Macchia

Immaginavo le mie compagne di stanza ridere e scherzare sul ponte, immuni ai movimenti dello scafo, alla nausea, all’angoscia che aveva accompagnato me per tutti quei giorni. Karl dovette sorreggermi.
Che si trattasse del caldo, di un mancamento dovuto a camminate troppo faticose, delle fitte lancinanti che mi sopraffacevano quando pensavo a suo fratello Ron, lui era sempre lì ad aiutarmi.
Esitai a lasciargli la mano, non tanto perché sarei rovinata a terra, ma perché mi infondeva un’enorme sicurezza. Avevo il collo e la fronte viscidi di sudore, a tratti non vedevo nulla; ogni volta che prendevo fiato mi sembrava che mi mancasse la terra sotto i piedi. Karl mi strinse tra le braccia, poi mi spinse a sdraiarmi e si sedette al mio fianco, sul bordo della cuccetta.
«Distraimi, ti prego». Un sussurro strozzato, nel quale a stento riconobbi la mia voce.
Sembrò rifletterci un attimo. «Ti ho mai fatto vedere le foto di Macchia?»
Mi mostrò delle foto sul suo telefono: un cucciolo di dalmata sul sedile di un auto, poi che dormiva in giardino, più grande di qualche settimana rispetto alla foto precedente. Continuai a scorrere.
Era immerso nella neve fino alle cosce, sorrideva mentre teneva stretto Macchia - gli occhi fissi nell’obiettivo, le gote arrossate per il freddo pungente. Ron.
Stentavo a credere che lui e Karl fossero fratelli, a volte - si somigliavano moltissimo, fisicamente, ma avevo sempre visto qualcosa di diverso nelle occhiate sprezzanti di Ron, nel suo modo di gesticolare e nel suo incedere… qualcosa che lo allontanava così tanto dalla figura rassicurante di suo fratello.
Non l'avevo mai visto sorridere in quel modo; aveva lo stesso sguardo innocente di Karl, la stessa espressione gentile.
Le gote di Karl erano sempre accese di rosso, dove il sangue scorreva più in superficie; i suoi occhi erano chiari, sinceri. Ron aveva delle iridi nere come macchie di inchiostro, così scure da rendermi incapace di capire cosa pensasse, cosa provasse davvero. 
Mi era diventato impossibile alzare lo sguardo su di lui esattamente un anno prima, quando, dopo il suo ritorno dallo stesso viaggio di istruzione che io e Karl stavamo intraprendendo al momento, avevo scoperto che era stato con un'altra.
Perfino adesso, passeggiando tra le rovine del teatro greco, tra gli stretti vicoli di pietra e le strade inondate di sole, non ero riuscita a non pensare a quei giorni, quando ogni speranza sembrava avermi abbandonata e i miei amici rifiutavano di capire, di ascoltare.
Sarebbe difficile, ora, spiegare ciò che provai; i miei occhi si riempiono di lacrime al solo pensiero, l'anima mi va in pezzi.
Credere che fosse insensibile, incapace di amare, sembrava l'unica strada. Tuttavia, non ci avevo mai creduto fino in fondo; quella foto, per me, fu la prova schiacciante. Stringevo Karl tra le braccia e non riuscivo a smettere di pensarci: Ron aveva uno sguardo gelido, ma non era ghiaccio quello che gli scorreva nelle vene; nel suo petto pulsava un cuore fragile come il mio, gentile come quello di Karl. 

A dire il vero, non sono molto tagliata per le flash esatte, ma ho voluto mettermi in gioco comunque. Forse il risultato non è stato esattamente ciò che mi sarei aspettata, ma spero che piaccia anche così ^^

La protagonista, anche se mai nominata nel testo, si chiama Virginia (in coro: e al popolo?!)

Ah, e ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale xD

(Storia partecipante al Synthesis? In the flash! contest -> http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10639484&p=1)