh, fantastico!- esclamo, con scarso entusiasmo. Cerco di essere felice per questa scoperta, ma trovo questo gioco piuttosto stupido.
-Per i ragazzi è divertente- dice, ancora sorridente. – Pensavo che sarebbe stato carino, insegnarlo ad….Owen- abbassa la testa e si guarda le mani.
Quando parliamo di Owen, il figlio di Finnick, so che lui lo riconduce al suo desiderio di avere dei figli, che io non posso dargli.
Gli poso una mano sul ginocchio, gli faccio alzare lo sguardo e gli chiedo perdono con gli occhi. –Sto bene- mi dice. –Tranquilla-  ma vedo che ha gli occhi leggermente lucidi.
Io lo amo con tutto il mio cuore, ma ho paura, troppa, di mettere al mondo un altro essere umano. Paura di vederlo soffrire, paura di vederlo sorteggiato per gli Hunger Games, anche se non esistono più.
Ogni volta che penso a un bambino mio, penso a Prim che soffre, Prim che salta in aria, Rue che muore con una lancia nello stomaco.
-Sai come la penso- dico, con voce debole. – Ma è veramente una cosa dolcissima che tu lo voglia insegnare ad Owen! Lui ti adora, sono sicura che non aspetta altro- riprendo, cercando di infondergli un po’ di entusiasmo con la mia voce.
–Mm, mm. Certo..- mi risponde sorridendo debolmente, ma poi riabbassa lo sguardo.
Lo prendo per il mento e mi faccio guardare negli occhi. –Ti amo- sussurro, e lo bacio. Quando ci separiamo sta sorridendo. –Vero o Falso?- ridiamo insieme e so che la crisi è passata, per ora.
Dà un occhiata al suo orologio e scatta in piedi. –Sono le sei!- esclama, e anche io salto su, afferrando la busta.
Ci dirigiamo quasi di corsa alla stazione ma comunque, quando arriviamo, loro sono già scesi.
-Scusate il ritardo!- ansimo, e Johanna Mason si fa una grassa risata.
-Chissà che facevate, voi due!- esclama, facendo l’occhiolino a Peeta. Io mi metto una mano sugli occhi e aspetto di sprofondare nel terreno.
Sfortunatamente non succede. Peeta mi mette una mano dietro la schiena, e io esco dal mio nascondiglio.
-Campione!- urla Peeta, quando Owen gli corre incontro, sbucando da dietro Annie.  Lo abbraccia forte e lo solleva da terra, entrambi hanno dei sorrisi a trentadue denti, sembrano esserci solo loro ed irradiano una luce che fa concorrenza al sole. Quest’immagine mi ferisce, perché Peeta non potrà mai stringere così nostro figlio, perché io sono una codarda.
Peeta lo rimette a terra e gli arruffa i capelli, allora il bambino viene da me e mi abbasso un po’ per abbracciarlo. –Ehi, Owen- gli sorrido. –Zia Katniss!-
Sciolgo l’abbraccio e solo allora mi accorgo dell’uomo che c’è affianco a Johanna. Avrà più o meno la sua età ed, incredibile a dirsi, lei lo tiene per mano!
E’ alto almeno trenta centimetri in più di me ed ha i capelli brizzolati, le spalle larghe e le braccia abbastanza muscolose. Ma ha un sorriso gentile che tradisce il suo aspetto così imponente, e non posso fare a meno di sorridergli. –Oh, emm, bhe- comincia Johanna, realizzando che non può rimandare oltre le presentazioni. –Aidan, loro sono Katniss e Peeta, ma sai già chi sono. Voi due, lui è Aidan!- borbotta, come se non vedesse l’ora di levarsi dai piedi questa cosa.
A questo punto stringiamo entrambi la mano ad Aidan, che ci sorride amabilmente. Mi ritrovo a cercare uno spiraglio di cattiveria in quegli occhi azzurri, ma non trovo nient’altro che gentilezza e mi chiedo se Johanna gli ha fatto qualche tipo di incantesimo, ma poi mi ricordo che Peeta è sposato con me, per cui accetto che Aidan possa aver trovato qualcosa da amare in Johanna Mason, proprio come Peeta ha fatto con me.
In ogni caso non c’è molto tempo per i convenevoli perché Owen è un bambino di 10 anni al quale è stata promessa una sorpresa, e la busta gigante che tengo in mano non fa che aumentare la sua curiosità.
Quindi scambiamo giusto qualche chiacchera mentre ci dirigiamo verso il Prato, che è tornato verde come una volta. 
Annie non ha neanche il tempo di fare qualche raccomandazione al figlio che lui è già schizzato via e sta correndo sull’erba, mentre Peeta piazza le porte. Le mette una di fronte all’altra a circa quindici metri di distanza e intanto Owen gli trotterella intorno chiedendogli che cosa sono. Lui gli spiega con pazienza il gioco e il piccolo non vede l’ora di provarlo.
-Vuoi andare a giocare?- chiede Johanna ad un Aidan parecchio agitato.
 –No…no, tesoro…sto qui con te!- borbotta, lanciando occhiate furtive a Peeta e Owen che si apprestano a cominciare il gioco. Vedo Johanna alzare gli occhi al cielo –Va! Vai giocare prima di staccarti tutte le dita, a forza di torturartele!- esclama dandogli una spintarella affettuosa. Lui le dà un bacio sulla guancia e corre verso di loro con il sorriso sulle labbra.
Cominciano a correre per il prato con la palla ai piedi e si divertono da morire anche se ogni tanto cadono, o si segnano punti l’un l’altro. Owen è il ritratto della gioia: gli occhi verde-mare risplendono di autentica felicità, un sorriso radioso che gli illumina il volto, i capelli di bronzo e la pelle abbronzata bagnati dal sole… devo sedermi sul prato perché sento che le gambe mi stanno cedendo. La somiglianza è impressionante.  Peeta cammina verso di me, con il volto sudato per lo sforzo della partita, che svela tutta  la sua preoccupazione, ma io lo rassicuro con un gesto della mano e lui torna non troppo convinto verso Owen e Aidan.
Mentre Annie continua ad urlare raccomandazioni al figlio, correndo da una parte all’altra del Prato, Johanna mi si siede affianco. – Incredibile, vero?- dice, accennando con il capo a Owen, io annuisco.
-Vedendolo crescere non ci potevo credere! A 17 anni sarà la sua esatta copia, se continua così- esclama ancora. Sembra un'altra persona, sul serio, si è completamente ristabilita e non sembra neanche lontanamente la donna che avevo visto prima di partire per la missione a Capitol.
In questi dieci anni sembra rinata, come tutti noi. I capelli scuri che arrivano fino a metà schiena, la pelle leggermente abbronzata per il tempo che passa nel 4, e qualcosa che solo l’amore può darle: un viso luminoso di gioia.
-Aidan sembra davvero fantastico- dico, cercando di sviare i miei pensieri da Peeta e Owen che giocano felici e a quanto mi piacerebbe che quello fosse nostro figlio.
-Lo è- ammette. –E’ tutto il contrario di me, infatti!- esclama, e ridiamo insieme. –Ci siamo sposati qualche mese fa…-dice dopo un po’ che siamo zitte. Io trasalisco.
-Cosa? Davvero? Sono felice per te!- dico, e lo sono sul serio! Merita di essere felice, dopo tutto quello che ha passato. 
-Grazie..- borbotta, imbarazzata.  –Ci tieni molto a lui, vero?- le chiedo di getto, pensando a quanto io ami Peeta e a come farei senza di lui.
Non risponde subito. Il suo sguardo vaga per un po’ e poi si gira verso di me. –Bhe, adesso quei maledetti uccellacci avrebbero qualcosa da urlare- afferma con voce rude, ma che poi cala al finire della frase.
–Ma guardali- dice, riferendosi ai ragazzi. – Peeta adora quel ragazzino…- aggiunge, e poi si gira verso di me. –Ne vorrebbe suoi, vero?- mi chiede, ed io sgrano gli occhi. E’ così lampante? Ma certo. Si vede da come si è illuminato quando gli è corso incontro oggi, si vede da come l’ha abbracciato, e si vede da come ci gioca ora.
Mi sento un essere spregevole ed adesso, anche se mi sembra una cosa inconcepibile, mi ritrovo a chiedermi perché Peeta non sia sposato di una ragazza diversa. Una non così codarda, una che potrebbe  dargli i figli che desidera senza farsi intralciare dalle proprie paranoie.  Mi ritrovo ad annuire a Johanna con le lacrime agli occhi. Cosa c’è di sbagliato in me? –E tu? Non li vuoi?- mi chiede, mettendomi un braccio intorno alle spalle. Ma cosa sta succedendo!?
-S…si, ne vorrei, credo…se- sto per dire “se non ci fossero gli Hunger Games, se non vivessi qui”, quando mi accorgo che le mie paure non hanno senso. Gli Hunger Games non esistono più e  ‘qui’ abbiamo soldi a sufficienza da sfamare due famiglie e il Distretto è un posto felice, adesso. –Io ho paura, troppa…di perderli, di non riuscire a prendermene cura…-
-Ti dirò una cosa. Dopo tutto quello che abbiamo passato è comprensibile! Abbiamo perso così tante persone…per me è stato difficile da morire accettare di voler di nuovo bene a qualcuno!- esclama. –Ho respinto Aidan per anni, e all’inizio non volevo neanche venire a trovare voi- continua, fa per parlare ancora, ma la interrompo. –Perché?- chiedo.
-Ti ricordi che ho detto che le ghiandaie chiaccherone adesso avrebbero qualcosa da usare contro di me?-annuisco. – Avrebbero più di una voce- conclude, e non sembra voler dire altro, ma io capisco comunque.
Anche lei aveva paura di affezionarsi a qualcuno, perché era terrorizzata all’idea di perderlo, così teneva tutti lontano. In pratica, Johanna Mason, mi ha appena detto che vuole bene a me e a Peeta.
-Se ce l’ho fatta io puoi anche tu, imbecille- conclude, poi si alza e se ne va verso Annie, lasciandomi sola e con una bella gatta da pelare.
Sbuffo, ma so che quello che ha detto Johanna è vero. Devo tirare fuori la testa dalla sabbia ed affrontare le mie paure, perché non si può smettere di vivere per paura di soffrire.
Devo prendere esempio da Johanna e da Annie.. oh Annie, lei ha perso l’amore della sua vita, ha sofferto così tanto, eppure ha avuto la forza di rimettere insieme i pezzi di sé stessa e di essere forte per suo figlio. Quel bambino così fantastico.
- Tutto apposto, Katniss?- mi chiede la  voce gentile di Annie, china su di me.
-Oh, emm, si- rispondo, scuotendomi di dosso i miei pensieri. Allora lei mi tende una mano, aiutandomi ad alzarmi, solo allora mi accorgo che i ragazzi hanno smesso di giocare.
Peeta mi si avvicina, grondante di sudore, con i riccioli biondi totalmente zuppi,  ma colmo di gioia e con un Owen altrettanto sudato e felice al suo fianco.
-Vieni, Kat, ti abbracciamo!- esclama Peeta mentre lui e Owen mi vengono incontro con un sorriso malizioso. Io senza pensarci nemmeno inizio a correre, mentre loro mi inseguono. –No, no! Non mi toccherete mai con quelle braccia sudaticce!- esclamo, mentre attraverso il prato correndo e ridendo.
-Tanto ti prendo!- dice, ridendo. Ci siamo solo noi tre, che ci rincorriamo. Ad un certo punto mi volto per vedere dove sono e mi vengono addosso  circondandomi con le braccia, cadiamo a terra tutti e tre e ridiamo, ridiamo e ridiamo. Felici.
Peeta si china e mi sussurra all’orecchio: -Ti ho presa- sento il sorrido nella sua voce, e li stringo ancora più forte.

Il resto della giornata trascorre tranquillamente e dopo cena Owen, Annie, Johanna e Aidan vanno nelle stanze degli ospiti per la notte e io e Peeta andiamo nella nostra.
Siamo sdraiati, abbracciati stretti e parliamo della bella giornata trascorsa, di cosa potremmo fare domani, di Owen, di Annie, di Johanna e Aidan..
-Peeta..- dico ad un certo punto. –Io lo voglio…avere dei bambini con te- dico, e lacrime silenziose iniziamo a rigarmi il viso. Lui mi alza il mento e ci ritroviamo faccia a faccia. Ha gli occhi lucidi anche lui e, senza dire una parola, mi bacia. Mi bacia con gioia e dolcezza. Le nostre lacrime si fondo e ci bagnano il viso.
-Quando l’hai…deciso?- mi chiede, senza smettere di sorridere.
-Io l’ho sempre voluto, credo, ma non mi sono mai permessa di pensarlo. Per la paura, per tutto, ma Johanna mi ha fatto aprire gli occhi- rispondo. –Johanna?- chiede lui, stupito. Mi lascio scappare una risatina. –Lei, esattamente. Devo affrontare la paura o mi impedirà di vivere, e poi so che mi aiuterai..- continuo. – E poi li desideri così tanto! Ti ho visto con Owen, e voglio che tu sia felice così anche con nostro figlio. Dopo quello che è successo oggi non ho più dubbi. -
-Certo che lo farò. Oh, sono così orgoglioso di te, sarai una madre fantastica, fidati di me- non riesce a smettere di sorridere e nemmeno io.  Così sussurra: -Tu mi ami. Vero o Falso?-
Rispondo: -Vero, sempre-
Mi abbraccia forte e passiamo la notte così, stretti l’uno all’altra cullati dal nostro amore.

 
Yarrow guarda con dolcezza il fratellino e gli accarezza delicatamente i pochi ciuffi biondi sulla testa. Peeta mi sorride con gli occhi lucidi e mi cinge le spalle con un braccio. Io guardo il fagotto che ho tra le braccia e la piccola bocca di mio figlio si apre in un sorriso radioso.
Gli accarezzo una guancia rosea.
Io e Peeta abbiamo avuto due bambini, due bambini bellissimi, lei, Yarrow, ha i capelli scuri e gli occhi azzurri, mentre il piccolo ha gli occhi grigi ma dei ciuffetti biondi che gli spuntano sulla testolina.
E’ nato appena una settimana fa. –Mamma, come si chiama?- chiede dolcemente la piccola Yarrow, chinando la testa da un lato. Io le sorrido e le accarezzo i capelli.
Non abbiamo ancora scelto un nome ma mentre guardo i miei due piccoli, due delle cose che ho più care al mondo, ripenso a quel giorno nel quale la gioia di cadere a terra abbracciata all’uomo che amo ed a un bimbo, mi ha fatta passare sopra la paura e mi ha dato la forza necessaria per avere loro.
Ripenso al bambino e al perché era lì, perché era felice e non doveva temere nulla. Ricordo a chi assomigliava e so già come chiamerò mio figlio.
Guardo Peeta e lui mi sorride ancora, poi annuisce, come se avesse intuito i miei pensieri.  –Si chiama Finnick, amore- dico alla bambina, e lei sorride.
-Mi piace tanto!- esclama gioiosa. –Ciao Finnick- e saluta il fratellino toccandogli la manina vellutata. Lui sorride ancora.

Ho imparato molte cose, in questi anni, una di queste e che non devi impedire mai alla paura di intralciarti perché si perdono le cose migliori. A volte bisogna smettere di pensare e buttarsi, cercando di ignorare tutto ciò che ti terrorizza. Devi accantonare tutte le insicurezze e devi riuscire a stiparle in una scatola.
Ma non pretendere di farcela senza aiuto.
Io ho Peeta e lui ha me, ci sosteniamo a vicenda, l’abbiamo sempre fatto.
Abbiamo comprato una bella casa, proprio davanti al Prato e i bambini amano giocarci. La vita in alcuni giorni è ancora difficile, ma bisogna superare tutto, per vivere appieno. 



Spazio autrice: 
Ciao a tutti! Sono tornata con quest'OS che vi ripropone uno scenario after-war (in inglese è più figo haha) che mostra Katniss alle prese con le sue fobie più profonde. Non sono particolarmente convinta di questo testo, non sono soddisfatta di com'è venuto, ma non posso indugiare per sempre, per cui ecco a voi! 
C'è un punto che tenevo a chiarire: il nome Yarrow non è una mia idea ma l'ho letto in una pagina di Hunger Games e viene dal blog di 
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=103333 . Lei è stata gentilissima e non si è affatto arrabbiata perché l'ho utilizzato, anzi, e per questo la vorrei ringraziare, è stata veramente carina a lasciarmelo usare ed è stata anche dolcissima nel recensire questa storia, quindi grazie ancora! E' idea stupenda! Ci tenevo per lo meno a citare la sua pagina di efp. c:
Bene, ho finito di balterare! A presto :) 

  
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