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Autore: trittico    12/07/2013    1 recensioni
Macchine e cani. un amore, un addio.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Redo

 

 

 

L'uomo automaticamente girò la chiave, con un ultimo sussulto cigolante, il borbottio asmatico del motore si interruppe. Diede una rapida occhiata in giro per l'abitacolo, guardando se avesse dimenticato qualcosa, un gesto che aveva ripetuto chissà quante volte nelle ultime ore. Non c'era più niente, aveva trasbordato tutto nella nuova auto già da due giorni. Sganciò la cintura di sicurezza e andò con mano sicura sulla maniglia dello sportello, ma non aprì, rimase ancora un attimo a guardare quell'ambiente così familiare. Con un sorriso, riandò a tutto quello che era passato li dentro, persone, situazioni. Vide con la mente il giorno che l'aveva comperata, risentì la sensazione di nuovo che aveva colpito tutti i suoi sensi, mentre si sedeva al volante, ricordando la fluidità con cui cedevano i comandi e la progressione di quel motore, allora, silenzioso. Le prime uscite con gli amici, le prime effusioni amorose, “Eh si, ne era passato di tempo!”, pensò trasognato l'uomo. I ricordi emergevano dal pozzo senza fondo della sua coscienza, portando con loro emozioni, suoni, odori. Le corse pazze per la città, con una vera ciurma a bordo, alla ricerca di un buco dove passare due o tre ore a bere e discutere di argomenti saggi e strampalati. Dove la grandezza e l'ingenuità della gioventù si sbizzarrivano in circonvoluzioni fantastiche, senza peraltro alcun costrutto.

Vanessa... ! Quel ricordo esplose come un petardo, procurandogli un'immediata stretta al cuore. Quanto era bella, con il sole negli occhi e i lunghi capelli biondi mossi dal vento, con quel sorriso particolare che aveva subito rapito il suo amore. Ne avevano fatti di chilometri, così, raminghi, senza meta. Con lei conobbe l'amore degli adulti, con lei conobbe il dolore più grande, quando con un bacio sulla fronte la sua amata gli disse addio. La disperazione lo attanagliò per lungo tempo e lo sconforto era aggravato dal fatto che lui non capiva il motivo di quell'abbandono così repentino e inaspettato.

Si consumò nel cercare quali mancanze avesse avuto con lei. Provò a contattarla, ma inutilmente, sparita nel nulla. Poi col tempo aveva capito l'arcano, Vanessa era più grande di lui, non avevano vissuto la stessa infanzia. Da donna stupenda quale era, aveva sacrificato il proprio amore per lasciarlo libero. Libero di creare in futuro una famiglia ed avere la possibilità di invecchiare insieme a una donna che avesse vissuto i suoi stessi miti.

L'uomo omaggiò quel bel ricordo con un bacio carico di gratitudine, lanciato a lei nello spazio e nel tempo.

Diede un colpetto sul sedile a fianco, sollevando una miriade di granelli di polvere che danzarono con il sole nell'aria immobile dell'abitacolo. Qualcosa in quel lento turbinio colpì la sua attenzione inconscia, procurandogli un lieve dolore indefinito, subito sommerso da nuove ondate di ricordi. Le mani periodicamente sporche di grasso, per risanare le ingiurie inferte dalla strada. Amava tuffarsi in quel mondo di metallo tornito, fresato, forgiato; riemergendone con la faccia unta e raggiante, accompagnato dal suono cadenzato delle sistole e diastole di quel gran cuore di acciaio. Poteva ben dire che in tanti anni aveva fatto la conoscenza di ogni singolo bullone di quella vettura, ma non le aveva mai dato un nome. Odiava i vari: “carolina” o simili facezie. Lui, se proprio doveva parlare di lei, l'appellava con un crudo: “pezzo di ferro con quattro ruote”, ma sotto sotto, anche lei aveva il suo piccolo posto in quel grande cuore.

Poi Luisa, il grande amore della sua vita, luce dei suoi occhi. Il viaggio di nozze, strampalato e delizioso. Quella volta pezzo di ferro si era comportata da vera signora, regalando ai due piccioncini, tanti chilometri senza inconvenienti. Con la venuta dei bambini iniziò il declino degli interni. La tappezzeria veniva periodicamente imbrattata da tutto quello che entrava e purtroppo usciva anche, da quei piccoli e volubili stomacini. C'erano macchie di tutti i tipi, dalle più datate a quelle recenti, ognuna con la sua storia, colore e forma. Di nuovo quella sensazione dolorosa fece capolino dalle pieghe dei suoi ricordi. Stavolta non poteva più scappare, lasciò fluire liberamente le immagini che apparivano sul grande schermo magico della fantasia. Quel musotto simpatico e gli occhi felici di un cane scodinzolante, fugarono da lui ogni malinconia. Redo era stato per dodici lunghi anni, il membro più coccolato della famiglia. Un bel meticcio, con molto del pastore tedesco, sveglio e ladro. Aveva cominciato la sua carriera truffaldina, quando, ancora una palletta di peli, nascondeva ciabatte e calzini. Poi aveva continuato con tutto quello che gli capitava a tiro, bastava fosse abbastanza morbido, da solleticargli la vena criminale. Lo vedeva, zuppo fradicio, coperto di fango, dopo una delle sue tante battaglie, raggiante di felicità.

Un colpo di clacson, riportò l'uomo alla realtà e al compito che lo aspettava. Prese i documenti dal bauletto, diede un ultimo colpetto affettuoso sulla protuberanza del cruscotto, che a lui, aveva da sempre ricordato una fronte. Prese coraggio, sentì sotto i polpastrelli, il carico della molla e poi la resistenza decisa del meccanismo di apertura. Quello, con uno scatto, lasciò libero lo sportello di aprirsi nel suo solito modo incontrollato, pericolosissimo per le auto parcheggiate a fianco. Gesti e suoni ripetuti da venti anni, da tanto aveva quella macchina, che ormai aveva compiuto il suo ultimo viaggio. Si diede una stiracchiata e scese dal veicolo, con gesto automatico chiuse la portiera, mentre si incamminava verso il cancello grigio, su cui capeggiava la scritta: ”AUTODEMOLIZIONI”. Ad ornare il cartello, c'era il disegno di una macchinina tutta allegra. L'uomo non seppe trattenere una risata, facendo il collegamento con un altra insegna vista di recente, dove la faccia sorridente di un maiale, faceva pubblicità ad una fabbrica di salumi!

Si avviò verso la casa che fungeva da ufficio, passando tra due file colorate di cadaveri metallici mutilati. Uno lo impressionò molto, aveva un faro penzoloni che lo guardava da un muso da Bulldog, le lamiere contorte avevano disegnato un'espressione truce a quel relitto, “bella foto!”. Prese dalla tasca il telefono e fece vari scatti, “era una bella epoca la sua,” pensò soddisfatto, ”bastava un attimo e avevi subito il risultato. Passati i tempi dei rullini, tank, ingranditori e laboratori di sviluppo.... però” e qui ebbe un moto di orgoglio, “la venticinque ASA professional secondo lui, rimaneva imbattuta.

Poi guardando il retro dell'auto, notò la scritta spavalda, stampata su un adesivo lungo quanto il vetro posteriore che recitava: NO LIMITS. “Mai essere troppo sicuri di sé” ridacchiò divertito l'uomo mentre, arrivato all'ingresso della costruzione, apriva la porta dell'ufficio. Dopo un “buon giorno” di rito, visto che c'erano altri davanti a lui, si sedette su una sedia aspettando il proprio turno. Dopo aver sfogliato distrattamente una rivista, girò con lo sguardo la stanza, soffermandosi sulle solite stampe che si trovano, di solito, nelle solite sale d'attesa, ed ecco, che quel senso di angoscia si riaffacciò in lui. La stanza gli ricordava quella del veterinario. Anche quel giorno stava seduto su una sedia simile con una rivista stretta nelle mani tremanti di angoscia, mentre aspettava il responso del medico. “Tumore al fegato...” disse quello con tono professionalmente comprensivo e continuò: ”viste le condizioni generali molto compromesse.... consiglierei.... “. L'uomo si riscosse da quel ricordo prima che l'emozione gli combinasse qualche brutto scherzo, si alzò e si diresse verso un distributore automatico di bevande, prese un caffè e lo sorseggiò lentamente, guardando fuori dalla finestra. C'era un ragno enorme, madido di olio sporco, che stava fagocitando una povera scocca di automobile, i suoi artigli penetrarono quella pelle metallica, con una facilità impressionante, per poi sollevarla e poggiarla, ormai vinta, su una pila di altre vittime. Si accorse di non poter arginare più i ricordi e le sensazioni che lo stavano travolgendo. Si avviò rapidamente, a testa bassa, verso la porta e uscì all'aria aperta, piena di rumore e nafta. Si diresse verso la moltitudine di carcasse d'auto che circondavano lo stabile e si inoltrò fra di esse, cercando riparo da occhi indiscreti. Poi non si tenne più e usci in un pianto dirotto, aveva rivisto tutta la drammatica sequenza: Redo sdraiato sul tavolo del medico, con lui che lo riempiva di coccole in una nebbia di lacrime; il liquido succhiato dall'ago, il livello che sale nella siringa. Quegli occhi innocenti che lo guardano, forse chissà, capendo. Poi piano piano, il dolore sparire da quel muso di cane, finalmente senza più collare. L'uomo nascosto da quell'intrigo di lamiere, stette ad aspettare che l'emozione si quietasse, non poteva andare in giro conciato in quel modo. Del resto, di tornare in quell'ufficio non se ne parlava. Prese una decisione drastica, si ricompose, asciugandosi gli occhi, uscì da quel labirinto assurdo e si diresse risolutamente verso l'uscita. Varcò il cancello, salì in macchina, prese il telefono e avvisò la moglie del ripensamento, mise in moto quel vecchio rudere asmatico e felice di aver trovato la soluzione giusta, imboccò la provinciale e si avviò verso un fondo di sua proprietà, dove aveva sepolto Redo. Là, avrebbe messo anche pezzo di ferro, dove il tempo avrebbe dissolto entrambi, lasciando solo carbonato di calcio e ossido di ferro.

 

 

 

fine








Commento dell'autore: l'affetto che proviamo per gli esseri e le cose che ci circondano, lo sentiamo in tutta la sua potenza, quando purtroppo, vengono a mancare. E' storia vecchia. Orsù afferriamo l'istante, amiamo senza paura, che tutto passa, solo il Dio alato è eterno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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