L’ambiente era saturo dell’olezzo di polvere e odore di sigaretta , un sottile raggio polveroso di sole scendeva dalla finestrella, cadendo sul tavolino di legno scadente e su quella massa informe, terrorizzante di lettere. Nessuna via di uscita, nessuno scampo . Alessia aveva 27 anni ed era stata licenziata dalla fabbrica dove lavorava. La crisi, l’ombra nera che era scesa sull’Italia aveva fatto si che il padrone dello stabilimento non potesse permettersi più di mantenere la ragazza, incinta. Ebbene si, non ci vuole poco a buttare in mezzo alla strada una ragazza (quasi)madre incinta che lavora in nero. Un bel ‘’mi dispiace’’ e poi via, ognuno per la proprio strada.
Alessia si alzò, a passi incerti e lenti si avvicinò alla finestra e guardò fuori . Accarezzò il vetro riscaldato dal sole e pensò a come sarebbe stato fantastico essere lontano da li, libera con il suo bambino, figlio di un padre troppo smidollato per potersi prendere le sue responsabilità . La sua relazione con Giovanni era terminata con ‘’ Non ho voglia di prendermi le mie responsabilità, mi dispiace’’. Avete mai notato che ogni volta le carognate sono precedute da un ‘’mi dispiace’’? forse le persone sono troppo stupide per dire qualcosa di diverso.
Accese la TV e si risedette al letto; il ministro del lavoro parlava della crisi: indennità di maternità per i padri. <
Doveva muoversi, doveva uscire.
L’aria fresca era un soffio di vita per i suoi polmoni. Il mondo procedeva la sua corsa incurante di lei e i suoi problemi. I suoi guai si perdevano in un caleidoscopio di emozioni, odori e colori. Era come un cicala in una foresta amazzonica. A nessuno importava di lei. Sola , anzi non completamente, con quella creatura che cresceva dentro di se: una maledizione nella benedizione.
Il parco nella tarda ora tra il crepuscolo e l’inizio della sera era il posto preferito per pensare. Le famiglie andavano via per cena, quelle felici, quelle che non vivevano in un monolocale diroccato, che potevano permettersi una baby sitter e portare i figli al parco,quelle che non avevano problemi nel portare un pasto tranquillo sulle proprie tavole. Nessun salto mortale a fine e mese e magari anche qualche sfizio. Camminava a testa a bassa Alessia, con la schiena ricurva a causa di un peso che non riusciva a sostenere. Occasionalmente scalciava una lattina di Coca-cola un po’ più avanti sulla sua strada, l’unica ‘’amica’’ con cui condividere i suoi cupi pensieri. Le ritornavo in mente tutti i colloqui di lavoro dopo il suo licenziamento. Era stato un continuo ‘’No, grazie’’ . Nascondevano le proprio ragioni cosi come lei nascondeva il suo pancione. Ogni risposta era seguita da un freddo sorriso, di quelli che ghiacciano le vene, di quelli che non riscaldano il cuore ma trasudano di falsà pietà. Pietà, era l’ultima cosa che le poteva servire, non si pagano le bollette con la pietà, non si nutre un bambino con la pietà. Lei voleva dignità. C’era solo una speranza, tenue , fragile come un foglia in autunno. Un cugino del suo ex aveva un ristorante a Firenze, un mondo nuovo e lontano da Milano , un posto dove qualcuno si era forse sentito in colpa per la sua situazione e per il modo in cui era stata abbandonata. Un posto non sicuro perché quel lontano cugino soffriva anche lui per la crisi e lei era troppo orgogliosa per ammettere quanto in basso era caduta…
Cosa fare nel momento in cui si perde tutto?
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Più che una storia queste sono piccole pennellate di uno spaccato quotidiano . Che al giorno d'oggi è sempre più reale.
Non ho inserito un finale, ma lascio al lettore la possibilità di inserirne uno!