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Autore: hold_me_hazza    12/07/2013    1 recensioni
L’anima è ciò che fa di un uomo tale, senza di essa non sei niente. Non sei un uomo. Lui aveva lottato così tanto per riaverla, per riuscire ad appropriarsi di nuovo del simbolo della sua umanità, eppure quando credeva di essere finalmente riuscito a riaverla, scopre che non era così.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Settima stagione
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Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te.

 
Il suo respiro si faceva sempre più veloce e quella forte e salda stretta al petto continuava a opprimerlo, soffocandolo. La bocca aperta, cercando di prendere sempre più aria, che sembrava non bastare mai. Le gambe che gli sembravano improvvisamente diventate di burro e non era sicuro che sarebbero state in grado di reggere il suo peso. Sam si sentiva come se Lucifero fosse riuscito a entrare non solo nella sua testa, ma in ogni angolo del suo corpo, riuscendo a infiltrarsi in ogni anfratto, a soggiogare ogni muscolo, a infettare ogni vena. Sentiva che il diavolo si era impossessato di ogni cosa, che ormai niente era più suo, non gli apparteneva più neanche la propria coscienza, neanche la sua anima.
L’anima è ciò che fa di un uomo tale, senza di essa non sei niente. Non sei un uomo. Lui aveva lottato così tanto per riaverla, per riuscire ad appropriarsi di nuovo del simbolo della sua umanità, eppure quando credeva di essere finalmente riuscito a riaverla, scopre che non era così.
Gli veniva da ridere a volte, per quella situazione. Gli sembrava ironico. Perché la sua anima gli era stata lontana per tanto tempo e ora era finalmente lì, nel suo corpo, dove era giusto che fosse.
Quel calore che aveva provato quando Cass gliela aveva ridata, era stato bellissimo. Come essere scaldati di nuovo dal sole dopo dieci anni di inverno. Eppure era durato un attimo. Giusto il tempo di sapere come sarebbe stato se tutto fosse stato apposto. Poi il gelo lo aveva soprafatto.
Non voleva dirlo a Dean, come si sentiva. Non voleva dirgli che in ogni singolo momento gli sembrava di morire, che sentiva le fiamme dell’inferno bruciargli la pelle, sentiva l’odore di carne bruciata, della sua carne, invadergli le narici, sentiva il dolore delle fiamme su di lui e il gelo di Lucifero che lo congelava dall’interno. Non voleva dirgli che non faceva altro che vedere quegli occhi diabolici, che lo fissavano con odio, con soddisfazione. Si sentiva un animale in trappola e davanti a lui c’era il suo cacciatore. Si sentiva debole, impotente.
Non aveva dormito, quella notte. E nemmeno le notti prima. Il sole sorgeva nel cielo e continuava a scomparire all’orizzonte in un ciclo infinito e lui non dormiva. E mentre le stelle brillavano nel cielo sentiva le urla dei dannati che supplicavano pietà. Sentiva le proprie urla che supplicavano pietà. E mentre il sole spuntava colorando il cielo di rosa, quel colore tenue, quasi tenero, per Sam diventava rosso, nero, diventava profondità e disperazione. E mentre Sam rassicurava suo fratello e Bobby, continuando a ripetere che stava bene e loro continuavano a fingere di credergli, nella sua testa Lucifero lo sottoponeva a torture così terribili che aveva voglia di morire. Aveva voglia di far fermare tutte quelle immagini, quei suoni, quegli odori, quel dolore. Aveva voglia di prendere la pistola di Dean – non la sua, ma quella di suo fratello, perché quella pistola lo aveva salvato tante volte che ormai aveva perso il conto – e spararsi, così da salvarsi. Poi però pensava che, se fosse morto, sarebbe finito di nuovo all’inferno e allora quelle visioni non sarebbero state più ricordi, ma vera realtà. E da lì non avrebbe potuto più salvarsi, né Dean avrebbe potuto salvarlo.
Si dice che i ricordi sono quello che fa più male. Ma si dice anche che senza i propri ricordi non si può andare avanti, che sono loro a formarti.
Sam avrebbe voluto così tanto che tutti i suoi ricordi sparissero. Avrebbe voluto dimenticare tutto. Anche Dean, se fosse stato necessario. “Cosa c’è, Sam? Stai bene?” chiese allarmato suo fratello, vedendo Sam buttarsi sul divano a peso morto, mettendo una mano a coprirsi gli occhi. Sam decise di dirglielo, di rivelargli i suoi pensieri per una volta. “Voglio dimenticare tutto, Dean. Tutto” sussurrò. Non riuscì a dirlo a voce alta, perché ormai si sentiva così stanco che non riusciva neanche a parlare, la gola gli bruciava a causa di tutto quel peso nella sua testa.
Dean lo guardò e gli sembrò di essere tornato a tanti anni prima. A quando loro erano piccoli e Sam aveva paura. Con il tempo quella paura non era andata via, ma avevano imparato a gestirla e ora non si ripresentava più a torturarli. O almeno era così, prima che Lucifero incasinasse la testa di suo fratello.
Dean si sedette sul divano accanto a lui. In quel momento Sam gli sembrò così piccolo, nonostante la sua stazza, e così fragile, che gli sembrava di avere davanti Sam bambino. Avrebbe voluto abbracciarlo o almeno passare una mano tra i suoi capelli lunghi, per dirgli che lui c’era, che era lì con lui, che non sarebbe andato da nessuna parte, ma non lo fece, non lo faceva mai. Così come ogni volta unì le mani tra loro e non lo toccò.
“Non puoi dimenticare tutto” disse, sfiorando con un ginocchio quello del fratello. Sam sospirò e buttò la testa all’indietro “Lo so. È impossibile dimenticare” disse, con un filo di voce. “No” lo riprese Dean “Intendo dire che non puoi dimenticare perché ci sono delle cose che devi assolutamente ricordare” disse.
Sam riaprì gli occhi e lo guardò incuriosito, ma non disse niente. Dean fissò lo sguardo negli occhi persi e stanchi di Sam, cercando di ignorare il girone scuro delle occhiaie che li circondava. Ormai quel verde che prima brillava vivace, era solo un lontano ricordo, ormai sbiadito e opaco.
“Ricordi quando hai visto la neve per la prima volta? Eravamo a Rockford, in Illinois e avevi circa cinque anni.” disse Dean. “Te lo ricordi?” ripeté la domanda, considerando che Sam non si decideva a rispondere e continuava a fissarlo con uno sguardo perso, spiritato.
 
Escono di casa e una luce bianca li investe, costringendoli a socchiudere gli occhi. È la prima neve dell’inverno e sembra tutto così perfetto, come se ogni cosa fosse destinata a vivere eternamente in quella purezza e lucentezza. Dean sente suo fratello ridere e pensa che era passato tanto tempo da quando aveva riso in quel modo, in quel modo così vero, così volta lo sguardo verso Sam, che non appena aveva aperto la porta si era fiondato nella neve a giocare. È bellissimo.
È steso su quel manto bianco e muove le braccia e le gambe a formare un angelo. Il volto assorto verso il cielo, che in questo momento è di un azzurro così limpido da sembrare dipinto ad acquarello. Quando si accorge che il suo fratellone lo sta fissando si mette seduto e gli regala uno di quei suoi perfetti sorrisi, quelli in cui sembra finalmente un bambino normale, con tanto di fossette. È un sorriso vero, che comprende anche gli occhi, le guance, i denti, il cuore. È così bello che Dean è quasi geloso. Perché lui non riesce più a sorridere così. I suoi occhi verdi in questo mondo tutto bianco risaltano come animati di vita propria. Vedere il suo fratellino lì, tra la neve bianca, con quel sorriso felice stampato sul volto, gli fa avere un tuffo al cuore e per un attimo non riesce a respirare. Poi si butta addosso a lui e cominciano a rotolarsi nella neve, felici.
Sam e Dean vorrebbero che quel momento non finisse mai. Che non arrivasse mai l’estate. E che tutto rimanesse esattamente così. Bianco, puro, immacolato. Forse perché nelle loro vite c’è così tanta oscurità e paura che quella neve bianca per loro è il paradiso. È soprattutto dalla paura che quei due bimbi vogliono scappare. Perché non c’è stato un solo giorno, non uno, in cui Sam e Dean non abbiano avuto paura. Poi però si guardano e pensano che nonostante le loro vite siano impossibili da sostenere, il solo avere accanto a loro l’altro, li rende felici.
 
“Ti ricordi come ti sentivi in quel periodo?” gli chiese ancora Dean. “Avevo paura” sussurrò Sam, ancora quegli occhi spiritati, vuoti. “E ti ricordi come ti sei sentito quando siamo andati a giocare nella neve?” chiese Dean, con una voce tranquilla che non gli apparteneva, come se stesse parlando con un bambino e stesse cercando di convincerlo che non c’era nessun mostro sotto il letto. “Bene. Mi sono sentito bene. E felice” rispose. Dean annuì con la testa, come se Sam avesse appena risposto in modo corretto ad un quesito di matematica, poi afferrò le due bottiglie di birra sul tavolino di fronte a loro e ne porse una a Sam. “Devi mantenerle, quelle emozioni. Devi tenerle bene a mente, per poter capire cosa vuoi” disse. Sam lo guardò confuso e “Cosa voglio?” gli chiese, come se Dean fosse a conoscenza di chissà quale segreto. “Stare bene” disse lui semplicemente. “Ed essere felice”. Sam annuì, come se avesse capito tutto. Poi Dean ricominciò a parlare “E ti ricordi che è successo dopo?”
 
È alto un metro, quel pupazzo di neve che stanno costruendo. Più alto di Sam.
Sam si impegna con tutto se stesso per fare sempre più grossa quella palle di neve che deve essere la testa e poi Dean la posiziona sopra il busto. Hanno usato un vecchio berretto di Bobby per il loro pupazzo e una sciarpa di loro padre. Dean guarda Sam sistemare la carota che sarebbe dovuta essere il naso e sorride e pensa che forse non è poi così male, il suo fratellino. Che non è solo un bambino che piange e si lamenta e che non è una noia. Si sente bene in quel momento, come se la neve fosse riuscita a donargli una sensazione soffice e ovattata di beata felicità. Dean spera che sia così anche per Sam. Ed è così, fino a che loro padre li chiama.
I loro nomi riecheggiano nel silenzio di quello spazio bianco e un respiro affannato si avvicina. “Sam! Dean! Quante volte vi devo dire che non dovete allontanarvi dalla vostra stanza!?” li sgrida John Winchester. Sam guarda suo padre con quei suoi occhi enormi e luminosi, un po’ lucidi ed esclama “Ma papà! C’è la neve!” come se questo potesse spiegare tutto. John guarda i suoi due bambini, poi sospira e li lascia giocare.
 
Sam sorrise, ricordando il padre che giocava con loro, per la prima volta. Non lo aveva mai fatto, John. Ma quel giorno, non ci fu nessuna lezione su come sparare, far perdere le proprie tracce e combattere a mani nude. Quel giorno c’erano solo loro. Sam avrebbe rcordato per sempre quel giorno come il più bello di tutti. Dean ricordava anche la sgridata che loro padre gli fece quando Sam si fu addormentato, ma questo non aveva intenzione di dirlo.
Dean si era preso ogni rimprovero, per Sam. Lo aveva difeso in ogni modo, gli era stato accanto, lo aveva protetto e non importava che Sam se ne era andato per frequentare Standford. In cuor suo, Dean sapeva quanto il suo fratellino ci tenesse a lui. Aveva un unico rimpianto: non poterlo salvare anche questa volta. Ma una cosa la poteva fare, stargli accanto.
“Devi tenerli questi ricordi. Non puoi assolutamente dimenticarli” disse allora Dean, senza guardarlo negli occhi e con un’espressione seria. “Si” rispose semplicemente Sam. Dean rise, divertito ma anche preoccupato per l’atteggiamento dell’altro. “Da quando tu mi rispondi solo ‘si’? Andiamo Sammy, puoi fare di meglio!” esclamò il maggiore.
E fu in quel momento che Sam si sentì davvero meglio. Fu in quel momento che gli sembrò di riavere davvero il controllo della sua anima. Fu quando suo fratello lo chiamò ‘Sammy’.
Un dolce calore sembrò riscaldarlo dall’interno, sciogliendo il ghiaccio che Lucifero aveva creato intorno al suo cuore. Era un calore familiare. E ciò che è familiare ci fa sempre stare bene.
Sam sorrise e stavolta sorrise veramente. E Dean credette davvero di riavere di fronte il suo fratellino di cinque anni che giocava con la neve.
“Grazie” disse Sam, con la voce che era un fremito. Dean fece solo una smorfia che poteva voler dire tutto o niente, poi si alzò e lo lasciò solo.
Sam osservò la figura sicura di suo fratello attraversare la stanza e gli tornarono in mente tutte le volte che Dean l’aveva salvato, tutte le volte che quelle spalle lo avevano protetto. Sapeva che ora si sarebbe dovuto salvare da solo, ma sapeva anche che non era davvero solo, perché Dean ci sarebbe sempre stato.
Ancora una volta la figura di Lucifero gli si presentò davanti, sicura di sé, strafottente, imperdonabile. Sam lo vedeva avvicinarsi a passi lenti, senza fretta, come se avesse tutto il tempo del mondo per farlo impazzire. Poi a Sam tornò in mente una frase che suo padre gli disse un giorno, prima di passargli la sua pistola tra le mani, mentre un Mutaforma si contorceva di fronte a loro. “È così che si combattono i mostri: lasci che si avvicinino a te, li guardi fissi negli occhi e poi colpisci.” poi John Winchester spinse il dito di suo figlio, in modo che sparasse.
Sam decise di aspettare che Lucifero si avvicinasse, che arrivasse fino a lui. Per poi colpire.
 
   
 
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