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Autore: marthiachan    13/07/2013    4 recensioni
"Ho deciso di mettere per iscritto ciò che mi è successo al mio ritorno a casa. So di scrivere in maniera confusionaria, ma purtroppo devo seguire il filo dei miei pensieri, e il mio blogger ufficiale non deve sapere nulla di questo scritto sino a che non sarò pronto a consegnarglielo.
Nonostante le mie palesi difficoltà nello scrivere in maniera lineare, mi sforzerò di farlo e sarò completamente sincero su tutto. O, almeno, farò del mio meglio."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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- Questa storia fa parte della serie 'Sherlock's Diary'
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Ciao!
Scrivo per la prima volta su Sherlock e spero di non fare troppo schifo.
Racconto post-Reichenbach, narrato in prima persona dal nostro amato Consulting Detective. Non ci sono spoiler, anche perchè non ne conosco, ma ci sono delle piccole indiscrezioni trapelate durante le riprese della terza stagione. Nulla di drammatico, comunque. Il look di John o il nuovo violino di Sherlock non credo siano considerabili come spoiler.
Per il resto mi sono affidata un po' ai libri del caro Sir Arthur e molto alla mia fantasia.
Se ho scritto delle assurdità, vi prego comunque di perdonarmi.

Tornare a casa


Tre anni.

Per tre anni ho vagato per il mondo, per estinguere anche la più piccola connessione con l'uomo che voleva distruggere me e tutti coloro a cui tengo. È stata un'impresa ardua, prima fingere la mia morte e poi nascondermi per così tanto tempo, sapendo che le persone a me care andavano avanti con la loro vita senza di me.

Ovviamente, in tutto questo tempo mi sono tenuto informato su di loro. Ho fatto tutto questo per gli unici amici che io abbia mai avuto in tutta la mia vita, quindi non ho mai avuto intenzione di disinteressarmene all'improvviso solo perché sono apparentemente morto.

Ho deciso di mettere per iscritto ciò che mi è successo al mio ritorno a casa. So di scrivere in maniera confusionaria, ma purtroppo devo seguire il filo dei miei pensieri, e il mio blogger ufficiale non deve sapere nulla di questo scritto sino a che non sarò pronto a consegnarglielo.

Nonostante le mie palesi difficoltà nello scrivere in maniera lineare, mi sforzerò di farlo e sarò completamente sincero su tutto.

O, almeno, farò del mio meglio.


Prologo


So cosa dicono di me, so cosa pensa la gente. Credono che io sia uno psicopatico incapace di sentimenti umani.

Tralasciando il fatto che casomai sono un sociopatico, in realtà io sono perfettamente in grado di provare sentimenti, ma non so esternarli, non ne sono mai stato capace.

Forse è a causa della mia famiglia, del modo in cui sono stato cresciuto.


I miei genitori non erano persone espansive. Non avevano l'abitudine di abbracciarmi, coccolarmi o vezzeggiarmi in alcuna maniera. Loro erano sempre assenti e si erano presi la briga di assumere governanti, bambinaie e istitutrici dai metodi freddi e sbrigativi come i loro.

Mio fratello, di diversi anni più grande di me, non era mai a casa in quanto iscritto a uno dei più prestigiosi collegi privati, se non per le feste comandate. In quelle occasioni tendeva a rinchiudersi nella sua stanza con qualche gigantesco tomo da leggere. Generalmente prediligeva le biografie di grandi condottieri e statisti e aveva una passione per Niccolò Macchiavelli. Già da questo indizio si può capire che genere di uomo sia diventato.

Emergeva dalla sua camera solo per i pasti che erano obbligatoriamente da consumare tutti insieme nella sala da pranzo. In realtà, non mi è mai stato chiaro il perché, visto che nessuno di noi rivolgeva la parola agli altri. Persino il rumore delle posate nei piatti era ridotto al minimo in modo da evitare di invadere eccessivamente la privacy altrui.

In occasione del Natale o del mio compleanno, ricevevo il massimo dell'espansività da parte dei miei genitori, una pacca sulla spalla da parte di mio padre, una mano di mia madre fra i capelli a imitare una carezza, un regalo e un “Auguri giovanotto!”.

Per mio fratello era lo stesso, quindi non ho mai pensato mi venisse fatta una ingiustizia. Non ho mai creduto di essere trattato in maniera anomala sino a che non mi sono confrontato con altre persone.

Non avevo intorno nessuno della mia età con cui socializzare. Studiavo a casa e non avevo parenti o amici con cui passare il tempo ma, come ho detto, non pensavo ci fosse nulla di strano. Tutta la mia famiglia sembrava non patire la solitudine.

Inoltre, io non ero un bambino normale. Il mio alto quoziente intellettivo richiedeva di essere costantemente appagato. In pochi anni lessi tutta la vasta biblioteca di mio padre che conteneva centinaia di libri, per lo più di tipo scientifico, che affrontavano i temi più disparati, dalla chimica inorganica alla fauna dell'Amazzonia.

Quando, all'età di dieci anni, fui mandato nello stesso collegio privato di mio fratello, ebbi il mio primo scontro con il mondo.

Erano tutti così stupidi e rumorosi, nessuno rifletteva, nessuno si comportava nella maniera più logica, nemmeno gli insegnanti. Era evidente che io ne sapessi più di loro e che non avevo alcun bisogno della misera istruzione che potevano darmi, ma loro si ostinavano a ignorarmi. Arrivavo alla conclusione dei compiti assegnatami in tempi da record ed erano sempre perfetti, ma gli insegnanti mi guardavano con sufficienza e commentavano “Non male.” Era evidente che la mia mente superiore e la mia istruzione personalizzata li irritavano, facendogli percepire la loro mediocrità, e reagivano punendomi invece che premiandomi. Idioti.

I miei compagni non erano da meno. Mi odiavano perché il mio cervello era palesemente superiore alla materia grigia che giaceva inutilizzata nelle loro scatole craniche, e non mi facevo scrupoli di dire quello che pensavo, né fingevo di interessarmi minimamente a loro. In breve, passai l'adolescenza solo, bistrattato e ignorato da famiglia, insegnanti e compagni di scuola.

Non ho mai avuto un amico in tutti quegli anni.

Ero spesso vittima dei bulli, così mi iscrissi alle lezioni di boxe, diventando piuttosto bravo in brevissimo tempo, ma iniziai a interessarmi anche alle altre forme di lotta e presto creai un mio modo di combattere che era una fusione di tutte le discipline conosciute, e che quindi esulava dalle regole di qualunque di esse, costringendomi ad abbandonare anche la boxe dopo pochi mesi.

Non che mi dispiacesse. L'istruttore mi odiava come tutti gli altri dopo che lo avevo messo al tappeto e gli avevo spaccato uno zigomo, e neanche durante quell'attività extrascolastica ero riuscito a farmi degli amici, ma almeno avevo imparato a difendermi.

Passai tutti quegli anni tra la biblioteca e la placida osservazione degli esseri umani che mi circondavano. Non mi interessavano loro, non veramente, ma la storia che raccontavano. Ogni macchia tralasciata, ogni scarpa impolverata, ogni profumo intenso, mi diceva di loro più di quanto avrei potuto apprendere durante una lunga chiacchierata. All'inizio era un gioco, ma mi resi conto che ero davvero bravo perché tutti restavano esterrefatti dalle mie conclusioni. Per me era tutto così ovvio che mi annoiavo a doverlo spiegare.

Gli anni passarono in fretta e dal collegio privato passai all'università, sempre mantenendo il mio isolamento e ampliando le mie capacità di deduzione. Il giorno della consegna della laurea partecipai perché costretto, dal momento che per me era solo un foglio di carta che non aveva valore visto che mi era stato consegnato da persone mediocri e con un quoziente intellettivo che rasentava lo zero. I miei genitori presenziarono e mi regalarono un altro dei loro gesti di massimo affetto, l'ennesima pacca sulla spalla.

Appena terminata la cerimonia, raccolsi le mie cose e partì. Passai alcuni anni in giro per il mondo, sempre solo. Imparai moltissimo in quel periodo, sia su me stesso, sulle mie capacità ed esigenze, sia sul mondo e sugli esseri umani, ma quando tornai a Londra ero ancora un uomo estremamente solo, che non aveva mai avuto un amico in tutta la sua vita.

In quegli anni avevo anche sviluppato delle dipendenze per acquietare la mia mente sempre in subbuglio come una scheggia impazzita, ma all'epoca del mio ritorno in patria ero completamente pulito.

In seguito, ricaddi spesso nel baratro delle dipendenze, soprattutto nei momenti di noia.

In quelle occasioni la mia famiglia, nella persona di mio fratello Mycroft, si sono occupati di “riportarmi sulla retta via”, costringendomi a disintossicarmi. Non che ce ne fosse bisogno in realtà. Mi bastava un mistero, un caso complesso a cui pensare e non avevo bisogno di nient’altro.

Anche per questo motivo, decisi di dedicarmi a ciò che sin dalla più tenera età mi aveva affascinato, la lotta al crimine. Inizia con poco, piccoli casi di cui leggevo sui giornali, e mandavo delle segnalazioni a Scotland Yard per aiutarli. Quando per diverse volte le mie segnalazioni avevano dato dei risultati anche nei casi più difficili, il mio nome cominciò a divenire noto tra gli agenti.

Fu così che conobbi Lestrade.

Greg Lestrade è un uomo con un intelligenza nella media, istruito e che mette molto impegno nel suo lavoro, ma purtroppo non ha immaginazione. È come se avesse i paraocchi. Sino a che un evento non gli viene mostrato e spiegato, non riesce vedere gli innumerevoli indizi presenti. Con il mio aiuto ha risolto decine di casi e, anche se non lo ammetterà mai, è a me che deve la sua promozione.

Non che io pretenda riconoscimenti. Io faccio il mio lavoro perché mi affascina non per la fama o il denaro. Grazie ai miei genitori non morirò mai di fame e, se solo volessi, mio fratello mi procurerebbe un impiego al governo su due piedi.

Nel periodo in cui conobbi Lestrade, iniziai a frequentare il Barth's. All'inizio ero riuscito a sfruttare le debolezze di un vecchio coroner ubriacone e con l'abitudine di addormentarsi sul posto di lavoro per entrare nei laboratori e fare gli esperimenti che più mi aggradavano. Quando lui andò in pensione dovetti trovare un altro modo, o meglio un altro mezzo.

E lo trovai in Molly Hooper.

Molly aveva all'incirca la mia età, era diventata patologa perché aveva difficoltà a relazionarsi con gli altri, ma con i cadaveri era molto precisa ed efficiente. Notai che mi osservava nella mensa dell'ospedale e riconobbi in lei immediatamente i sintomi di una cotta adolescenziale. Non che lei fosse un'adolescente, ma probabilmente era sentimentalmente a quel livello. Io, d'altronde non potevo certo giudicare dal momento che non mi ero mai preso la briga di analizzare il mio livello sentimentale, ma questo è un altro discorso.

Ricordo che mi avvicinai a lei con una scusa, le feci qualche complimento da poco e lei arrossì. Quando le chiesi se potevo usare il suo laboratorio annuì sorridendo. All'inizio cercai di farle credere che le mie visite fossero casuali e che io in realtà fossi un ricercatore, ma presto capì che il mio interesse era specifico per i casi criminali. D'altronde non era certo stupida, forse sciocca e superficiale, timida e introversa, ma non stupida. Il suo quoziente intellettivo era sicuramente più alto di tanti altri con cui avevo avuto la sfortuna di imbattermi.

Il fatto di aver capito i miei scopi, però, non le creò problemi, anzi la rese persino più disponibile. Probabilmente credeva di diventare così una sorta di mia aiutante e quindi di avere un po' di merito nel successo del mio lavoro. Io glielo lasciai credere, in fondo non mi importava. Per quanto riguardava la sua cotta adolescenziale, la sfruttavo quando dovevo chiederle dei grossi favori, per poi chiarire la mia opinione con i miei commenti rudi e sinceri su di lei e il suo aspetto.

Probabilmente in alcuni momenti mi ha odiato, ne sono certo.

La mia vita scorreva tra indagini solitarie e momenti di noia, quando incontrai John Watson.

Volevo trasferirmi da Mrs. Hudson ma, anche se lei mi faceva un grosso sconto, non potevo e non volevo pagare così tanto d'affitto. Il mio lavoro non era sufficientemente stabile e non intendevo chiedere denaro alla mia famiglia perché questo avrebbe significato dover parlare con loro. D'altra parte non volevo abitare in periferia. È in centro che il crimine dilaga.

John fu un dono del cielo. Anche lui aveva bisogno di un'abitazione a Londra che non prosciugasse la sua pensione. Quando lo vidi la prima volta, capì subito che sarebbe stato un buon coinquilino, anche se probabilmente io non sarei mai stato altrettanto per lui, ma era chiaramente una persona paziente e questo era tutto ciò di cui avevo bisogno.

Il resto, come si dice, è storia. Lui stesso ha narrato del nostro incontro nel suo blog, e siamo persino stati famosi per un po', grazie a lui.

Il rapporto tra me e lui è sempre stato fonte di dibattiti. C'è chi ci crede amanti. Personalmente non ho mai pensato di dare la mia opinione in merito. Quello che siamo riguarda solo noi, nel bene e nel male, e non vedo perché avrei dovuto dare delle spiegazioni.

D'altra parte, in queste mie pseudo “memorie” ho deciso di essere sincero, quindi qui, solo qui e solo per questa volta, dirò quello che la gente mediocre desidera tanto a sapere.

Io e John non siamo amanti. Non lo siamo mai stati e mai lo saremo. John ha una passione sfrenata per le donne e io, beh, io non ho passioni per nessuno, né uomini né donne.

Voglio davvero bene a John e gli sono profondamente legato. È stato l'unico amico che io abbia mai avuto in tutta la mia vita. L'unico a tenere a me, a insegnarmi l'importanza dell'affetto, della gentilezza e a farmi capire come gestire i sentimenti altrui. Da lui ho avuto quello che avrei dovuto avere dalla mia fredda famiglia, un'educazione affettiva, ma non c'è mai stato niente di sessuale fra noi. In molti lo hanno suggerito e ne hanno sparlato alle nostre spalle, io lo sapevo e non me ne sono mai preoccupato. John se ne dispiaceva, forse perché temeva di perdere il favore femminile se il mondo avesse creduto che c'era qualcosa fra noi.

Personalmente trovo triviale tutto questo interesse per il sesso altrui. Che io e John passassimo il tempo a rotolarci in un letto o a giocare a scacchi era davvero così importante per gli altri? A quanto pare sì, ma per me era totalmente irrilevante.

Il sesso non aveva mai suscitato grande interesse in me ma, contrariamente a quanto pensa mio fratello Mycroft, e probabilmente anche qualcun'altro, non sono del tutto inesperto sull'argomento. Duranti gli anni bui della mia adolescenza avevo scoperto di provare curiosità e attrazione per le donne, ma le mie poche esperienze con loro furono sempre disastrose. Le donne non amano la cruda verità, e io invece non potevo fare a meno di esprimere a parole tutti i miei pensieri, anche quando non erano nè richiesti nè tantomeno lusinghieri. In breve, tutte le ragazze con cui avevo avuto a che fare mi avevano molto carinamente mandato “a quel paese”, ritrovandomi a essere evitato come un appestato. Ormai, però, avevo avuto alcune esperienze dal punto di vista sessuale e avevo capito che non faceva per me e che dovevo invece concentrarmi sulla mia vocazione, la deduzione.

Devo dire che questa rinuncia non mi ha mai creato dei problemi. Dopo l'adolescenza i miei istinti si sono placati perché reindirizzati verso il mio lavoro. E questo mi ha sempre soddisfatto pienamente. Non ho mai fatto mistero di considerarmi sposato con il mio lavoro e di non provare interesse per il genere femminile.

Questo, stranamente, ha invece fatto credere che fossi interessato al genere maschile. La gente comune ha così poca immaginazione. Deve essere tutto bianco o nero, mentre io vivo in un mondo in cui ci sono svariate sfumature di colori nel mezzo.

Solo una volta i miei istinti si sono come risvegliati facendomi provare dell'attrazione sessuale per una donna. Solo che, contrariamente a quanto tutti hanno pensato, ciò che mi eccitava maggiormente in lei non era il suo corpo perfetto, ma il suo cervello. La donna più intelligente che abbia mai incontrato, l'unica che sia riuscita a beffarmi, l'unica che abbia mai considerato pari a me.

Irene Adler. La Donna.

Ufficialmente Irene è morta. Giustiziata in Medio Oriente. Nessuno, nemmeno Mycroft con tutte le sue spie, sa che in realtà è viva e si è trasferita in Australia. Ha cambiato nome ed è diventata una scrittrice. Con ben due diversi nomi d'arte, scrive sia romanzi di spionaggio, con discreto successo, sia romanzi erotici. Grazie a questa carriera si mantiene e ha deciso di proseguire con il suo “hobby” solo in privato.

Nei mesi scorsi sono stato da lei e abbiamo passato del tempo insieme. Ho potuto apprezzare Irene lontana dai complotti e dai giochi di potere in cui viveva precedentemente. Ora li riserva solo ai suoi libri. Tra di noi c'è stata una relazione, breve e intensa. I nostri due cervelli non possono stare troppo tempo a stretto contatto, quindi ho dovuto lasciarla dopo poche settimane, ma credo che tra noi ci sarà sempre una forte attrazione a legarci.

Inoltre, non è assolutamente possibile che io possa provare lo stesso nei confronti di un'altra donna, perché nessuna mi ha mai stimolato ed eccitato come lei, ma si tratta unicamente di attrazione sessuale, non è quello che comunemente viene definito amore. Io ammiro la sua intelligenza, la rispetto e, certo, non voglio vederla morta, ma non la amo. Forse all’inizio potevo pensare di provare dei sentimenti per lei, ma in seguito ho capito che non mi è possibile. Siamo così simili eppure così diversi.

Ma lei sarà sempre importante per me.

Lei è, e resterà per sempre, La Donna. L'Unica Donna.


Ora, veniamo ai fatti recenti.

Sono tornato a Baker Street.

Gli unici a sapere che ero vivo, Molly Hooper e mio fratello Mycroft, mi hanno scritto informandomi che John si è fidanzato e che Mrs. Hudson non è stata molto bene ultimamente.

Dal momento che la mia missione di eliminare qualunque collegamento con Moriarty è completata, e che ho potuto essere certo che le persone a cui tengo sono al sicuro, non ho più motivo di nascondermi.


CONTINUA



Ringrazio tutti quelli che sono arrivati alla fine del Prologo.

Che ne pensate? Ho esagerato? Ho scritto idiozie? Probabilmente.

Fatemi sapere cosa ne pensate e a breve posterò il seguito.

Grazie.

M.




   
 
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