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Autore: the Fighting Temptations    23/01/2008    26 recensioni
[Personaggi: Heath Ledger] avviso: ho cambiato leggermente la trama, in seguito ad alcune recensioni in cui mi è stata fatta notare l'inverosimilità di alcuni elementi, che avevo trascurato per non distogliere da ciò che era veramente importante dire in questa storia. Ieri, 22 gennaio 2008, Heath Ledger, famoso per l'interpretazione di un cowboy omosessuale nel film "Brokeback Mountain", è stato trovato senza vita nel suo appartamento a New York. Si sospetta il suicidio. Questa one-shot è un modesto tributo a uno dei miei attori preferiti. Una ipotetica ex-collega, divenuta poi poliziotta, e amica fidata, si reca nel suo appartamento appena ricevuta la notizia della morte del suo amico.
RIPOSA IN PACE HEATH
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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heath

PREGHIERA PER HEATH

Non ho voluto crederci finché non ti ho visto con i miei occhi. Quando mi hanno telefonato e me l'hanno detto, non ho risposto, sono rimasta solo a bocca aperta, senza poter emettere nemmeno un sussurro, una parola roca, qualsiasi suono. Niente.

Niente.

Non pensavo più a niente, non capivo più niente, non ero nemmeno sicura di essere ancora lì, nel mio giorno libero, col telefono in mano, in pigiama in piedi davanti al tavolo della cucina, nel mio appartamento, in una città chiamata New York, su questo pianeta minuscolo in un universo infinito. Non concepivo lo spazio, il tempo... E quella parola.

Un nodo alla gola mi bloccava quasi il respiro, sul sedile posteriore di un taxi, i capelli raccolti frettolosamente, vestiti scelti a caso, e mi ero a malapena lavata il viso. Solo il distintivo nella tasca dei jeans diceva che ero un'agente di polizia in erba. Il traffico infernale di un qualsiasi martedì pomeriggio nella Grande Mela. Non mi era mai piaciuta molto quella città. C'ero venuta solo per lavoro, adoravo la campagna, le distese di campi incolti, il paesino dov'ero nata. Proprio come te, anche se venivi da un altro pezzo di mondo. Il tassista asiatico mi parlava, diceva cose amichevoli, ma io non rispondevo, nemmeno per farlo tacere. Penso di non aver mai tenuto gli occhi così spalancati, attoniti. Tu mi prendevi sempre in giro, dicevi che avevo gli occhi a lampadina, troppo grandi e rotondi...E io infastidita ti rispondevo che i tuoi erano da gallina, vicini, piccoli e scuri... E ridevamo. Ma non pensavo a questo, alle risate, ai momenti rilassati e felici. No... Pensavo agli ultimi periodi, a quando ti chiudevi in te stesso, quando rispondevi male, eri nervoso... "Può capitare", mi dicevo.

Ma non potevo immaginare che te ne saresti andato... Speravo che prima ti avrei rivisto sorridere.

Ci misi quasi mezz'ora ad arrivare da te. All'entrata del palazzo era il delirio: fotografi, giornalisti, medici legali. E una infinità di tempo per riuscire ad entrare: salii le scale di corsa, sgattaiolando tra le persone che riempivano il corridoio. La porta di casa tua era spalancata.
Entrai con cautela, guardandomi intorno. Tutto era in ordine, i tuoi libri, i dvd impilati sul tavolino davanti al televisore,la cucina pulita, e le persone intorno che osservavano, fotografavano, annotavano sui loro tacquini. Vidi due poliziotti uscire dalla camera da letto. Mi diressi verso la soglia, ma un uomo in impermeabile mi fermò. Lo pregai di lasciarmi entrare, sperando che il mio distintivo valesse qualcosa, in una simile situazione, e non so come lo convinsi. Quando mi superò per andarsene, mi voltai a guardarlo, e allora capii il perché di quell'assenso: dietro di me, alla parete, era appesa una cornice, con dentro alcune fotografie: in una di quelle c'ero anch'io. Eravamo sul set di "Il destino di un cavaliere", dove ci eravamo conosciuti grazie a mio fratello che interpretava un ruolo secondario. Risaliva a quando avevo tentato la mia scalata verso il successo nel mondo del cinema, e avevo ottenuto una minuscola parte, poco più di una comparsa, in quel film, che invece a te aveva portato tanta meritata fortuna, aprendoti la strada verso una scintillante carriera a Hollywood. Io in seguito avevo rimesso i piedi per terra, dopo qualche sconfitta, ripiegando sul vecchio sogno che avevo da bambina, di seguire le orme di mio padre, capo della polizia nella mia piccola città d'origine. Ma la nostra amicizia era pian piano cresciuta diventando indissolubile, anche se erano poche le occasioni per stare insieme...
Quella foto era stata scattata durante una pausa pranzo. Sorridevi in quella foto. Sorridevamo tutti.
Sospirai, facendomi forza, ed entrai nella stanza.

Un attimo, un infinitesimo di secondo, bastò per stravolgermi completamente.

Il letto disfatto.

Le lenzuola aggrovigliate intorno a te.

Il tuo corpo inerme, nudo e indifeso steso prono sul letto. Il viso rilassato e senza espressione, i capelli corti e un'ombra di barba. Carne e ossa senza vita, un involucro svuotato.

Provai una forte fitta al cuore. La parola "morto" non vale niente, non la si può capire. A dire "morto" non si percepisce il dolore che provoca.
Tu eri morto. Una frase come un' altra. Soggetto e predicato.
Tu eri morto. La realtà, che fa molto più male di tre parole mormorate al telefono "...Heath è morto...".
Scossa da un fremito iniziai a tremare, e le lacrime mi scorsero copiose sul viso, in una smorfia di dolore. Sentii raggelarmi le mani e le braccia.
Un poliziotto dal fare gentile e un po' impacciato mi accompagnò fuori dalla tua stanza, mi porse una sedia presa dalla cucina, dove mi sedetti, per poi tornarsene dai colleghi nella tua stanza.
......................

Heath, te ne sei andato.

Sento i poliziotti parlare, parlano di pillole sparse sopra e vicino al tuo letto, parlano di suicidio. E' davvero così? Heath, ti sei suicidato? O è stato un errore?

Ma non si prendono pillole per errore. Heath, non puoi averlo fatto davvero... Se sì mi sento tradita. Gli amici servono a sostenerti. Se ti sentivi depresso, avresti dovuto dirmelo. Avrei fatto qualcosa, se me lo avessi fatto capire. Ingenuamente avevo pensato che fosse solo un po' di stress dovuto al lavoro. E invece ora portano via il tuo corpo su una barella, coperto da un telo verde. Scuoto la testa,chiudendo gli occhi, non può essere vero, Heath.

Esco. Il rumore della metropoli mi tormenta, martellandomi il cervello. Mi aiuta a non pensare, ma è il silenzio che voglio.
Torno a casa. Rimango seduta sul divano, al buio, per più di un'ora, piangendo silenziosamente... Poi accendo la tv.
Ironia della sorte, ci sei tu, stanno dando la notizia al telegiornale. Cerco nelle immagini che scorrono, se c'è un velo di tristezza nei tuoi occhi piccoli e vicini, da gallina, ma le lacrime mi offuscano la vista. Dicono che la chiesa battista di Westboro protesterà al tuo funerale, perchè hai interpretato un omosessuale in un film, che brucerai all'inferno per questo. Certa gente non capisce quando deve tacere.

Chissà se hanno già detto a Matilda che tu non ci sei più. E' così piccola, non sa cosa sia la morte... Non avrebbe dovuto saperlo così presto. Non temere, non la lascerò crescere senza sapere che persona speciale era suo padre. Te l'ho mai detto che ha il tuo stesso sorriso?

Il sorriso di un angelo che Dio ci ha strappato dalle mani. Dio ti ha rivoluto con sé.

Riposa in pace, Heath.





  
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