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Autore: Givy_    13/07/2013    0 recensioni
"Si dice che, ad ogni nevicata, la Volpe Bianca si aggira nel bosco e assale gli imprudenti."
Cominciavo a pentirmi di aver scelto di perlustrare il bosco d'inverno e mi tornò in mente il pensiero della Volpe Bianca.
Inizialmente mi spaventai, pensando che sarei stata divorata dalla misteriosa entità della leggenda; poi mi calmai. Pensai che la Volpe Bianca non era malvagia come tutti dicevano, sapevo sin da piccola che non era così.
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si dice che, ad ogni nevicata, la Volpe Bianca si aggira nel bosco e assale gli imprudenti.
Sin da piccola ero affascinata dalla sua leggenda ed ero sicura che un giorno l'avrei incontrata, senza essere uccisa. Tutti mi dicevano che ero ingenua e masochista. E tutt'ora mi definiscono così, anzi i miei coetanei mi danno anche della infantile, poiché credo ancora a queste leggende. Ma non ho mai visto alcuno di loro tentare di entrare nel bosco in un giorno di neve come io, invece, feci.
 
Il cielo era grigio e spolverava leggeri fiocchi di neve sui tetti aguzzi delle case, sui pendii delle montagne e sul bosco, già innevati dalle forti nevicate dei precedenti giorni. Osservavo i fiocchi cadere leggeri sull'uscio della mia casa, ancora tremante e indecisa. Alcuni si appiccicavano sui miei lunghi capelli corvini, altri mi sfioravano il viso ovale  e delicato, quasi bambinesco, facendomi rabbrividire. Il gelo colorava di rosso le mie guance, il mio piccolo naso all'insù e le mie labbra sottili e il candore che mi circondava faceva brillare i miei grandi occhi dorati di meraviglia.
«Non avevo mai visto una nevicata così bella...» mormorai, alzando una esile mano per raccogliere qualche fiocco, osservandoli cadere lentamente fino a posarsi sul mio palmo, candido quasi come la stessa neve. Alzai poi lo sguardo: davanti a me il bosco sembrava invitarmi ad entrare e quasi mi sembrava di sentire la voce cristallina e ipnotizzante di una donna cantare, mentre soffiava un leggero vento facendo danzare i miei capelli sottili. Feci un profondo resprio, presi coraggio e feci qualche lento passo affondato nella neve che, in quel momento, mi arrivava quasi a metà del polpaccio.
Dopo qualche minuto arrivai al confine del bosco, dove la neve aveva coperto quasi metà delle mie esili gambe, arrivando fino a poco sotto le ginocchia. Ero davanti a quel bosco che esploravo ogni estate, primavera e autunno, che quasi conoscevo come il palmo della mia mano, che nelle altre stagioni non avrei esitato a perlustrare. Ero ferma lì, vicino alla quercia secolare con inciso sul tronco il nome del mio villaggio. Era quasi irriconoscibile, con quei secchi rami ricoperti di bianca neve. Sfiorai la corteccia dell'albero, accarezzando il nome del villaggio e registrando quel tocco nella mia mente, chiudendo gli occhi e facendo un lungo e profondo respiro. Una parte di me aveva paura di non tornare indietro, quella parte che mi spinse a fare quel gesto simbolico, un addio a ciò che mi era di più caro e prezioso.
Dopo questo rito, feci qualche timido passo all'interno della radura. Mi apparve spoglia e triste, ma incredibilmente incantevole. Non era il bosco dell'autunno, della primavera o dell'estate. Non era quel bosco. Non potevo credere fosse lo stesso. Mi sentivo sperduta in quella che consideravo la mia seconda casa. A bocca aperta, scoprivo quella verde macchia che non mi sarei mai immaginata di trovare così, che pensavo sarebbe rimasta la stessa: guardavo i neri rami secchi che si reticolavano sopra la mia testa, in un intreccio fantasioso e quasi inquietante, trovando figure di animali, volti e immagini che i boschi che conoscevo non avrebbero saputo regalarmi; osservavo come magnifico e misterioso appariva il candore di quel bosco sommerso dalla neve, dove i tronchi dei rami non si distinguevano bene nemmeno dal terreno roccioso e innevato; non avvertivo nessun odore dei tre boschi che la mia mente conosceva, solo un odore fresco che mi faceva rabbrividire ogni volta; non sentivo lo stesso tocco delle cortecce degli alberi che pensavo di conoscere, solo una gelida superficie che mi faceva tremare dall'emozione.
Mi ero inoltrata sempre di più nel bosco, ipnotizzata e guidata dal susseguirsi di emozioni e sensazioni che quello spettacolo affascinante mi donava, fino a quando non mi resi conto di essermi davvero persa. Mi guardai attorno e la bellezza di prima ora mi smarriva, mi confondeva, mi intimoriva. Cominciai a correre goffamente qua e là, cercando di ripercorrere i miei passi, ma quello che ottenni fu solo una confusione e una paura maggiore. Avevo le lacrime agli occhi e cominciavo a pentirmi di aver scelto di perlustrare il bosco d'inverno. Così mi tornò in mente il pensiero della Volpe Bianca.
Inizialmente mi spaventai, pensando che sarei stata divorata dalla misteriosa entità della leggenda; poi mi calmai. Pensai che la Volpe Bianca non era malvagia come tutti dicevano, sapevo sin da piccola che non era così. Mi accucciai ai piedi di una betulla, rannicchiandomi per non avvertire il freddo che cominciava a pungere, incrociando le braccia sopra le ginocchia e affondando tra esse il viso. Una lacrima mi rigò le rosee guance e mi liberò dalla paura; in quello stesso istante sentii di nuovo quel canto che mi era sembrato sentire prima di inoltrarmi nel bosco.
Quel canto, questa volta, era più forte e vicino. Cominciai a seguirlo, nella speranza di trovare qualcuno, nella speranza di trovare magari la Volpe Bianca. Scivolavo sulle rocce e inciampavo sugli arbusti nascosti dalla neve continuamente, ma proseguivo l'inseguimento di quella melodia e proprio quando quel canto si era fatto più forte e vicino, si fermò.
Ero arrivata al centro di una specie di piccola pianura all'interno del bosco, di cui non ricordavo l'esistenza nemmeno nei boschi delle altre stagioni. I miei respiri affannati formavano leggere nuvole di aria condensa e sentivo le guance bruciare. «Dove sei?!» esclamai, guardandomi attorno alla ricerca di qualcuno o qualcosa. Le lacrime, di nuovo, mi offuscavano la vista. «Mi hai guidata tu fino a qui! Perché ti nascondi ancora, Volpe Bianca?!» continuai, gridando ancora più forte e lasciando andare qualche lacrima.
«Sono qui» disse poi una voce femminile, severa ma dolce, proveniente dalle mie spalle. Sgranai gli occhi. Non avevo il coraggio di girarmi, mi vergognavo e mi chiedevo che cosa avessi potuto fare. La Volpe Bianca rise dolcemente. «Prima mi cerchi e ora non mi vuoi?» disse, ridendo. Poi proseguì, questa volta con un tono severo e aggressivo. «Sei come tutti gli altri.»
Mi voltai subito, esclamando «No, ti prego, non farmi del male!» Avevo gli occhi chiusi e le mani davanti alla bocca, chiuse anch'esse. Tremavo come una foglia, non per il freddo ma per la paura. Aprii lentamente gli occhi e, davanti a me, vidi delle grandi scaglie di ghiaccio appuntito a pochi centimetri dal mio corpo. Mi spaventai e feci qualche passo indietro, cadendo sulla soffice neve. Subito quelle scaglie si ritirarono e, al loro posto, apparì una splendida giovane donna. Aveva lunghi capelli bianchi dai riflessi argentati, la sua pelle era bianca come la neve e i suoi grandi occhi dorati splendevano di luce. La donna fluttuava leggermente distaccata da terra, mentre le sue vesti bianche e argento e le lunghe ciocche di capelli dello stesso colore ondeggiavano come se fossero sott'acqua. La mano sottile e vellutata della donna mi sfiorò il viso, con un tocco leggero e delicato, mentre mi osservava in modo curioso, piegando la testa a volte a destra, altre a sinistra, e i suoi lunghi e fluttuanti capelli seguivano i movimenti del capo come i tentacoli di una medusa. «Era da molto che... non vedevo un umano da così vicino.» mormorò la Volpe Bianca, avvicinando il viso al mio e praticamente mettendosi sdraiata qualche centimetro sopra di me, analizzandomi con il suo sguardo dorato che sembrava quasi infantile. Allora l'entità notò un dettaglio nel mio corpo, una piccola cicatrice sulla mano destra a forma di fiocco di neve, e si buttò all'indietro, tornando in piedi e guardandomi con un'espressione sbalordita e incredula.
Mi alzai a mia volta, un po' perplessa, e osservai quel piccolo dettaglio sulla mia pelle. «Da quanto hai quella cicatrice?» mi domandò la Volpe Bianca, quasi balbettando tenendo una mano vicina alla bocca dalle labbra sottili, semiaperta. «D-da quando sono nata, signora.» mormorai, stringendomi timidamente nelle spalle. La Volpe Bianca si avvicinò a me. «Tua madre sa che sei qui?» chiese ancora, con tono misterioso. Abbassai lo sguardo e diventai probabilmente paonazza. «Io... non ho una madre.» mormorai, accennando ad un sorriso nervoso. A quella risposta la Volpe Bianca si illuminò di una gioia che non compresi, anzi quasi mi offese. Poi, improvvisamente, mi abbracciò. «Da quanto aspettavo questo momento! Perché non sei venuta prima a cercarmi?!» esclamò l'entità, con la voce rotta dai singhiozzi del suo pianto. «Ti ho aspettato per così tanto tempo, sai?»
Non capivo. Ero completamente confusa. «Mi scusi, signora. Perché mi stavate aspettando?» domandai. La Volpe Bianca, con le lacrime agli occhi, mi prese il viso tra le mani gelide, ma dal tocco dolce e delicato. Si guardò intorno per un attimo per poi tornare a guardarmi negli occhi. Mi persi qualche istante nello splendore del suo sguardo. Una lacrima le rigò il viso pallido e splendido e si trasformò in fiocco di neve quando abbandonò il suo piccolo mento delicato. «Nevicava così anche il giorno in cui sei nata...» mormorò l'entità. Continuavo a non capire. La Volpe Bianca quindi mi strinse in un tenero abbraccio e cominciò a cantare con la sua voce soave una melodia simile ad una ninnananna che mi sembrava stranamente familiare. Mi addormentai, piano piano, tra le sue braccia, ora tiepide, e cullata dal suo canto celestiale.
Quando mi risvegliai ero ai piedi della quercia della città e tra le mani stringevo un carillon dove, sul coperchio, era incastonato uno zaffiro a forma di cristallo di neve. Aprii il carillon e nello stesso momento si alzò un fresco vento che mi investì, portando il canto del bosco. In quell'istante si attivò il carillon, che cominciò a suonare la ninnananna della Volpe Bianca, mentre dei cristalli di neve roteavano e danzavano a tempo sul dischetto del carillon. Al termine della melodia, dal carillon spuntò un cassetto con all'interno un biglietto con su scritto:
"Il mio ricordo giace nella tua pelle, nella tua mente e nel nostro segreto.
Addio, figlia della Volpe Bianca. Addio, figlia mia."
  
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