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Autore: Gaia Bessie    11/07/2013    2 recensioni
Sarebbe come svegliare un bambino dal suo incubo, per avvertirlo che ne arriverà uno peggiore
(...)George Weasley l’aveva già capito che se un’onda muore sulle rocce poi non torna più indietro e, se un momento passa, non ci sarà mai più.
[Settima classificata al contest "La guerra degli OTP" indetto da MmeBovary sul forum di Efp]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Draco Malfoy, George Weasley | Coppie: Astoria/Fred
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Di Asteria Greengrass, George ricordava solo la postura vagamente rigida e quel sorriso dolce e di una malinconia che scioglieva il cuore: l’aveva vista di sfuggita al funerale per i caduti – quando singhiozzava fra le braccia di una sorella che non le somigliava, una ragazza dagli occhi di pietra – mentre il ventre di un’altra madre accoglieva il fratello con cui avrebbe dovuto condividere tutto, perché così era fin da quando avevano coabitato nello stesso utero.
Ma Fred non c’era più da tre anni, un’accozzaglia infinita di giorni che si susseguivano, spiazzandolo e rendendo doloro ogni gesto che il gemello non avrebbe più completato con lui, non più. Era come se la terra avesse inghiottito anche una parte di George, gettandola in quell’inferno provvisorio fatto di resti e corpi morti o oggetti dimenticati. O memorie che rimangono, sepolte, in un angolo del cervello e vengono fuori all’improvviso.
Come quando se la trovò davanti, un giorno qualunque, con gli occhi spenti in un azzurro slavato e il sorriso triste che non si limitava più a scioglierti il cuore. Ti distruggeva, annientava, ti urlava che aveva perso qualcosa. E George che, lo sapeva, possedeva la medesima espressione si correggeva nel privato: non qualcosa. Qualcuno.
«Ciao» disse lei, in un tintinnio di campane che suonava artefatto e costruito su una roccia friabile. «Ne è passato di tempo».
George pensò che quella era l’affermazione ingenua per eccellenza da sfoderare in quel caso, sempre che ricorresse davvero, un caso del genere. E ne era passato, di tempo, da quando l’aveva vista l’ultima volta – e lei aveva ricambiato il suo sguardo, accartocciata su sé stessa e nelle braccia di Daphne Greengrass – e le aveva rivolto la parola, con l’esitanza tipica di chi non vorrebbe ferire e poi lo fa lo stesso.
«Già» rispose lui, imbarazzato, appoggiandosi alla porta. Non l’avrebbe invitata a entrare – lei si sarebbe categoricamente rifiutata – in una casa che portava ancora i segni dell’esistenza dell’altro gemello Weasley. Sarebbe stato crudele, da parte sua, costringerla ad ampliare quella sua sofferenza.
«Sono qui perché ho bisogno di un favore» dichiarò infatti lei, senza smuoversi dalla sua posizione. Sospirò, affranta. «Mi sposo, George».
Lui trasalì, come se avesse ricevuto una coltellata e la guardò, dritta negli occhi. L’aveva messo in conto, che lei si sarebbe fidanzata e avrebbe smesso di essere di Fred, ma era passato troppo poco tempo e lui, francamente, sapeva di non poter sopportare quella realtà.
«E hanno scelto tutto per me» sorrise e, per un attimo, sembrò nuovamente la quindicenne che aveva conosciuto. «Il vestito, gli invitati, le damigelle. Perfino lo sposo».
La sua risata si spense, stroncata sul nascere, come spesso accade per le cose dotate di particolare bellezza.
«Cosa vuoi che faccia?» domandò George, chinando la testa. «Che ti porti via sul mio manico di scopa, verso un futuro ricco e prospero? Sai che non posso farlo».
«Vorrei che fossi tu ad accompagnarmi all’altare» disse, semplicemente. «Questo, almeno, posso deciderlo io dato che mio padre non è pronto per questo compito».
Herbert Greengrass riposava nella terra, sepolto in mezzo ad altri corpi, le membra che si fondevano con quelle del vicino, Mezzosangue o Purosangue che fosse.
«Non posso farlo, Asteria» biascicò lui. «Sai che… non posso. Non chiedermi questo».
Ma lei sorrise e scosse la testa, come per indirizzarlo verso una strada che non vedeva, una scelta che non contemplava. «Te lo sto chiedendo, George» mormorò.
«Non mi basta» sussurrò lui, scuotendo la testa. «Noi non dovremmo nemmeno stare nella stessa stanza. In un modo o nell’altro, sai che finiremo per ricordarci di lui».
Non la guardò negli occhi perché, sapeva, l’avrebbe trovata in procinto di sciogliersi in lacrime.
«Forse sarebbe meglio» biascicò lei, stringendosi al petto quelle parole che lui aveva pronunciato. «Mi manca».
E fu quella confessione spontanea che colpì George più di ogni altra cosa, facendolo vacillare.
«Sarebbe crudele, ricordare dopo tutto questo tempo» mormorò. «Sarebbe come svegliare un bambino dal suo incubo, per avvertirlo che ne arriverà uno peggiore».
Però, si accorse, la sua corazza si era allentata di qualche millimetro. E Asteria, che era nata con il veleno dei Serpeverde nel sangue, gliel’avrebbe staccata di dosso per permetterle di addentrarsi in un incubo. Peggiore ma senza Fred e quello, per lei, poteva solo essere un miglioramento.
 

***
 
Nessuno aveva mai amato come io avevo amato Anna.
La tragedia stava nel verbo al passato.
(Margaret George, “Il re e il suo giullare” – Enrico VIII su Anna Bolena)

 
 
Daphne Greengrass indossava un abito che oscillava fra le nuance del grigio e del celeste, creando una buffa contrapposizione con quei suoi occhi dal colore indefinito. Era largo in vita, quasi a voler alimentare le malelingue che sostenevano che la maggiore delle Greengrass avesse abortito un figlio di un uomo non meglio identificato.
Figlio di Malfoy, sussurrava qualche vecchia Purosangue con fiele nelle vene aristocratiche. Un bastardo di Malfoy, il fidanzato della sua stessa sorella.
Ma Daphne non rispondeva mai alle allusioni, alle provocazioni o alle domande esplicite. S’infagottava in abiti troppo larghi per lei e si aggrappava al braccio di Blaise Zabini come se fosse un’ancora per salvarsi da quella tempesta che mirava solo a farla affondare.
Asteria Greengrass non lo notava nemmeno, il suo abito, anche lei pronta a focalizzarsi solo sulla presunta gravidanza di sua sorella. Cercava i segni di un aborto, la speranza che fosse stato figlio di Malfoy, uno scoglio per poter fuggire dal fantasma di Fred che la ossessionava. Buffo, che lo vedesse nel fondo degli occhi di Draco o di sua sorella o di chiunque fosse talmente temerario da scrutarla nella sua bellezza fredda, distrutta e poi dispersa.
«Chi ti accompagnerà all’altare?» domandò Daphne, mentre un’Elfa le acconciava i capelli in morbidi boccoli. Sembrava di marmo, lei che aveva pianto per settimane la morte di un padre che non l’amava. Lei che continuava a piangere con cadenza regolare, per la dipartita di un amore che nessuno conosceva.
«George Weasley» sussurrò Asteria, lentamente.
Alla luce filtrata dalle pesanti tende, Daphne cominciò a notare sulla sorella una fragilità che non le era mai appartenuta. Sospirò.
«Devi averlo amato davvero tanto» commentò, facendo mulinare i capelli. «Per volerti portare il suo ricordo anche il giorno del tuo matrimonio».
Asteria sorrise e, per un attimo, anche lei sembrò di pietra anche lei. Ma fu un attimo, perché poi tornò a essere evanescente come un riflesso sull’acqua.
«Sì» mormorò e i suoi occhi già vagavano per la stanza, cercando qualcosa a cui aggrapparsi. «E la tragedia sta proprio nel verbo al passato».
Asteria continuava a guardarsi attorno, quasi come se stesse aspettando qualcuno.
 
Comprese immediatamente che il suo era un limbo senza fine, quando si guardò attorno e comprese che lei non era Daphne: non era in grado di commettere una rinuncia più grande di tutto ciò che aveva perso e del poco che aveva avuto. Era impossibile dimenticare qualcosa che continuava a vivere, sepolto sotto tutto il resto, sotto un’immaginabile cumolo di terra mista a ricordi. E ricordando aveva migliorato la sua memoria imperfetta, convincendosi che nessuno aveva mai amato quanto lei aveva amato Fred – ed è la convinzione di ogni donna che ripensa al suo amore dei quindici anni, le cotte mutevoli e imperfette che lasciano sempre una punta d’amara insoddisfazione – e che nessuno sarebbe mai stato amato da lei alla stessa maniera.
E un po’ ci pensava e un po’ si convinceva sempre di più che effettivamente non sarebbe più riuscita a essere felice, nella sua immaginazione un po’ stereotipata da attrice drammatica.
Asteria Greengrass, a differenza della sorella, possedeva l’ingenuità vagamente irritante di chi continua a convincersi che la felicità sta solo nel passato.
 
La sua mano si serrò attorno al braccio di George Weasley, senza che però lo sguardo serio della sposa potesse posarsi sui capelli rossi o gli occhi azzurri che conosceva troppo bene. Anche se quello che conosceva non era George, ma in George aveva il ricordo della sua tragedia da quindicenne, i resti prosperati nell’assenza del gemello Weasley fagocitato dalla guerra.
«Sono pronta» sussurrò, lisciando con una mano le pieghe del vestito. «Andiamo».
Dietro di sé lasciava un piccolo pezzetto del suo passato, dell’Asteria quindicenne che in pochi ricordavano, se non come macchiolina minuta che si nascondeva fra le pieghe del mantello di Fred Weasley.
La tragedia, però, stava sempre in quel passato: non poteva disfarsene, gettarlo via o ucciderlo. Era tutto per lei.
 
 

***
E vorrei che fosse diverso da ciò che è.
Vi sembra amore, questo?
(Margaret George, “Il re e il suo giullare” – Jane Seymour a Enrico VIII)

 
 
Asteria Greengrass sorrise per tutta la durata della cerimonia e per buona parte del ricevimento. Draco Malfoy sorrideva di meno, ma non si allontanava nemmeno un minuto dalla sua amata consorte. E Daphne Greengrass li seguiva come un’ombra, scortata da un nolente George Weasley.
Uno strano quartetto che si aggirava fra gli invitati, elargendo chiacchiere con una notevole difficoltà.
«Deve amarlo davvero tanto» sussurrò Daphne, avvicinandosi a George. «Per averti voluto qui con lei».
George non rispose subito, ma si prese una manciata di secondi per scrutare attentamente la figura dello sposo. «Devi amarlo davvero tanto» disse, di rimando. «Per lasciarlo andare via in questa maniera. Ovviamente è dato per scontato che i tuoi gusti sono parecchio discutibili, Greengrass».
Daphne sorrise e, inavvertitamente, sfiorò con la punta delle dita quel vuoto che c’era fra la pelle del ventre e la stoffa del vestito.
«Lo ama più di me» disse, alzando le spalle. «Mi è sembrato un motivo sufficiente. O forse sono io che non lo amo abbastanza».
«Vorrebbe che forse diverso da ciò che è» rispose George. «Ti sembra amore, questo?».
Daphne sorrise, alcune parole le s’incastrarono nella gola.
Asteria voleva che Draco fosse un’altra persona.
 
Daphne Greengrass non dava requie a quel suo vestito troppo largo, ogni parola di Malfoy corrispondeva a un movimento secco e nervoso delle sue dita su una stoffa troppo delicata. Draco Malfoy le guardava le dita con una sorta di apprensione malcelata, la fronte accartocciata di fronte a un pensiero che non avrebbe mai potuto rivelare a sua moglie, per non gettare un pugnale in una ferita già aperta: troppe volte si era domandato cosa l’avesse spinto a favorire la minore delle Greengrass alla maggiore, cosa l’avesse gettato in quel matrimonio non desiderato da Asteria. E soprattutto perché, per una volta, avesse deciso di adeguarsi al ruolo di secondo attore, senza rubare la scena al protagonista, adagiandosi nel silenzio che c’era dietro le quinte.
Ogni tanto, saltuariamente, si voltava per incrociare lo sguardo di sua moglie – e Asteria sorrideva, contraendo le labbra per spianarle, mostrando i denti candidi e affilati. I denti di un lupo che contrastavano quella che si palesava come la sua indole dolce e indifesa – e socchiudeva gli occhi, controluce.
A volte chinava la testa e scorgeva solo il profilo affilato di sua cognata, reso tagliente da quella luce poco clemente, reso crudele dal riflesso verdastro che era dei suoi occhi. Qualcuno diceva che le Greengrass si innamoravano una volta sola, nella vita.
E lui, che continuava a osservare Silena Greengrass nel suo lutto senza fine e Asteria avvolta nell’abito da sposa –e il sorriso in mostra e la mano stretta attorno al braccio di George Weasley – pregava che non fosse così. Eppure, mentre socchiudeva gli occhi davanti alla luce del sole e osservava con un vago sorriso la piccola Asteria, i capelli scuri di lei cominciavano a sembrargli biondi come tramonti.
 
 

***
 
La vita, nel complesso, non è mai felice.
Vi sono solo momenti.
(Margaret George, “Il re e il suo giullare” – Maria Tudor-Brandon a Enrico VIII)

 
La vide nuovamente che erano già passati dei mesi, una manciata di tempo inutile che la rendeva sempre più simile a un ricordo sbiadito sul fondo della sua mente.
George Weasley quel giorno non aveva riso, nella quiete artefatta che si respirava al cimitero, ma non aveva nemmeno pianto o parlato. Come una statua di marmo, si era fermato davanti alla lapide di una persona che era come lui ma non era lui – e tornava a perseguitarlo un pensiero vecchio di anni: perché avevano scelto lui? Che meccanismo avevano messo insieme per decidere chi tirar fuori dalla vita, quando loro erano così simili? – e che mai avrebbe rivisto, se non in quelle foto che Molly Weasley continuava ostinatamente a conservare.
Asteria Greengrass, invece, aveva riso con la voce acuta e rotta da tutte quelle lacrime che doveva aver versato. Continuava a giocherellare con l’abito celeste e troppo largo per lei, vagando per tutto il cimitero con quei suoi occhi gonfi e arrossati. Ogni tanto tendeva la mano, in un riflesso assolutamente involontario, cercando di toccare una presenza assolutamente intangibile. Probabilmente, pensò George, sperava di stringere la mano attorno alle dita di un fantasma.
Lo sapeva perché, almeno un po’, si trovava in quel gesto. Perché lui stesso continuava a tendere la mano o a troncare a metà i discorsi, sperando che il suo gemello ridesse con lui e completasse le sue frasi.  Ma non succedeva mai e forse era questo l’aspetto peggiore della morte: l’eternità. La certezza assoluta che Fred non sarebbe tornato.
E George – così come Asteria – era cresciuto, invecchiato, nell’assenza di suo fratello: i legami, a volte esili, stretti a caro prezzo, si erano rinforzati in quella solitudine che Fred aveva lasciato.  E così aveva cominciato a vedere le cose in un modo che gli permetteva di concepire il mondo senza il suo gemello.
Aveva cominciato lentamente a distaccarsi dell’immagine che aveva di sé, solo per adottarne una nuova e forse più veritiera in cui la vita non era per forza completamente felice. Al contrario, aveva stabilito che nel complesso la vita non è mai felice: vi sono solo momenti, attimi che passano e si disperdono in un istante.
Riflettendoci, il suo momento era durato sedici anni, prima di quella pausa ancora più duratura. Quello di Asteria aveva una durata complessiva di due anni, viveva nei ricordi, prosperava in quell’assenza odiosa che l’ossessionava e nell’illusione che ne sarebbe arrivato un altro. Che poi sarebbe passato, come il precedente.
Eppure, si chiedeva George, se sarebbe mai toccato ad Asteria un secondo momento, poiché è insito nella natura umana il continuare a sperare nel meglio. Anche quando il meglio non esisteva e non appariva nemmeno lontanamente tangibile o anche sono raggiungibile.
Perché, sebbene la vita le si stagliasse davanti come un campo intonso e illimitato, sembrava che Asteria Greengrass fosse destinata a vivere con solo quel momento. Era arrivato e passato, spazzato via da un vento inclemente che aveva distrutto tutto ciò che poteva sembrare precario o poco stabile.
Era stato solo un momento che era passato per non tornare più, un’onda che s’infrange su uno scoglio e si placa lentamente.
E George Weasley l’aveva già capito che se un’onda muore sulle rocce poi non torna più indietro e, se un momento passa, non ci sarà mai più.
 

***
 
Dobbiamo rassegnarci a essere ciò che siamo.
(Margaret George, “Il re e il suo giullare” – Enrico VIII)

 
Lo sapevano tutti che la nuova signora Malfoy era finita al San Mungo, in lacrime e con le mani sporche del suo stesso sangue. Draco Malfoy si era fermato solo per sussurrare poche parole a Theodore Nott, che lì lavorava, per spiegargli cos’aveva fatto sua moglie. E poi si era Smaterializzato, socchiudendo appena gli occhi di fronte al sorriso sbiadito di Asteria, senza guardare quei rivoletti di sangue cremisi che le scivolavano addosso come gocce di pioggia.
Theodore Nott era accorso a sorreggere Asteria Malfoy, il volto pallido che risaltava maggiormente nello sfondo asettico dell’ospedale e nel candore nel vestito macchiato di sangue. I capelli castani somigliavano a una colata di rame che scivolava appena oltre le spalle per finire con quei bordi irregolari che erano i segni della guerra contro le fobici da ricamo che aveva trovato in un cassetto, un giorno, un altro di quei giorni in cui non la sfioravano nemmeno i più piccoli frammenti di onde.
Le mise le mani sulle spalle, guidandola verso una camera piccola e anonima, un fiore in un vaso che non le aveva mandato il marito. Asteria Malfoy continuava a stringersi il ventre, cercando i bordi frastagliati di quella cicatrice che non aveva permesso che le fosse tolta. Sorrideva con quell’aria sciocca e un po’ vana e uno sguardo sognante che mal le si addiceva, facendola sembrare come appartenente a un altro mondo. Poi, si scosse dal suo torpore malinconico e chiamò il Medimago.
«Theo?» sussurrò con inaspettata dolcezza. «Il mio bambino sta bene?».
Theodore la guardò con ingenua incredulità, chinando il capo per puntare i suoi occhi in quelli di lei, appena appannati da un velo di lacrime. Sembrava non rendersi conto di quella ferita che si era inferta – quando Draco l’aveva trovata seduta davanti alla specchiera, un pugnale annerito in mano e il ventre illuminato da una candela – sotto gli occhi del suo stesso marito. E lui non sapeva bene cosa dirle – poteva forse ricordarle che suo marito l’aveva raccolta da terra, come un fiore reciso, con una lama conficcata nel ventre per impedire al loro bambino di respirare la prima aria? – per non farla agitare.
«Sì» sussurrò, attento a non lasciar tremare la voce. «Sta benissimo. È un maschietto, ha i tuoi occhi».
«E i capelli?» domandò, inclinando leggermente la testa. «Sono come quelli di Fred?».
Theodore annuì, sbrigativo, senza sapere bene cosa risponderle, quale fosse la risposta corretta da fornirle.
Ma lei aveva già capito e, con le dita, cominciava già a ripercorrere la cicatrice sul ventre: la magia poteva cancellarla, non solo guarirla, ma lei non aveva permesso a nessuno di toccarla lì, gridando che avrebbero sicuramente fatto del male al suo bambino.
«Se n’è andato, non è vero?» disse, in un soffio. «L’ho ucciso io perché non aveva i miei occhi e i capelli di Fred».
Si voltò verso Theodore, in lacrime, aggrappandosi al suo mantello. Piangeva e il suo corpo era scosso da un continuo tremito che sembrava volerla spezzare.
«Perché continua a essere così?» mormorò, affranta. Si stringeva la testa fra le mani, le unghia che scavavano fra i capelli. «Perché continuo a vederlo dove non c’è e sentirlo quando so bene che non tornerà? Perché, Theo, devo continuare a vivere in questo modo?».
«L’hai scelto tu» rispose lui, mentre si avviava verso la porta della stanza. «A volte dobbiamo rassegnarci a essere ciò che siamo».
Asteria sorrise e riprese a percorrere i bordi della cicatrice, sovrappensiero. La porta si chiuse con uno scatto.
 

***
 
Avevo immaginato tutto, nella mia fantasia malata.
Fantasia, che parola potente.
Il re aveva una fantasia per Caterina Howard…
(Margaret George, “Il re e il suo giullare” – Enrico VIII su Caterina Howard)

 
«Ciao».
Il cielo si infranse davanti a quell’unica parola, gli innesti di nuvole si separarono infrangendo quei punti fragili che li legavano insieme, ancora per poco.
Asteria Greengrass si voltò verso quella voce, meravigliata, gli occhi chiari che sembravano riflettere l’incrinatura di quel cielo. Fred Weasley le sorrideva, di quel sorriso ironico che gli illuminava sempre il volto.
«Ciao» sorrise lei, di rimando. «Cosa ci fai qui?».
Lui sorrise e le agitò un dito davanti al naso, con fare divertito. «Veramente» precisò, con aria vagamente pedante. «Sei tu nel posto sbagliato, non so se mi spiego».
Lei scrollò le spalle, perplessa. «Non capisco» mormorò, semplicemente. «Mi dispiace».
«Significa che non sei pronta per restare» spiegò lui, con un tono vagamente malinconico. «Verrà però il momento in cui tornerai qui. Non farlo venire troppo presto».
«Non capisco» ripeté lei, la voce che sconfinava già nell’isteria. «Perché non posso restare?».
«Perché non è questo quello che vuoi» spiegò Fred, sorridendo. «Non vuoi rimanere per sempre nel nulla».
«Voglio restare con te» sussurrò Asteria, tormentando una ciocca di capelli. «Posso?».
«No, non puoi» rispose Fred. Già il cielo cominciava a schiarire, rendendo la visione più debole. «Devi smetterla di guardare indietro».
Ma lei gli sfiorò la mano, prima che tutto il cielo svanisse, trascinando con sé l’ennesimo ricordo indesiderato.
 
Asteria Malfoy si svegliò che era ancora al San Mungo, col respiro affannoso e le mani strette attorno alle lenzuola. Scosse la testa, tentando di mandar via quel sogno che continuava a rimanerle incollato sul fondo della retina. Sospirò.
Era stato solo un momento.
 
Daphne Greengrass trovò sua sorella in lacrime che erano già le due del pomeriggio e i sogni cominciavano già a svanire nel vago alone asettico che era nelle divise delle Medimaghe che continuavano a controllarla, facendo attenzione che il coltello per la carne non scivolasse dentro la sua, di carne.
Piangeva nascondendosi il volto fra le mani e singhiozzava, urlando che aveva immaginato tutto quanto, tutto uno scherzo della sua fantasia malata.
Daphne la guardava – e nei suoi occhi c’erano gli occhi di Fred e il sorriso condiscendente di lei era il suo – e scuoteva la testa – gli stessi capelli rossi.
“Fantasia” era una parola potente, pregna di sottintesi e troppi significati.
Asteria singhiozzava rumorosamente – e scuoteva la testa per vedere ancora quel riflesso rossastro in sua sorella.
Asteria Greengrass aveva una fantasia per Fred Weasley.
 

***
 
Non potevo odiare me stesso per avere scelto.
Scegliere lei significava avere tutto.
(Margaret George, “Il re e il suo giullare” – Enrico VIII su Anna Bolena)

 
E successe che, in un attimo, qualcosa le scivolò addosso – che cos’era: un momento, una fantasia o una maledizione? – e scorreva oltre come un veleno.
 
Guardando oltresi accorse che Fred la stava guardando, con quel sorriso misto di malinconia e compassione che Daphne sfoggiava durante l’orario delle visite.
 
Daphne sembrava come stregata da quel sangue che colava ovunque, partendo dal collo della sua sorellina per riversarsi sul pavimento. La bacchetta le tremava fra le mani, inutile, un bastoncino che non avrebbe inserito pelle al posto del sangue.
 
Lo raggiunse in pochi passi e, per una volta, Fred aveva la consistenza dei vivi e non il colore e l’odore lieve e zuccherato dei fantasmi. Si avvicinò a lui con l’approccio un po’ ingenuo che avevano i bambini con i loro incubi, col terrore di essere svegliati per sentire che arriverà qualcosa di ben più difficile da affrettare.
 
Con un fil di voce, chiamò Theodore Nott, tirandolo per una manica e trascinandolo davanti a quello scempio di sangue e pelle che inzaccheravano il pavimento.
 
Fred le posò una mano sul collo – liscio, intatto: eppure, aveva tagliato proprio – senza dire nulla. Le tese l’altra mano.
Lei aprì la bocca come per chiedere qualcosa, ma uno sguardo le fece intendere che probabilmente quello era il momento.Non poteva tornare indietro, non più, le toccava rimanere con lui in quella memoria artefatta che era stata di un’Asteria ben più giovane.
 
Troppo tardi: era sempre troppo tardi, quando si trattava di salvare qualcuno.
 
La trascinò davanti a una porta nei toni del celeste, sfiorandole con dolcezza le mani, senza parlare: a cosa sarebbe servito chiederle di scegliere?
In fondo, era lì proprio per una decisione.
 
Daphne Greengrass sfiorò i capelli ramati della sorella, prima di correre via, versando stille di acqua e sale che le si spargevano sul volto.
Chiuse la porta.
 
Asteria Greengrass sorrise un’ultima volta, mentre socchiudeva gli occhi e si lasciava una vita dietro le spalle.
 
Come avrebbe mai potuto biasimarla per avere scelto?
 
Fred Weasley le sorrise ancora, seguendola oltre la luce.
 
Scegliere lui significava avere tutto.



Doverosa nota dell'autrice:

Sono secoli che non posto qualcosa in questo Fandom - e quale occasione migliore per propinare a qualcuno l'ennesima Frastoria? - e così ho deciso di postare immediatamente questa shot altamente Angst e altrettando Nonsense. C'è poco da chiarire e, diciamocelo, è tardi e muoio dalla voglia di andare a dormire. Quindi segnaliamo il segnalabile e andiamo tutti a nanna:

Nemmeno a dirlo, le citazioni sono prese dal libro "Il re e il suo giullare" di Margaret George. Leggetelo, è il bene assoluto.

Per quanto riguarda Herbert e Silena, sì, adoro questi nomi per i coniugi Greengrass: qualcuno si sarà forse accorto che li avevo usati in "Ritagli" (a proposito, anche la frase "Qualcuno diceva che le Greengrass fossero in grado di innamorarsi una sola volta" ecc. è presa da lì) e il "Perché i versi parlavano di quello".
Effettivamente come nota è un po' inutile ma, beh, prendetela pure come spam. Non perdo tempo a cercare i link perché, diciamocelo, io sono fondamentalmente contro lo spam e credo fermamente che, se mai qualcuno avesse la curiosità di voler leggere le due sopracitate storie, sarebbe perfettamente in grado di cercare su Google.

Non so quanto ci sia di "sano" in questa storia: una cotta adolescenziale è diventata ossessione e pazzia, non so come ci sono arrivata, magari un giorno chiarirò meglio. Perdonatemi, sto per crollare sulla tastiera - e sono perfettamente consapevole del fatto che è relativamente presto, sì.

Il titolo non ha senso ma, nulla di strano, con i titoli sono una frana.

Possibile OOC di George, non saprei dirlo, a voi il diritto/dovere di giudicare.

La frase "i legami, a volte esili" ecc è liberamente ispirata dalla frase pronunciata da Susie Salmon nel film "Amabili resti".

Niente da dire se non il classico (e odioso): R&R

Bessie
   
 
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