Storie originali > Romantico
Segui la storia  |      
Autore: pidgeon    11/07/2013    0 recensioni
L'avevano mandata via dicendo addio, ma mai arrivederci, come se il suo passato potesse colpire tutti loro.
Helena il Jersey l'aveva scelto a caso, perché per lei iniziare una nuova vita era relativo. Non voleva lasciare la sua famiglia, i suoi amici, la sua scuola, ma i suoi genitori, e il resto, non le avevano dato scelta.
“Mi guardavano come se fosse tutta colpa mia, come se i miei incubi potessero attaccare anche loro. Avevano usato la parola addio e mai l'arrivederci, o ciao. Non mi volevano più e l'avevano scritto a caratteri cubitali sui loro volti.”
Frank, invece, abitava nel Jersey da sempre, aspettava una svolta, la sua eccezione. Voleva che la sua vita fosse diversa e si rendeva conto che aveva sprecato un sacco di opportunità per evadere dalla sua vita ormai finita nella solita routine.
“Vivo nel Jersey da quando sono nato, non mi sono mai spostato di qui. Ho lasciato che la mia vita sconfinasse nella routine perché era troppo spaventoso cambiare. Ma poi, quegli occhi, ne ero certo, sarebbero stati la mia eccezione.”
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Riusciva solo a vedere una striscia verde che non cessava mai di correre insieme al treno, quando era piccola restava sempre affascinata dalla forma che gli alberi prendevano quando lei era in un'auto in corsa. Proprio non capiva come, quelle foglie verdi con forma differente l'una dall'altra, potessero trasformarsi in una scia che rincorreva l'auto. Chissà che magia c'era sotto, si ripeteva. Poi, un giorno, era fatta grande e aveva capito: nessuna magia, era solo lo scorrere delle cose.
Tutto scorreva proprio come il tempo che scandiva la sua vita: alcune ore prima si ritrovava nel suo letto, a casa sua, ora invece si trovava seduta in un vagone con l'unica compagnia di una signora di mezza età che, durante il viaggio, le aveva raccontato di come aveva incontrato suo marito molti anni prima e che stava andando a trovare suo figlio, divenuto avvocato che aveva deciso di costruire la sua famiglia, e di far carriera, in una città più grande di dov'era nato.
“Tra dieci minuti ci fermeremo alla stazione del Jersey, i signori passeggeri sono pregati di prepararsi a scendere.” 
Dieci minuti e tutto sarebbe cambiato, tutto sarebbe ricominciato.
Dieci minuti alla sua nuova vita, annunciata attraverso un altoparlante situato sulla porta del vagone in cui si trovava.
Helena aveva preso i suoi bagagli e ringraziando la signora che le aveva fatto compagnia, si era diretta verso le porte d'uscita del treno che, una manciata di secondi dopo s'era fermato.
Le porte si aprirono e molta gente s'apprestava a scendere: «Addio, Helena.», s'era sussurrata.
Aveva afferrato i suoi bagagli ed era scesa dal treno dicendosi addio, dicendo addio a qualsiasi cosa, al suo passato, ai suoi incubi.
Si guardò intorno e vide solo un mucchio di gente correre verso l'uscita della stazione, trovandosi sola in quel posto logoro e vuoto. Si diresse verso una panchina, trascinando con sé i bagagli, se doveva ricominciare, la prima cosa da fare era ricostruire sé stessa. Si chiedeva perché proprio il Jersey, ma una spiegazione non c'era: quando le avevano detto che doveva andare via, aveva aperto una cartina sulla sua scrivania, s'era coperta gli occhi con una mano e con l'altra aveva puntato il dito verso un paese a caso.
E così, eccola lì, seduta su una panchina in una stazione deserta e sporca nel Jersey.
Si ricordò del bigliettino su cui aveva scritto l'indirizzo dell'alloggio. L'aveva trovato in fretta e furia cercando su internet quando i suoi genitori le avevano detto che andarsene era la soluzione migliore.
Guardò il fogliettino e pensò che forse quelle lettere e quei numeri sarebbero potuti essere l'inizio della nuova vita.
Pensò a sua madre, che le aveva detto di andare perché era la cosa migliore e che, nel caso un giorno fosse stata pronta, se Helena avesse chiamato, lei sarebbe corsa in Jersey dalla figlia. Ma Helena sapeva che sua madre non sarebbe mai andata in Jersey da lei, perché lei non avrebbe mai chiamato. E non perché non sarebbe mai stata pronta, ma perché sapeva benissimo che nessuno avrebbe voluto più vederla. Se n'era convinta quando, prima di partire, i suoi amici e i suoi parenti l'avevano salutata dicendo 'addio'. Non arrivederci, non ciao, ma addio. Non la volevano più e lei non sarebbe mai tornata a casa.
Si alzò dalla panchina decisa a recarsi all'alloggio, ma appena varcata la soglia dell'uscita della stazione, pensò che sapeva dove andare, ma non come andarci.
Non si sarebbe persa d'animo, avrebbe trovato quell'alloggio, anche se questo voleva dire dover chiedere ad ogni singolo passante indicazioni sulla strada da prendere.
Tutto sarebbe andato per il verso giusto, non poteva più tornare indietro, doveva continuare a camminare per la sua strada, doveva in qualche modo ricostruirsi e avrebbe ricominciato da lì.
Sarebbe ripartita da lì, dal Jersey, anche se avrebbe dovuto dimenticare la sua precedente vita, anche se sarebbe rimasta da sola in quella nuova città.
Helena era determinata a ripartire, a ricostruirsi e il Jersey l'avrebbe vista rinascere.


 
 
Era stanco delle urla della madre e di suo padre.
Ogni giorno era costretto a sopportare la stessa solfa, non cambiavano mai, si urlavano contro le cose peggiori e lui era costretto a chiudersi in camera o uscire per non dover prendere una posizione.
Frank lo sapeva, se gli avrebbero chiesto di scegliere, avrebbe scelto sua madre. Per quanto a volte non lo ascoltava o non era presente per lui, l'avrebbe scelta in qualsiasi momento.
Aveva una gran voglia di urlare contro quell'uomo che, per convenzione, chiamava padre e dirgli di andare via, di lasciare in pace lui e sua madre, che era solo un buono a nulla, ma sapeva che avrebbe spezzato il cuore di sua madre: in fondo, lei lo amava ancora come se fosse il primo giorno.
Ma anche quella sera, sarebbe rimasto in silenzio, ad ascoltare sua madre piangere e suo padre urlare le solite parole contro sua moglie. 
Dopo i primi dieci minuti, era già stanco di sentir le solite stronzate e così, in fretta e furia, si mise una felpa, prese il suo cappotto, il suo zaino, ci infilò un paio di libri, le sue sigarette e il suo cellulare, si mise una sciarpa intorno al collo e uscì dalla sua stanza. Senza proferir parola uscì di casa e, mentre era sul vialetto, sentì la porta d'ingresso aprirsi e suo padre urlare qualcosa contro di lui, qualcosa come un “Dove stai andando? Vieni qui! Torna indietro, figlio di puttana! Non hai rispetto per tuo padre! Ecco, bravo, vai via, è questa la fine che ti meriti, bastardo!”, Frank non si voltò, continuò a camminare pensando che doveva salvare sua madre da quell'uomo che non faceva più parte della sua vita da molti anni ormai.
Prese il suo cellulare e chiamò Aaron, il suo migliore amico: «Ari, sono da te fra cinque minuti. Si... Si.. Di nuovo.. Si.. Arrivo. Aspettami. Ciao.»
Frank e Aaron si conoscevano da qualche anno, ma per loro il tempo era relativo. Quando si conobbero Frank pensò che Ari l'avrebbe salvato da tutto quel buio che Frank stesso s'era creato attorno e che lo stava soffocando.
Dopo cinque minuti esatti, Frank arrivò a casa di Ari. 
Ari non abitava in una vera e propria casa, i suoi genitori infatti l'avevano abbandonato appena era nato e lui era stato sballottato da una famiglia adottiva all'altra senza mai sentirsi effettivamente a casa. Superata la maggiore età, decise che era abbastanza grande da saper badare a sé stesso, così, nell'attesa di trovare un lavoro e guadagnare un po' di soldi, alloggiava in una casa dove, in realtà, abitavano molti altri ragazzi come studenti, giovani senza un lavoro, o chi, come lui, avevano associato alla parola vita il termine libertà.
Frank arrivò dinanzi alla porta della camera di Ari e bussò e, come al solito, il suo migliore amico aprì la porta in meno di un secondo, lo abbracciò e distese il braccio per fargli capire che poteva entrare.
«Frank, cos'è successo?»
«Sempre il solito. Quella casa è un inferno. Andrò via di lì, me lo prometto ogni volta.»
«Frank, qualsiasi cosa, questa è anche casa tua. Lo sai. Puoi venire a vivere qui, c'è posto anche per te»
«Lo so, grazie. Ma adesso, sul serio, sono stanco. Ti dispiace se vado a dormire?»
«Il letto è già pronto. Ormai non tolgo più le coperte quando te ne vai.»
«Grazie Ari. Ti devo un sacco di favori ormai.»
Dopo mezz'ora, Frank era nel suo letto, o meglio: il letto a casa di Ari che ormai considerava suo, e guardava il soffitto come se tutte le risposte ai suoi problemi e alle sue domande potessero comparire su quel muro bianco.
Da qualche parte le risposte dovevano pur essere, non poteva continuare ad evadere da ogni cosa, doveva affrontare la sua vita e rifugiarsi ogni volta a casa di Ari non era la giusta soluzione.
Si addormentò pensando a cosa potesse fare per allontanare, una volta per tutte, quelle tenebre che lo stavano distruggendo.
 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: pidgeon